Month: luglio 2015

Immigrazione: come costruire un ordigno web carico d’odio. La contraffazione di Affaritaliani.it.

Qui l’integrazione non la si vuole proprio.

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Immigrazione: come costruire un ordigno web carico d’odio.
1 – Prendi un articolo di cronaca riguardante alcuni occupanti abusivi che a Mestre hanno incendiato il terrazzino di una casa popolare.
2 – Fai un perfetto copia-incolla del testo.
3 – Modifica accuratamente titolo e sottotitolo facendo diventare gli abusivi ‘abusivi stranieri’.
4 – Spaccialo per tuo e per vero, aggiungendo che ‘abusivi stranieri incendiano le case popolari ed esultano: Così non le avrà nessun italiano!’
5 – pubblicalo, diffondilo e scatena l’odio nei confronti degli stranieri.

Questo caso ‘da manuale’ è accaduto davvero. E chissà quante volte accade nel mare magnum della’informazione’ web. Questa volta, per fortuna, qualcuno se n’è accorto. Che qualcosa non tornassese n’è accorto per primo un amico di Facebook, Luca Corsato. Nel suo post Luca si indigna per un articolo pubblicato dal sito affaritaliani.it sottolineando che mentre ‘dal titolo pare che degli stranieri abbiano bruciato “degli alloggi”…

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Riflessioni di un italiano… svizzero

di Chicco

Cosa è l’integrazione? È mantenere la propria cultura e il proprio costume all’interno di un’altra società, o acquisire totalmente la cultura della società in cui si vive? Qual è il tempo “giusto” per definire l’integrazione un successo? Cosa è vera integrazione? Ponendomi queste domande ho provato a darmi delle risposte, che sono purtroppo labili. Sono labili perché basate su esperienze personali e quindi molto soggettive, ma soprattutto perché su questi temi “etici” ci sono più opinioni, che di certo non possono definirsi mai completamente sbagliate.

Innanzitutto ho provato a capire cosa significhi in realtà integrazione. Per quanto male possa addentrarmi nel cercare l’etimologia del termine, credo significhi “rendere integro”, aggiungere qualcosa in modo quasi impercettibile al fine di ottenere qualcosa di completo, ma quindi diverso rispetto alla partenza. A conferma della mia tesi, alcuni sinonimi ricorrenti sono completamento, perfezionamento, rinforzo, aggiunta. Insomma l’integrazione ci porta da uno stato di fatto a qualcosa di nuovo, e non può essere indolore né per chi quel qualcosa lo aggiunge né per chi faceva parte dell’intero.

Inevitabilmente qualcosa a cui siamo legati, qualche piccola tradizione verrà ad esempio sostituita da un mix di altre, portate da luoghi lontani, per la maggior parte di noi tradizioni peraltro quasi incomprensibili. Questo processo porta quindi con sé una domanda. Che non è solo accettare la convivenza con uno straniero e accettarne usi e costumi, ma anche che gli stessi, almeno in piccola parte, diventino miei, sostituendo qualcosa a cui potenzialmente potrei essere affezionato. Per integrarsi è necessario che le due parti in gioco abbiano la volontà di farlo, che gli “integranti” siano pazienti e benevoli quanto gli “integrati” (termini piuttosto ridicoli, lo ammetto, ma chiamarli in altro modo potrebbe portare ad altri pensieri), che si  trovino punti in comune da cui partire e che possano comunicare. Ovviamente è facile capire che bisogna essere molto fortunati, oltre che bendisposti, per completare un percorso di questo tipo in modo soddisfacente.

Per quel poco che vedo qui oltralpe, in un cantone tedesco della ordinata società svizzera, generalmente, con lo scarto di una generazione, l’integrazione (?) è quasi completa. Ma è un processo che non mi convince: se questa è l’integrazione alla quale si mira, forse si sta mirando male. I figli di immigrati, le seconde generazioni per intenderci, sono svizzeri in quasi tutti gli aspetti principali: parlano correttamente il dialetto locale, la lingua ufficiosa in ogni circostanza, partecipano alla vita locale come i cittadini “puri” e si ritengono svizzeri pur rimanendo legati, almeno a parole, alle realtà dei propri genitori. Dico ciò, perché i figli di italiani, per quanti almeno ne abbia conosciuti io, sono convinti di essere italiani solo perché usano parmigiano e bevono l’espresso, ma poi parlano un italiano imbastardito dallo schwizer dütch, non sanno cosa sia il pranzo domenicale e confondono facilmente un caffè lunghissimo con un espresso. Inoltre, non guardano alla loro nazione con nostalgia, ma con distacco e spesso malcelata disapprovazione… e chi ha qualche altro luogo comune da aggiungere a questi banali esempi faccia pure. La domanda è: sono integrati coloro che hanno perso il 95% della loro cultura madre, pur spacciando quel 5% per la parte dominante? È vera integrazione quella che piega la cultura dell’immigrante ad immagine e somiglianza di quella locale? Credo di sì, perché, come detto, “uno di seconda generazione” dirà di essere svizzero. Quindi farà parte del nucleo che ha inizialmente accolto la sua famiglia. Ma non sono sicuro che sia l’integrazione che vorrei io. O forse, ancora meglio, non è l’integrazione quello che voglio. Vorrei vivere in un paese libero davvero, dove la mia italianità non sia sbertucciata ad ogni angolo, dove non mi si chiami Schettino o BungaBunga giusto per farsi una risata. Dove, se parlo ad alta voce, non mi si guardi storto, o, se mangio più pane di tutto il resto dei commensali, non mi si dica sorridendo: “Sei italiano, ehhh?”.

Magari no, questa non è accoglienza e nemmeno integrazione. O magari lo è, e devo solo accettare che per integrarsi bisogna far fatica, e bisogna smettere di essere italiani (stranieri), ma bisogna iniziare ad essere svizzeri con una piccola parte di italianità (integranti). Anche se pare che queste battute stiano lì solo a rimarcare ogni volta le mie differenze, sono invece uno strumento utile a ricordarmi che, se voglio far parte di questa società, ho da modellare me stesso, in modo da inserirmi laddove trovo uno spazio per me. Non mi piace, non riesco proprio a farmi piacere questa visione di “integrazione”, ma alla fine però funziona: agli svizzeri non crea problemi, ed entro una, al massimo due generazioni, svizzeri lo si diventa. L’unica obiezione è, se si vuole, che la Svizzera sfrutta economicamente questa situazione. Lavoro a basso costo che proviene da oltre frontiera garantendo un buon risparmio alle piccole aziende sul confine. Ma anche su questo, chi ne esce scontento? Nessuno, mi pare. E se funziona così bene, e l’unico a cui sembra sbagliato sono io, cosa c’è di davvero sbagliato? È giusto che qui non possa viverci chi non abbia lavoro o diritto d’asilo? È giusto che qui sia necessario potersi assicurare per esser residenti? È giusto che un residente svizzero da più di vent’anni possa non ottenere la cittadinanza per il solo fatto di non saper scrivere correttamente in tedesco (o italiano, o francese)? È giusto che un figlio di stranieri nato, vissuto e che abbia studiato in Svizzera ancora non sia svizzero? Normalmente mi verrebbe da dire di no, ma ho il forte dubbio di sbagliarmi.

Forse sono solo io ad insistere di voler vedere l’integrazione come libertà di far tutto quel che mi pare, ovunque io sia, purché non ci siano mai atti violenti in mezzo e nel pieno rispetto della legge.

Ma poi penso… urtare la sensibilità di qualcuno non è atto violento? Privare qualcuno della sua tranquillità non è meschino?

Provocando provocando… Se a mia nonna “ghe piasen mia gli zingari, perché viven nele baracche” è giusto che io comunque li faccia insediare a 2 km da casa sua (privandola della sua tranquillità e urtando la sua sensibilità)? Esagerando ancora un po’, cosa c’è di sbagliato nel “padroni a casa nostra”?

Sono concetti semplici coi quali un gradasso borioso come Salvini riesce a far presa ottimamente. Sarebbe il caso per me di capire cosa c’è di giusto nel difendere il proprio spazio, le proprie abitudini e come evitare che delle paure legate a semplici pregiudizi possano venire utilizzate in una campagna elettorale.

Da dove vivo porto il mio esempio, per dire che dal Ticino in su i pregiudizi marciano forti nelle menti della maggioranza. Ma quella stessa maggioranza è capace di accogliere e dar da vivere in modo dignitoso a un 30% di immigrati (sul totale di abitanti). Quella stessa maggioranza che ti piega a sua immagine e somiglianza ti rende svizzero, ma è in grado di includere in sé un numero spropositato di nazionalità… forse tutte al 5%.

La demagogia del decoro

Segnalato da Barbara G.

A ROMA NON E’ QUESTIONE DI DEGRADO E DI DECORO

di Christian Raimo – internazionale.it, 27/7/2015

Nelle ultime settimane il sindaco di Roma Ignazio Marino e la sua amministrazione sono al centro di una campagna giornalistica martellante: non passa giorno che non escano articoli sulla capitale (addirittura sulla stampa internazionale ormai) che mostrano il “degrado della città”, che affermano che “la situazione è insostenibile”, eccetera.

I grandi quotidiani nazionali si sono dotati in pianta stabile di sezioni appositamente dedicate a questo tipo di denuncia – marciapiedi pieni di spazzatura, autobus assaltati da passeggeri rabbiosi, cantieri lasciati nell’abbandono, uomini che pisciano per strada, giardinetti ricettacoli di rottami, palazzine fatiscenti, tombini intasati – che ha praticamente occupato quasi tutto lo spazio della cronaca locale.

Pur d’inseguire acriticamente l’onda di quell’indignazione di pancia che da anni viene cavalcata da piccoli siti di pseudogiornalismo come Romafaschifo e decine di blog simili, ora anche i mezzi d’informazione mainstream rilanciano: invitano i lettori a mandare segnalazioni e foto che documenterebbero lo stato di declino assoluto della città. Ognuno può ritrarre il suo angolo di cartacce e pensare di aver compiuto il suo gesto di mobilitazione civica.

Marino dove sei?

Su questo basso continuo di lamentele si innestano i temi del giorno – può essere la protesta contro i profughi di Casale San Nicola, oppure la tensione quotidiana contro lo sciopero bianco dell’Atac. Temi che, nonostante siano molto eterogenei, vengono modulati nel racconto secondo un unico tono: l’esasperazione. “Marino dove sei?” è il grido che sembra risuonare come un ronzio di fondo dal ventre molle della cosiddetta cittadinanza: sui manifesti in giro per strada, nelle timeline dei social network, ma anche nelle dichiarazioni ufficiali della politica nazionale che ha accettato di accordarsi a questo coro.

Nessuno si stupisce per esempio, nel risuonare del clamore vuoto dell’antipolitica, che un giorno sì un giorno no, il presidente del consiglio Matteo Renzi minacci un’amministrazione regolarmente eletta.

Ma è così: quando si descrive una città come perenne preda dell’esasperazione, ecco che il terreno per un’analisi politica più razionale, più efficace, anche più dura, è completamente bruciato. A cosa e a chi serve tutto questo?

La retorica del “degrado” e quella speculare del “decoro” sembrano essere diventate le uniche possibilità di discutere dell’amministrazione urbana.

Non è difficile considerare invece come degrado e decoro siano due pseudoconcetti, due termini che riguardano la percezione della città e non il suo reale funzionamento. Dall’altra parte è anche evidente constatare – come ad esempio mostra il libro fondamentale di Tamar Pitch Contro il decoro (Laterza 2013) – che fare politica in nome di queste retoriche, opposte e complementari, occulti la mancanza di interventi pubblici nei confronti delle classi povere e rimuova tutte le altre questioni strutturali: dalla corruzione, al clientelismo, alle diseguaglianze materiali, a una criminalità che, come sappiamo dall’inchiesta Mafia capitale, è addirittura di matrice mafiosa.

E non basta: parlare della crisi politica romana dibattendo di degrado e decoro non aiuta a comprendere come questa non sia soltanto una questione locale, ma rappresenti un esempio chiaro della crisi dell’amministrazione urbana in generale oggi.

Il prodotto di risulta è che sul piano della diagnosi questo tipo di discorso crea un senso di diffusa ma molto sterile recriminazione, riducendo spesso l’informazione a impressionismo, e alimentando un’irritazione rituale che è solo il feticcio del civismo.

Ma è sul piano della prognosi che i danni sono anche peggiori. Se si pensa a Roma come a una città sull’orlo del baratro, le sole scelte possibili saranno quelle emergenziali. E quindi: commissariamenti ufficiali o informali, o – per parte avversa – il vittimismo da parte dell’amministrazione pubblica e la conseguente deresponsabilizzazione.

Marino si propone come cavaliere solitario, paladino di una battaglia contro i poteri forti, e per resistere cerca alleanze e soluzioni “straordinarie”, ossia improvvisate. Per mostrare il pugno di ferro si circonda di uomini come l’ex sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo Alfonso Sabella, assegnandogli prima un assessorato di cui non si sentiva la mancanza come quello alla legalità e poi la delega al litorale di Ostia. Gli risponde il prefetto Franco Gabrielli che – in una competizione a chi è più poliziesco – s’inventa due viceprefetti ad hoc per il decoro delle zone Termini ed Esquilino, i quali escogitano le strampalate ipotesi di “ordinanze antipetulanza dove c’è questo pressing sui turisti, che non è bello”.

Dello stesso tenore è pure l’uscita di qualche giorno fa del sindaco Marino, che dopo venti giorni di disservizi dell’Atac, pur di non soccombere al ricatto dello sciopero bianco degli autisti, ha lanciato lo slogan: privatizziamo!

Senza considerare cosa vorrebbe dire avere a Roma un’azienda dei trasporti privata:

a) un arbitrio ingiustificato nella gestione di un servizio pubblico: per fare un esempio, chi investirebbe nei bus notturni tra Casalotti e Boccea invece che nelle linee di lusso per il centro storico?

b) un potere di ricatto incontrollabile: oggi sono i sindacati corporativi a semiparalizzare la città, ma se questo potere lo avesse un privato, avrebbe veramente la facoltà di fare una sorta di golpe bianco cittadino.

c) la difficoltà di gestire una società mista (pubblica-privata), un modello che si è dimostrato un disastro in molte altre esperienze in Italia.

Ma qui stiamo già diradando la cortina fumogena che avvolge le questioni romane attraverso la lente della politica. Mentre il contesto di questi giorni è segnato solo da questa nebbia rabbiosa. Un contesto che ricorda il 2008.

Allora non era il degrado il male di Roma, ma l’“insicurezza”: i giornali traboccavano di notizie di scippi, furti, stupri, accoltellamenti. La campagna elettorale fu intossicata da questo senso di pericolo incombente. Le strade della capitale venivano descritte come quelle di una Gotham City tropicale. L’esito fu l’elezione di Gianni Alemanno a sindaco e cinque anni di cattivissima gestione della cosa pubblica, di mancato sviluppo, e di istituzionalizzazione di un sistema di corruttela informale – non solo in seno al centrodestra al governo della città.

Il rischio adesso è un altro: la delegittimazione prima della giunta Marino e poi della ragione pubblica in sé.

La categoria del degrado si riferisce all’apparenza di una città. E la presunta cura, il decoro, riguarda anche questa la superficie.

Ieri l’attore Alessandro Gassmann ha promosso su twitter e facebook la campagna #Romasonoio: “Noi romani”, ha scritto, “dovremmo metterci una maglietta con su scritto ‘Roma sono io’, armarci di scopa, raccoglitore e busta per la mondezza, e ripulire ognuno il proprio angoletto di città”. Marino in serata ha lodato l’iniziativa.

È certo sbagliato non vedere la buona fede e la buona volontà di Gassmann. Al tempo stesso però andrebbe sottolineato che le iniziative di governo dal basso dovrebbero rivendicare – per non cadere nelle critiche di essere delle forme di autosfruttamento o di supplenza – una cessione di sovranità, una possibilità di amministrazione condivisa.

È quella prospettata per esempio dal regolamento dei beni comuni elaborato dal Labsus (la giunta Marino lo dovrebbe adottare quanto prima), che capitalizza anni di recente e qualificatissima riflessione sui beni comuni nel governo del pubblico. Si tratta di idee di politica e di giurisdizione amministrativa molto avanzate, che purtroppo nel dibattito italiano vengono discusse con toni da burletta.

Ma proviamo a ragionare sul piano del fenomeno, della percezione, del simbolico.

Un paio di anni fa sono usciti due film di successo che raccontavano Roma come se fossero due città diverse. La grande bellezza e Sacro Gra rappresentavano entrambi dei luoghi fuori dal tempo che riproducevano due immaginari speculari, quello felliniano e quello pasoliniano. In un caso, una città eternamente decadente di chiese barocche, palazzi favolosi, terrazze che guardano al sole morente dietro al Colosseo; nell’altro, un arcipelago di solitudini irriducibili imprigionate nelle borgate mutate oggi in quartieri dormitorio accanto ai centri commerciali lungo il Grande raccordo anulare.

Questa doppia lettura polarizzata descrive bene una condizione di fatto dell’urbanistica romana: la divisione tra un centro storico sempre meno abitato, sempre più a uso turistico e istituzionale, e quello sprawl che ancora non si è riuscito a emancipare dalla cementificazione selvaggia prodotta da almeno tre generazioni di palazzinari.

Fare politica a Roma in nome del degrado e del decoro vuol dire non aver presente che la “riparazione” che occorre a questa città non è un belletto, ma una cura radicale. Fatta di trasformazioni profondissime, infrastrutture serie, investimenti massivi, e soprattutto visione politica e scelte di lungo respiro, che si giocano sui trasporti, sui rifiuti, sul consumo del suolo.

Proviamo a porci degli interrogativi seri, e non domande pleonastiche che servono solo a confermarci nelle nostre inutili retoriche.

Non è ovvio, per esempio, che la condizione di sofferenza di Roma sia il prodotto della creazione di aziende partecipate che sono state il brodo di coltura del clientelismo? Come dimenticare che le politiche di austerità hanno sempre di più svuotato i fondi a disposizione della giunta per attività che non fossero di emergenza: tutto il settore cultura, per esempio, dalle biblioteche ai teatri, pesantemente sottofinanziato?

Immaginare di salvare Roma eliminando la sporcizia dal centro storico vuol dire, nel migliore dei casi, radicalizzare questa divisione tra un’immagine turistica – che serva come fondale per qualche produzione hollywoodiana – e una città reale – che non riesce per esempio a trovare una vocazione industriale.

Nel peggiore dei casi, significa invece preservare l’accesso di alcuni luoghi a un’élite sempre più ristretta e abbandonare il resto di questa città alle sue spinte peggiori: il razzismo, il neofascismo, la porosità alle mafie.

Chi vuole affossare Marino dovrebbe pensarci bene. Da parte sua anche il sindaco dovrebbe capire com’essere permeabile a un reale desiderio di partecipazione dal basso, prima di finire la sua esperienza politica piena di promesse sotto i colpi della demagogia.

Vedi anche

Adesso va di moda scoprire il degrado di questa città, ma la situazione è la stessa da almeno 35 anni.

C’è solo una novità. All’estero hanno iniziato ad accorgersi delle assurdità che per noi ormai sono diventate normali.

Marino non c’entra, roma fa schifo da almeno 35 anni” – linkiesta.it, 28/07/2015

Ancora tagli alla sanità, ma dal 2010 abbiamo numeri da dopo-Troika (MARCO PALOMBI)

segnalato da n.c.60

Triskel182

yoramIN OSPEDALE  Virtuosi? Palazzo Chigi vuole di nuovo far cassa col Ssn, eppure in salute spendiamo già molto meno di Francia e Germania. Solo Grecia & C. hanno sforbiciato più di noi.

Il commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, deputato del Pd e consigliere economico di Matteo Renzi, ieri non ha passato una bella giornata. Domenica, su la Repubblica, era uscita una sua confusa intervista: sembrava che il nostro si preparasse a fare 10 miliardi di tagli al Servizio sanitario nazionale (Ssn). Il premier non l’ha presa bene: il governo aveva appena presentato in Parlamento un pacchetto di emendamenti al decreto Enti Locali che taglia già la sanità di 2,3 miliardi e non era il caso di mettere subito in allarme le Regioni.

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Il (nuovo) partito di Varoufakis

Grecia, Varoufakis prepara il suo movimento: Alleanza Europea 

Tra i nomi della potenziale squadra dell’ex ministro delle Finanze di Atene si citano Oskar Lafontaine, James Galbraith, Paul Krugman e Joseph Stiglitz.

di Francesco De Palo – ilfattoquotidiano.it, 26 luglio 2015 

Oskar Lafontaine per catalizzare i nemici della Cdu, James Galbraith per progettare sviluppo senza altri dazi sui poveri, Paul Krugman e Joseph Stiglitz per consulenze alla voce “lotta all’austerità”. È la potenziale squadra, tra posizioni alla luce del sole ed altre più defilate, dell’ex ministro delle finanze di Atene Yanis Varoufakis che, dopo essere stato messo da parte dal premier Alexis Tsipras, si è reso conto che in Europa c’è molto spazio per le sue teorie. E, come anticipato da ilfattoquotidiano.it  nelle scorse settimane, non avrebbe alcuna intenzione di trascorrere i prossimi anni a tenere conferenze internazionali seppur lautamente pagate. Pensa dunque a un passo in avanti in quella politica che lo ha espulso, tanto a Bruxelles quanto in Grecia.

E, complice il terremoto in Syriza che avrà conseguenze notevoli tanto sull’elettorato di sinistra quanto in quello moderato deluso dalle promesse di Tsipras, punta ad un rassemblement di matrice europea che si richiami ai principi dei padri fondatori dell’UE. Qualcuno arriva a ipotizzare già un nome, Alleanza Europea, pronto per le eventuali elezioni elleniche del prossimo autunno ma con lo sguardo fermamente rivolto all’Unione e a quella Commissione che l’estroso professore vorrebbe profondamente riformare, Wolfgang Schaeuble permettendo.

Nello stile di Varoufakis, infatti, spicca la sua ambiguità creativa che lo ha portato dalle colonne di Der Spiegel prima a escludere un evento in stile americano e poi, sottovoce, ad ammettere che l’idea di un partito c’è e si sta muovendo. L’obiettivo secondo l’economista dal passaporto greco e australiano è “rigenerare” la democrazia facendo riferimento a “un punto di incontro per tutti coloro che pensano europeo”. Come dire che al bando sono gli antieuropeisti tout court, come Le Pen, Salvini e Orban, ma ciò non toglie che questa UE sarà criticata a dovere per procedere al modello che Varoufakis ha in testa e che tra l’altro sta mettendo nero su bianco in un pamphlet che vedrà le stampe entro l’anno, dal titolo “Perché le crisi sono pagate dai poveri”. La stessa traccia seguita da Papa Francesco che, sulla strada di ritorno dal viaggio in Venezuela, proprio mentre in Grecia impazzava il toto-troika con il voto parlamentare al memorandum, disse: “Non è giusto quel modello di società dove le crisi solo solo sulle spalle dei più deboli”.

Il movimento di Varoufakis non sarà né di destra né di sinistra, ammette a bassa voce un dirigente di Syriza in passato tra le file socialiste del Pasok, ma punterà a scardinare il sistema in necrosi che ha condotto prima alla follia del buco strutturale ellenico e poi alla grande illusione syrizea del 2015, con la roboante marcia indietro di Tsipras che, di fatto, ha portato a casa un piano ben peggiore di quello proposto dai creditori. Per cui dopo la grande visibilità internazionale che questi primi duecento giorni di governo Tsipras hanno dato a Varoufakis, ecco che il giocatore di azzardo, così come è stato ribattezzato dalle cancellerie europee “indignate per modi e sfottò”, gioca la carta dell’impegno in prima persona.

Non c’è più religione

segnalato da domiziasiberiana

Le scuole religiose di Livorno pagheranno la tassa sull’immobile

da internazionale.it, 25 luglio 2015

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità della richiesta dell’imposta comunale sugli immobili avanzata dal comune di Livorno agli istituti scolastici gestiti da enti religiosi. Nel 2010, l’ufficio tributi del municipio toscano aveva mandato alle scuole paritarie una cartella esattoriale per riscuotere l’Ici degli anni dal 2004 al 2009. Gli istituti si erano opposti e i primi due gradi di giudizio avevano dato loro ragione.

I giudici della Cassazione invece hanno ritenuto che, visto che gli studenti pagano per frequentare una scuola paritaria, essa è da considerarsi un’attività commerciale a tutti gli effetti, anche se non ha fini di lucro. E come tutte le attività commerciali è obbligata a versare l’imposta. Gli istituti quindi devono saldare gli arretrati. In particolare, le scuole Santo Spirito e Immacolata devono restituire al comune 422.178 euro. È il primo procedimento giudiziario su questo tema che arriva a sentenza definitiva in Italia.

Il segretario generale della conferenza episcopale italiana (Cei), monsignor Nunzio Galantino ha criticato la decisione: “Si tratta di una decisione pericolosa e ideologica, che intacca la garanzia di libertà di educazione richiesta anche dall’Europa. Non ci si rende conto del servizio che svolgono gli istituti paritari. Non è la chiesa cattolica ad affamare l’Italia. A scegliere le scuole paritarie sono un milione e 300 mila studenti, con grandi risparmi per lo stato. Mentre gli istituti paritari ricevono contributi per 520 milioni di euro, lo stato risparmia sei miliardi e mezzo”.

“Penso che forse ci sia una riflessione da fare”, ha dichiarato il ministro dell’istruzione Stefania Giannini in merito.

Leggi anche:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/24/ici-imu-alla-chiesa-la-cassazione-ha-ragione-il-comune-di-livorno-le-scuole-religiose-devono-pagarla/1903904/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/25/tasse-sugli-immobili-anche-a-scuole-religiose-la-cei-sentenza-pericolosa-e-ideologica/1905875/

7 giorni su 7

segnalato da Barbara G.

Una manifestazione di qualche tempo fa: dipendenti di un centro commerciale, con coniugi e figli, protestavano contro le aperture domenicali che disgregano le loro famiglie. E adesso che alcuni supermercati sono aperti anche tutta la notte?…

di Umberto Bocca – lastampa.it, 25/06/2015

Nei giorni festivi mi piace molto, appena dopo l’alba, girare senza meta nella città. Tutto è tranquillo: non c’è traffico, non ci sono che pochi pedoni -la gran parte trascinati dal loro cane verso il giardino più vicino- e non c’è fretta.

Mancano confusione, clacson e sirene: i balordi sono esausti dopo la loro notte brava, puttane e pattuglie delle forze dell’ordine rientrano. Persino i malati hanno qualche ora di tregua dalle sofferenze notturne. C’è un momento, quando il sole è ancora rosso e basso sull’orizzonte, di tranquillità quasi perfetta.

Poi l’agitazione riemerge: anche di domenica, invece di poltrire, ci sentiamo costretti a fare. Così la giornata, che dovrebbe essere di riposo, diventa come tutte le altre: a stancarci, invece del lavoro, c’è la visita al centro commerciale o la gita al mare.

Promesse elettorali

Uno su due non crede al taglio delle tasse

da ilfattoquotidiano.it (con modifiche), 24 luglio 2015

Più di un italiano su due non crede nell’annuncio di abbassamento delle tasse fatto da Renzi. Secondo il sondaggio il 61% degli italiani non crede a questa promessa. Il 33% ne è invece convinto. Fra gli elettori del Pd, il 59% crede che all’annuncio di sabato scorso seguiranno i fatti.

Sergio Mattarella è il leader più amato dagli italiani, con il 62% dei consensi, stabile rispetto al dato della settimana scorsa. Matteo Salvini è l’unico leader che cresce negli indici di popolarità. Tra gli elettori dei Cinque Stelle Luigi Di Maio batte Beppe Grillo. Sono gli elementi principali, in sintesi, di due sondaggi di Ixè e Swg.

I partiti
Per Ixè il Pd si attesta al 33,8 per cento, mentre il Movimento Cinque Stelle è a un distacco esatto di 10 punti (22,8). La Lega Nord si conferma terzo partito con il 15,7, mentre Forza Italia scende addirittura al limite della doppia cifra (10 per cento). Riuscirebbero a varcare la soglia di sbarramento Sel (4 per cento), Fratelli d’Italia (3,4) e Ncd e Udc se si presentassero davvero insieme alle elezioni come Area Popolare (metterebbero insieme rispettivamente il 2,8 e l’1,3, raggiungendo il 4,1).

Renzi stabile, sale la fiducia nel governo
Per le rilevazioni Ixè per Agorà Estate (Rai Tre) la popolarità di Matteo Renzi è stabile al 31 per cento, mentre Salvini è comunque terzo, passando dal 23 al 24 per cento in una settimana. Seguono Beppe Grillo (22%), Silvio Berlusconi (13%) e Angelino Alfano (11%). Sale, intanto, di un punto percentuale la fiducia nel governo, che passa dal 27% della settimana scorsa al 28. Per Swg, mentre il Movimento Cinque Stelle cresce dal 24,4 al 26 per cento in una settimana, il vicepresidente della Camera Di Maio piace più del leader M5s Grillo (28 contro 24 per cento).

Infine l’immigrazione: quasi un italiano su due (49%) accoglierebbe dei migranti nel quartiere in cui abita e non accoglierebbe un campo rom. Alla domanda: accoglierebbe dei migranti nel suo quartiere? Il 49% del campione si è detto favorevole; il 45% contrario. Risultato diverso alla domanda se accoglierebbe un campo rom nel suo quartiere: il 78% degli intervistati si è detto contrario, il 17% favorevole.

Arcifesta a Cremona, fra TTIP e Landini

segnalato da Barbara G.

Giunta alla ventunesima edizione, Arci Festa 2015 si terrà da venerdì 24 luglio a lunedì 3 agosto presso il Parco delle Colonie Padane, a Cremona, a ingresso libero. Saranno undici giorni di pace, cultura e solidarietà, per una nuova società civile in movimento. Arci Festa è un progetto di cultura popolare: ogni sera incontri, dibattiti, musica, poesia, cultura e cucina. La festa raccoglie e valorizza i percorsi culturali e associativi del Comitato Territoriale di Arci Cremona e dei Circoli che lo compongono, nelle reti territoriali e con gli altri soggetti del Terzo Settore.

Di seguito il programma completo:

► venerdì 24 luglio 70 ANNI DI LIBERTÀ

ore 20:30 LIBERA MUSICA
concerto della banda di Anffas Cremona

ore 21:00 I CARNEFICI
con/vers/azione con DANIELE BIACCHESSI (scrittore)

ore 22:00 KING HOWL
concerto heavy blues rock

ore 00:00 McA dj set 100% rock’n’roll
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► sabato 25 luglio STORIE POPOLARI

ore 21:00 A CASA DEL POPOLO
con/vers/azione con FRANCESCA CHIAVACCI (Presidente Arci nazionale) e ANTONIO FANELLI (ricercatore dell’Istituto Ernesto de Martino)

ore 22:00 KARNE MURTA
concerto dirty swing

ore 00:00 PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA
in memoria dei sette FRATELLI CERVI
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► domenica 26 luglio ALTRI MONDI POSSIBILI

ore 21:00 STOP TTIP
con/vers/azione con ORIELLA SAVOLDI (Segretaria Camera del Lavoro di Brescia), LUCA BASILE (Comitato STOP TTIP nazionale) e MAURIZIO DE MITRI (Comitato STOP TTIP Milano)

ore 22:00 RIO MEZZANINO
concerto indie folk rock
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► lunedì 27 luglio UNIONS!

ore 21:00 COALIZIONE SOCIALE
con/vers/azione con MAURIZIO LANDINI (Segretario Generale FIOM-CGIL) e TIZIANA BARILLÀ (redattrice Left)

ore 22:00 RONIN
concerto post rock
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► martedì 28 luglio EXPO DEI POPOLI

ore 21:00 UN’ALTRA RICETTA PER NUTRIRE IL PIANETA
con/vers/azione con EMANUELE PATTI, GRAZIANO FORTUNATO (Arci Lombardia) e BARBARA MEGGETTO (Segretaria Legambiente Lombardia)

ore 22:00 PAOLO BACCHETTA EGON’S
concerto jazz
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► mercoledì 29 luglio QUESTIONI DI GENERE

ore 21:00 MADRI, COMUNQUE
con/vers/azione con SERENA MARCHI (giornalista, scrittrice)

ore 22:00 CARA
concerto rock d’autrice
in apertura: GLI OCCHIALI DI GIADA

ore 00:00 STATE COMODI
maratona di letture di sessualità varia
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► giovedì 30 luglio CONTROVENTO

21:00 LA GUERRA È FINITA
L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987
con/vers/azione con MONICA GALFRÉ (ricercatrice, scrittrice)

22:00 DEAD CANDIES
VALÉRY LARBAUD
concerto rock new wave
concerto rock d’autore
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► venerdì 31 luglio PONTI, NON MURI

ore 21:00 CAPOEIRA E GLOBALIZZAZIONE
con/vers/azione con MESTRE MORAES

ore 22:00 KHAOSSIA
concerto etno salentino

ore 00:00 BOOKTRAILER
Un libro, un luogo, una storia
FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli
a cura di MARIO FERABOLI, partecipa CLAUDIA NOCI
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► sabato 1 agosto SEGNI E LINGUAGGI

21:00 LINUS
Storia di una rivoluzione nata per gioco
con/vers/azione con PAOLO INTERDONATO (giornalista, scrittore) e MASSIMO GALLETTI

22:00 THE CYBORGS
concerto blues boogie rock

ore 00:00 LE MURA DI SANA’A
proiezione del film di PIER PAOLO PASOLINI (1971, 16′)
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► domenica 2 agosto CONTRO TUTTE LE MAFIE

ore 21:00 VENTI LIBERI 1995-2015
Vent’anni di Libera contro le mafie
con/vers/azione con rappresentanti di Libera – Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie

ore 22:00 LATE NEWS BREAKING
concerto progressive funk rock
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► lunedì 3 agosto GIOVANI

ore 21:00 GIOVANI E VULNERABILITÀ
con/vers/azione con i partner del progetto Alleanza contro la povertà

ore 22:00 ROCK ‘N’ ROLL HIGH SCHOOL
il concertone estivo dei gruppi musicali studenteschi e giovanili
un graffio giovane sulla città
ONE OFF
DERVISCI

ore 00:00 BRINDISI DI ARRIVEDERCI
alla 22ª ARCI FESTA 2016!
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► tutti i giorni dalle 19:00 alle 01:00

ARCI TENDA Circoli, campagne, progetti, servizi Arci Cremona
ASSOCIAZIONI volontariato, cooperazione, economia solidale
LIBRERIA mostra Dalla Resistenza alla cittadinanza attiva
BAR acqua pubblica, vino, birra artigianale, cocktail
CUCINA nostrana, vegetariana, biologica, migrante, antimafie
PIZZERIA forno elettrico
HOBBISTI autoproduzioni, vinili, usato
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► domenica 26 luglio ore 18:00
VISITA GUIDATA AL PARCO DELLE EX COLONIE PADANE
a cura di ANGELO GIUSEPPE LANDI
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► dal 24 luglio al 2 agosto ore 20:00
¼ D’ORA. Poesia, poeti, tautogrammi e rime
a cura di GIOVANNI UGGERI
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in collaborazione con

Circolo Arcipelago
Circolo Arcicomics
Circolo Arci Ponti di Memoria
Lega di Cultura di Piadena
Alleanza contro la povertà
Grupo de Capoeira Angola Cremona
Expo dei Popoli – Milano 2015
Libera – Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie
Circolo Arcigay Cremona La Rocca
FIOM-CGIL
Rete Donne Cremona – Se Non Ora Quando?
Libreria del Convegno
Timpetill
Anffas Cremona
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per maggiori info clicca qui

www.arcicremona.org