segnalato da Barbara G.
25 anni fa la strage di Capaci, l’agente sopravvissuto: “Hanno distrutto un mondo”
di Paolo Borrometi – antimafiaduemila.com, 22/05/2017
“Per distruggere una persona hanno distrutto un mondo. Ricordo che Falcone scendendo dall’aereo aveva in mano una valigetta, ma di quella valigetta non si parla mai e non verra’ piu’ trovata. Lui era solito tornare con quella valigetta, di cui fara’ menzione anche l’autista giudiziario, Costanza. Dove e’ finita? Che cosa aveva dentro? Sarebbe giusto rispondere anche a questi interrogativi”. A parlare con Paolo Borrometi per l’AGI è Angelo Corbo, uno dei tre poliziotti sopravvissuti alla strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Angelo Corbo ricorda quel 23 maggio come “una giornata splendida. La classica giornata di una terra baciata dal sole e cullata dal mare. Quel giorno ero euforico. Avevo giocato al Totocalcio e avevo detto ad Antonio Montinaro, che mi chiedeva il perche’ della mia insolita euforia, che ero sicuro di fare il 13 che avrebbe cambiato la mia vita. Questa affermazione mi pesa ancora oggi, mi pesera’ finche’ la morte non mi chiamera’”.
“Giovanni Falcone con la moglie, la dottoressa Morvillo, scese dall’aereo e si mise alla guida della croma, con l’autista giudiziario, Giuseppe Costanza, seduto dietro. Noi pensavamo gia’ alla giornata dell’indomani. All’improvviso, pero’, cambiò tutto. Ricordo le parole del caposcorta di quel giorno, Gaspare Cervello, che disse ‘cazzo, perchè rallenta cosi’ tanto?’. Poi sentii un fortissimo boato, la sensazione di volare e sbattere all’interno della croma. E massi, tanti massi, che ci cadevano addosso. Scendemmo subito dalla macchina – racconta Angelo Corbo – e davanti a noi quella che doveva essere l’autostrada era diventata un paesaggio lunare.
Quell’aria splendida, celeste, di quella giornata era diventata marrone. Vedevo il mio sangue che colava e all’improvviso la macchina di Falcone a metà. Ci avvicinammo a quella macchina e, insanguinati e con diverse fratture (io il naso rotto, il collega il braccio), riprendemmo il nostro lavoro: proteggere il giudice Falcone. Pur con la consapevolezza che non potevamo piu’ difendere nessuno, per le condizioni in cui ci trovavamo. Sapevamo che loro non avrebbero lasciato incompiuta l’opera, ci aspettavamo che scendessero in campo per finirci. Falcone era ancora vivo, ricorderò per sempre che si girò verso di noi e ci guardò con gli occhi imploranti. Noi eravamo li’, non riuscivamo ad aprire la macchina, così ci rimase solo di fare scudo”. Corbo sapeva sin da giovane quanto la mafia fosse feroce, lo capi’ quando il 7 ottobre 1986 Claudio Domino, suo compagno di giochi, “venne freddato con un colpo alla testa, alla tenera eta’ di 11 anni”. Ed e’ anche per questo motivo che Angelo Corbo decise di entrare in Polizia. “Dopo due anni, nel 1990, venni chiamato dal capo della Mobile, La Barbera, mi disse che dovevo far parte della scorta di Falcone per una ventina di giorni. Da allora passarono quasi tre anni fino a quelle 17:58 del maledetto 23 maggio 1993”.
Corbo lascia scorrere i suoi dolorosi ricordi e racconta che da quel giorno sono stati diversi i tentativi di diminuire il livello di sicurezza del giudice e della sua scorta: “All’inizio avevamo a disposizione 21 uomini, fucili a pompa, auto blindate, radio specializzate e un elicottero che ci sorvolava sulla testa, ci ritrovammo nel ’92 con appena 12 uomini”. Inoltre “a volte ci levavano le pettorine e spesso anche le macchine blindate”. “Avevo la consapevolezza di essere impreparato, non avevo fatto nessun corso scorte ma avevo l’orgoglio di scortare Falcone”. Il lavoro con il giudice, rivela Corbo all’AGI, “era molto difficile. Stavamo con lui 20 ore al giorno, perchè lavorava dalle 7 del mattino alle 10 di sera. Non permetteva un rapporto di amicizia fra lui e noi. Era una persona meravigliosamente professionale e pretendeva un’enorme professionalità da noi che lo dovevamo proteggere”.
Fra i ricordi piu’ belli per il poliziotto c’e’ l’intesa fra Falcone e la moglie. “In quei due anni e mezzo ricordo il loro rapporto come dolcissimo. Ricordo i loro sorrisi, la loro complicità, erano una coppia molto affiatata, sembravano un’unica persona e sono sicuro che, come hanno vissuto insieme, avrebbero voluto rimanere insieme anche nella morte. Diciamocelo, separarli oggi è stata una bastardata”.
Corbo prosegue con amarezza il racconto di un sopravvissuto, dando la sensazione che si senta addosso la responsabilita’ del non essere morto, anche lui, quel 23 maggio a Capaci. “L’essere sopravvissuti è stata una colpa. Sappiamo tutti quanti che per lo Stato fa più piacere che, in casi del genere, non ci siano sopravvissuti, testimoni. Sembra quasi che lo Stato e le istituzioni vogliano nascondere di aver sbagliato, perchè se noi siamo rimasti vivi hanno sbagliato. Il problema, comunque, è che noi ci sentiamo in colpa perchè siamo vivi, mentre i nostri colleghi e la persona che dovevamo proteggere sono morti”. Da allora per loro, sopravvissuti, solo “dimenticanze”. “Mai invitati e anche quest’anno, a 25 anni da Capaci, nessuno di noi ha ricevuto una telefonata per chiederci di partecipare a quelle che definiamo le ‘Falconiadi’, delle vere e proprie sfilate”.
Angelo Corbo non è tenero neanche con Maria Falcone, sorella di Giovanni: “Di noi non le è mai fregato nulla. Non si è mai degnata di considerarci, e dire che siamo state le ultime persone che hanno visto in vita il fratello. E’ giusto che lei faccia di tutto per ricordare il fratello, ma dovremmo avere sempre presente che all’epoca fu abbandonato da tutti. Non potrò mai scordare come in quegli anni il dottor Falcone venne denigrato e ostacolato in tutto, perchè era diventato un personaggio scomodo: veniva trattato come una pezza da piedi. Oggi, invece, viene celebrato da persone che amici suoi sicuramente non lo erano e anche lei, Maria Falcone – spiega Corbo -, oggi ha accanto persone che tutto erano fuorche’ amici del dottore”.
Angelo Corbo oggi è “molto diverso dalle 17:58 di quel 23 maggio. Ho avuto bisogno, ma nessuno ha mai alzato un dito, nessuno mi ha mai aiutato”. Infine un sogno, lo stesso di padre in figlio: “Manuel, mio figlio, sogna di diventare poliziotto, nonostante tutto. Io, da padre, sono orgoglioso – conclude -, ma purtroppo sta prendendo molte porte in faccia: sta pagando l’essere figlio mio”.
ho trovato interessante questo commento di mattia feltri:
Non avranno il nostro amore e apprendono che non avranno il nostro odio, ha scritto ieri Giuliano Ferrara. In effetti, dopo ogni attentato, ai combattenti jihadisti offriamo un dispiegamento di forze fatto di fiori, cuoricini, dediche a gessetto sul selciato, Imagine di John Lennon cantata in coro, ieri le orecchie da gatto (o coniglietto) di Ariana Grande. Sono tutti gli orpelli dei nostri sentimenti che di metafisico non hanno più nulla.
Non offriamo né amore né odio perché non siamo più capaci né di vette né di abissi del pensiero, ormai privi di senso del tragico. La nostra letteratura, la nostra musica, la nostra architettura sono esercizi di stile e di armonia, senza febbre della sfida e della grandezza. Siamo diventati intarsiatori di cornici senza dipinto. Scriviamo editoriali per dire che la nostra vittoria sarà non cambiare la nostra vita. Continuare ad andare a teatro, al cinema, al bar, al ristorante, perché è la nostra vita, e nessuna minaccia la deve incrinare.
È la nostra vita perfetta, non c’è dubbio, finalmente emancipata dalla sete di sangue e di gloria che ha animato l’Europa per millenni. Abbiamo ucciso Dio, fatto le rivoluzioni, codificato i diritti universali dell’uomo. Scriveva Emil Cioran che poi queste idee ci sono venute a noia. «Tenere più alla propria pelle che a un’idea», ecco il segno preciso del declino di vitalità. Scriveva che si medita e si specula nei bistrot a proposito della cottura della bistecca e della rotondità del vino. Non c’è niente di più pacificante. È che poi nei bistrot ci entrano, e sparano.
interessante perché non lo condivido nella sua profondità. e sono così agli antipodi che nemmeno devo chiosare alcunché. perché la mia posizione è già espressa da ciò che lui critica. nel dubbio, anche con le orecchie di coniglio
«Tenere più alla propria pelle che a un’idea», ecco il segno preciso del declino di vitalità
sarà. ma se proprio devo scegliere, seguo sempre il maestro:
Un narciso depresso.
@Heiner
Mi ha incuriosito questa Tua frase:
“ci credo. ma non leggo più romanzi da molto. non sono un lettore di romanzi. l’ho capito tardi ma l’ho capito.”
Riesci a tradurla in maniera semplice ?
è che mi sono reso conto che mi piacciono più altre cose. per un periodo faceva parte anche del ‘lavoro’, per così dire, e quindi andava anche bene, e poi, forse, ero più legato alla letteratura – leggevo soprattutto poesie, cosa che non faccio più e mi dispiace un po’.
ora che le cose sono cambiate e i tempi per la lettura libera sono ristretti preferisco leggere altre cose. saggistica (in questo momento saggistica musicale), autobiografie (musicisti, scrittori, cineasti, artisti in genere), epistolari (vedi sopra)
Che strano, proprio in questi giorni pensavo alla “Poesia” che sembra essere scomparsa (ovviamente grazie al proliferare di poeti in ogni dove al pari di giornalisti, scrittori, critici, scienziati del giovedì pomeriggio e portavoce del martedì mattina). Ho ricordato l’assurda disciplina che seguivo da adolescente (leggere in contemporanea, sempre, poesie, romanzi, saggi, giornaletti e carta igienica per mantenere una sorta di equilibrio e non diventare un pollo d’allevamento, lo stesso ovviamente nel temperare l’attività politica con partite di carte, bigliardino, bigliardo e un ragionevole numero di cazzate con i miei amici). Vabbè, nostalgie del sesto decennio dove si palesa la frase di Leonardo che mi colpì così tanto non ancora da adolescente: “mentre credevo di imparare a vivere imparavo a morire”. Ovviamente mi merito e mi aspetto: “Antò fa caldo….”.
“La notte lava la mente.
Poco dopo si è qui come sai bene,
file d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.” (M.L.)
sì, la poesia è scomparsa, almeno come mezzo artistico (relativamente) di massa.
su questo ci sono varie teorie. su una di queste mi scazzai qualche tempo fa con ciarli (secondo me parlavamo semplicemente di cose diverse, ma tant’è).
per quanto riguarda me è la mancanza di tempo. non che mi manchi in assoluto (potrei rubarlo a queste poche cazzate che scrivo qui), ma per leggere poesia ho bisogno di
T AAAAA N T OOOOO tempo.
mi limito a quelle delle amiche (amici)
Dicevo insomma riga dritto il fronte compatto dei dementi
niente di nuovo alletta il fronte occidentale:
le fronti coperte di pelle in polvere corrugano,
diserbando, staccando arbusti, e vane colluttazioni,
a cedimenti di guance smunte, gli ultravioletti
di guerra corruschi annunciano signorine mezzobusto,
con povere alla polvere ceneri nonviolente di dispersi,
pinchi pallini bifidi tra infidi batteri, tu spàrati un
paradiso artificiale e restaci se hai il coraggio
di circondarti di veline scure, irsute e insistenti scassa-
arpe metriche e petecchie, dardi codardi, avanzi pimpanti
di guantanamera, bandiera rossa, faccetta nera.
Ieu sui Arnautz qu’amas l’aura
e chatz la lebre ab lo bou
e nadi contra suberna.
Ma l’amore può falsificare qualsiasi lingua inventandone una differente…
Certo, ci vuole tempo. Bisogna sedurre il suono, il senso e il tempo stesso.
Ei cominciò liberamente a dire…
Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!
Poi s’ascose nel foco che li affina.
ps: Dante non conosceva la lingua occitana.
E… comunque vada panta rei and singing in the rain.
http://www.trobar.org/troubadours/arnaut_daniel/arnaut_daniel_13.php
Il link anticipato: Howard Zinn “Contro lo scoraggiamento”
http://znetitaly.altervista.org/art/22336
Le culture sono come le cipolle… tanti strati.
Quanti strati nelle culture cristiane, dal credente/praticante all’ateo?
[mai conosciuto un (ex?) induista, giainista o buddhista ateo…]
Quanti strati nella cultura islamica, dall’amico al ‘nemico’ musulmano?
Another layer and layers and layer, oh no…
I convertiti (di qualunque tipo) sono i peggiori. Sono integralisti.
Ho l’impressione che sia così anche in politica
Hai l’impressione? Come sei buona Barbara!!! E’ dalla fine della prima repubblica che i “convertiti” in politica si sono moltiplicati ad libitum. Sono sicuramente i peggiori perchè in queste conversioni non c’è nulla di ideologico o di fideistico.E’ solo la volontà di salire sul carro del vincitore ( o presunto tale) per accaparrarsi pezzi di potere , vantaggi economici o, semplicemente, un posto sicuro da parlamentare. Sono i peggiori perchè diventano servili oltre ogni limite del pudore e del buon senso allo scopo di acquisire meriti nei confronti del potente di turno. Esempi? Quanti ne vuoi e poi li conosciamo tutti. E questi sarebbero quelli che ci dovrebbero salvare………………………………
ero ironica, ovviamente 😉 hai presente Migliore?