Sotto la cappa del nuovo potere

Informazione. Una concordia asfissiante. Dall’inizio delle larghe intese, la stampa e la tv italiane hanno cambiato pelle acconciandosi alla funzione assai poco onorevole del portavoce zelante delle verità del governo.

segnalato da crvenazvezda76

da ilmanifesto.info (26/08/2014) – di Alberto Burgio

Siamo pro­prio sicuri che lo stato (deso­lante) dell’informazione poli­tica in Ita­lia rien­tri nella normalità, che asse­gna alla «strut­tura mate­riale dell’ideologia» la fun­zione di pro­teg­gere e consolidare l’esta­blishment? Fosse così, non ci ras­se­gne­remmo, ma nem­meno avremmo la percezione di una situa­zione patologica.

In tutti i paesi del mondo, sotto qual­siasi regime, la «grande stampa» aiuta il potere. Rico­no­scerlo non implica equi­pa­rare sistemi tota­li­tari e plu­ra­li­stici. Né igno­rare la rile­vanza dei diritti di libertà e l’importanza della fun­zione svolta, nei sistemi plu­ra­li­stici, dalla stampa indi­pen­dente e di opposizione. Resta che ovun­que tra stampa e potere inter­cor­rono rap­porti di mutuo soc­corso. Che il mondo dell’informazione è dap­per­tutto con­ti­guo ai luo­ghi del potere eco­no­mico e poli­tico. Che spesso il con­fine tra infor­ma­zione e propaganda è labile e di dif­fi­cile demar­ca­zione. Ma c’è un ma.

O un limite, se si pre­fe­ri­sce. Di norma la coo­pe­ra­zione tra stampa e potere non impe­di­sce agli organi di infor­ma­zione di ope­rare anche come fat­tori costi­tu­tivi dell’opinione pub­blica e suoi portavoce. Né pre­clude alla grande stampa una fun­zione di con­trollo e di sti­molo – talora di denun­cia – nei con­fronti delle altre istanze del potere. Si pensi, per esem­pio, al gior­na­li­smo d’inchiesta, ancora vivo in Germa­nia e nel mondo anglo­sas­sone, e non appan­nag­gio delle testate di opposizione.

Coo­pe­ra­zione e cri­tica: in que­sto bino­mio con­trad­dit­to­rio si con­densa la rela­zione tra­di­zio­nale tra stampa e potere in demo­cra­zia. Il che vale a pre­ser­vare una qual­che fun­zione terza dell’informazione anche in tempi di pen­siero unico impe­rante. Accade lo stesso oggi in Ita­lia? Si può dire che anche nel nostro paese le mag­giori testate della carta stam­pata e del gior­na­li­smo televisivo pub­blico e privato man­ten­gono un equi­li­brio tra pros­si­mità e alte­rità al potere che permetta loro di assol­vere almeno in parte il com­pito di infor­mare senza troppo deformare?

Deci­sa­mente no. Da tempo – almeno dall’inizio dell’infausta sta­gione delle lar­ghe intese, più probabil­mente da quando la crisi economica imper­versa – la stampa ita­liana (fatte le debite eccezioni) ha cam­biato regi­stro. Se ancora all’epoca della rissa bipo­lare tra cen­tro­si­ni­stra e destra era pos­si­bile imbat­tersi in qual­che ana­lisi spre­giu­di­cata e cogliere fram­menti di verità tra le righe di com­menti o reso­conti (pur­ché, benin­teso, non si trat­tasse della santa alleanza con gli Stati uniti e delle guerre sca­te­nate nel nome della democrazia <CW-17>e dei diritti umani), oggi regna invece un’asfissiante con­cor­dia. Intorno ai feticci della gover­nance neo­li­be­rale – le “riforme” in pri­mis, evo­cate osses­si­va­mente come una pana­cea per tutti i mali. Intorno alle figure che la incar­nano – dal capo dello Stato al pre­si­dente del Con­si­glio in carica, pas­sando per il pre­si­dente della Bce. Intorno alle poli­ti­che per mezzo delle quali viene compien­dosi la meta­mor­fosi ame­ri­ca­ni­sta della società, il suo rapido regre­dire verso assetti post­de­mo­cra­tici, auto­ri­tari e oligarchici.

Docu­men­tarlo sarebbe sin troppo age­vole. Basti un banale espe­ri­mento. L’attuale pre­mier si è accre­di­tato come l’uomo del cambiamento e, appunto, delle riforme. È un ruolo che sta a pen­nello a un yup­pie della poli­tica, venuto su col logo del rot­ta­ma­tore. Ma que­sta è una scelta d’immagine, è la sua auto­rap­pre­sen­ta­zione. Non dovrebbe costi­tuire il con­te­nuto dell’informazione, la quale avrebbe invece il dovere di entrare nel merito delle sedi­centi riforme, parola magica che da vent’anni desi­gna i misfatti dei governi nel nome del risa­na­mento. Bene, pro­vate a vedere che succede in pro­po­sito, se mai un gior­na­li­sta, inter­vi­stando Renzi o commentandone le debor­danti dichia­ra­zioni in schietto stile nien­ta­li­sta, si prende la briga di discu­tere il cri­te­rio in base al quale un prov­ve­di­mento può defi­nirsi “riforma” e si distin­gue da un altro che non ne è degno.

Riforme erano dette anche quelle del fasci­smo, che di cose ne cam­biò effet­ti­va­mente molte e in profon­dità. Non sarebbe allora il caso di costrin­gere chi governa a uscire dalla pro­pa­ganda e a dichia­rare i pro­pri reali inten­di­menti? Non sarebbe un gesto di rispetto verso let­tori e tele­spet­ta­tori incal­zarlo, far­gli pre­senti i costi sociali delle sue deci­sioni oltre che i loro van­tati bene­fici? Non sarebbe que­sta un’elementare clau­sola di dignità per chi, facendo il gior­na­li­sta, non dovrebbe accettare di degra­darsi a veli­naro, a supino amplificatore della voce del padrone di turno?

Ma, parole magi­che a parte, il discorso ha una por­tata ben più vasta. E i pos­si­bili esempi si sprecano.

È mai pos­si­bile che nes­suno trovi da ridire quando un mem­bro del governo o del Pd recita la giacula­to­ria del «40 per cento degli italiani che ci chie­dono le riforme»? È decente fin­gere di non ricor­dare che in mag­gio si votò per le euro­pee con la fon­data paura della marea fasci­sta, e che a nessun elet­tore ita­liano venne in mente allora di con­ce­dere al governo cam­biali in bianco per sfasciare la Costitu­zione, fare nuo­va­mente cassa con le pen­sioni o stra­vol­gere lo stato giu­ri­dico del pub­blico impiego?

Un caso para­dig­ma­tico è l’evasione fiscale. Gior­nali e tele­gior­nali ne par­lano, ine­vi­ta­bil­mente, quando la Corte dei conti o l’Agenzia delle entrate dirama le solite scan­da­lose cifre che non hanno eguali al mondo. Per la cro­naca siamo poco sotto i 190 miliardi di euro sot­tratti ogni anno alle finanze pub­bli­che. Visto che i numeri hanno una loro ogget­ti­vità, il dato dovrebbe domi­nare la pagina economica. All’opinione pub­blica – ammesso che in Ita­lia ne esi­sta ancora una – sarebbe dove­roso spie­gare quali nessi sus­si­stono tra que­sto gigan­te­sco ammanco e la dram­ma­tica fame di risorse nei bilanci delle pub­bli­che ammi­ni­stra­zioni e delle fami­glie dei lavo­ra­tori dipen­denti. Si dovrebbe chia­rire come non sia casuale che, van­tando que­sto record, l’Italia sia anche in cima alle clas­si­fi­che del debito pub­blico, della disoc­cu­pa­zione e della pres­sione fiscale sul lavoro. Niente di niente, invece. Il tema è tabù. I cit­ta­dini deb­bono restare inerti sotto il bom­bar­da­mento della narrazione uffi­ciale della crisi.

E così via esem­pli­fi­cando. Nel Medi­ter­ra­neo si con­suma ogni giorno la strage dei migranti.

C’è mai qual­cuno che, com­men­tando gli spro­po­siti di un mini­stro o del leghi­sta di turno, ram­menti che i migranti non chie­dono benevo­lenza: eser­ci­tano un diritto invio­la­bile? Che a quanti di loro fuggono da guerre e per­se­cu­zioni nes­suno può legit­ti­ma­mente rifiu­tare asilo? E che gli Stati che non li accol­gono vio­lano norme fon­da­men­tali del diritto inter­na­zio­nale? Quanto al ter­ro­ri­smo, largo alle stru­men­ta­liz­za­zioni di chi blocca sul nascere ogni discus­sione al riguardo. Non sia mai che ci si inter­ro­ghi sulle respon­sa­bi­lità occi­den­tali nella cata­strofe medio­rien­tale. E che, di ter­ro­ri­sta in terrori­sta, a qual­cuno venga in mente di chie­dere conto anche a Neta­nyahu. Fran­ca­mente dispiace che la recente pole­mica tra Grillo e il Tg1 sia stata liqui­data anche a sini­stra come l’ennesima aggres­sione di un ener­gu­meno. I modi offen­dono, ma la sostanza resta e meri­te­rebbe ben altra considerazione.

Sotto la cappa del potere finan­zia­rio trans­na­zio­nale, ammi­ni­strato dalla tecno-burocrazia euro­pea e dai suoi pro­con­soli nostrani, il gior­na­li­smo ita­liano ha per­lo­più mutato pelle, accon­cian­dosi alla fun­zione assai poco ono­re­vole del por­ta­voce zelante. Che divulga e accre­dita le verità dispen­sate dall’alto, e con ciò impe­di­sce la for­ma­zione di un’opinione pub­blica docu­men­tata e cri­tica. E non si creda che il rife­ri­mento al qua­dro dei poteri domi­nanti atte­sti un nesso cogente. Non vi è alcuna neces­sità in tale con­nes­sione, né vi opera una forza incoer­ci­bile. Sono in gioco, al con­tra­rio, la libera scelta di cia­scuno e la sua respon­sa­bi­lità intel­let­tuale e morale. La pato­lo­gia di un gior­na­li­smo asser­vito è parte inte­grante della più grave que­stione all’ordine del giorno, quella del pro­li­fe­rare delle caste e della cor­ru­zione in esse dilagante.

32 comments

  1. A leggere i commenti sembra che il problema maggiore della stampa, e dell’informazione in generale, italiana, sia nella forma.
    L’utilizzo di termini e locuzioni che non si sentivano da vent’anni è sufficiente prova per emettere la sentenza di condanna.
    Meglio leggere la padania o il giornale, che esprimono il loro pensiero a forza di rutti e insulti, comprensibili ai più, grazie al programma rieducativo cui il paese è stato sottoposto. Da almeno vent’anni a questa parte, appunto.
    Aggravante è il fatto che l’autore dell’articolo si dilunga nell’esposizione delle sue ragioni, riassunte nelle poche righe della premessa. Certo, nel tempo dell’informazione via tweet dovrebbe essere proibito per legge andare oltre i 180 caratteri.
    Sono di parte, non l’ho mai nascosto. E non mi piace chi spara a zero contro tutti, perche tanto “sono tutti uguali” e “tutto si fa per soldi”.
    Il manifesto è un collettivo dove tutti guadagnano lo stesso stipendio, un giornale che riesce ad andare in edicola grazie allo sforzo dei lettori e dei sostenitori
    Non è il quotidiano perfetto. Ha mille difetti. Ma è un giornale libero, senza padroni. E chi ci scrive rende conto a se stesso, al collettivo, e ai lettori.
    Sono di parte e voglio rimanere di parte. Preferisco continuare a leggere articoli dai toni roni intellettuali che ascoltare il concerto di lingue leccanti e rutti offerti dai più e per i più.

        1. Stella cara, volevo solo stemperare l’incaxxatura del prode comunista… e invece ho provocato una sollevazione… Incompresa… 😉

    1. Adesso dico una cosa scomoda, però ricorda che eri quello che volevi lo scontro 🙂

      Peppe. non è solo questo, non è solo l’utilizzare termini antichi.
      E’ un po’ l’autorefernzialità del pensiero.di quel giornalista che si ritiene detentore della verità e che vuole un mondo in cui tutti dicano le cose che dice lui.
      Siccome non tutti sono sulle posizioni del giornalista , allora sono tutti servi, perchè bsogna dire per forza che le riforme sono tutte pessime, anzi che essendo (per lui ) tutte cattive non sono riforme, ma sono un’altra cosa.

      Oltretutto si insiste in maniera ossessiva a ribadire lo stesso concetto. Una riforma non per forza è buona.
      Vero. Ma questo non vuol dire che non si possa chiamare riforma!
      Renzi sta riformando o no il paese ? Si può discutere se lo sta facendo bene o male. Ma non si vede perchè la riforma costituzionale non si possa chiamare così O anche quella della giustizia.
      Gli 80 euro, sono un pezzo della riforma del fisco.
      Le riforme per loro natura non si fanno in pochi mesi e sono un elenco di leggi che portano a un cambiamento radicale di alcune cose.nei diversi settori.
      Il cambiamento radicale può essere percepito male da alcuni . Ma sempre di riforma si tratta.
      La riforma Gelmini è una pessima riforma.
      E pure il fascismo ha fatto riforme buone. Per esempio ha introdotto le pensioni.

      Quanto alle critiche sulle riforme, mi pare ne se ne siano sentite di tutti i colori su tutti i giornali.
      Gli editoriali di Scalfari , della Annunziata e di altri non mi sono sembrati affatto teneri. .
      Mi pare che nel mondo reale siano quotidiane le critiche al premier. Nel mondo fantastico il premier non è criticato.
      Salvo una cosa dell’articolo. Le critiche , nel bene e nel male non sono quasi mai approfondite.
      E’ la cosa più banale di questo mondo dire che gli 80 euro dopo un mese (il dato dell’Istati è di Giugno) non hanno portato i consumi alle stelle.. Ben pochi giornalisti però si prendono davanti un decreto legge e spiegano quello che funziona, quello che potrebbe essere realisticamente migliorato e quello che secondo il giornalista non funziona. .
      In questo senso il nostro giornalismo è malato: non è capace di approfondimento.

      A mio avviso un solo giornale forse che fa eccezione (l’inKiesta )

      Quanto all’atteggiamento di Renzi nei confronti dei giornalisti, secondo me Renzi ha la pessima abitudine di rispondere alle domande stupide o alle punzecchiature dei giornalisti in maniera estremamente sgarbata
      Esempio. Se il giornalista dice che secondo la Commissione l’Italia è senza strategia e che si rischiano di perdere i fondi europei e gli chiede una opinione, Renzi arriva quasi a insultare il giornalista. Perchè la Commissione non ha detto questa cosa e il pericolo di perdere i fondi non c’è (entrambe le cose saranno .confermate dalla commissione).
      Però Renzi non sfugge affatto il confronto.
      Se il giornalista ti fa una domanda per affermare il suo punto di vista e impedendoti di dire il tuo, che abbia ragione o torto l’intervistato nel merito, a sbagliare è il giornalista.
      Ma se Renzi viene invitato da giornalismi scomodi a discutere è capace di stare due ore a rispondere domande scomode o a critiche più o meno strumentali.
      E’ accaduto per esempio prima delle Europee coi giornalisti del FQ .

      —-

      Il giornale che leggi tu è un giornale libero? No, peppe.
      Il manifesto è un giornale comunista , e il giornalista che scrive è stato parlamentare di rifondazione.
      Si potrebbe chiedere , se il giornale è “senza padroni” quali sono o quali sono state quando erano al governo le critiche dei vari giornalisti del Manifesto ai partiti comunisti

    2. Rilassati. Ho dichiarato e ribadito che la mia era un reazione epidermica determinata da gusti personali discutibilissimi sullo stile di un singolo articolo di un singolo autore.
      Non è il caso di scatenare una guerra mondiale.

  2. Premesso che sono d’accordo con Namm con la spocchia inutile di cui si ammantano certi cosiddetti intellettuali , sul tema ve la metto giù piatta piatta: ci sarà pure un motivo per cui quasi tutti i giornali italiani continuano a perdere copie , sono in rosso perenne e , via via chiudono? Che sia anche per colpa della scarsissima obiettività? Personalmente i giornalisti italiani che ancora stimo li conto sulle dita di una mano.

    1. Si parla anche molto della concorrenza delle fonti Internet, oltre che della televisione. Credo che in parte ciò si aggiunga a due problemi: una qualità non esaltante del giornalismo medio su carta ma anche un certo orientamento del pubblico alla notizia di specifico interesse (perché comprare un giornale quando a me interessa solo, per dire, la politica nazionale) integrata da più fonti e anche, lato negativo temo, della ‘notizia’ dell’ultima ora offerta in pillole godibili.

    2. penso anch’io che sia la concorrenza internet (che ha fatto chiudere anche altro, dai bockbuster ai negozi di dischi, o librerie), per non dire di quella tv, con il (relativo) successo dei canali di notizie come tg24 o rainews. e poi ci sono tendenze riscontrabili anche negli altri paesi occidentali. uno, due, al massimo tre quotidiani veramente nazionali (più non reggono), e poi i giornali locali. rispetto al passato sono in relativa crisi i quotidiani di tendenza politica, e non solo perché non prendono più finanziamenti. credo che anche il ‘fatto’ si regga soprattutto su internet, nonostante sia quello con maggior successo tra i quotidiani di tendenza politica.

      penso che l’unico fattore che potremmo influenzare in qualche modo sarebbe la diffusione pubblicitaria (in modo che non si concentri su due mani sole). ma dovrei informarmi e non ho tempo.

  3. Sarà pure una brava persona il dottor Alberto Burgio, (leggo che è anche nel comitato editoriale della ‘Rivista sperimentale di freniatria , Urca!).
    Ma se tutto quello che aveva da dire era l’opinione condensata nelle due righe di sottotitolo in corsivo, perché sprecare tante parole. Capisco che uno senta la necessità di esibire la sua conoscenza di espressioni come ‘nesso cogente’, ma, da giornalista, forse dovrebbe essere più interessato a comunicare con una certa semplicità con il lettore comune.
    Boh? A volte mi irrito per un nonnulla, lo ammetto. E’ quando mi nascono dei sospetti, probabilmente ingiustificati, di spocchia intellettuale.

      1. Beh, visto che un chirurgo vive di tagliuzzamenti vari perché non lasciarlo andare in giro con un coltello a far macelleria?
        Scherzo, ovviamente.
        Ho riconosciuto, e lo ribadisco, che ha volte ho delle reazioni epidermiche, forse ingiuste. Potrei tacerle. Ma si è qui anche per condividere le proprie debolezze, credo.

            1. il manifesto è sempre stato un giornale intellettuale. non credo sia questo il suo problema specifico (rispetto a un passato che contava ben altre locuzioni tecnico-erudite).

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