Month: dicembre 2014

Il lungo addio

segnalato da barbarasiberiana

da Spinoza.it

Napolitano medita di abbandonare. È il metodo Schettino.

Secondo indiscrezioni, Napolitano lascerà a fine anno. O forse ha di nuovo bisogno di coccole.

Napolitano potrebbe dimettersi a inizio 2015. Sta valutando altre offerte.

Per la successione si fa il nome di Mario Draghi. Ma non vedo perché dovrebbe preferire il Quirinale al trono imperiale.

Berlusconi: “Nessuno di sinistra al Colle”. Lo ha promesso a Renzi.

Napolitano: “Non ce la faccio più” . È davvero il presidente degli italiani.

“Farò il bilancio di questa fase straordinaria, poi deciderò” ha dichiarato Napolitano chiudendosi in bagno con il giornale.

Il presidente della Repubblica potrebbe annunciare le dimissioni durante il discorso di fine anno. Per dire quanto possa infondere fiducia.

(In Italia la crisi è così drammatica che il discorso di Napolitano andrà in onda su Agon Channel)

Dal Quirinale né smentite né conferme. Sarà mica morto?

La scarica dei 25

QUIRINALE: LA SCARICA DEI VENTICINQUE

da ilfattoquotidiano.it (23/12/2014) – di Marco Travaglio

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Siccome è sommamente inopportuno fare nomi per evitare di bruciarli, la rosa degli aspiranti al Quirinale citati nell’ultima settimana è estremamente succinta: appena 25 candidati.

Amato Giuliano. È il prediletto di Napolitano e B. (infatti ha due pensioni). Potrebbero essergli fatali l’inesperienza politica (ha avuto solo 76 incarichi) e la tenera età (appena 76 anni).

Cassese Sabino. Leggermente più maturo (79 anni), piace molto a Re Giorgio e soprattutto all’infanto Giulio. L’altra sera sparava cassate da Floris. Ieri ha scritto sul Corriere che il nuovo presidente “tornerà al modello einaudiano”. Tradotto: se eleggete me, non rompo i coglioni, dove mi mettete sto. S’offre parecchio.

Draghi Mario. È riuscito nella mission impossible di fare il banchiere senza finire imputato, e per giunta non piace alla Merkel: il che, in Italia, è un doppio handicap. Inoltre, se eletto presidente, farebbe il presidente: ergo non garba a Renzi, che per il Colle sta cercando un portachiavi.

Visco Ignazio. Come sopra, con un’aggravante: denuncia troppo spesso la corruzione. Non si parla di corda in casa degl’impiccati.

Prodi Romano. Piace ai nemici del Nazareno: minoranza Pd, fittiani Fi e Sel potrebbero votarlo contro Renzi & B., bruciandolo. Ma Renzi potrebbe anticiparli e candidarlo contro di loro, bruciandolo. Lui sta pensando di anticipare tutti e darsi fuoco.

Padoan Pier Carlo. Essendo ministro dell’Economia, vuol fare il ministro dell’Economia: perciò Renzi lo manderebbe volentieri al Quirinale, se lì non volesse fare il presidente della Repubblica.

Fassino Piero. Renziano di scuola gregantiana, dunque non sgradito ai Pd antirenziani, nel 2006 si prostituì con un articolo fantozziano sul Foglio chiedendo a B. i voti per eleggere D’Alema. Così fu eletto Napolitano, che per questo lo adora.

Chiamparino Sergio. Candidato anfibio: renziano non ostile agli anti-Renzi, Pd gradito a Fi, politico ma pure banchiere, curriculum pieno di poltrone ma anche di buchi (di bilancio: ieri al Comune di Torino, ora in Regione Piemonte). Ce la può fare.

Veltroni Walter. Sponsor di Odevaine ma anche di Renzi, nostalgico di Craxi ma anche di Berlinguer, avversario di B. ma anche dei demonizzatori di B., è Nazareno dentro. Quasi perfetto.

Muti Riccardo. Era la prima scelta di Renzi. Poi il Fatto l’ha scritto e il premier l’ha smentito: quindi era vero. Non ha alcuna esperienza, ergo va benissimo. Molto favorito pure dal cognome.

Finocchiaro Anna. Stoppata nel 2013 da Renzi per via della foto all’Ikea con la scorta, gli diede del “miserabile”. Ora però si dà un gran daffare per la riforma-boiata del Senato. E poi è donna. E poi Matteo, oggi, è più di bocca buona.

Severino Paola. Avvocato di tutti i grandi gruppi italiani, piace a B., Letta zio, Curia e Caltagirone: quindi in un Paese serio sarebbe out anche per l’Arcicaccia. Qui invece è in pole position.

Franceschini Dario. Da quando qualcuno ha invocato l’alternanza laici-cattolici, si cerca disperatamente un cattolico. Al punto che s’è pensato persino a lui. Ma solo per questo motivo.

Mattarella Sergio. Vedi sopra.

Casini Pier Ferdinando. Vedi sopra.

Gentiloni Paolo. Vedi sopra.

Rutelli Francesco. Vedi sopra.

Grasso Piero. Già nel 2013, appena eletto presidente del Senato, si disse disponibile a un più alto incarico (l’unico esistente). Ma nessuno se lo filò. Vedi mai che quest’anno vada di moda il nulla mischiato col niente.

Boldrini Laura. È l’altra soluzione istituzionale in caso di impasse. Lei insiste molto per una donna al Colle. Può contare già sul suo voto, sempre che non sbagli a compilare la scheda.

Bonino Emma. Candidata al Quirinale dal 1976, è stata con B. e con l’Ulivo. Né cattolica né comunista, pacifista ma pro guerre, non è più in Parlamento: non può contare neppure sul suo voto.

Pinotti Roberta. È l’unica Renzi-girl sopra i 50 anni, il che la rende sospetta agli occhi di B. Peccato per il vizietto di usare i voli militari come taxi per tornare presto a casa. Ma chi ci dice che in Italia sia un handicap?

Baresi Franco. Già capitano del Milan e della Nazionale, è il candidato di Matteo Salvini. Quindi ha qualche chance più di Massimo D’Alema.

Caprotti Bernardo e Feltri Vittorio. Il patron di Esselunga (classe 1925) e l’ex direttore del Giornale e di Libero sono i candidati di Roberto Calderoli. Chi ha voglia di ridere, pensi al Porcellum.

Napolitano Giorgio. Nessuno ne parla, ma una nuova, eventuale paralisi di veti incrociati potrebbe indurre i partiti a chiedergli un altro estremo sacrificio. Del resto, come titola l’Huffington Post, “Gli italiani vogliono ancora Napolitano”. Se lo meritano proprio.

Carminati Massimo. Non l’ha (ancora) candidato nessuno. Ci permettiamo di farlo noi, sperando di non bruciarlo. Uomo del fare, decisionista, sufficientemente esperto di giustizia e anche di economia, è forse un po’ troppo a destra, però non disdegna il dialogo a sinistra (è persino socio della coop rossa 29 Giugno). Potrebbe rivelarsi prezioso presso i grandi elettori per sbloccare l’impasse con uno dei suoi celebri intercalari: “Ti fratturo la faccia”.

 

Se sulla vetrina appare il logo No Slot

segnalato da barbarasiberiana

di Marco Boschini – comune-info.net, 28/12/2014

In attesa che cambi la legge. Che chi ci governa smetta di incassare tasse sulla pelle di gente ammalata di gioco d’azzardo. Nel frattempo qualcosa va fatto. Qualcosa, nel frattempo, si può fare. Comunque.

Prendete ad esempio il Comune di Corchiano, piccola comunità in provincia di Viterbo, dove un sindaco coraggioso e pieno di fantasia ha trovato un modo, forse, per ridurre le occasioni di “contagio”. Attraverso lo strumento della fiscalità, il comune ha proposto una riduzione del 50 per cento della tassa rifiuti ai titolari di attività commerciali e ai gestori di circoli privati che decidono di non istallare o rimuovere terminali destinati al gioco d’azzardo. Chi accetta appone il logo «Locale No Slot» sulla vetrina dell’attività, affinché la scelta sia riconoscibile da tutti e ben visibile.

“La normativa sul gioco d’azzardo rappresenta un esempio di come qualcosa non funzioni nell’ambito della legislazione nazionale, considerate le liberalizzazioni commerciali, che favoriscono la terza industria del paese, e le inevitabili conseguenze: dipendenze, disturbi del comportamento, aumento della spesa sanitaria, impoverimento delle persone, distruzione dei legami affettivi, familiari e comunitari – commenta Bengasi Battisti, il sindaco – Tutto questo a fronte di un notevole giro d’affari di ottanta miliardi di euro. Le Comunità hanno il compito di prevenire e praticare un modello sostenibile di società, che attraverso il senso di responsabilità individuale e collettiva tenti di contrastare la ludopatia e le sue nefaste conseguenze.”

In attesa che cambi la legge. Nel frattempo qualcosa va fatto. Qualcosa, nel frattempo, si può fare. Ecco un esempio concreto da imitare. Un progetto intelligente, da imitare.

 

Presidio di Natale

segnalato da barbarasiberiana

OCCUPAZIONI, PRESIDI, PROTESTE: IL NATALE IN FABBRICA DI CHI PERDE IL LAVORO

Di Michele Azzu – fanpage.it, 24/12/2014

Occupazioni, presidi, blocchi dell’autostrada. E c’è chi minaccia il gesto estremo. Le fabbriche in crisi dove si rimarrà in presidio anche a natale.

Maurizio Landini lo aveva detto alle manifestazioni, e all’indomani delle botte prese a Roma dagli operai dell’Ast di Terni: “Ci sono tante fabbriche occupate”, dai presidi ora dismessi dell’Ast alla Trw di Livorno. E le feste natalizie sembrano, anno dopo anno, occasione per i lavoratori cassintegrati, disoccupati, in mobilità, per i call center che dismettono, di ritrovarsi ai presidi per sentirsi uniti. In attesa, forse, della speranza di un anno migliore. Sono tanti i presidi che andranno avanti durante le festività, da nord a sud, e tanti i lavoratori che passeranno queste feste con la paura di perdere il posto. Vediamo le principali vicende di questi giorni.

Alcoa, Sulcis. Il 20 dicembre il presidio degli operai dell’Alcoa, fuori dallo stabilimento ormai chiuso, ha compiuto sette mesi. “230 giorni, 7 mesi che presidiamo nel bene e nel male si va avanti duri e testardi”, scrive su Facebook Pierpaolo Gai, operaio. “Le visite sono finite? Non si viene solo a portare notizie relativamente buone ma anche per trovare i lavoratori che si stanno sacrificando e per fare la propria parte”, conclude. La fabbrica occupava 450 dipendenti, e altri 500 nelle aziende dell’indotto. Nelle trattative per il rilancio della fabbrica, che vanno avanti da anni senza risultati, pare ci siano dei timidi segnali positivi con la Glencore nel tavolo al ministero del 15 dicembre. I alvoratori dell’indotto se la passano anche peggio. Nel frattempo il rapporto stilato dalla Fsm Cisl mette i numeri nero su bianco: 1.200 nuovi licenziati nel Sulcis nel solo mese di dicembre. Il 5 dicembre il sottosegretario Delrio è venuto in visita con presidente della regione Pigliaru. “Vigileremo su questo aspetto, abbiamo a cuore questa vertenza”. Affermazioni molto simili a quelle sentite dagli ultimi quattro governi.

Trw, Livorno. Tutto finito per i 412 dipendenti della fabbrica di componenti automobilistiche. La società americana ha chiuso la fabbrica, che fino a ieri lavorava principalmente per Fiat. Sono passati solo due mesi dall’annuncio della chiusura, due mesi in cui ogni tentativo dei sindacati e del ministero di far tornare l’azienda sui propri passi è risultato vano. “Non apprezziamo la rigidità con cui Trw sta affrontando la vertenza dell’impianto di Livorno”, scriveva una note del ministero di inizio dicembre. Un presidio dei lavoratori è stato creato davanti la prefettura della città. Il 16 dicembre c’è stata la firma per la mobilità incentivata per i lavoratori. Ora si pensa ad un accordo di programma simile a quello della Lucchini di Piombino, non troppo lontana, che col riconoscimento di “area di crisi complessa” potrebbe portare qualche soldo pubblico per le bonifiche e il porto. Un natale davvero infelice per 400 famiglie toscane, che nel giro di 60 giorni sono passati dal lavoro al licenziamento.

Oms Ratto, Genova. La fabbrica biomedicale di Sestri Ponente, a Genova, dà lavoro a sessanta persone. Pochi giorni fa i lavoratori hanno deciso di occupare la fabbrica, contro la decisione di mettere in liquidazione dell’azienda. Una nota dell Fiom Cgil spiega il motivo di questa decisione dell’azienda: “Esaote, azienda leader del biomedicale e principale committente della Oms Ratto ha optato per un nuovo piano industriale che ha coinvolto negativamente molti fornitori”. Inutili le trattative su un eventuale rilancio. E ora la situazione è drammatica, perché gli ultimi stipendi pagati ai dipendenti risalgono ad agosto. Per questo la decisione di occupare la fabbrica, finché non arirverà l’interesse delle istituzioni, un passo indietro dell’azienda, un tavolo al ministero. I dipendenti potrebbero passare in fabbrica anche le festività.

Ri-Maflow, Milano. I lavoratori della Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano, sono ormai una colonna delle fabbriche occupate, un modello ispirato alle fabbriche recuperate argentine impiantato in Italia con grande forza di volontà. La fabbrica Maflow, una volta metalmeccanica, mise 240 dipendenti in cassa integrazione dal 2010, e chiuse definitivamente i battenti nel dicembre 2012. E allora arriva l’idea di costituire una cooperativa. Con il sogno di una nuova produzione, che potesse reimpiegare tutti gli ex dipendenti. Nell’estate del 2012 viene individuato il settore in cui la cooperativa avrebbe avuto il suo mercato: il riciclo dei rifiuti, soprattutto (ma non esclusivamente) tecnologici. Ora i lavoratori della Ri-Maflow hanno lanciato una raccolta fondi per trovare, entro la fine di dicembre i 15.000 euro necessari all’acquisto di un compressore. Che permetterebbe di partire con la produzione. Ad oggi sono stati raccolti 11.463 euro, e manca poco al traguardo. Forse, nonostante l’impegno che va avanti da molti anni, alla Ri-.Maflow sarà un buon natale passato in fabbrica.

Sangalli Vetro, Manfredonia. Il 18 dicembre 2 operai della Sangalli Vetro sono saliti sulla torre dello stabilimento minacciando di buttarsi di sotto. L’azienda è in crisi, con un buco di 130 milioni di euro, e gli impianti sono fermi dal 1 dicembre. 250 dipendenti rischiano il posto di lavoro, più altri 150 dell’indotto. A fine novembre sono state avviate le procedure per spegnere l’impianto del vetro float, che quindi dovrebbe cessare le attività verso natale. I sindacati hanno chiesto la cassa integrazione per 160 operai per un anno. C’è un presidio ai cancelli della fabbrica che è nato nei primi giorni del mese, e che continuerà durante le feste. A forno spento le speranze di continuare la produzione scendono a zero. Per questo i due operai sulla torre hanno voluto protestare per cercare di richiamare l’attenzione del governo e del ministero, per l’apertura di un tavolo.

Pigna, Bergamo. Il 17 dicembre i lavoratori della storica azienda di quaderni degli stabilimenti di Alzano Lombardo hanno condotto un presidio al mercato scittadino dove hanno distribuito volantini per far conoscere la situazione critica in cui versa la fabbrica. Ci sono 240 lavoratori coinvolti. “Pigna, il tempo scorre sui nostri diritti”, questo il titolo del volantino. I lavoratori sono riusciti a coinvolgere la gente della cittadina, anche perché la fabbrica opera dal 1919. 95 anni, e forse non si arriverà ai 100. Perché entro pochi giorni, con la fine dell’anno, l’azienda dovrebbe presentare la ricapitalizzazione, ma ancora sindacati e dipendenti non conoscono le intenzioni della dirigenza. La sensazione, però, è che arriveranno brutte notizie. Pigna occupa circa 400 persone, co glia altri stabilimenti. Si preannuncia un natale amaro per i lavoratori dei quaderni, che continueranno a volantinare e fare presidi, almeno con la solidarietà di un paese stretto attorno a una fabbrica secolare.

Ideal Standard. Ci saranno 76 esuberi, 76 persone che dovranno andare in mobilità volontaria nella nota azienda di sanitari e rubinetterie. 45 riguardano lo stabilimento di Trichiana (Belluno), 6 a Brescia e 25 a Frosinone. L’annuncio era stato dato lo scorso novembre. L’accordo firmato fra azienda e sindacati prevede che le persone che decideranno di andare in esubero dovranno comunicarlo entro il 30 dicembre, mentre l’8 gennaio ci sarà un incontro al ministero dello sviluppo economico sul futuro dell’azienda. Purtroppo, ad esuberi già avvenuti. Nello stabilimento di Orcenico di Zoppola (Pordenone), invece, c’è una trattative per la cessione da parte di Ideal Standard alla cooperativa Ideal Scala. Qui altri 400 lavoratori da oltre un anno temono per il proprio posto. Anche perché le trattative non vanno benissimo: di recente le parti si sono allontanate e sembrava essere saltato tutto. Pochi giorni fa alcuni operai si sono incatenati al cancello del municipio.

Fiat, Termini Imerese. “Ad agosto Renzi disse che il fallimento del rilancio di Termini Imerese avrebbe comportato il fallimento della politica e del governo: voglio prendere sul serio quelle parole pronunciate dal premier”, ha detto in questi giorni Maurizio Landini. Ci sono novità sullo stabilimento ex Fiat abbandonato da anni e in attesa di rilancio: l’azienda Metec ha manifestato interesse a rilevare la fabbrica. Per questo servirebbe un prolungamento della cassa integrazione in deroga, chiede il leader della fiom. Anche perché questa è l’ultima spiaggia: le trattative che davano per fatta l’accordo con Grifa- che avrebbe dovuto produrre auto ibride – sono saltate e non se ne fa più niente. Tre anni di trattative finite nel nulla. Perché nonostante i pre-accordi al ministero, Grifa non aveva la liquidità necessaria a fare l’investimento iniziale di 100 milioni di euro. Ma ora l’accordo di programma dovrebbe mettere sul piatto 290 milioni di euro di soldi pubblici. Ma il 30 dicembre scade la cassa integrazione, e rimangono pochi giorni quindi per la cessione dell’azienda. Sarà un natale molto difficile per la fabbrica che ha 800 dipendenti (una volta erano 1.400). Pochi giorni fa gli operai hanno bloccato l’autostrada per protesta, e tre di loro hanno minacciato il suicidio.

Om Carrelli, Bari. La fabbrica dà lavoro a 200 operai. Che hanno avuto un’amarissima sorpresa pochi giorni fa: l’azienda Metec che aveva manifestato interesse a rilavarli, ha invece manifestato l’intenzione a comprare lo stabilimento siciliano ex Fiat, Termini Imerese. Il problema è che ancora non si sa se una fabbrica esclude l’altra, e ora operai e sindacati pugliesi se la prendono con le istituzioni per avere introdotto Metec nella questione Fiat. Alla luce di questi fatti, il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi ha convocato per gennaio un incontro sulla situazione dell’azienda. Sembrava che le trattative stessero andando nella giusta direzione, dopo che nell’ottobre 2013 gli operai avevano condotto dei lunghi presidi ai cancelli per impedire all’azienda di portare via 240 carrelli rimasti nel magazzino, del valore di 12 milioni di euro. Ma in realtà nelgi utlimi mesi Metec non sembrava più fornire garanzie. Un natale amaro anche per i 200 operai dei carrelli.

La persona dell’anno

Person of the Year 2014: L’Onesto

da www.beppegrillo.it (27/12/2014)

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L’uomo dell’anno è l’Onesto, una specie rara, ma ancora presente nel nostro Paese. Può sembrare un caso da manuale psichiatrico. Un signore (signora) che non si fa corrompere, che paga le tasse, che non parcheggia in doppia fila, che insegna ai suoi figli il piacere dell’onestà. Un problema in una società di disonesti in cui il figlio di… fa carriera e il meritevole deve emigrare, il magistrato onesto viene isolato dalle istituzioni. È un esempio in negativo per i corrotti e per gli acquiescenti. Dove infatti c’è l’Onesto, il disonesto appare in tutto il suo lerciume. L’Onesto, ogni tanto, si chiede chi glielo fa fare, poi pensa ai figli, all’idea di un mondo migliore e non si fa scoraggiare. La sua adrenalina sono i discorsi di fine anno di Napolitano che raccoglie religiosamente e usa come una droga nei momenti di sconforto, sono le minchiate quotidiane di Renzie e la faccia di Berlusconi, quello che ha fondato Forza Italia con Dell’Utri in frequentazione di mafia e ora in galera. Un trittico che sfiancherebbe un mulo ma non lui. Talvolta, mentre mangia la minestra la sera, tra un boccone e l’altro, la moglie gli chiede “Ma che vita ti sei scelto?” e lui non sa cosa rispondere. La verità è che non può essere che sé stesso e non sopporterebbe la sua immagine allo specchio se facesse parte dei disonesti. Non ha scelto lui, è che non ce la fa a delinquere, a mentire, a corrompere, a non mantenere la parola data. È più forte di lui, come una malattia. Così rimane in silenzio davanti alla moglie e mangia un altro boccone e pensa alle tante rate da pagare, alle bollette, al mutuo, alle tasse, mentre la televisione in sottofondo enuncia le mirabolanti imprese del Governo Renzie e gli arresti quotidiani dei politici corrotti. È una pecora nera, un cattivo esempio di onestà, di coerenza, di altruismo che fa risaltare la disonestà degli altri. Cosa c’è di peggio della luce per chi vive nell’ombra? La sua onestà è insopportabile in un Paese di disonesti, un talebano che va colpito senza alcuna considerazione. Fatto emigrare. Prezzolini divideva gli italiani in furbi e fessi dove i fessi sono gli onesti. Ma siamo sicuri che l’Onesto sia veramente il fesso? L’Italia infatti va avanti perché ci sono i fessi che lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono invece i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono. L’onestà tornerà di moda o il Paese affonderà nella merda. Tertium non datur. Onesto, per favore, non mollare.

No Tav nel mirino

Il vero danneggiato dagli attentati ai treni è il movimento No Tav 

da huffingtonpost.it (24/12/2014) – di Curzio Maltese

Milano, Manifestazione No TAV e No Expo

Non è affatto sicuro, fino a prova contraria, che gli autori degli attentati ai treni d’alta velocità siano militanti dei movimenti No Tav. Sia pure “frange violente estreme”, come dice Gian Carlo Caselli. È invece certo che il vero danneggiato dagli attentati è il movimento No Tav, ancora una volta dipinto dall’informazione come fonte e culla di violenti.

La lotta contro la Torino-Lione ha troppi argomenti seri e ragionevoli per affidarsi alle bombe e sono argomenti vincenti. Si tende in Italia soprattutto a dipingere il No Tav come un’azione disperata, senza possibilità di vittoria e dunque facile preda di gesti disperati ed estremi. Al contrario, è molto probabile che vinca la propria battaglia o l’abbia già vinta in Europa.

La Torino-Lione non si farà mai, come non è stato mai costruito il Ponte sullo Stretto, esattamente per gli stessi motivi. Perché è un progetto insensato nei tempi e nei costi, del tutto antieconomico e non giustificabile sulla base delle necessità reali, con un impatto ecologico devastante.

Nel frattempo, naturalmente, avremo buttato una montagna di soldi, sottratti agli ospedali o alle scuole, per non fare una grande opera che alla fine l’Europa finirà per cancellare dalla propria lista. In parte l’ha già fatto. La Torino-Lione è l’unico grande progetto europeo a essere stato declassato nella scorsa legislatura europea dalla commissione Barroso e oggi, in quella Juncker, con la crisi incombente, i dubbi sono ancora aumentati.

Giornali tedeschi, spagnoli, olandesi, britannici hanno scritto articoli di critica a un progetto che prevede un colossale investimento su una tratta in costante calo da anni per traffico di merci e passeggeri e si sono chiesti perché una ferrovia sia pure ad alta velocità debba costare, come gli scavi di una metropolitana in una grande città, 150 milioni di euro al chilometro.

La stampa francese ha dato ampio risalto sia alla sentenza della Corte dei Conti transalpina, che ha giudicato ingiustificati i costi dell’opera, sia alle inchieste della magistratura italiana sulle infiltrazioni mafiose negli appalti. Soltanto sulla televisione sulla stampa italiana, quando si tratta di No Tav, si parla soltanto di attentati, bombe, molotov e ordine pubblico.

È sempre stato questo il gioco dei pochi che lucrano moltissimo da quest’opera inutile: far parlare soltanto di proteste violente e mai entrare nel merito del progetto. Sarebbe bello se anche la nostra informazione, di tanto in tanto, citasse alcune delle decine di studi scientifici, le centinaia di dati raccolti, molto più esplosivi delle molotov di qualche folle. Come dice un poliziotto all’autore di un bel documentario sulla Val di Susa, Qui, “ti sarà difficile trovare qualcuno a favore della Torino Lione, qui è a favore soltanto chi non conosce il progetto”.

La strategia finora ha funzionato bene. Per quanto sia incredibile in un paese dove si è discusso per mesi della Panda del sindaco di Roma, mai è stato neppure avviato un laico, civile, democratico dibattito sui costi della più grande opera pubblica mai progettata in Italia. Gli ignobili attentati di questi giorni, quali che siano le intenzioni degli autori, contribuiscono a questo scandalo.

Il burocrate

Tremilaquattrocentodiciannove migranti morti senza alcun colpevole

di Alessandro Ingaria – qcodemag.it, 23/12/2014

È del 5 dicembre la strage di benvenuto: 17 migranti non ce l’hanno fatta, probabilmente a causa del freddo e della sete. La transizione tra la fine di Mare nostrum e l’inizio dell’operazione Triton, nell’ambito di Frontex Plus, comincia con i peggiori auspici.

Questa è la notizia ripresa da molti quotidiani a seguito dell’ultima strage di migranti, ma altrettanto importante è una segnalazione riportata in una nota Adnkronos del 9 dicembre 2014.

Frontex è “preoccupata” per i ripetuti interventi “fuori area” di queste settimane nel Mediterraneo, oltre le 30 miglia marine dalle coste italiane (ed europee), vale a dire in un raggio d’azione che nei mesi scorsi è stato coperto dalle navi dell’operazione italiana Mare Nostrum impegnate nei soccorsi dei migranti. Lo mette nero su bianco, apprende l’Adnkronos, il Direttore della divisione operativa di Frontex, Klaus Rosler, in una lettera al Direttore dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Viminale, Giovanni Pinto, in cui fa il punto sulla prima fase di attuazione della missione europea Triton. Dall’agenzia europea per la cooperazione alle frontiere esterne della Ue giunge un fermo richiamo sul fatto che le attivazioni impartite alle navi di portarsi “in zone poste fuori dall’area di operazioni di Triton” per prestare soccorso a imbarcazioni in difficoltà “non sono coerenti con il piano operativo e purtroppo non saranno prese in considerazione in futuro”. Nella lettera si fa riferimento ad una serie di interventi di soccorso compiuti nelle scorse settimane

Vorrei concentrare l’attenzione sulla solerzia di Klaus Rosler (di seguito sig. R.) e unirla con una notiziola di qualche settimana fa. I funzionari dipendenti di Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, si difendevano dai ripetuti attacchi subiti dalla stampa e dalla società civile, rifiutando ogni responsabilità diretta nella gestione dei flussi migratori e nei casi di naufragio di migranti nel Mediterraneo e dichiarando che loro applicavano regole e leggi decise in altra sede.

Verrebbe da chiedersi se lo zelo con cui lavorano includa il rammarico che qualche migrante venga salvato da naufragio oltre le 30 miglia marine, sottraendosi ad una morte sicuramente lenta. Non è dato sapere.

Non conosco il sig. R., tuttavia mi premerebbe chiedergli cosa direbbe a fronte di un evento per lui inatteso: passata questa generazione ne subentrerà un’altra con un senso etico superiore. Questo potrebbe comportare che in luogo delle miopi politiche di chiusura e pseudo-accoglienza, si ponga al centro dell’interesse comune l’essere umano in quanto tale. Un’Europa faro di civiltà che inizi ad applicare il principio per cui «il diritto degli stati non può essere superiore ai diritti dell’essere umano». In questa situazione potrebbe insediarsi un tribunale internazionale che aprirà un processo per la strage di migranti avvenuta all’inizio del secolo XXI.

Inverosimile? Forse. Ma in fondo, chi nel 1934 immaginava che solo 11 anni dopo una corte avrebbe giudicato i funzionari dei regimi sconfitti nella seconda guerra mondiale?

Immaginiamo che il sig. R. venga accusato di crimini contro i richiedenti asilo (o crimini contro l’umanità) in una sorta di processo di Norimberga su una delle più grandi stragi di questi anni. In questo ipotetico caso, cioè se la generazione successiva lo incriminerà per aver permesso la morte di decine di esseri umani, quale sarà la sua linea difensiva? Probabilmente il suo avvocato cercherà di dimostrare l’innocenza del cliente sulla circostanza che egli, da funzionario solerte, applicava semplicemente le leggi e i trattati internazionali in vigore in quel momento. E all’avvocato potrebbero anche sfuggire parole del tipo «la solerzia del sig. R. era quella di un comune postino».

E, all’argomentazione del giudice che nei paesi civili la legge presuppone che la voce della coscienza dica a tutti «non uccidere (o non omettere soccorso causando la morte)», potrà rispondere che le regole dell’operazione Triton prevedevano che la voce della coscienza dicesse a tutti: «lasciateli morire», anche se gli attori in gioco erano consapevoli che ciò è contrario agli istinti e alle tendenze normali della maggior parte della popolazione.

Così come recentemente è emerso che nella Guardia Civil spagnola, pur costituita da persone consapevoli dell’abominio di lasciar morire delle persone senza intervenire per la loro salvezza, è più forte la resistenza alla tentazione di rispondere alla propria coscienza, rifugiandosi dietro ordini superiori o presunti pericoli che mettono a repentaglio la propria incolumità.

Ma vorrei tornare al sig. R., sarebbe facile accusare il suo ufficio di Varsavia di inefficienza e spreco di soldi: 40 mila euro spesi ogni anno in fiori per addobbare la sede, 20mila euro per le bandiere, 30mila euro per la cena di natale. Ma sarebbe solo superficiale.

Quel che si può fare è dare un volto a quei burocrati che permettono la morte di migliaia di persone in mare. Chi applica senza coscienza le regole, chi non rilascia un visto che costringe ad una rischiosissima traversata in mare (ad esempio le ambasciate italiane hanno preciso ordine di non rilasciare visti “regolari” ai cittadini siriani), o chi semplicemente comunica l’ordine di lasciar morire le persone a 30,01 miglia marine, facendo dipendere la vita e la morte da una questione di centimetri.

«Il suddito di un governo buono è fortunato, il suddito di un governo cattivo è sfortunato: io non ho avuto fortuna». Sono le parole di Adolf Eichmann pronunciate a propria difesa durante il processo di Gerusalemme, che l’avrebbe condotto all’impiccagione per crimini contro il popolo ebraico compiuti durante il terzo reich. Chissà se al proprio processo il sig. R. pronuncerà le stesse parole, magari inconsapevolmente, per difendersi dall’accusa che gli addebiterà quell’eccesso di zelo applicato da funzionari più o meno consapevoli. Funzionari che altro non sono che piccoli e grigi burocrati. È il burocrate senza volto che può uccidere migliaia di persone.

Gli assassini di questo secolo non hanno la grandezza dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano

“La Banalità del male” di Hannah Arendt.