Month: febbraio 2016

Amministrative 2016, L’Altra Europa con Tsipras ufficializza lista civica Milano in Comune con Curzio Maltese

Triskel182

La nota: “In campo per chi non vuole rassegnarsi a essere governati da manager, per strappare Milano dall’avidità degli interessi forti, dai banchetti del dopo-Expo, dalla speculazione negli scali ferroviari e nella città universitaria”.

Si chiamerà Milano in Comune la lista “civica e politica” della sinistra che correrà alle prossime elezioni e che avrà come candidato sindaco il giornalista e scrittore Curzio Maltese. In un comunicato L’Altra Europa con Tsipras ha spiegato di aver chiesto all’europarlamentare di candidarsi e che lui si è reso disponibile “per dare il suo contributo alla riuscita di questo progetto comune”.  “Il sogno della Milano arancione è ancora vivo” , prosegue la nota sottolineando che la dimostrazione sta nell’incontro dello scorso 15 febbraio a cui hanno partecipato “incontrano persone, associazioni, forze politiche e sociali, movimenti, diversi per appartenenza politica, ma convinti che il bene della città e dell’area metropolitana sia nelle mani dei suoi…

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Il dito, la luna e il professor Panebianco

segnalato da Barbara G.

di Franco Berardi Bifo – comune-info.net, 24/02/2016

Tutti conoscono la storia del dito che indica la luna e dell’imbecille che guarda il dito. Sembra che in questi giorni a Bologna si sappia solo vedere il dito. Il dito è l’azione di un gruppo di studenti del Cua (Collettivo Universitario Autonomo) che hanno esposto un telo con su scritto “Fuori i baroni della guerra dall’università” durante la lezione del professor Panebianco. Si è trattato di una presa di parola le cui modalità non mi importa discutere, perché si tratta di minuscoli dettagli a confronto della luna. E la luna cos’è? La luna è quel che il professor Panebianco ha scritto in un editoriale pubblicato dal Corriere della sera. Egli scrive dapprima:

L’ennesima sentenza della magistratura ha dato ragione a mamme preoccupate e ambientalisti vari che cercano di impedire che il Muos, il sistema militare americano di comunicazioni satellitari entri in funzione a Niscemi, in Sicilia. Il Muos potrebbe essere uno strumento prezioso per anticipare eventuali attacchi missilistici ma c’è chi ipotizza che il suo funzionamento danneggerebbe la salute.

Fin qui niente di nuovo, si sa che i destini della patria sono più importanti delle preoccupazioni mammesche. Ma dopo aver ridicolizzato “mamme preoccupate e ambientalisti vari”, Panebianco dice qualcosa di enorme, che merita di essere preso in considerazione molto seriamente. Egli scrive:

Ciò che accade intorno a noi, dovrebbe convincerci di quanto inconsistenti siano le giaculatorie sulla necessità di una «Europa politica», la quale, come è noto, viene sempre evocata solo quando si parla di euro e di banche. Si dimentica che le unificazioni politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state guerre e minacce geopolitiche a innescarle.

Ecco la luna da guardare con attenzione, altro che il ditino: come insegna la storia, dice il professor Panebianco, le nazioni si forgiano nella guerra e non sul burro, dunque ci si prepari, e i disfattisti vadano in galera.

È legittimo quello che scrive Panebianco? Certo che lo è, Panebianco ha diritto di dire quello che pensa, e lo dice con assoluta chiarezza: la crisi europea non si risolverà, perché l’Unione ha fallito. La sola maniera di rifondare il processo europeo è qualche milione di morti. Negli ultimi venticinque anni alcuni milioni sono già stati massacrati in Iraq, Siria, Palestina, e nel paese curdo. Ma Panebianco annuncia che adesso è il nostro turno: mettetevi in fila, ragazzi.

Dobbiamo stupirci se si è messo a strillare qualcuno degli studenti che stanno pagando con la precarietà e la miseria le scelte dell’Europa finanziaria, e che domani pagheranno con la vita le scelte dell’Europa militare? Mi preoccupano molto di più tutti quegli altri studenti, cui la disperazione ha tolto perfino la voce e la dignità di ribellarsi.

Da quindici anni le potenze impotenti dell’Occidente fanno una guerra dopo l’altra e alcuni professori (non tutti) hanno applaudito i bombardieri che partivano per l’Afghanistan, per l’Iraq, per la Libia. Con quali risultati lo sappiamo: centinaia di migliaia di morti, milioni di fuggiaschi che l’Europa respinge, intere regioni devastate, una generazione di giovani musulmani spinti dalla violenza e dall’umiliazione a impugnare un coltello per tagliar gole.

Forse a Panebianco nessuno gliel’ha detto, ma la guerra in Libia cui ci chiama l’abbiamo già combattuta, nel 1911, nel 1940, e infine nel 2011. Combattiamola ancora, ordina Panebianco. E qualcuno chiami le guardie per mettere a tacere studenti disfattisti, mamme preoccupate e ambientalisti vari.

L’Impero delle multinazionali

di Claire Provost – 15 febbraio 2016 – (Transnational institute)

 

I governi devono poter cambiare il loro sistema fiscale per assicurarsi che le multinazionali paghino il giusto e per garantire che servizi pubblici essenziali siano ben finanziati. Gli stati devono inoltre avere la possibilità di riconsiderare e ritirare benefici fiscali precedentemente concessi alle multinazionali se questi non sono più coerenti con le priorità nazionali.

Ma le loro possibilità di fare questo, di cambiare le leggi fiscali e perseguire politiche fiscali progressive, è limitata, grazie agli accordi di scambio e investimento. Nelle “corti delle multinazionali” che si stanno rapidamente espandendo, corti formalmente note come sistema di regolazione delle dispute stato-investitori (ISDS nell’acronimo inglese che sta per investor-state dispute settlement), gli investitori stranieri possono portare in giudizio gli stati direttamente ai tribunali internazionali.

Questo sistema è diventato sempre più controverso grazie ai negoziati sul TTIP tra Europa e Stati Uniti. Ma l’uso di ISDS è già racchiuso in migliaia di accordi di libero scambio e investimento che girano in lungo e in largo per il globo.

Poiché il controllo sulle tasse è visto come centrale nella sovranità di un paese, molti stati hanno incluso clausole di protezione in questi trattati per limitare le possibilità delle multinazionali e di altri investitori di portarli in giudizio per queste dispute. Ma un crescente numero di casi stato-investitore hanno nei fatti sfidato le decisioni fiscali del governo – dal ritiro di benefici fiscali precedentemente concessi alle multinazionali all’imposizione di tasse più alte sui profitti del petroliferi e minerari.

L’analisi di dati e documenti su centinaia di casi ISDS aperti finora rivela che gli investitori stranieri hanno già portato in giudizio come minimo 24 paesi dall’India alla Romania su dispute legate alle tasse – inclusi numerosi casi in cui le compagnie hanno usato questo sistema per sfidare, con successo – e abbassare – le tasse pagate.

Come gli accordi commerciali inibiscono la giustizia fiscale

Creato mezzo secolo fa, il sistema ISDS era originariamente disegnato avendo in mente le semplici dispute stato-investitore. Per esempio: uno stato fisicamente espropria la fabbrica di una società, la nazionalizza, e la società usa l’ISDS per garantirsi compensazione economica. Ma negli ultimi 15 anni le multinazionali e le loro squadre di avvocati hanno sempre più allargato i confini di questo sistema, sfidando un’ampia serie di azioni statali – incluse normative sanitarie e ambientali.

Paesi in africa, Asia, Europa, Nord e Sud America sono nel frattempo stati portati in giudizio da investitori stranieri su dispute riguardanti le tasse, con le multinazionali che contestano norme fiscali dall’IVA e dalle tasse sul reddito societario alle tasse sulle importazioni a quelle sugli extraprofitti eccezionali. Il Canada è stato portato in giudizio da una società statunitense che taglia legname su una questione di incentivi per le sue operazioni in Ontario, per esempio. L’Ucraina è stata citata in corte per i suoi piani di aumentare le royalties sul gas che produce.

Nonostante il fatto che gli stati sono sotto processo nei casi ISDS, gli elettori, i cittadini e i contribuenti ordinari hanno pochissimo accesso alle informazioni riguardanti molti di questi casi. La maggior parte delle udienze sono a porte chiuse e i documenti sono raramente resi pubblici. Le analisi dei dati e documenti disponibili dicono che almeno 24 paesi sono stati già citati in giudizio da investitori stranieri in 40 diversi casi in materia fiscale. I numeri reali sono probabilmente anche più alti.

L’inclusione nella nostra lista di casi fiscali non implica necessariamente un giudizio in favore delle misure fiscali dello stato. Gli stati non sono sempre democratici nè agiscono sempre nel pubblico interesse. Ma la minaccia è chiara: un ampio raggio di misure fiscali statali sono state contestate da società giganti attraverso il sistema ISDS. Il potere che questo da alle multinazionali di contestare politiche fiscali progressive dovrebbe preoccupare i cittadini di ogni paese che ha firmato trattati di scambio e investimento.

Ansiosi di attrarre investimenti stranieri, molti paesi in via di sviluppo hanno offerto giganteschi benefici fiscali alle multinazionali. I governi devono poter rivedere e riconsiderare le loro leggi fiscali e ogni incentivo fiscale che possono aver concesso ad investitori stranieri nel passato. I benefici fiscali costano ai paesi in via di sviluppo fino a 138 miliardi di dollari all’anno e ritirarli potrebbe liberare i fondi disperatamente necessari per la sanità e altri servizi pubblici essenziali. Nella sola Sierra Leone, le stime dicono che il paese perde fino a 199 milioni di dollari l’anno per gli incentivi fiscali concessi – tre volte il suo bilancio annuale.

Ma perfino la prospettiva di un caso ISDS può essere un potente deterrente per gli stati che prendono in considerazione di agire contro le multinazionali. Questi processi possono andare avanti per anni e sono estremamente costosi. Perfino se uno stato si difende con successo, spesso finisce con il dover affrontare conti degli avvocati da milioni di dollari. L’unico modo di agire sicuro è non sfidare mai le multinazionali – una prospettiva pericolosa per l’interesse pubblico che potrebbe bloccare una azione necessaria per la giustizia fiscale.

I paesi che hanno firmato trattati di scambio e investimento “devono essere molto cauti nel concepire e applicare le politiche fiscali” avvertiva nel 2006 un rapporto pubblicato dalla Inter-American Development Bank. Affermava che gli stati dovrebbero firmare questi trattai ma che “devono realizzare l’importanza di questa questione e le difficoltà economiche che potrebbero risultare da decisioni arbitrali (le ISDS sono per ora tecnicamente corti arbitrali, n.d.t) contro di loro quando ci sono verdetti secondo cui un ingiusto e non equo trattamento fiscale…viene equiparato ad esproprio indiretto. (Commento del traduttore: questa interpretazione estremamente estensiva è il piede di porco legale con cui i collegi ISDS hanno trasformato l’arbitrato sugli espropri in tribunale speciale per le multinazionali).

“Gli stati hanno vere difficoltà nel determinare in anticipo se andranno incontro a una contestazione di questo genere in relazione alle loro politiche fiscali, a causa dell’incerto stato della legge” affermò Matthew Davie, un avvocato di arbitrato in Nuova Zelanda in un articolo del 2015 nel Journal of International Dispute Settlement. “Per confondere ancor di più le acque, una serie di giudizi nei tribunali degli investimenti hanno messo in discussione l’efficacia delle clausole di protezione nel precludere contestazioni sulle norme fiscali.

Le clausole di protezione non hanno fermato i processi

La maggior parte dei casi ISDS finora sono stati aperti contro paesi in via di sviluppo. Ma stati più ricchi vengono citati in giudizio in modo crescente. Lo scorso anno la società JM Longyear, con sede in Michigan, ha portato in giudizio il Canada chiedendo 12 milioni di dollari su un caso di benefici fiscali per le sue operazioni di deforestamento nel paese. A settembre il processo è finito con un accordo segreto. La Spagna è stata citata in più di 20 casi separati su una serie di politiche che riguardano il settore dell’energia rinnovabile, inclusa una tassa sui profitti da generatori di elettricità e una riduzione dei sussidi per i produttori.

Globalmente, le multinazionali del petrolio, del gas e le società minerarie sono tra i maggiori utilizzatori del sistema ISDS. L’Ecuador è stato portato in giudizio più volte dalle società energetiche sull’introduzione di una nuova tassa sulle vendite e i profitti del petrolio e sulla cancellazione di benefici fiscali IVA per le società petrolifere straniere. In un caso in corso, il gigante dell’energia ExxonMobil sta domandando che la Russia lo rimborsi per i 500 milioni di dollari di tasse che ha pagato per un progetto di estrazione di petrolio e gas nell’oceano Pacifico, vicino all’isola di Sakhalin, a nord del Giappone.

In risposta alla crescente preoccupazione pubblica in Europa a proposito del TTIP, i proponenti del sistema ISDS hanno suggerito alcune riforme suggerendo di inserire nei trattati specifiche clausole che proteggano questioni come l’ambiente o servizi come il Servizio Sanitario Nazionale nel Regno Unito.

Ma queste cosiddette “clausole di protezione” non sono nuove, nè offrono agli stati molta protezione. Molti dei trattati di commercio e investimento già firmati includono tali clausole per limitare le possibilità degli investitori di contestare in giudizio casi fiscali. Il Energy Charter Treaty, ad esempio, è un grande e potente trattato multilaterale che ha una clausola di protezione fiscale. Il CETA, un controverso nuovo accordo negoziato ma non ancora ratificato tra UE e Canada, ne ha un’altra.

Nonostante alcune di queste clausole di protezione siano più forti e più chiare di altre, non hanno impedito agli avvocati di presentare casi ISDS relativi alle tasse, e non hanno impedito agli arbitri di consentire a prenderli in esame. La lingua in questi trattati è spesso convoluta e a volte contraddittoria, con eccezioni dentro le eccezioni – dando ai legali molta materia su cui argomentare ma rendendo difficile per i legislatori sapere quali atti potrebbero rischiare una contestazione in base al trattato.

Le riviste internazionali di diritto internazionale sono piene di dibattiti legali su quando una tassazione di investitori stranieri può essere considerata come esproprio o “trattamento iniquo” in base al regie ISDS. “In una disputa sugli investimenti, la stessa legittimità della tassa viene messa in discussione” ha affermato in un saggio del 2009 William Park, professore di diritto all’università di Boston e arbitro veterano. “In tempi passati, il rischio primario degli investitori era l’aperto e violento spossessamento dei loro beni. Nel mondo moderno, l’esproprio indiretto attraverso un eccesso regolatorio è spesso la più grande minaccia” afferma Matthew Davie, il legale arbitrale neozelandese, in un saggio pubblicato lo scorso anno che prediceva che il numero di casi ISDS relativi alle tasse potrà in futuro solo crescere.

“Gli stati spesso vogliono credere che una clausola di protezione li protegge ogni volta che sorge una disputa in campo fiscale. Un buon numero di verdetti arbitrali dimostra che non è così” conclude Timothy Lyons, avvocato e arbitro alla 39 Essex Chamber di Londra, in un articolo del luglio 2015 nella Global Arbitration Review. “Una clausola di protezione fiscale…può impedire che un tribunale arbitrale sia trasformato in una corte d’appello fiscale nazionale. Ma è improbabile che impedisca a un tribunale di assicurare che gli investitori siano protetti”.

La minaccia del TTIP

Se passerà, il TTIP assieme al TPP (Trans-Pacific Partnership) tra gli Stati Uniti e i paesi della regione Asia-Pacifico, espanderà in modo esponenziale il sistema dell’ISDS per coprire livelli record di investimenti stranieri diretti globale.

In risposta alle proteste pubbliche – e all’opposizione di alcuni membri dell’UE tra cui la Germania – la Commissione Europea ha svelato proposte per riformare l’ISDS e sostituirlo con una Corte degli Investimenti Internazionali. Ma questo nei fatti rischia di cementare ulteriormente il sistema, facendolo sembrare più “legittimo”, piuttosto che rimuovere lo speciale istituto attraverso il quale le multinazionali possono contestare leggi, regolamenti e altre azioni statali prese nel pubblico interesse.

E come altri trattati danno alle multinazionali accesso a questo sistema, il TTIP dice poco a proposito delle responsabilità degli investitori. Non c’è un sistema comparabile di giustizia internazionale perché gli stati possano citare in giudizio le multinazionali a rispondere delle loro azioni e mentre si espande il potere delle multinazionali con diritti e protezioni indiscriminati, le obbligazioni degli investitori sono raramente racchiuse in questi trattati.

Se uno stato ha una disputa con una multinazionale a proposito delle tasse che deve pagare, non può lanciare un caso ISDS – questo è un sistema a senso unico, accessibile solo agli investitori stranieri (le società nazionali non possono usarlo). E naturalmente se uno stato agisce contro una multinazionale su una disputa fiscale, può ben presto trovarsi alla sbarra a fronteggiare un costoso processo ISDS.

fonte: https://www.tni.org/en/publication/taxes-on-trial

tradotto da Lame

(nota del traduttore: l’originale contiene alcuni box interessanti con casi specifici e approfondimenti che per ragioni di lunghezza del testo complessivo non sono stati postati. Sono però una lettura estremamente interessante).

Peggio di Bertone

segnalato da Barbara G.

Siete peggio di Bertone, siete il suo attico

di Saverio Tommasi – comune-info.net

Volevo sommessamente far notare che tutti i partiti contrari alla Stepchild adoption hanno votato tutte le guerre degli ultimi quindici anni. Perché la verità è che della vita e dei bambini, a questi ipocriti, non gli interessa un cazzo.

Se domani qualcuno bombardasse l’Italia questa gente userebbe i bambini come scudi umani, esattamente come hanno fatto in questi mesi per affossare una legge che avrebbe dato gli stessi diritti a tutte le famiglie.

Voi siete peggio di Bertone, voi siete il suo attico.

Stepchild Rendition

di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2016 

Siccome ben 199 senatori, cioè la stragrande maggioranza del Senato, sono favorevoli a tutta la legge Cirinnà, compresa la stepchild adoption, il molto democratico presidente del Consiglio e segretario del Partito democratico (si fa per dire) ha deciso di stralciare, cioè di cancellare, la stepchild adoption dalla legge Cirinnà per compiacere i 121 senatori contrari. Nella democrazia alla rovescia, la minoranza mette sotto la maggioranza. E il governo pone la fiducia, nel silenzio complice del Quirinale e dei presidenti delle Camere, su una legge parlamentare su cui lo stesso Pd aveva lasciato libertà di coscienza, salvo ora imporre la coscienza (si fa sempre per dire) di Bagnasco, Alfano & C. con un voto blindato pro o contro il governo. Che, così, costringe chi non fa parte della maggioranza (M5S e Sel) a votare contro una legge a cui è favorevole. Se fino all’altroieri una minoranza usava la fiducia per costringere la maggioranza a votare leggi che non condivideva (Jobs Act, Italicum, nuovo Senato), ora lo fa per vietare alla maggioranza di approvare una legge che condivide. Siccome chi ha vinto le elezioni (Pd+Sel e 5Stelle, che nei sondaggi rappresentano due terzi degli elettori) vuole la stepchild, è naturale che la stepchild non passi, o passi dimezzata per ordine di chi le elezioni le ha perse (Lega e Pdl, ora sparpagliato tra FI, Ncd e pulviscoli vari che arrivano al massimo al 30% nei sondaggi) e di uno Stato estero.

Monica Cirinnà

Fino all’altroieri il Pd, a parte i soliti quattro catto, giurava che mai avrebbe accettato lo stralcio della stepchild. Ivan Scalfarotto, sottosegretario: “Chi oggi esulta per le unioni civili in Grecia esulterebbe se in Italia passasse una legge senza stepchild come quella greca?” (23.12).

Sergio Lo Giudice, senatore: “Stralciare la stepchild è un’ipotesi priva di fondamento: la legge sarebbe massacrata dalle sentenze europee dal primo giorno” (7.12). Renzi: “No allo stralcio della stepchild adoption: nasce come proposta della Leopolda e l’abbiamo appoggiata sin da allora” (29.12).

Monica Cirinnà: “La stepchild ci sarà” (30.12).Federico Fornaro, sinistra Pd: “Chi chiede lo stralcio vuole che l’Italia resti l’unico paese europeo senza una legge sulle unioni civili” (4.1). Pier Luigi Bersani, ex segretario: “No allo stralcio delle adozioni” (14.1). Paola Campana: “Nessuno stralcio, non si abbassa l’asticella sui diritti dei bambini” (14.1). Luigi Zanda, capogruppo al Senato: “Non si parli di stralcio della stepchild: il testo ha già subìto almeno 4 revisioni” (16.1). Giuseppe Lumia: “Non ci sarà nessuno stralcio. Il testo che contiene la stepchild adoption è equilibrato e in grado di avere il più largo consenso dell’aula” (4.2). Matteo Orfini, presidente Pd: “Tirare dritto con il testo Cirinnà. Non prendo in considerazione l’ipotesi che la legge non passi con anche la stepchild” (7.2). Ri-Zanda: “Avanti senza alcuno stralcio, passerà anche la stepchild” (8.2). Anna Finocchiaro, senatrice: “Ok stepchild. Da stralcio nessuna deterrenza a maternità surrogata” (9.2). Ri-Renzi ad Alfano: “La posizione del Pd non è per stralciare la stepchild” (14.2). Ettore Rosato, capogruppo alla Camera: “Si smetta di parlare di stralci: è in gioco un punto delicatissimo come la tutela dei minori” (15.2).

Roberto Speranza, sinistra Pd: “Non è immaginabile togliere la stepchild adoption” (17.2). Ri-Zanda: “Il gruppo Pd al Senato punta a portare avanti il ddl Cirinnà senza stralcio della stepchild adoption” (17.2). Ri-Cirinnà: “Se la legge cambia e diventa una schifezza, tolgo la firma e lascio la politica” (17.2). Luciano Pizzetti, sottosegretario alle Riforme: “La parola stralcio è una bestemmia” (18.2). Francesco Verducci, a nome dei 21 senatori “giovani turchi” Pd: “Chi parla di stralcio sa che renderebbe impossibile l’unità del Pd” (18.2).

Poi è bastato il fischio di padron Matteo col contrordine compagni, e tutti a cuccia: sì allo stralcio della stepchild adoption, evvai, evviva, che bello, è quello che abbiamo sempre sognato, com’è umano Renzi! In Vaticano hanno persino riaperto il Carnevale in piena Quaresima. Ma dove sono Scalfarotto, Zanda, Rosato, Speranza, Finocchiaro e Orfini con tutti i giovani turchi? E la Cirinnà, avrà già lasciato la politica? Si teme un rapimento, una rendition di massa modello Abu Omar. Forse Renzi li tiene segregati nelle segrete di Palazzo Chigi a pane e acqua con le omelie di Adinolfi dagli altoparlanti? Chi ha notizie faccia sapere. Intanto organizziamo le ricerche con i cani da valanga.

Ci piacerebbe tanto avere con noi l’impavido Francesco Merlo che, quando il M5S decise (come il Pd) la libertà di coscienza pur sposando in toto la legge, fremeva di sdegno su Repubblica contro “la giravolta di Grillo” che “si allea con Quagliariello in nomine Dei… nei tortuosi corridoi politici degli atti indecenti e nell’Italia delle sacrestie e dei campanili” contro “la civiltà europea della faticosa ma necessaria legge Cirinnà… la legge più moderna e più radicale che il Parlamento italiano possa approvare in materia di diritti civili, la sola che ci possa agganciare all’Europa”. Poi osservava sconsolato: “già si parla di ‘stralcio’, ‘emendamento’, di un altro ‘super canguro’, che è il lessico del rinvio, la più crudele pena inflitta all’Italia, condannata all’eternità dell’indolenza… alla morbidezza del peggio, al capriccio perverso dell’andreottismo, al rinvio come via italiana al vaffanculo”.

Ecco, ora che tutte queste belle cose le fa Renzi, servirebbe tanto la verve del Merlo. E invece niente, desaparecido anche lui. O forse, più semplicemente, stralciato.

Con le armi nel sacco

segnalato da Barbara G.

PRESI…CON LE ARMI NEL SACCO!

Dal 2010 al 2014 l’Italia ha aumentato considerevolmente l’export di armi verso il Medio Oriente e il Nord Africa, teatri di guerre sanguinose. Smettiamo di chiudere gli occhi

di Alexis Myriel – terranuova.it, 06/02/2016

Che l’Italia esporti armi nel mondo e anche in Medio Oriente non è un segreto. Ma è una di quelle notizie che si è abituati ad ignorare perché tutto avviene lontano dai riflettori delle tv e le coscienze possono riposare tranquille. Poi, ecco che nel novembre scorso un deputato sardo pubblica sul suo profilo Facebook le fotografie delle bombe (appena uscite dalla fabbrica di Domusnovas) che vengono caricate sugli aerei e sulle navi per essere trasportate in Arabia Saudita. E scoppia lo scandalo. Che prontamente il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, cerca di liquidare con una manciata di parole: «È tutto regolare, non sono armi italiane, si tratta solo di transito».

Ma, allora, cerchiamo di capire cosa succede quando invece ad essere esportate sono proprio le armi italiane e quando ciò avviene in Paesi con regimi autoritari o impegnati in teatri di guerra. È realistico pensare, come qualcuno ha dichiarato di recente, che l’Italia venda direttamente le armi ai terroristi dell’Isis? O si innescano meccanismi differenti?

«Non abbiamo evidenze che l’Italia venda armi all’Isis» spiega Piergiulio Biatta, presidente di Opal Brescia, l’Osservatorio per le armi leggere. «Ma le armi, per arrivare in mano a gruppi incontrollabili o estremisti, non hanno bisogno di essere vendute direttamente. Se si esportano armi a regimi autoritari o a dittatori che poi magari vengono rovesciati, non si sa in che mani possano finire. Basti pensare all’esempio degli Stati Uniti: hanno inondato la regione mediorientale di armi e si sono ritrovati poi a combattere contro eserciti che usavano quelle di provenienza americana. Sollevammo la questione quando l’Italia fornì sistemi militari al regime di Bashar Al Assad, tanto da essere il maggior fornitore europeo di armamenti alla Siria; servivano per l’ammodernamento dei carri armati di fabbricazione sovietica. Ora questi carri armati a chi sono in mano? Qualcuno può rispondere? E ancora: le 11mila armi italiane vendute nel 2009 alla guardia di sicurezza di Gheddafi dove sono finite?».

In proposito, è utile ricordare che il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente:«Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003».

«Riguardo poi le armi che escono dall’Italia ma che vengono definite solo in transito, occorre comunque un’autorizzazione del Governo» prosegue Biatta. «Si pensi alle migliaia di bombe inviate dall’Italia alle forze armate dell’Arabia Saudita: le hanno impiegate per bombardare lo Yemen senza un mandato dell’Onu. L’azienda produttrice è la RWM Italia, azienda bresciana appartenente al gruppo tedesco Rheinmetall ma che opera con la piena  autorizzazione del governo italiano. Vogliamo continuare a nasconderci dietro l’ipocrisia, le mezze verità e le mezze risposte?».

Veniamo ai dati

«Se ci si concentra sul quinquennio dal 2010 al 2014, si vede che le esportazioni dall’Italia sono aumentate considerevolmente verso il Medio Oriente e il Nord Africa, cioè proprio le zone di guerra, aree che rappresentano oggi, con un 35,5%, il bacino maggiore per il nostro Paese» spiega Giorgio Beretta, analista Opal. «Nel quinquennio precedente, dal 2005 al 2009, non era così, il bacino maggiore era interno all’Unione Europea. La classifica è guidata dai regimi di Algeria e Arabia Saudita. Se non fosse per la presenza Usa, anche gli Emirati Arabi Uniti sarebbero sul podio».

Esportazioni italiane di armamenti. Autorizzazioni per zone geopolitiche. Confronto tra il quinquennio 2005-2009 e quello 2010-2014

L’informazione, poi, è sempre più carente. «La relazione che il governo Renzi ha inviato alle Camere nel marzo 2015 è corposa, due volumi per un ammontare di 1.281 pagine, ma manca di elementi fondamentali necessari al Parlamento per esercitare quel ruolo di controllo che gli compete. Ancora più carente, tanto da risultare non solo inutile ma addirittura fuorviante, è la sezione curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a seguito delle modifiche legislative introdotte negli anni scorsi. Più che un documento ufficiale sembra un testo di appunti di qualche svogliato funzionario».

Cosa fare

Cosa è possibile fare, dunque, per sollecitare il governo a cambiare rotta? Se non altro fare sentire la propria voce e tenersi informati. Può essere utile seguire e aderire alle campagne di sensibilizzazione della Rete per il Disarmo,  dell’Osservatorio Permanente per le armi leggere (www.opalbrescia.org/) e di Amnesty International Italia.

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Armi italiane in Yemen: otto domande a Matteo Renzi

di Giuseppe Civati – possibile.com, 19/02/2016

La situazione in Yemen è esplosiva, soprattutto da quando lacoalizione guidata dall’Arabia Saudita (senza alcun mandato o copertura della comunità internazionale) ha deciso di procedere abombardamenti su città e villaggi. Si parla di oltre 20.000 morti(tra cui diverse centinaia bambini) e di oltre l’80% della popolazione senza accesso ai servizi essenziali. Senza dimenticare i bombardamenti sugli ospedali.

Una condizione gravissima ed inaccettabile: lo ha sottolineato Ban Ki-moon, nei mesi scorsi aveva espresso preoccupazione la stessaFederica Mogherini, e lo ribadiscono molte prese di posizione di attori internazionali (Agenzie ONU e ONG che operano sul campo).

Matteo Renzi invece non ha mai preso posizione esplicita a riguardo, nemmeno durante la sua visita ufficiale di fine 2015 a Riyad.

Nei mesi scorsi dall’Italia sono partite bombe (almeno sei carichi)alla volta dell’Arabia Saudita. Abbiamo avuto conferma che tali ordigni siano stati usati direttamente in Yemen. Da tempo, diversi parlamentari e la società civile che si occupa di controllo delle armi chiedono conto al Governo di queste spedizioni, ricevendorisposte vaghe ed evasive (tanto che la Rete Disarmo sta presentando in diverse Procure d’Italia degli esposti per violazione della legge 185/90 che impedirebbe di vendere armi a Paesi in conflitto armato, oltre che per violazione del Trattato Internazionale sugli armamenti che anche l’Italia ha ratificato).

La prossima settimana il Parlamento Europeo sarà chiamato a votare (speriamo positivamente) una Risoluzione relativa allo Yemen, che comprende un emendamento favorevole ad un embargo di armi verso i sauditi.

Ma il tempo passa e i morti aumentano e, sia per il silenzio del Governo sia per la fornitura diretta di armi, il nostro Paese si sta rendendo complice di quella che è considerata una delle più gravi crisi umanitarie attuali. Non si può attendere oltre e dunque rivolgiamo al Governo di Matteo Renzi alcune semplici domande per cui chiediamo risposte chiare.

1) Chiediamo al Governo di chiarire tipologia di armi, valore e destinatari finali delle autorizzazioni rilasciate tra il 2012 e il 2014all’esportazione verso Paesi coinvolti nella coalizione Saudita che sta bombardando lo Yemen;

2) In particolare chiediamo al Governo di dettagliare tutti i singoli e specifici tipi di sistemi militari autorizzati e il periodo(anno/mese) di consegna di ciascuna delle esportazioni riportate nella “Tabella delle autorizzazioni” a Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto all’interno della Relazione al Parlamento ex Legge 185/90;

3) Chiediamo al Governo di sapere per quale motivo non siano state sospese le forniture di armi all’Arabia Saudita e ai suoi alleati dopo che, nel marzo 2015, si era resa evidente (per loro stessa ammissione) la partecipazione ad un conflitto armato(fatto che implica la proibizione all’export militare secondo l’articolo 1 della legge 185/90);

4) Poiché tali spedizioni non sono state sospese chiediamo al Governo informazioni precise su quante e quali nuove autorizzazioni siano state rilasciate ad aziende italiane nel corso del 2015 e di queste prime settimane del 2016; per ciascuna azienda e per ciascun specifico tipo di sistema militare chiediamo siano esplicitati quantità e valore, e quali consegne si sianoeffettivamente realizzate nel 2015 verso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto (cioè quelli della coalizione sunnita che è intervenuta in Yemen senza mandato internazionale);

5) Chiediamo a Matteo Renzi il motivo per cui non abbia minimamente affrontato la questione yemenita (e delle forniture di armamenti) nella sua visita di fine 2015 in Arabia Saudita;

6) Chiediamo al Ministro degli Esteri Gentiloni (il MAECI ha il mandato di valutare l’export militare italiano) di spiegare i motivi per cui le consegne all’Arabia Saudita siano proseguite nel corso del 2015 nonostante gli impedimenti della 185/90. Non accetteremo le risposte evasive già fornite al Parlamento (come, ad esempio, che per l’Arabia Saudita possiamo non rispettare la Legge perché “ci aiuta contro il terrorismo”);

7) Chiediamo al Governo che senso abbia inviare bombe all’Arabia Saudita nel giorno stesso in cui il Parlamento Europeo assegnava per acclamazione il Premio Sakharov al dissidente saudita Raif Badawi (ricordando che le gravi violazioni dei diritti umani sono impedimento prescritto dalla Legge per le vendite di armi);

8) Chiediamo al Governo di rispondere alle richieste della società civile in merito alla perdita di trasparenza nelle Relazioni al Parlamento previste dalla legge 185/90. Ad esempio, dalla Relazione pubblicata nel 2015 si può conoscere solo il sistema militare di ogni singola autorizzazione e l’azienda a cui è stata rilasciata, ma non si può ricostruire (nemmeno incrociando tutte le tabelle) il destinatario finale di ciascuna di queste. Tutte cose chiaramente esplicitate, invece, nelle prime Relazioni del governo Andreotti e – seppur a fatica – ricostruibili fino all’avvento del Governo Renzi (cui si possono attribuire ultime due Relazioni).

Vulnus

segnalato da Barbara G.

Accolti sei motivi di incostituzionalità dell’Italicum dal Tribunale di Messina

criticaliberale.it, 24/02/2016

Primo risultato a Messina, accolti sei motivi di incostituzionalità dell’Italicum.

Tribunale di Messina rimette alla Corte Cost. 6 delle 13 q. l. c. sollevate dai ricorrenti messinesi, accogliendo le argomentazioni del ricorso, ha rilevato dei profili di incostituzionalità dell’Italicum ed ha interpellato la Corte Costituzionale che adesso è investita della questione e dovrà giudicare se l’Italicum è incostituzionale. Con il ricorso, analogamente a quelli proposti dinanzi ad altri 18 Tribunali peninsulari, i cittadini elettori hanno richiesto di sentir dichiarare il loro diritto al voto libero ed eguale, secondo modalità conformi alla Costituzione, asseritamente violata, come fu per il porcellum, dall’Italicum. Primo in Italia, il Tribunale di Messina, con ordinanza 17/24.2.2016 ha dichiarato:  “sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate nel giudizio, tutte incidenti sulle modalità di esercizio della sovranità popolare” approvando il ricorso in merito a sei, delle tredici, motivazioni presentate, in particolare nei seguenti motivi :

III° MOTIVO – Il “vulnus” al principio della rappresentanza territoriale.

IV° MOTIVO – Il “vulnus” ai principi della rappresentanza democratica.

V° MOTIVO – La mancanza di soglia minima per accedere ballottaggio.

VI° MOTIVO – Impossibile scegliere direttamente e liberamente i deputati.

XII° MOTIVO – Irragionevoli le soglie di accesso al Senato, residuate nella L. 270-2005

XIII MOTIVO – Irragionevole applicazione della nuova normativa elettorale per la Camera a Costituzione vigente per il Senato, non ancora trasformato in camera non elettiva, come vorrebbe la riforma costituzionale.

Ha pertanto disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi, ancor prima che la legge elettorale italicum venga applicata, onde non vanificare i diritti elettorali dei cittadini italiani, sulla legittimita’ costituzionale della stessa.

In caso di pronuncia di incostituzionalita’, gli effetti della sentenza della Corte, come fu per il porcellum, potranno condurre a votare secondo le regole del c.d, consultellum ( niente liste bloccate, niente premio di maggioranza senza soglia al ballottaggio).

Viene messo in discussione l’impianto derivante dal combinato disposto della riforma costituzionale in fase di approvazione e la legge elettorale ultrapremiale italicum, nei termini denuciati dai cittadini ricorrenti in Sicilia e in tutta Italia dal gruppo di avvocati organizzati dall’Avv.Felice Besostri. Il ricorso presentato a Messina è uno dei 18 depositati in diversi tribunali italiani. Un’iniziativa nata nell’ambito del Coordinamento per la  Democrazia Costituzionale, a curare il ricorso presentato a Messina, l’avvocato già Senatore e membro del CSM, Enzo Palumbo e gli avvocati  Tommaso Magaudda, Francesca Ugdulena, Giuseppe Magaudda.

Le verità nascoste

segnalato da Barbara G.

Due anni di governo, le slide che Renzi non vi mostrerà

di Giorgio Airaudo, Giulio Marcon – left.it, 22/02/2016

Ci sono delle slide che Matteo Renzi non vi farà certamente vedere per celebrare i due anni del suo governo. Sono le slide che testimoniano la crisi del Paese e l’inefficacia delle politiche del suo governo. Un Paese che non esce dalle difficoltà sociali e dalla drammatica mancanza di lavoro e che assiste al degrado del suo sistema sanitario e scolastico. Quello che non mancano sono la propaganda e gli spot di un governo che non riesce a far uscire dalla stagnazione l’economia nazionale (che sopravvive grazie agli aiuti esterni del calo del prezzo del petrolio e del quantitative easing di Draghi), che continua a regalare inutilmente una barca di soldi alle imprese e che ne spende tanti per le armi. Un governo che non ha riformato il mercato del lavoro, ma ha creato un inedito “mercato dei lavoratori”, senza diritti e sotto ricatto.

Visto che Renzi queste slide non ve le farà vedere, ve le proponiamo. Renzi dice che ha rafforzato in questi due anni gli investimenti per la scuola e la sanità. Fantasie. Con l’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi, la spesa pubblica per l’istruzione (in percentuale sul Pil) è passata dal 3,9% al 3,7% (e intanto si riducono le iscrizioni all’università) e quella per la salute dal 7% al 6,8%. Renzi dice che ha fatto crescere nel 2016 di un miliardo gli stanziamenti per la sanità. Non è vero. La (sua) ministra Beatrice Lorenzin il 14 luglio del 2014 (c’era Renzi, allora, no?) firma a nome del governo il Patto della Salute con le regioni che prevede l’ammontare della spesa pubblica per la sanità nel 2016 (con la crescita di fabbisogni e l’evoluzione naturale dei costi) a 115,4 miliardi. E quanto c’è nella legge di stabilità del 2016? Solo 111 miliardi, cioè oltre 4 miliardi in meno. Dice Renzi che ha fatto tanto per il sociale. Ma per il servizio civile (così importante per il nostro welfare) nel 2016 ha stanziato 215 milioni a fronte dei 300 milioni spesi nel 2015: significa 10mila giovani in meno per quest’anno. Ma non lesina i soldi per gli F35. Due anni fa nella legge di stabilità i fondi per gli F35 erano 500 milioni, mentre nel 2016 quasi 750 milioni: +50%. Un aumento percentuale così alto il “sociale” se lo sogna. Renzi davanti agli Scout a San Rossore aveva detto: ‘La più grande arma per costruire la pace non sono gli Eurofighter o gli F35, ma la scuola. Quando fai delle spese che sono inutili, per il gusto di buttare via i soldi, ti senti piangere il cuore”. Solo chiacchiere: invece diminuiscono i soldi per la scuola e aumentano quelli per gli F35.

Le slides “mancanti” le trovate qui.

Ma a questo governo mancano i fondamentali dell’economia. Anche queste slide Renzi non ve le farà vedere. Intanto il debito pubblico negli anni del renzismo (nonostante i tagli drammatici agli enti locali e alla sanità) aumenta di ben quattro punti percentuali (siamo al 132,5%). E poi diminuiscono negli ultimi anni -e radicalmente- sia gli investimenti pubblici (che sono quelli che servirebbero per far ripartire l’economia), sia gli investimenti privati (quelli privilegiati dal governo, subalterno all’ideologia neoliberista), nonostante la valanga di soldi e di sgravi dati da Renzi a Confindustria e alle imprese private nelle ultime due leggi di stabilità.  Ci sono altre slide che Renzi non vi farà vedere e sono quelle che riguardano le tasse. Pavoneggiandosi come Giulio Tremonti (il taglio delle tasse era il suo pallino fisso), il nostro premier ha detto che questo è il primo governo che riduce le tasse, come quelle sulla casa (anche ai privilegiati e a chi non ne avrebbe bisogno). Peccato che l’ultimo DEF (Documento di Economia e Finanza) ci dica che la pressione fiscale nei due anni del suo governo sia passata dal 43,4% al 44,1% e che la Corte dei Conti ci informi che la pressione fiscale locale (a causa dei tagli del governo agli enti locali, che si vedono costretti ad alzare la tassazione locale per continuare ad erogare i servizi) è salita di oltre il 20%. Gli 80 euro vengono confermati, ma non per i precari, i disoccupati e i pensionati al minimo.

Con una mano ti danno e con l’altra ti tolgono (di più). Delle tasse Renzi comunque le ha tagliate: quelle sui panfili e mega yacht. Voi continuere a pagare la tassa di proprietà sulla vostra utilitaria e i miliardari non pagheranno un’ero di tassa sul loro panfilo da due milioni di euro. Quando si dice: l’equità fiscale! E poi c’è il lavoro. I dati di questi mesi sono contrastanti, ma quello che è certo è che molti dei nuovi contratti sono precari e sostitutivi (per avere le agevolazioni della decontribuzione) di quelli precedenti. Non sono più di 186mila i contratti a tempo indeterminato nuovi con il cui costo (circa 1,8 miliardi) si sarebbero creati molti posti in più se ci fosse stato un veropiano del lavoro, come da noi proposto.  Ma una slide che Renzi non vi fa vedere, ve la mostriamo noi. Nel gennaio del 2015 le ore di cassa di integrazione erano state 50milioni e nel gennaio 2016 quasi 57milioni (dati INPS): testimonianza che le fabbriche continuano a chiudere e gli operai a perdere il lavoro. Anche di più di un anno fa.

Guardate le nostre slide e capirete che quelle di Renzi sono in parte sbagliate o furbescamente artefatte, mentre molte altre mancano del tutto. Dalle slide di Renzi emerge molta propaganda e marketing. Ma questo paese ha bisogno di cambiare rotta, di abbandonare le politiche neoliberiste dell’austerità e di mettere al centro il lavoro, i diritti e la giustizia sociale. Proprio quello che Renzi e il PD non fanno: anzi fanno il contrario. E’ un cattivo compleanno questo del governo. Speriamo sia l’ultimo.

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#ventiquattromesi, le slides celebrative per i due anni di governo Renzi

Ma per celebrare il grande evento, il premier Matteo Renzi non si è accontentato di utilizzare il solito power point, ha voluto anche sbarcare su Facebook con la pagina dedicata a palazzo Chigi, i fan sono ancora pochi (circa 3mila e 500) ma già lo staff del governo ha postato un video celebrativo che ha suscitato al momento più critiche che plausi

La resa dei Conti

La Corte dei Conti boccia clamorosamente la spending review di Renzi e Gutgeld. Un fallimento che rischia di costare molto caro al premier, con le aspettative di crescita che scendono, zero margini di flessibilità e nessun capro espiatorio a disposizione
 di Francesco Cancellato – 19 febbraio 2016 – Linkiesta
«Noi quest’anno porteremo 10 miliardi di revisione della spesa. Lo faremo senza tagliare i servizi, ma rendendoli più efficienti ed economici». Parole e musica di Yoram Gutgeld, l’ennesimo commissario alla spending review dopo Enrico Bondi, Dino Piero Giarda, Mario Canzio e Carlo Cottarelli e Roberto Perotti. Era il 6 giugno del 2015 e la platea era quella dei giovani imprenditori di Confindustria.

Sono passati meno di otto mesi e su quelle parole è scesa la pietra tombale su quelle parole. Un colpo di grazia firmato Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei Conti, che nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che «Il contributo al contenimento della spesa non è più solo riconducibile a effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto piuttosto a operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività». Tradotto dal bizantino all’italiano: invece che tagliare gli sprechi, cari Renzi e Gutgeld, avete tagliato i servizi.

Intendiamoci: sarebbe un insuccesso anche senza andare a ripescare le promesse di Gutgeld. E, care vedove di Letta e Monti, non crediate che i predecessori di Renzi abbiano fatto molto meglio di lui, su questo versante. Tuttavia, è in questa macroscopica differenza tra proclami e realtà e nella sovralimentazione delle aspettative che il premier e il suo esecutivo rischiano, prima o poi, di farsi molto male.

Certo, il popolino ha la memoria corta e, per dire, nessuno si ricorda più di sparate tipo “una riforma al mese” o di prove tecniche di accountability come il sito internet www.passodopopasso.it. Tuttavia, i conti in tasca sono materia nota ai più, soprattutto quando i soldi sono meno, i servizi meno ancora e gli sprechi rimangono immutati, o peggio ancora aumentano. E non c’è capro espiatorio che tenga – nè a Bruxelles, nè a Berlino – in questo caso.

Con le aspettative di crescita economica che crollanoda 1,6% a 1%, per l’Ocse, nella sua più recente rilevazione sul pil del 2016 – e gli spazi di flessibilità di bilancio ormai finiti – è sempre Squitieri a dirlo, nella sua relazione – mettere mano alle inefficienze di spesa e agli sprechi è fondamentale. In caso contrario, buone tasse e buona Troika.

fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/02/19/renzi-ha-tagliato-i-servizi-non-gli-sprechi-e-la-colpa-non-e-di-bruxel/29333/