La crescita è insostenibile

di George Monbiot – the guardian – 24 novembre 2015

La crescita economica sta facendo a pezzi il pianeta e le nuove ricerche dicono che non può riconciliarsi con la sostenibilità.

Possiamo avere tutto: questa è la promessa della nostra era. Possiamo possedere ogni gadget che riusciamo ad immaginare – e parecchi che ancora non immaginiamo. Possiamo vivere come monarchi senza compromettere la capacità della terra di sostenerci.

La promessa che rende tutto questo possibile è che mentre le economie si sviluppano, diventano più efficienti nel loro uso delle risorse. In altre parole, si disaccoppiano.

Ci sono due tipi di disaccoppiamento: relativo e assoluto. Il disaccoppiamento relativo significa usare meno materiale per ogni unità di crescita economica; quello assoluto significa una riduzione totale delle nell’uso delle risorse, perfino mentre l’economia continua a crescere. Quasi tutti gli economisti credono che il disaccoppiamento – relativo o assoluto – sia un inesorabile futuro della crescita economica.

Su questa nozione si basa il concetto di sviluppo sostenibile. Risiede al centro dei colloqui sul clima di Parigi il mese prossimo e di ogni altro summit su questioni ambientali. Ma sembra essere infondato.

Uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno nei Proceedings of the National Academy of Sciences suggerisce che perfino il disaccoppiamento relativo che affermiamo di aver conseguito è un artificio di conti falsi. Lo studio indica che i governi e gli economisti hanno misurato il nostro impatto in un modo che appare irrazionale.

Ecco come funzionano i conti falsi. Si prendono le materie prime che estraiamo nei nostri paesi, si aggiungono alle nostre importazioni di materiali da altri paesi, poi si sottraggono le nostre esportazioni, per arrivare a qualcosa chiamato “consumo domestico di materiali”. Ma, misurando solo i prodotti spostati da una nazione all’altra, piuttosto che le materie prime necessarie per creare quei prodotti, si finisce per sottostimare grandemente l’uso totale di risorse da parte delle nazioni ricche.

Per esempio, se i minerali sono estratti e lavorati nel paese, queste materie prime, così come i macchinari e le infrastrutture usate per produrre metallo finito, sono inclusi nel conto del consumo domestico di materiali. Ma se compriamo un prodotto metallico dall’estero, si conta solo il peso del metallo. Quindi, mentre l’estrazione e la manifattura si spostano da paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti a paesi come la Cina e l’India, le nazioni ricche sembrano consumare meno risorse. Una misurazione più razionale, chiamata “impronta materiale”, include tutte le materie prima usate da un’economia, dovunque esse siano estratte. Quando queste ultime sono considerate nel conto, l’apparente miglioramento in efficienza scompare.

In Inghilterra, per esempio, il disaccoppiamento assoluto che il conto del consumo domestico di materiali sembra mostrare è sostituito con un quadro totalmente diverso. Non solo non c’è alcun disaccoppiamento assoluto; non c’è nemmeno un disaccoppiamento relativo. In effetti, fino alla crisi finanziaria del 2007, il grafico si indirizzava nella direzione opposta: perfino relativamente alla crescita del nostro prodotto interno lordo, la nostra economia stava diventando meno efficiente nell’uso dei materiali. Contro ogni previsione, si stava verificando un riaccoppiamento.

Mentre l’Ocse ha sostenuto che i paesi più ricchi hanno dimezzato l’intensità con la quale usano le risorse, le nuove analisi suggeriscono che nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in Giappone e nelle altre nazioni ricche, non c’è stato “nessun miglioramento nella produttività delle risorse”. Questa è una notizia sbalorditiva. Sembra fare carta straccia di ogni cosa che ci hanno detto a proposito della traiettoria del nostro impatto ambientale.

Ho mandato lo studio ad uno dei principali studiosi della questione, Chris Goodall, che ha sostenuto che l’Inghilterra sembra aver raggiunto il “picco dei materiali”: in altre parole c’è stata una riduzione totale nel nostro uso delle risorse, altrimenti conosciuta come disaccoppiamento assoluto. Cosa ne pensava?

A suo grande credito, lui mi ha risposto che “in senso ampio, ovviamente, hanno ragione”, perfino se le nuove analisi sembrano indebolire il quadro che lui aveva delineato. Ma aveva alcune riserve, particolarmente sul modo in cui l’impatto delle costruzioni viene calcolato. Ho anche consultato il maggior esperto accademico del paese sulla materia, il professor John Barret. Mi ha risposto che lui e i suoi colleghi hanno condotto un’analisi simile, in questo caso sull’uso dell’energia nel Regno Unito e l’effetto serra, e “hanno trovato una tendenza simile”. Uno dei suoi studi rivela che mentre le emissioni di biossido di carbonio in Inghilterra ufficialmente sono diminuite di 194 milioni di tonnellate tra il 1990 e il 2012, questa apparente riduzione è più che annullata dalla CO2 che noi commissioniamo attraverso l’acquisto di materiali dall’estero. Questi sono cresciuti di 280 milioni di tonnellate nello stesso periodo.

Decine di altri studi sono arrivati a conclusioni simili. Per esempio un rapporto pubblicato sulla rivista Global Environmental Change ha trovato che ad ogni raddoppio di reddito, un paese ha bisogno di un terzo in più di terra e oceano per sostenere la propia economia a causa della crescita nel consumo di prodotti animali. Un recente rapporto della rivista Resources ha trovato che il consumo globale di materiali è cresciuto del 94% negli ultimi 30 anni ed ha accelerato a partire dal 2000. “Negli ultimi 10 anni nemmeno un disaccoppiamento relativo è stato raggiunto a livello globale”.

Possiamo persaudere noi stessi che stiamo vivendo di nulla, fluttuando in una economia senza peso, come predicevano ingenui futurologi negli anni ’90. Ma è un’illusione, creata dal calcolo irrazionale del nostro impatto ambientale. Questa illusione permette un’apparente riconciliazione di politiche incompatibili.

I governi ci spingono sia a consumare di più che a conservare di più. Dobbiamo estrarre più comustibili fossili dalla terra, ma bruciarne di meno. Dovremmo ridurre, riutilizzare e riciclare i materiali che entrano nelle nostre case, e allo stesso tempo incrementarli, gettarli via e sostituirli. In quale altro modo può crescere l’economia dei consumi? Dovremmo mangiare meno carne per proteggere il pianeta che vive e mangiarne di più per sostenere l’agricoltura. Queste politiche sono inconciliabili. Le nuove analisi suggeriscono che è la crescita economica il problema, a prescindere dal fatto che abbia la parola sostenibile stampata in fronte.

Non è solo che non affrontiamo questa contraddizione; quasi nessuno osa nemmeno nominarla. È come se la questione fosse troppo grande e troppo spaventosa da contemplare. Sembriamo incapaci di fronteggiare il fatto che la nostra utopia è anche la nostra distopia, che la produzione sembra essere indistinguibile dalla distruzione.

fonte: http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/nov/24/consume-conserve-economic-growth-sustainability

25 comments

  1. Intanto sono giorni che nei vari talk show quotidiani i conduttori interrogano i competenti ospiti (la de girolamo e’ attivissima, forse vogliono rilanciarla, presentandola come perseguitata; si rivede anche la gelmini) se dobbiamo rinunciare a qualche non meglio precisata liberta’ per difenderci dal terrorismo.

    1. si quella di avere la de Girolamo, gelmini o compagnia cantante nei talk show… poi onestamente se serve possiamo abolire anche i talk show stessi, qualche sacrificio va fatto

  2. però tutto va bene
    il pil è in crescita
    trivellando si favorisce la green economy perché tanto è una soluzione temporanea
    bisogna fare le grandi opere perché bisogna rilanciare l’economia….

    #daje

            1. Bah, l’ha accontentato, e veramente, in molto altro. Questa mi sembra una sparata – se lo è – che gli si è ritorta contro (vd. sinistrati dentro e fuori il PD).

              1. sì, ma è tutta fuffa.
                chi gli ha dato contro era già antirenziano. non credo che questo abbia cambiato nulla negli equilibri del pd.
                se è vero che renzi ha accontentato alfano in altre cose, sono anche altre cose che hanno pesato nell’allontanamento lento e continuo da renzi (jobs act, buona scuola, in primo luogo)

                1. Non solo. Delrio, per quanto di fatto asfaltato, ma formalmente ancora no, ha preso le distanze da par suo (= democristianamente).
                  Dico che non c’era bisogno di questa minchiata per tenere buono Alfano, che ringhia, ma se cade il governo, sparisce dalla faccia della terra. E lo sa.

                  1. renziani caduti per mano del renzismo….. (meglio tardi che mai, ma chissà)
                    a me richetti non pare uno stupido, ma ancora brancola nel buio.
                    se non capisce che è stato fregato dalle stesse teorie che ancora rivendica… .

                    1. Il PD è comunque ingovernabile. Ed è fallimentare, a oggi, la coincidenza col PdC. Quello del segretario dovrebbe essere un ruolo a sé.
                      Il PdN nasce anche perché diventa sempre più difficile fare affidamento sul PD (quel che resta).

      1. A parte che bisognerebbe fare il culo a chi ha messo una clausola del genere, mi risulta che l’importo sia pompatissimo…dal loro punto di vista fanno bene. E poi se hai già in ballo un ricorso sarebbero folli ad annullarlo , dovrebbero poi ripartire da capo e magari non potrebbero nemmeno…

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