Renzi va veloce contro l’onda trumpista. Lo fermi chi può.

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trumpistiDal referendum costituzionale al referendum su Donald Trump.
Più ravvicinate nel tempo saranno e più le prossime elezioni politiche in Italia rischiano di trasformarsi in questo: una consultazione nella quale il modello Trump sarà inevitabilmente al centro del dibattito, rendendolo bipolare. Da un lato il blocco di chi è essenzialmente ‘protezionista’ su una serie di temi cruciali: politiche migratorie, sicurezza, lavoro ed economia. E dall’altro chi? Essenzialmente il PD, spaccato al proprio interno e sull’orlo di una scissione. Essenzialmente Matteo Renzi che tenta nuovamente un uno contro tutti, nella convinzione che quel 40% per lui letale del 4 dicembre scorso possa tramutarsi in un 40% elettorale vincente, capace di consegnargli quel premio di maggioranza indispensabile per governare nuovamente il Paese.

Lo schema insomma, nella testa del segretario PD, non cambia di una virgola. La sua scommessa è destinata ad imperniarsi ancora una volta sulla convinzione che, di fronte allo spauracchio…

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42 comments

    1. a parte che è terribilmente presuntuoso, e che sperava nella maggioranza silenziosa…
      ipotesi
      A- spera di arrivare al 40% imbarcando la qualunque ripetendo lo schema grandi intese…
      B- gli interessa solo avere un parlamento di fedelissimi ed accordarsi dopo

  1. Per una volta lasciatemi attribuire a Renzi almeno un merito e riguarda il PD. Con la sua azione ha reso evidente e certificato in modo assoluto il fallimento del progetto su cui è nato il PD.Per anni il partito è vissuto fra compromessi e fragili equilibri fra le due anime ex DS ed ex Margherita. La sterzata a destra di renzi ha fatto emergere e , probabilmente , reso insanabile una frattura che , comunque, già c’era. Se , come sembra, si arriverà ad una scissione quantomeno avremo un quadro più chiaro su quello che gira da quelle parti.

    1. … mmmm….
      tutto dipende sempre dalla legge elettorale.
      finora stiamo con un proporzionale, e quindi la tendenza è a dividersi.
      se venisse ripristinato il mattarellum (per dire, ma vale qualsiasi legge più maggioritaria) ecco che si ritornerebbe ai ‘separati in casa’.

    2. Esatto, lo pensavo stamattina mentre ascoltavo la radio di regime guidando: Renzi ha un grandissimo merito, quello di aver liquidato il PD. Senza di lui avremmo avuto ancora sacche di persone attaccate ai vecchi simboli come una cozza allo scoglio. Invece bisogna riconoscerlo: Renzi ha rottamato i militanti del PD onesti, e gli sono rimasti solo leccaculi e rincoglioniti – questi ultimi in fase di estinzione naturale. Questo avere premuto il pulsante reset nella politica italiana presa dal panico in seguito ad un virus chiamato M5S non avra’ l’effetto sperato dal ex-ducetto. Gli effetti li abbiamo solo intravisti con le amministrative a Roma e Torino, e poi col referendum costituzionale. Gli effetti sono molto piu’ profondi, c’e’ una spaccatura verticale insanabile a livello locale anche tra le residuali mafiette ex-DS e ex-popolari: militanti ed elettori sono gia’ spariti, adesso e’ cane mangia cane tra chi usera’ il simbolo (o non lo usera’ per le prossime amministrative).
      Un sinistrato disilluso qualsiasi direbbe: mi compro quintali di popcorn e mi godo lo spettacolo. Un ex sinistrato che ha ancora cuore e cervello secondo me dovrebbe mettersi in movimento con proposte e iniziative.Il momento e’ adesso: grazie, Renzi.

    3. Mario sulla stessa linea di Scanzi, spettacolo … 😀🙃

      “Se i disgustati dal partito se ne andranno, rimarranno solo i disgustosi”. E’ una frase che mi ha colpito molto. L’ha pronunciata giorni fa uno dei molti sostenitori di Benoit Hamon, espressione della cosiddetta sinistra radicale, che ha vinto le primarie socialiste francesi. Altri suoi sostenitori ritenevano che lo sconfitto Valls avesse pagato lo spostamento verso il centro del partito, snaturandolo e rovinandolo, “proprio come Renzi in Italia”. La frase sui disgustati & disgustosi ben si adatta al Pd: se quelli che amano il partito, e più in generale una certa idea “socialista”, non si muovono a salvarlo, i disgustati cresceranno sempre più (già adesso sono a livelli di guardia) e rimarranno solo i “disgustosi”.
      Il Pd ci ha tristemente abituato ai penultimatum. Fino al 4 dicembre la minoranza dem, tranne Civati (che infatti se n’è andato) e pochi altri, era un’Armata Brancaleone di Don Abbondio. In questo senso D’Alema, che mi ha sempre attratto come una jam session tra Bianca Atzei e il Poro Schifoso, ha avuto il coraggio di gridare il suo “no” al referendum e di descrivere Renzi per quel che era, è e sarà: ovvero niente. Evidentemente, per far dire qualcosa di sinistra a D’Alema, serviva Renzi. E da questo si capisce come anche Matteo, nel suo piccolo, una ragione di vita politica forse ce l’abbia.
      Molte cose, adesso, sono cambiate. Dopo il meraviglioso golgota del 4 dicembre, che – ve lo ricordo – è ora Festa Nazionale della Torcida Inesausta e ha per inno Another Brick In The Wall Part 2, il tappo è alfine saltato. Renzi non ha più il partito sotto controllo. Le parole di Emiliano sono durissime. Le parole di Rossi sono durissime. Un ipotetico partito dalemiano è accreditato al 12-14%, che con questa legge elettorale (di merda) non è poco. Persino Bersani non esclude più la scissione. E la stessa vittoria di Hamon dice che c’è spazio per la sinistra. Certo, permane qualche pontiere, tipo Speranza – il cui carisma non smette di accecarci – e Cuperlo, ma lo strappo pare irrecuperabile.
      La coperta di Renzi è sempre più corta e lui pare sempre più bollito (c’mon). Eppure il Podista Bolso di Rignano, che non va mai – mai – dato per finito, vuole le elezioni subito. Perché? La Consulta, se possibile, ha reso l’Italicum (ennesimo troiaio renziano) persino più inverecondo. Via il ballottaggio, permangono però i capilista bloccati e le multicandidature. Siamo di fronte a un proporzionale con premio di maggioranza al 40%. Il premio va però alla lista e non alla coalizione: quindi, salvo miracoli (?), non va a nessuno. Siamo passati dall’Italicum all’Itatroiaium. Che culo.
      Renzi è oggi lontano dal 40%. Neanche due mesi fa ha preso un cazzotto prodigioso (si vola) e nessuno che lo odiava il 4 dicembre ha certo cambiato idea. Eppure lui vuole andare a votare subito, a costo di far saltare Gentiloni, magari sulla (ovviamente impopolare) manovra correttiva. Perché?
      1. Perché Renzi è un politico debole e sopravvalutato. La Storia, tra cent’anni, si butterà in terra dal ridere pensando a come un paese civile arrivò a credere a un tizio così improponibile. Renzi, di per sé impalpabile, non ne indovina una dalle Europee 2014 e ha il talento di Gabriel Garko. E’ convinto che il 40% che ha votato “si” sia suo e quindi lo voterà ad aprile o giugno. Idolo.
      2. Perché ha reagito al calvario delizioso del 4 dicembre (vamos) fingendo di avere preso un buffetto in testa e non un treno in faccia. Come se nulla fosse successo. Ora, come ha scritto lunedì Galli della Loggia sul Corriere della Sera, si comporta mestamente come un capocorrente qualsiasi, che sta sempre al telefono e spartisce poltrone, convinto che nulla sia cambiato. Una prece.
      3. Perché teme che la sua parabola, a oggi meravigliosamente discendente (daje), scenda sempre più col passare dei mesi. Più lui attende, più lui crolla. We hope so, man.
      4. Perché – soprattutto – vuole tenere il partito sotto scacco, negando il Congresso, facendo fuori la minoranza (limite terzo mandato), candidando solo i fedelissimi (capilista bloccati) e garantendosi almeno un’altra legislatura in posizione di comando. Non è che Renzi voglia votare subito per vincere, sebbene un po’ ci speri (e in questo paese tutto è possibile, anzitutto l’Apocalisse): vuole votare subito per garantirsi un vitalizio personale. Un futuro politico. Un extratime di ribalta suppletiva. Ed è qui che, ancora, tocca alla minoranza (minoranza?): quando l’avversario è nella polvere, non si perde tempo: gli si dà, politicamente, il colpo di grazia. Altrimenti poi quello prima o poi rialza la testa. E ricomincia a fare danni. Tanti danni. Del resto è l’unica cosa che sa fare.

          1. Trump si sgonfierà con una destituzione o con una messa in stato d’accusa

            Quanto a Renzi: è un po’ difficile parlare di politica italiana senza parlare del pd
            il Pd è uno dei (due) possibili partiti di maggioranza relativa
            Renzi è il suo segretario
            mai sentita un’analisi seria da parte dei vertici del partito sulle motivazioni della sconfitta.
            credo che abbia ragione D’Alema, Renzi vuole andare al voto perché antepone la sua presunzione, i suoi interessi personali a quelli del suo partito, a quelli del paese. Vuole avere un gruppo parlamentare di fedelissimi, questo mi pare evidente. Parlare di arrivare al 40% mi sembra pura utopia (anche perché se sommiamo tutti i possibili 40% alle prossime politiche si supera abbondantemente il 100%)

            si parla di congresso anticipato. Di raccolta firme. di una lista d’alema. di un PD che spacchettato prenderebbe molti più voti di un pd unitario. Ma anche di un frankenstein costituito da PD, Alfano, Verdini, Tosi, Lega.

            Smetteremo di parlare (e sentir parlare) di Renzi quando finalmente si comincerà a parlare di programmi su cui costruire alleanze, e non di alleanze fatte con la calcolatrice e pseudo programmi solo per intercettare il voto del “settore di mercato” individuato

              1. non credo.
                da quello che ho capito era al limite dell’ineleggibilità, inoltre, a parte indagini o processi, la costituzione usa prevede una serie di condizioni (e una procedura ben definita) per destituire un presidente per manifesta incapacità o se va contro gli interessi nazionali. ci sono anche parecchi repubblicani incazzati.

            1. Mi pare tutta una barzelletta oscena che non fa neppure ridere.
              Esiste una convergenza di desideri di elezioni immediate per opposte ragioni.
              L’opposizione per capitalizzare il risultato del referendum.
              La maggioranza per evitare di andare al voto avendo dovuto adottare la manovra sollecitata dalla UE e Renzi per evitare che il suadente Gentiloni lo faccia dimenticare o si dimostri statista migliore di lui (e non ci vuole molto).
              In mezzo ci sono alcune cosette:
              – la desiderabilità di una nuova legge elettorale che corregga il pastrocchio uscito dalla sentenza della Consulta
              – la disponibilità di Gentiloni a “star sereno”
              – la disponibilità di Mattarella a sciogliere le camere
              Mi sa che voteremo nel 2018 e, così come stanno le cose, dubito non sono sicuro che sia un male.

              Per inciso: se la maggioranza avesse avuto davvero tanta fretta avrebbe potuto, pur scombussolata dall’esito del referendum, promulgare tra il 5 dicembre e il 23 gennaio “per il bene del paese”, anche con le forzature già sperimentate con l’Italicum, una nuova legge elettorale costituzionalmente ineccepibile. Ammesso che ne fosse tecnicamente capace.

              1. (mattarella secondo me non conta nulla. ma detta così potrebbe sembrare semplice. quello che voglio dire è che il peso del pdr è quasi zero, anche quando sembra enorme: napolitano, per dire, non fece che esplicitare e rivendicare ad alta voce il desiderio dei vari parlamenti votati, che preferivano però restare in silenzio, e fare la figura di chi subisce…)

                1. Dubito fortemente che Napolitano sia stato una specie di re Travicello.
                  Lo considero più un despota che ha giganteggiato perché aveva a che fare con dei nani. E ha giganteggiato male.
                  Mattarella non so. Ma, insieme con Gentiloni, sta corrispondendo a un’ansia di “normalità” nel paese e in buona parte dei politici.
                  Il guaio è che il tutto può tradursi in una sedazione, opportuna per gli esagitati, ma controproducente per chi ancora vorrebbe ribellarsi alla degenerazione del sistema.
                  C’è solo da sperare che il M5S sputi la camomilla e si dimostri all’altezza della sua “alterità”.
                  Il resto è assenzio (Hamlet dixit).

                  1. E non so se mi sono già buttato sul biblico, ma mi pare molto buffo che Renzi, dopo aver giocato a fare il Faraone, si proponga ora come il Mosè guida del “suo” popolo nella traversata del deserto che egli stesso ha contribuito a creare.

    1. grazie del link.

      ot:

      Draghi spiega come si esce dall’euro: servono 312 miliardi subito

      Di quanto si parla? La frase di Draghi è in fondo ad una lettera in cui si spiegava perché l’Italia è fortemente indebitata con la BCE attraverso il sistema di pagamenti del Target 2 (un effetto indiretto del Quantitative Easing). Il debito con l’eurosistema della nostra banca centrale (come si ricava dallo stato patrimoniale della Banca d’Italia a dicembre 2016) è al momento pari a circa 356,5 miliardi di euro a cui vanno sottratti i crediti, per un indebitamento netto pari a 312 miliardi. Si tratta di quasi il 20% del nostro PIL.

      Questo debito non può in alcun modo essere ridenominato in lire perché non è sotto diritto nazionale. Inoltre dovrà essere estinto prima dell’uscita, perché le banche centrali non partecipanti all’euro (come sarebbe la Banca d’Italia dopo l’Italexit) non possono avere posizioni debitorie verso il sistema.

      1. Abbiamo sempre detto che l’euro è un marchingegno monetario nel quale avremmo fatto bene a non entrare. Ma i costi di uscita sono talmente impraticabili che l’unica strada sensata è quella di aggiustarlo in corsa. Ogni altra soluzione non è una soluzione, ma un problema molto più grande. Non si tratta di cedere alla logica thatcheriana del There Is No Alternative (TINA), ma di creare le condizioni per alternative che non siano peggiori della situazione attuale.

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