di Jasmina Radivojevic – Componente del Comitato di Zona 2 per Tsipras – Milano
Il post, che esprime l’opinione dell’autrice sulle posizioni dell’Occidente in merito a una vicenda intricata come quella ucraina, prende spunto da un articolo di Di Francesco su Il Manifesto, che ha suscitato molte polemiche. Lo abbiamo pubblicato anche noi qualche giorno fa: lo trovate QUI.
Tommaso Di Francesco è un signor giornalista. Lo seguo da tanto tempo, in quanto ha supportato numerosissime attività dell’Associazione ‘Un Ponte per…’, per la quale ho lavorato come volontaria per tanti anni, per alcuni anche in qualità di cooperante nei Balcani.
Di Francesco conosce perfettamente la storia balcanica degli anni Novanta e non ha mai avuto timore di denunciare i misfatti e le bombe della NATO, le menzogne propagandistiche e la demonizzazione di una sola delle parti coinvolte nel conflitto, come non ne ha mai taciuto i crimini. Ha pieno titolo, quindi, per pronunciarsi in questo momento nei termini in cui lo fa.
Qualcuno dirà – con ragione, a mio avviso -che le scelte della Crimea e di Putin avallano la tesi dell’Occidente e della NATO. D’altra parte, l’unico sistema per svelare il cinismo delle grandi Potenze consiste nell’adottarne la stessa unità di misura, ma – mi auguro – senza ricorrere alle bombe stavolta, solo con un referendum.
Solamente in questo modo coloro che decidono le sorti del mondo si renderanno conto dei valori che hanno scelto di implementare in epoca postmoderna. Il mondo monopolare ci ha mostrato quanto aveva in serbo dopo la caduta del Muro e l’ingenuità di Gorbaciov nell’essersi fidato dell’Occidente, del suo neocolonialismo con cui esportare il neoliberismo, i diktat della finanza speculativa e delle multinazionali, il biglietto per poter sopravvivere o ‘one way ticket’ per una vita di fame, di guerra e di morte.
Da venticinque anni assistiamo a rivoluzioni ‘colorate’ finanziate ed organizzate dagli USA con l’esportazione della democrazia World Wide, da Timisoara a Belgrado, via Kiev a Tbilisi, e poi in Kirghizistan, Uzbekistan, a Tunisi, Tripoli, Il Cairo e Damasco. La chiamano ‘Soft Power’. Nella realtà, si fanno colpi di stato sfruttando il malcontento popolare e il legittimo desiderio delle popolazioni di maggiore democrazia e di una vita migliore. In qualche luogo del mondo rimane soft, altrove è molto hard! Non è quantificabile il sangue versato nella guerra civile siriana, non vi è un metro che riesca a misurare la barbarie irachena, afgana e libica. Non ci sono più lacrime per piangere la sorte dei profughi che nessuno vuole. E ora nuove brame sull’Ucraina. Non sono state sufficienti la Rivoluzione arancione e la ladra Timoshenko: in nessuno dei Paesi in cui sono intervenuti, gli Stati Uniti riescono a far insediare un governo non corrotto e interessato fattivamente al bene comune. Ecco gli unici, e veri, interessi: estensione della zona d’influenza ad Est e nel Mediterraneo, il Lebensraum, gli energenti.
Una Russia forte, Cina, India e Brasile forti, gli USA forti e, soprattutto, una UE forte sono quanto di maggiormente auspicabile ci sia per il nostro pianeta. Il mondo monopolare ha prodotto solo disgrazie. A cent’anni dalla prima guerra mondiale e a quindici dall’esperimento militare, sociologico, antropologico e di violazione del diritto internazionale che è stato il Kosovo, i potenti del mondo dovrebbero sedersi intorno a un tavolo per trovare una soluzione valida per tutti. Una nuova Jalta, insomma.
Come Lista Tsipras dobbiamo batterci per un mondo di pace e di uguali diritti per tutti i Paesi, per un rafforzamento e una riforma dell’ONU. Ciò che vale per il Kosovo deve valere per Palestina, Kurdistan, Scozia e Catalogna. E per la Crimea. Oppure non deve valere per nessuno, perché è finito lo stile narrativo alla Truffaut nel Fahrenheit 451 degli ex sessantottini che si sono battuti per l’autodeterminazione della Slovenia, della Croazia e del Kosovo, soffiando sul fuoco dei nazionalismi di Paesi fortemente multietnici, che non potevano separarsi senza spargimento di sangue, e bombardando un Paese sovrano che reclamava la propria integrità nazionale.
Con quale coraggio si partecipa ora all’isterismo collettivo sull’inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina? A questa narrazione hanno fortemente contribuito, oltre agli ex hippy Clinton, Blair e D’Alema, anche i giornalisti che oggi si candidano alle poltrone di Bruxelles con la Lista Tsipras. Chi non ricorda la retorica guerrafondaia della Spinelli o di Curzio Maltese contro la Serbia, il Paese del male assoluto (di turno)?
Di professione faccio l’educatrice e sono laureata in pedagogia. Voglio sperare nell’evoluzione del pensiero di coloro per cui mi adopero a raccogliere le firme. Infatti, malgrado tutto, come diceva Anna Frank, io ancora credo nell’uomo (e nella donna, aggiungo io)! Ritengo che l’essere umano possa migliorare, e sono abituata a dare una seconda chance a tutti. Perciò, in questo momento, sarebbe importante conoscere l’opinione comune, condivisa cioè dai componenti di questa lista, sui fatti di Crimea e sulla politica estera ed europea che vorremmo.
È un momento molto difficile per il nostro continente e abbiamo il dovere di contribuire a creare per i nostri figli un’Europa dei popoli, di tutti i popoli che la compongono, in cui si riesca a mediare tra l’unicità di ciascuna nazione (o regione) e la costruzione di una collettività politica sovranazionale; un’Europa dei valori condivisi, il cui libro di storia sia composto da tante storie, non per forza condivise, ma quantomeno conosciute da tutti. Un’Europa dei diritti sociali e civili, un’Europa solidale e antifascista che non permetta più a un partito come lo Jobbik di farne parte in nome di un presunto diritto d’espressione, grazie al quale possa proporre, ad esempio, la sterilizzazione per legge dei Rom ungheresi; un’Europa che non resti muta davanti al fatto che due ministri importanti nel nuovo governo ucraino provengano dal partito neonazista Pravi Sektor, ma che ne denunci con sdegno la presa di potere violenta, antidemocratica e incostituzionale, grazie all’appoggio della destra estremista e neonazista ucraina.
Tutti i popoli possono impazzire in un momento della loro storia: è accaduto a Germania, Italia, Giappone, Croazia, Slovenia, Ungheria, Romania, Ucraina settant’anni fa. È accaduto alla Serbia vent’anni fa. La Serbia ha consegnato l’intera classe politico/militare a L’Aia. Un suo presidente è persino morto lì. Il Kosovo è stato ad essa strappato per farne la base NATO più grande d’Europa, la Bondsteel. Gli albanesi del Kosovo sono padroni assoluti di una terra che storicamente non appartiene solo a loro e in cui la minoranza serba che non è stata scacciata è ridotta nelle riserve chiamate enclavi. La sorte dei serbi del Kosovo è stata molto ben seguita ed è nota in Russia e in Ucraina. In Crimea si sa quale fine abbiano hanno fatto i serbi del Kosovo. Inoltre, la Serbia è in balia del FMI e delle banche estere. Recentemente il Partito Progressista serbo, guidato da Aleksandar Vucic, il pupillo di Seselj, ha stravinto le elezioni politiche e amministrative con quasi il 50% dei voti. Vucic ha, sì, preso le distanze dal maestro, che marcisce a L’Aia, ma il suo è pur sempre un partito di destra conservatore e nazionalista, benché si chiami “progressista”! Questo è l’effetto degli illimitati condizionamenti dell’UE, che in cambio non dà assolutamente nulla, eccetto vane promesse.
Con quale coraggio, allora, si denuncia come illegale e illegittimo il referendum della Crimea, dopo quanto commesso nei Balcani?
Sono d’accordo con l’ottimo Di Francesco: ancora non è troppo tardi. Auspico dei passi indietro da parte di tutti e che l’Ucraina diventi federale e neutrale, evitandole così la sorte della Jugoslavia, che non ha avuto quest’occasione.
Come filiale italiana della Lista Tsipras, abbiamo il dovere di esprimerci in questo senso. Dopo il pronunciamento del maggior numero possibile dei suoi componenti, sarebbe opportuno scrivere un documento comune sulla posizione assunta dal gruppo.