68 comments

      1. non c’è

        (comunque, per chiarezza a scanso di equivoci: finché c’è voglia di fare qualcosa assieme – chiamiamola rete o nassa – va bene, a prescindere)

  1. Prima di tutto scuse diffuse, sparse ed autentiche per la reazione infantile alla “discussione” di una settimana fa, ma leggere di Roberto che “lasciava” il blog e vedere Laura postare sull’argomento in un momento in cui è richiesta tutta la nostra intelligenza e capacità di (non superare) riconoscere le nostre differenze per metterle insieme e dare forma (non vita) a quello che io chiamo “lo splendore del mosaico” mi ha fatto perdere le staffe (e non sottovalutate o almeno tenete conto dell’attaccamento affettivo che ho con il blog e lo dice uno che si a forza a scrivere con il “bestio” sulle ginocchia usando una mano sola perchè l’altra viene usata dal suddetto quattrozampe come cuscino).
    Detto questo sull’uso del termine “rete” mi girano un pò perchè il cedimento alle mode linguistiche per dire tutto senza dire niente non è un buon senso. La “rete” oggi è il posto più lontano ed imbelle per fare “comunità” che è il vero punto da cui partire per costruire un progetto politico che si sottragga alla trita commedia dell’arte della politica così come ci viene raccontata dai media. Credo che la vera occasione e il campo base per questa spedizione sia il concreto delle piccole cose, dai quartieri ai comuni, mettendo insieme le persone su obiettivi concreti che possono anche essere solo semplici ed inoffensive discussioni o confronti rifiutando di cadere nella trappola di discutere dei temi proposti dal sistema dei mezzi di informazione di massa. Prendiamo atto dell’astensionismo, del senso di disagio dei militanti, elettori, simpatizzanti, osservatori benevoli o critici di M5S, PD, SEL e allo stesso tempo rendiamoci conto che esistono tante altre piccole strutture operative che, probabilmente, costruiscono piccole cose molto più utili alle comunità di mitiche legge elettorali, riforme della scuola, del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e a seguire. Riconosciamo che siamo ininfluenti e non abbiamo mezzi per intervenire su ciò che avviene in Parlamento ma possiamo sicuramente intervenire sulla scuola frequentata dai nostri figli, sull’ospedale di zona, sul consiglio comunale, sulle piccole (ma grandi) cose di tutti i giorni. Infine, vorrei aggiungere che mai come ora fare controinformazione è importante ma fare controinformazione per diventare tutti più liberi e riappropriarci di un minuscolo pezzetto di potere e di decisione sulle nostre vite non significa far rimbalzare notizie che i grandi mezzi di informazione di massa trascurano o relegano in posti oscuri ma fornire un apparato critico a chi legge e discute per lasciarli liberi di decidere quali informazioni ricercare ed aumentare la capacità di pensiero critico e questo non sempre si trova discutendo ossessivamente il presente. In questi giorni sto discutendo con un giovane studioso e mi ha colpito il fatto che mi abbia in qualche modo riproposto la questione che Sundance molto spesso ha rilevato: “Noi non abbiamo avuto guide, siamo ottimi nuotatori, navighiamo il mare dell’informazione in maniera esperta ma se la corrente ci porta delle foglie non abbiamo idea di cosa siano, nessuno ci ha mai parlato di foreste o di terre dove approdare”.

    1. oggi sono un po’ troppo rinco per fare ragionamenti complessi. vedo di essere stringata
      – per quanto riguarda l’azione concreta sulle piccole cose hai pienamente ragione
      – la rete è uno strumento di condivisione di informazioni. E’ vero, non consente di fare “comunità”, nel senso letterale del termine, però è una specie di palestra. O almeno, per me è così.
      – condividendo le informazioni possiamo contribuire anche al primo punto, perché si possono trovare, e offrire, spunti di riflessione
      – vero, non possiamo certo influire sull’opinione pubblica e sulla politica in generale. non possiamo cambiare il mondo. non lo possiamo fare da soli, mentre le cose si possono migliorare (forse) mobilitando le masse. Condividere informazioni, e ragionarci sopra, può (forse) spingere qualcuno ad agire nel concreto
      – esistono modi di partecipazione intermedi fra la partecipazione locale e la politica vera e propria, dai comitati alle associazioni

        1. più velocità. Ma comunque un contatto personale, e propedeutico ad altro
          La rete è uno strumento potentissimo ma, secondo me, fornisce una specie di alibi, in quanto hai illusione di “fare” anche quando in concreto non fai nulla. Illusione della partecipazione.
          Non si fa politica, non si cambia il mondo con un like, o con un commento, se l’attività da virtuale non diventa reale

    2. Io penso che troppo spesso oscilliamo tra grandi progetti che hanno necessariamente una mediazione politica corrispondente che pare incontrollabile e ambiti assai più ristretti, .nei quali intervenire sembra più facile, ma non sempre lo è. Fare rete, nei modi opportuni, è necessario in entrambi i casi, ma soprattutto mi pare necessario, e qui sta la vera difficoltà, che le reti )o comunque le vogliamo chiamare non si perdano di vista l’una con l’altra.
      Tu Boka citi soggetti locali e territoriali (comuni, scuola ecc.) ma non è che questi sfuggano al contrasto tra una logica autoreferenziale o gestita da mandanti nemmeno tanto occulti (basti pensare ai piani urbanistici e edilizi) e nemmeno alle norme che ostacolano localmente l’esercizio della partecipazione e della responsabilità. I consigli di istituto, ad esempio, sono normativamente ridotti all’impotenza, possono scegliere, tuttalpiù,se metter lo zucchero nel proprio caffè o no. Chi gestisce il tutto, anche se parzialmente e malamente, ha un obiettivo semplice, lui si che ce l’ha: ridurre tutto a microconflittualità, ben sapendo che in essa tutto si stempera, la rete stessa diventa uno strumento automatico di compensazione a somma zero: perdi da una parte, magari, ma vinci dall’altra, non c’è mai modo di giungere a qualche crisi di sistema.
      Può darsi che il tuo consiglio sia una possibile soluzione, ma io vedo in ambiti locali sia la stessa protervia che in quelli allargati, sia gli stessi meccanismi all’opera. la clientela, il servilismo, la prepotenza che, a volte, si traduce in norma, e vedo la stessa difficoltà di contrastarla, anche se, devo ammettere, in alcuni casi ci si riesce, ma con una fatica immane, sproporzionata all’obiettivo.
      Nelle città, anche di piccole dimensioni, i comitati di quartiere, le circoscrizioni, le associazioni di questa o quella via perdono la dimensione collettiva del loro agire e non è un problema culturale, ma di interessi.
      Chi amministra, usa sapientemente queste differenziazioni, appunto per contrapporle.
      Faccio un esempio concreto: i comuni non hanno più risorse sufficienti, ma se cii fai caso a dirigere le loro associazioni sono stati posti personaggi emblematici (FAssino, Chiamparino) che non sono altro che tirapiedi governativi, pronti di fatto a giustificare tutto e di più, persino a danno dei cittadini che rappresentano. Nello stesso tempo, sono snodi essenziali della redistribuzione delle risorse che scarseggiano,, all’incrocio tra le banche (di cui sono debitori perennemente sull’orlo del fallimento) e le imprese, che ne sostengono per ben noti motivi le campagne elettorali.
      Questi sono, in gran parte, i sindaci d’Italia. Il sindaco del rione Sanità è dovunque, ormai.
      I I cittadini, nella gran parte dei casi, lo constatano e si adeguano.
      Nessuno, al momento, riesce a far saltare i meccanismi oliati che questo potere comporta e che quasi mai cambiano se cambia l’amministrazione: cambiano solo i clientes.

      1. > Io penso che troppo spesso oscilliamo tra grandi progetti che hanno necessariamente una mediazione politica corrispondente che pare incontrollabile e ambiti assai più ristretti, .nei quali intervenire sembra più facile, ma non sempre lo è.

        Quello che penso, o mi ostino a credere/sperare, io è che la ‘mediazioni politica’ sia qualcosa di diverso dal sistema dei sistemi partitici professionali. Politica è tutto ciò che ha a che vedere con le sorti di una collettività/comunità. Quando gli interpreti convenzionali si dimostrano inetti o corrotti è la collettività/comunità che deve farsi carico di sé stessa. Dunque crea comitati, movimenti, gruppi, assemblee o quel che diavolo sono e prova a fare un inventario dei problemi e delle possibili soluzioni, mediando direttamente attraverso, appunto, una rete o più (più nel caso di specializzazioni tecniche).
        Internet, come strumento della rete , consente di accertare/promuovere la consapevolezza dei problemi, delle priorità, delle esperienze e di fare ‘massa critica’.
        Se fosse impossibile il Grande Fratello non ne sarebbe tanto preoccupato da investire miliardi per controllare l’uso dello strumento.
        Certo che è difficile. Ma non è richiesto a nessuno di mettere a rischio la propria vita o il proprio, chi ce l’ha, benessere. Alla fin fine, credo sia solo questione di saper dialogare/sperimentare fuori dagli schemi, dagli individualismi e dai settarismi. Con una certa testardaggine. Ci sono in giro tante di quelle competenze e aspirazioni e onestà che è davvero delittuoso non metterle a frutto. Ma ci siamo intestarditi a ritenere (il che è anche un comodissimo alibi) che ci vogliono dei capi, quando tutti siamo in grado di servire da capi (nel senso di responsabili) in qualche segmento di un progetto; utili tutti, indispensabile nessuno.
        Bah, mi sa che ho parlato un po’ a vanvera. Prima o poi mi riuscirà, spero, di essere più chiaro e concreto.

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