Month: marzo 2017
Il congresso dimezzato
segnalato da Barbara G.
Congresso Pd, primi circoli al voto. Precipita l’affluenza, anche nelle zone rosse. Renzi sopra il 60%
di Alessandro De Angelis – huffingtonpost.it, 25/03/2017
Un plebiscito per Renzi, ma in un congresso per pochi. Quotidianamente dal Nazareno viene diramato in agenzia il bollettino del plebiscito: al momento l’ex premier avrebbe raccolto quasi il 70 per cento dei consensi. L’altra faccia dei dati riguarda, però l’affluenza. Elisa Simoni, parlamentare toscana e sostenitrice di Orlando, ci va giù dura: “L’unico partito che era ritenuto tale è stato raso al suolo. Abbiamo perso iscritti e di quelli che abbiamo sta partecipando al congresso il 50 per cento, basta vedere i numeri. Altro che partito della Nazione… È rimasta la nazione, fuori da noi, ma il partito è morto”.
Al momento hanno votato circa 300 degli oltre 6mila circoli del Pd. I dati sono dunque ancora molto parziali in questa fase del congresso che si svolge tra gli iscritti, di qui al 9 aprile. Poi, la fase delle primarie aperte. Ma raccontano di un “trend”, soprattutto perché le zone più avanti nello svolgimento dei congressi sono le zone rosse. In tutti i circoli del bolognese che hanno votato finora, ad esempio c’è una flessione: a Zola Predosa i votanti rispetto allo scorso congresso sono passati da 63 a 17, al Pilastro da 41 a 25, a Minerbio hanno votato solo in 31 su 190 iscritti. Anche in regione, dove ha votato il 13 per cento del totale, si conferma il trend: a Rimini Ghetto Turco 24 votanti su 42 iscritti, a San Clemente 25 su 56, a Sant’Arcangelo-San Martino 31 su 69, a Saludecio 3 su 14, solo per citarne alcuni.
Un “trend” che secondo il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini non rappresenta un flop. Anzi, in un post su Facebook spiega che il tasso di partecipazione sarebbe salito.In verità i più sensibili al tema dell’affluenza, tenuto sottotraccia dai renziani interessati solo al chi vince, sono i sostenitori della mozione di Orlando, dove è confluito il grosso degli ex ds. Dice all’HuffPost il capogruppo in regione Stefano Caliandro: “Gli iscritti che stanno votando sono oggettivamente pochi. E questo è sintomo di un partito poco in salute. Parliamoci chiaro: un congresso avrebbe dovuto parlare al paese, coinvolgendo attori sociali, categorie, il mondo del lavoro e dell’impresa, e invece è stato scelto un altro percorso: una conta che interessa poco gli iscritti e praticamente nulla fuori”.
Effettivamente, questo congresso ha assai meno appeal, tensione politica, interesse mediatico del precedente. Basta leggere i giornali. I numeri lo registrano. Ora, è chiaro che il numero dei votanti è sempre inferiore a quello degli iscritti. Ma il punto è “quanto” inferiore. Stavolta siamo attorno al 50, il che significa che, avanti di questo passo, voterebbero 200 dei 420mila tesserati. Anche perché, tradizionalmente, le zone rosse sono quelle a più alta partecipazione.
Ovunque, nel centronord, Emiliano va malissimo. Su 15 circoli in Piemonte, scrutinati al 24 marzo ha preso un solo voto. Circoli dove si conferma la flessione della partecipazione: Dronero (provincia cuneo) dieci votanti su venti iscritti, Candelo 14 su 31, Bruino 17 su 33. Oggi, in attesa del sud, i primi dati davvero positivi per Emiliano. A Bussi e Spoltore in Abruzzo, feudi del parlamentare a lui vicino Antonio Castricone, ha vinto rispettivamente col 42 per cento e col 59. Votanti: 40 su 54 e 40 su 70.
Ovunque raccontano di un clima assai poco appassionato. In Emilia, terra dove il “segretario” raccoglie sempre percentuali bulgare, perché il partito è il partito e il riflesso d’ordine è forte, non solo non c’è la ressa dentro i circoli, ma il dibattito è moscio: “Un elemento – prosegue Caliandro – fa riflettere. Ci sono più volontari alle feste dell’Unità che votanti ai circoli. Significa che la comunità che si riconosce in un campo vasto della sinistra è più ampia di quella che viene a votare il segretario della Pd”. Finché dura: “Ieri – racconta la Simoni – è venuto un compagno e mi ha fatto vedere tutte le tessere del partito che aveva conservato dai tempi del Pci. Mi ha detto, con dolore: quest’anno non l’ho rinnovata. Che gli diciamo? Questo nelle zone rosse, mentre ci sono casi anomali di tesseramento nel Sud”. A Ribera, provincia di Agrigento, l’edizione palermitana di Repubblica è stata rinnovata la tessera a un morto. Ad Agrigento, Sciacca e Canicatti è stata avviata una verifica di un migliaio di nominativi. Nell’Isola è attesa la vittoria di Renzi con almeno il 65 per cento. Un plebiscito, appunto. Di un congresso per pochi.
Il Movimento 5 stelle non è più votabile
(Eppure è avanti nei sondaggi. Quanto può durare?)
segnalato da Barbara G.
di Paolo Flores d’Arcais – temi.repubblica.it/micromega-online, 18/03/2017
Nel numero di MicroMega da due giorni in edicola ho scritto [ma il testo è stato scritto oltre un mese fa n.d.r]: “Il M5S è un movimento carico di ambiguità, contraddizioni, difetti e magagne: predica ‘uno vale uno’ ma poi due vale più di tutti messi insieme (e uno dei due per merito dinastico)” seguono tre esempi e un “si potrebbe continuare a lungo”. Aggiungendo: “Ora in realtà il M5S dovrà scegliere. Proprio tra destra e sinistra. Non nel senso dei partiti, sempre più indistinguibili (…) ma certamente nel senso dei valori. D’altro canto se un movimento rinnova ogni giorno il suo peana alla Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista e col DNA ‘giustizia e libertà’ (…) non può poi contraddire questa scelta (…) come spesso sta accadendo. Se insiste nella contraddizione tra valori proclamati e azione politica, per il M5S l’implosione è inevitabile”.
Concludevo: “dovrà inventare forme di selezione dei candidati, e di partecipazione dei militanti, che non tracollino, come ormai troppe volte, in parodia della democrazia di base, fino alla tragica farsa. Perché democrazia non è premere il bottone like/dislike. Ogni risposta è condizionata (e talvolta comandata) dalla formulazione della domanda. Chi la controlla controlla ampiamente il voto. E il carattere democratico di un voto dipende dalla caratura della discussione, dalla sua ampiezza, dall’informazione critica che entra nel circuito, grazie al dovere dell’argomentazione reciproca: l’esatto opposto di quanto accade sul web. E la scelta dei candidati deve nascere dalla partecipazione alle lotte, dal contributo alla vita reale, del movimento: tutto ciò avviene faccia a faccia, nelle riunioni, non nell’anonimato del web. Dove – se va bene – si realizza un casting da show televisivo alla De Filippi o da ammiccamento su facebook o instagram per acchiappare e accattivarsi più ‘amici’. Procedure lontane anni luce dalla selezione democratica dei candidati”.
Ma ieri Grillo è andato oltre. Ha annullato le “comunarie” di Genova, che si tenevano con un sistema complicato, magnificato da Grillo come il migliore e da prendere a modello, non appena il risultato si sia scostato da quello previsto (non ha vinto il suo preferito). A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un’oncia di onestà.
Del resto, la democrazia nei partiti è sempre stata ed è, in realtà, una forma di cooptazione. Nel Pci si chiamava “centralismo democratico”, nel Psi era una democrazia di correnti (prima di Craxi, corretta dal 1980 con dosi massicce di cleptocrazia), nella Dc una poliarchia di clientele. Vorrà dire che il M5S lancia la formula del centralismo monocratico, o più esattamente della mono-e-tanticchia-crazia, a seconda di quanto potere volta a volta Grillo decida di conferire a Casaleggio jr.
In un numero precedente di MicroMega mi ero domandato fino a quando si sarebbe potuto votare ancora M5S: con rammarico, perché altri voti non di regime non se ne vedono. La misura era dunque già colma. L’ukase defenestratorio di Genova costituisce la goccia che fa traboccare il vaso: nemmeno il M5S è più votabile. La prossima volta, a meno di nuove liste di cui per il momento non si vede, e nemmeno intravede, ombra, per chi prenda sul serio la Costituzione, con i suoi valori intransigenti di giustizia e libertà, diventerà ragionevole non votare.
Scelta terribile, perché significa affidare la decisione agli altri elettori, rinunciare all’esercizio della propria sovranità elettorale. Ma cos’altro resta da fare, quando venga meno anche la possibilità del “meno peggio”, e sotto tutti i profili essenziali di negazione dei valori costituzionali tutte le liste abbondino e debordino?

Sorpasso e decollo M5S. Il fortino di Renzi restringe i confini del PD.
Nel giorno in cui il più importante quotidiano del Paese mette in stampa i risultati del sondaggio che sancisce il consenso senza precedenti del M5S (32,3%) e il precipitare del PD ormai quasi a livelli da Bersani 2013 (26,8%), l’uomo solo al comando Renzi decide di impartire al padre-padrone Grillo una lezione di democrazia.
Consolidati o meno che siano, i 5,5 punti di distacco elaborati da Ipsos (ma il sorpasso è comunque un dato comune in diverse rilevazioni), vengono legittimamente evidenziati dal Corriere della Sera come fatto politico di portata assoluta, e provocano in Matteo Renzi una reazione che, sfruttando il congresso PD, prende corpo con queste parole:
“Da Bagnacavallo a San Giorgio a Colonica, da Volpago di Treviso fino a Carpi, da San Martino in Rio che è in provincia di Reggio Emilia fino al circolo Pd di San Paolo del Brasile ieri i primi circoli si sono espressi…
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Non lasciamo la sinistra sotto le macerie
segnalato da Barbara G.

Alfredo Reichlin – da ilmanifesto.it
di Alfredo Reichlin – unita.tv, 14/03/2017
Sono afflitto da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe. Mi sento di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese.
Non ci sono più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la quale si rivela impotente quando deve affrontare non i giochi di potere ma la cruda realtà delle ingiustizie sociali, quando deve garantire diritti, quando deve vigilare sul mercato affinché non prevalga la legge del più forte. Stiamo spazzando via una intera generazione.
Sono quindi arrivato alla conclusione che è arrivato il momento di ripensare gli equilibri fondamentali del paese, la sua architettura dopo l’unità, quando l’Italia non era una nazione. Fare in sostanza ciò che bene o male fece la destra storica e fece l’antifascismo con le grandi riforme come quella agraria o lo statuto dei lavoratori. Dedicammo metà della nostra vita al Mezzogiorno. Non bastarono le cosiddette riforme economiche. È l’Italia nel mondo con tutta la sua civiltà che va ripensata. Noi non facemmo questo al Lingotto. Con un magnifico discorso ci allineammo al liberismo allora imperante senza prevedere la grande crisi catastrofica mondiale cominciata solo qualche mese dopo.
Anch’io avverto il rischio di Weimar. Ma non do la colpa alla legge elettorale, né cerco la soluzione nell’ennesima ingegneria istituzionale: è ora di liberarsi dalle gabbie ideologiche della cosiddetta seconda Repubblica. Crisi sociale e crisi democratica si alimentano a vicenda e sono le fratture profonde nella società italiana a delegittimare le istituzioni rappresentative. Per spezzare questa spirale perversa occorre generare un nuovo equilibrio tra costituzione e popolo, tra etica ed economia, tra capacità diffuse e competitività del sistema.
Non sarà una logica oligarchica a salvare l’Italia. È il popolo che dirà la parola decisiva. Questa è la riforma delle riforme che Renzi non sa fare. La sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e della possibilità che questo resti aperto, agibile dalle nuove generazioni. Quando parlai del Pd come di un «Partito della nazione» intendevo proprio questo, ma le mie parole sono state piegate nel loro contrario: il «Partito della nazione» è diventato uno strumento per l’occupazione del potere, un ombrello per trasformismi di ogni genere. Derubato del significato di ciò che dicevo, ho preferito tacere.
Tuttavia oggi mi pare ancora più evidente il nesso tra la ricostruzione di un’idea di comunità e di paese e la costruzione di una soggettività politica in grado di accogliere, di organizzare la partecipazione popolare e insieme di dialogare, di comporre alleanze, di lottare per obiettivi concreti e ideali, rafforzando il patto costituzionale, quello cioè di una Repubblica fondata sul lavoro. Sono convinto che questi sentimenti, questa cultura siano ancora vivi nel popolo del centrosinistra e mi pare che questi sentimenti non sono negati dal percorso nuovo avviato da chi ha invece deciso di uscire dal Pd. Costoro devono difendere le loro ragioni che sono grandi (la giustizia sociale) ma devono farlo con un intento ricostruttivo e in uno spirito inclusivo. Solo a questa condizione i miei vecchi compagni hanno come sempre la mia solidarietà.
La nostra Europa
La nostra Europa – Unita, Democratica, Solidale
In occasione dei sessanta anni dalla firma dei trattati di Roma ci riuniamo, consapevoli che, per salvare l’Europa dalla disintegrazione, dal disastro sociale ed ambientale, dalla regressione autoritaria, bisogna cambiarla.
Un grande patrimonio comune, fatto di conquiste e avanzamenti sul terreno dei diritti e della democrazia, si sta disperdendo insieme allo stato sociale, a speranze e ad aspettative.
Negli ultimi anni, con trattati ingiusti, austerità, dominio della finanza, respingimenti, precarizzazione del lavoro, discriminazione di donne e giovani, anche in Europa sono cresciute a dismisura diseguaglianza e povertà.
Oggi siamo al bivio: fra la salvezza delle vite umane o quella della finanza e delle banche, la piena garanzia o la progressiva riduzione dei diritti universali, la pacifica convivenza o le guerre, la democrazia o le dittature. Crescono sfiducia, paure ed insicurezza sociale. Si moltiplicano razzismi, nazionalismi reazionari, muri, frontiere e fili spinati.
Un’altra Europa è necessaria, urgente e possibile e per costruirla dobbiamo agire. Denunciare le politiche che mettono a rischio la sua esistenza, esigere istituzioni democratiche sovranazionali effettivamente espressione di un mandato popolare e dotate di risorse adeguate, il rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali, difendere ciò che di buono si è costruito, proporre alternative, batterci per realizzarle, anche nel Mediterraneo e oltre i confini dell’Unione.
Ci vuole un progetto di unità europea innovativo e coraggioso, per assicurare a tutti e tutte l’unico futuro vivibile, fondato su democrazia e libertà, diritti e uguaglianza, riconoscimento effettivo della dimensione di genere, giustizia sociale e climatica, dignità delle persone e del lavoro, solidarietà e accoglienza, pace e sostenibilità ambientale.
Dobbiamo essere in grado di trasformare il “prima gli italiani, gli inglesi i francesi”, in “prima noi tutte e tutti”, europei del nord e del sud, dell’est e dell’ovest, nativi e migranti, uomini e donne.
Ripartiamo da qui, da Roma, uniti e solidali, per costruire quel campo che, oltre le nostre differenze, nel nostro continente e in tutto il mondo, sappia essere all’altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Invitiamo ad aderire a questo appello, a promuovere e inserire in questa cornice comune eventi e appuntamenti nel prossimo periodo in Italia e in tutta Europa, a essere a Roma il 23.24.25 marzo per mobilitarci in tante iniziative, incontri, azioni, interventi nella città e realizzare una grande convergenza unitaria.
Un New Deal europeo
segnalato da Barbara G.
Varoufakis pronto a lanciare a Roma il primo partito transeuropeo
Con lui il cofondatore di Podemos Juan Carlos Monedero, il vicepresidente del parlamento spagnolo Marcelo Exposito, la verde tedesca Ska Keller. Per l’Italia, in prima fila il sindaco di Napoli Luigi De Magistris
di Andrea Carugati – lastampa.it, 16/03/2017
Da Yanis Varoufakis, accompagnato dalla guest star Ken Loach, fino ai movimenti sovranisti dell’estrema destra, passando per gli ultraeuropeisti come Emma Bonino e Guy Verhofstadt. Il 24 e 25 marzo, in occasione del Consiglio europeo per i 60 anni dai Trattati, Roma sarà attraversata da cortei ed eventi che rappresentano tutte le sfumature politiche e sentimentali verso l’Ue.
L’ex ministro greco la sera del 25, al termine delle celebrazioni ufficiali, al teatro Italia lancerà il primo partito transeuropeo come evoluzione del movimento Diem25 da lui fondato un anno fa. Oltre al regista britannico, icona delle sinistre europee, ci saranno vari partner politici come il cofondatore di Podemos Juan Carlos Monedero, il vicepresidente del parlamento spagnolo Marcelo Exposito, la verde tedesca Ska Keller e (ancora in forse) il candidato socialista alle presidenziali francesi Benoit Hamon. Per l’Italia, in prima fila il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e Anna Falcone, tra i portavoce del comitato per il No al referendum del 4 dicembre. Attesi anche Nicola Fratoianni, Stefano Fassina e Pippo Civati.
«Abbiamo 60mila iscritti in Europa di cui 8mila in Italia, e non ci rivolgiamo solo alle forze di sinistra», spiega Lorenzo Marsili, tra i fondatori di Diem25. «Tra i sovranisti e chi difende lo status quo di questa Ue serve una terza via. Il nostro è un pensiero critico di chi non rinuncia all’Europa».
L’evento si terrà al termine del Consiglio europeo da cui uscirà rafforzata l’idea di una Ue a più velocità. «Non abbiamo bisogno di un’Europa a più velocità, ma con una differente direzione di marcia», spiega Varoufakis. Il suo gruppo lancerà 10 proposte per un New deal europeo. «Proposte subito realizzabili, senza bisogno di modificare i Trattati», spiega Marsili. Tra queste un piano di riconversione ecologica «in grado di produrre milioni di posti di lavoro a livello continentale», un piano anti-povertà «gestito dalla Bce» e uno di edilizia pubblica.
I seguaci di Varoufakis si uniranno il 25 marzo al corteo da Piazza Vittorio al Colosseo, organizzato da “La nostra Europa”, una rete di associazioni e reti italiane ed europee di cui fanno parte anche Arci, Cgil e Legambiente. L’obiettivo è combattere contro le «politiche di austerità che hanno prodotto diseguaglianze e insicurezza, mettendo a rischio un patrimonio comune di conquiste e democrazia».
Al Colosseo arriverà anche la Marcia per l’Europa organizzata dai movimenti federalisti, che partirà alle 11 dalla Bocca della verità. Una marcia che mira a fare dell’anniversario dei Trattati di Roma del 1957 l’occasione «per andare oltre gli attuali Trattati, verso un’unione federale del popolo europeo». Con i federalisti ci sarà anche Emma Bonino, che ha lanciato con Benedetto della Vedova e la sigla “Forza Europa” un appello a tutti gli europeisti dal titolo “Un impegno per l’Europa”. “Bisogna far sentire la voce di chi crede nell’Europa contro il pensiero unico euroscettico”, spiegano. «Noi siamo per la Ue senza se e senza ma». La mattina del 25, in concomitanza col vertice Ue, i movimenti federalisti hanno organizzato un convegno al centro congressi Alibert di piazza di Spagna con Romano Prodi, Eugenio Scalfari, la Bonino e il leader dell’Alde Guy Verhofstadt.
Sabato caldissimo anche per gli antieuropeisti. Il loro corteo partirà alle 15 da Santa Maria Maggiore in direzione Colosseo. Per l’Italia i più attivi sono Francesco Storace e Gianni Alemanno. «Porteremo la nostra protesta contro il super-Stato burocratico e asservito alla Germania di quest’Europa che ha tradito gli ideali dei Trattati», spiega l’ex sindaco di Roma. Al corteo ci sarà anche una delegazione di “Noi con Salvini”.
La frase del giorno
La paura fa #novoucher
segnalato da Barbara G.
Voucher aboliti per evitare il referendum Cgil. Ma Gentiloni vuole riaprire la concertazione per cercare strumenti alternativi
di Angela Mauro – huffingtonpost.it, 16/03/2017
Una svolta così a sinistra non se l’aspettava nemmeno uno come Giorgio Airaudo, parlamentare di Sinistra Italiana in commissione Lavoro, padre dell’emendamento per l’abolizione totale dei voucher, l’unico così netto fino a qualche giorno fa. “E invece la maggioranza abolisce i voucher, hanno presentato un emendamento come il nostro… Il governo si è arreso, anzi direi che si è auto-affondato”, esulta Airaudo. Il governo in effetti domani eliminerà i voucher per decreto, nel tentativo di annullare il referendum chiesto dalla Cgil. Ma da qui alla fine dell’anno tornerà alla carica con altri strumenti. A differenza del governo Renzi però, Paolo Gentiloni lo farà aprendo un confronto con le parti sociali.
La commissione Lavoro è chiamata a votare l’emendamento della Dem Patrizia Maestri: abolizione totale dei voucher, con una norma transitoria. Vale a dire: chi li ha già acquistati potrà usarli fino al 31 dicembre. E’ l’unica differenza con l’emendamento di Airaudo, che proponeva una transizione fino a giugno. Tutti gli altri emendamenti presentati decadono. La sinistra esulta, dalla Cgil agli ex Pd e la sinistra tutta in Parlamento. I centristi di maggioranza sono arrabbiati, insieme al centrodestra e soprattutto Confindustria e anche Confesercenti. Il Pd si spacca, ma non scoppia la polemica. Perché l’obiettivo di tutti è annullare il referendum della Cgil calendarizzato per il 28 maggio. E in questo modo dal Nazareno a Palazzo Chigi pensano di esserci riusciti.
Domani il consiglio dei ministri recepirà il testo della commissione con un decreto che conterrà anche modifiche alla normativa sugli appalti, oggetto del secondo quesito referendario. Se ne sta occupando in prima persona il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Obiettivo: annullare proprio tutto il referendum.
Insomma, che succede? Paolo Gentiloni è diventato improvvisamente Che Guevara? La maggioranza di governo che ha approvato il Jobs Act ha improvvisamene cambiato colore, trasformandosi in avanguardia comunista? Niente di tutto ciò. Dietro la scelta di abolire i voucher c’è solo un calcolo politico: meglio battere in ritirata che rischiare un altro 4 dicembre.
Matteo Renzi ha cominciato a temere la concorrenza a sinistra sulle primarie. Il presidente della Commissione Cesare Damiano, che stava lavorando ad un compromesso di maggioranza, è stato completamente bypassato dalla scelta del governo di azzerare tutto: via i voucher tout court. E Damiano non a caso appoggia il candidato alla segreteria Andrea Orlando: domenica hanno in programma un’iniziativa pubblica proprio sul lavoro.
Insomma il rischio di contraccolpo c’era anche sulla corsa per le primarie Pd. Da qui la scelta netta che fa infuriare gli alleati di governo. “E’ schizofrenia legislativa”, tuona Maurizio Sacconi, presidente della Commissione lavoro di Palazzo Madama e senatore di Ncd. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia insiste: “Meglio affrontare il referendum che eliminare del tutto i voucher!”.
Ma il quadro non resterà così per sempre. L’idea del governo è di lasciar passare la bufera e tornare sul tema, alla ricerca di un’alternativa ai voucher. Il capogruppo del Pd Ettore Rosato la mette così: “La scelta del Pd è stata di lavorare per superare il referendum con norme radicali con un breve periodo di transizione. In questo lasso di tempo lavoriamo per nuove norme che mettano uno strumento a disposizione delle famiglie per pagare ciò che oggi si paga con i voucher e delle imprese per accedere in modo più semplice al mercato del lavoro”. Lo si farà con un “confronto con le parti sociali” alla ricerca di “norme efficaci che evitino gli abusi registrati sui voucher”.
E’ la promessa di un’altra svolta. Se a sinistra, non si sa. Ma certo va a ripescare la concertazione con le parti sociali laddove l’ex premier Matteo Renzi l’aveva eliminata.