Dammi il cinque

segnalato da Barbara G.

Governo Rosatellum

Legge elettorale. Senza maggioranza, ma con cinque fiducie. Gentiloni si salva al senato grazie ai dissidenti Pd che non affondano il colpo e ai senatori di Verdini (e alla fine arriva anche il soccorso di Calderoli). Napolitano attacca la riforma e la decisione di Renzi di strappare – “sul presidente del Consiglio pressioni fortissime” – ma invita a salvare l’esecutivo. In aula tanta tattica, proteste, gestacci e una rissa sfiorata

di Andrea Fabozzi – ilmanifesto.it, 26/10/2017

I numeri dicono che il governo Gentiloni non ha la fiducia del senato. Alle sei di ieri sera nell’ultima votazione sulla legge elettorale è sceso fino a 145 voti, ai quali vanno tolti i 13 dei verdiniani che non sono formalmente in maggioranza. Ma che nei nei momenti drammatici, come questo sul Rosatellum, scattano in soccorso. La sostanza è però un’altra: la riforma elettorale, la seconda in questa legislatura, è cosa fatta (oggi il via libera definitivo). «Siamo sicuri che possa reggere a lungo?» è la domanda che ha rivolto all’aula Giorgio Napolitano. La sua risposta evidentemente è no.

In una pausa dei lavori d’aula, il senatore Calderoli spiega di condividere la preoccupazione: «Anche di questa legge si occuperà la Corte costituzionale». Autore della prima riforma elettorale bocciata dalla Consulta – il celebre Porcellum – non ha smesso di detestare politicamente l’ex capo dello stato, ma è l’unico leghista seduto al suo posto quando Napolitano interviene. L’aula ha un raro momento di silenzio, il presidente emerito – 92 anni – parla da seduto: per lui una lampada speciale, un bicchiere d’acqua, fazzoletti e una lente d’ingrandimento. Il testo del discorso è scritto in caratteri molto grandi, le parole di critica sono molto forti ma controllate negli effetti. «Gentiloni è stato soggetto a forti pressioni, mi rammarico della decisione di porre la fiducia ma lo sostengo». Per il presidente che accompagnò Renzi durante tutte le forzature su Italicum e riforma costituzionale nessuna autocritica: il problema della «drastica compressione dei diritti e del ruolo dell’istituzione e dei singoli parlamentari» è una questione «delle ultime settimane». L’ex capo dello stato si preoccupa di non mettere in imbarazzo l’attuale, che presto dovrà promulgare la legge. Lo cita, eppure demolisce la persistenza nel Rosatellum della figura del capo della forza politica che «adombra un’elezione diretta del capo del governo». E giustamente corregge tante chiacchiere: «Non è mai stata affrontata di fronte alla Consulta l’obiezione di incostituzionalità sulla fiducia» per le leggi elettorali. Come dire: succederà.

Nel frattempo le fiducie scivolano via una dopo l’altra, grazie all’articolato sistema di protezione messo in piedi da Pd, Lega e Forza Italia. Per ogni votazione abbassano il numero legale una quarantina di senatori in congedo (malati) o in missione: la metà sono forzisti e leghisti che hanno l’alibi dei lavori della neonata commissione sulle banche, l’unica autorizzata a convocarsi anche durante le fiducie. In questo modo aiutano la maggioranza a tenere basso il numero legale che resta fissato a 143 senatori. Aiuta anche la decisione di sette senatori dissidenti Pd (Chiti, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ruta, Tocci e Turano), diventati nove nell’ultima votazione (con l’aggiunta di Longo e Giacobbe), di dissentire senza sabotare: sfilano sotto la presidenza segnalando la loro presenza in aula (e quindi contribuendo al numero legale) ma l’intenzione di non votare. Serve anche il definitivo approdo alla maggioranza di tre senatori ex Si e M5S (Stefano, Uras e Orellana). Ma più di tutti contribuisce la scelta dei verdiniani di votare sempre la fiducia: su 14 senatori di Ala 13 votano sì e uno è in congedo. Senza il gruppo Verdini e la «fazione Chiti» il numero legale sarebbe mancato ad ogni votazione. Salvo che nell’ultima – la quinta fiducia – quando è arrivato anche il soccorso di otto senatori leghisti e sei forzisti (tra i quali l’eterno Scilipoti) comandati in aula a votare no da Calderoli, messo in allarme dalla decisione di M5S, Sinistra italiana e Mdp di uscire dall’aula.

L’appoggio del gruppo di Verdini, politicamente assai rilevante, non si può dire che sia stato numericamente determinante per il numero legale. Le due votazioni più delicate per il governo sono state la terza e l’ultima. Alla terza votazione hanno partecipato 217 senatori, così divisi: 148 sì, 61 no, 8 presenti e non votanti di cui sette con Chiti e uno il presidente Grasso. Se i 13 verdiniani non avessero partecipato, e i 61 contrari, avendolo notato dopo la prima chiama, avessero deciso di non rispondere per tentare lo sgambetto, il numero legale si sarebbe fermato a 143 (135 più 8), cioè esattamente al minimo necessario. Dunque votazione comunque valida. Ma è un calcolo teorico, perché tra i 61 contrari ci sono alcuni senatori (uno di Fratelli d’Italia, una di Gal e uno del Pd) che non avrebbero partecipato alla tattica dell’uscita dall’aula. Al quinto voto di fiducia, invece, hanno partecipato 172 senatori, così divisi: 145 a favore, dieci presenti e non votanti (9 con Chiti e uno il presidente Grasso) e 17 contrari. Con i senatori di Ala fuori dall’aula avremmo avuto 132 voti a favore, ma comunque 159 partecipanti al voto (e dunque il numero legale) perché il gruppo Chiti non sarebbe uscito e tra i 17 contrari stavolta, oltre ai tre già citati, ci sono stati 8 leghisti e 6 di Forza Italia arrivati proprio per garantire il numero legale. In precedenza, sulle altre fiducie, grillini e sinistre hanno aspettato che il numero legale fosse raggiunto prima di scendere nell’emiciclo a votare no (con qualche senatore disattento inseguito e fisicamente bloccati dai colleghi che tenevano la conta).

A questa tattica i grillini hanno aggiunto un bel po’ del consueto colore, compresa una semi aggressione al segretario d’aula del Pd Russo in favore di telecamera (collegata in diretta con la piazza di Grillo). Diversi senatori a 5 Stelle, infatti, hanno votato coprendosi gli occhi con le mani, o addirittura bendati, o stracciando una copia della legge elettorale, o gridando contro Verdini; il senatore Giarrusso ha direttamente fatto il gesto dell’ombrello verso i banchi di Ala – al senatore D’Anna non è parso vero poter replicare con gli interessi. A quel punto Russo ha gridato «siate seri» ai grillini e i senatori Cioffi, Lucidi e Santangelo gli si sono avvicinati minacciosi (in mezzo i commessi). In precedenza gli ultimi due si erano limitati a gesti più composti, come ripetere cinque volte lo stesso discorso (visto che ai senatori non è stato concesso di fare le dichiarazioni di voto per ognuno dei cinque voti di fiducia) o slacciare il nodo della cravatta.
E più volte, nel corso della lunga giornata, i 5 Stelle hanno chiesto a Grasso di fare come Paratore, che nel 1953 si dimise da presidente del senato per la fiducia sulla legge truffa. Grasso ci ha tenuto sempre a replicare. «Ho studiato, Paratore si dimise dopo la fiducia e non per impedirla», ha detto una prima volta. E poi, più esplicito, «a volte è più duro restare per il senso delle istituzioni, e continuare nonostante il malessere». Parole chiare che resteranno a verbale, e solo lì.

46 comments

  1. Se Napolitano, non esattamente un antirenziano, e Grasso, non proprio un estremista, oltre ad altre voci abbastanza di spicco nel PD criticano con durezza le scelte della direzione, qualche riflessione la base del partito, non dico gli eletti troppo preoccupati per la poltrona, dovrebbe farla.
    Ma, mi sa, anche se la riflessione ci fosse non porterà a niente. In fondo nel partito ci sono ancora diversi “volti onesti” (?) e alle elezioni la base, non potendo votare contro Renzi non si spingerà a votare contro il partito. Credo.

    1. è un misto, come al solito.
      e poi vale sempre la questione di quale sia l’alternativa.

      non credo, tuttavia, che il problema della legge elettorale sia così importante.
      più rilevanti restano secondo me alcune scelte (il jobs act, e molto più forte, per l’incidenza sulla base pd, la buona scuola) nonché la personalità stessa di renzi.

  2. http://www.corriere.it/video-articoli/2017/10/26/comizio-renzi-chiesa-paestum-parrocchia-turbati-non-sapevamo-nulla/3cd98ed2-ba6c-11e7-b70e-7d75d3b9777f.shtml

    Il Papa non ha voti di fiducia, gli basta la fede che non è sottoposta a verifiche.

    Il Papa non ha maggioranze con cui confrontarsi, niente: si confronta da solo nella sua stanza e non può essere intercettato da nessuno, nemmeno con il satellite.

    Il Papa ha sempre ragione.

    Il Papa non si sottopone a elezioni: una è per sempre.

    Il Papa non deve rendicontare soldi pubblici.

    Il Papa non ha padri ingombranti. Ha un parente ingombrantissimo ma gli altri non li calcola nessuno.

    E poi ci si stupisce se Renzi in scioltezza tiene un comizio in Chiesa? Davvero?

    https://www.giuliocavalli.net/2017/10/26/che-lui-in-fondo-sognava-fare-papa-mica-presidente-del-consiglio/

      1. Quanto a subire l'”autorità” ho qualche dubbio. Può essere, ma principalmente è subita, certo non da tutti, la retorica, l’affabulazione, la ‘favola bella’, il mistero del rito, eccetera.
        Ribadisco di non essere contrario alle religioni; non considero bigotti ignoranti tutti i credenti; al contrario ne conosco, direttamente e indirettamente, di ammirevoli.
        Ma mentre riguardo all’ignoto tutti hanno diritto di cercare conforto in qualche fede, riguardo a ciò che è sufficientemente ben noto non dovrebbe esserci contrasto tra fede e sapere, perché se la fede pretende che il sole giri intorno alla terra e la scienza afferma il contrario, è il caso di aggiustare la fede piuttosto che il moto degli astri.
        Che poi in chiesa, o in certe chiese, si faccia politica non è certo una novità, anche se non sono aggiornato.
        Ai miei tempi nel mio paesino l’anticomunismo scagliava strali dal pubblico che era uno spettacolo.

              1. ancora peggio. da http://www.huffingtonpost.it/2017/10/26/il-comizio-di-renzi-nella-chiesa-paleocristiana-di-paestum-la-parrocchia-siamo-turbati-non-sapevamo-nulla_a_23256685/

                Ecco come è andata. La chiesa della SS. Annunziata ospita per qualche giorno un evento culturale che non ha nulla a che fare con il tour politico del segretario Pd: la Borsa Mediterranea per il turismo Archeologico. “Avevamo dato la nostra disponibilità per tre giorni ad ospitare l’evento perché entrava in un disegno di promozione e valorizzazione archeologica della chiesa, con la collaborazione di Mibact, del Parco nazionale, Unesco, come avviene da diversi anni”. E la visita di Renzi? “Quando abbiamo visto la polizia abbiamo chiesto, che succede?”. Racconta il parroco Johny in esclusiva all’HuffPost che non è la prima volta che la chiesa ospita eventi culturali, ma politici mai. “Non sapevo nemmeno io che arrivava, e sono il parroco, è stato tutto organizzato dai politici locali. Renzi, nella sua predica (la definisce così, ndr), ha detto che la Regione Campania sta lavorando bene sul turismo, e che il suo governo ha investito molto su questo aspetto per evitare che i giovani vadano via da qui”.

                Detta brutalmente, la chiesa si era “prestata” per un evento di carattere internazionale (tra gli ospiti, ad esempio, il presidente del Museo di Palmira distrutto dall’Isis). Ma il blitz politico è stato deciso in tempi brevi dal partito e dagli amministratori locali. “La diocesi non sapeva nulla, se avesse saputo non avrebbe dato il permesso per la propaganda del partito. Tutti siamo benvenuti nella chiesa, il fatto di essere un politico non degrada la persona, tutt’altro”, dicono dalla parrocchia. “Però il contesto in cui Renzi ha fatto questa visita, di propaganda con il suo treno per l’Italia, ci ha turbato e imbarazzato”.

  3. Ma questo fatto della lega che da tutti è considerata in crescita, mentre sono almeno due anni che viaggia intorno al 14%, voi che ne pensate? Allucinazione collettiva, complotto, discalculia?

    1. Il contesto è: Salvini ha 1.932.000 followers su FB, ne aveva 300.000 2 anni fa. Civati ne ha 170.000, ne aveva 170.000 due anni fa … comunque credo che il fascio-leghista abbia raggiunto il suo limite massimo, raccogliendo tutti i boccaloni che abboccano alle sparate anti-immigrati ma dovendosi trasformare da partito nordista anti-meridionali a partito nazionalista lepeniano di finto anti-sistema si stia bruciando rapidamente. In Sicilia alle elezioni le liste di “Noi con Salvini” contengono carcerati e altri personaggi poco raccomandabili, poi spacciare la sua alleanza con Berlusconi come anti-sistema è una enorme presa per il culo: se Lombardi e Veneti lo voteranno sono da ricovero.

      1. mmm… riparliamone dopo l’elezioni e verifichiamo quanto i followers su fb incidano sul voto.

        ps. Dei miei contatti che seguono Salvini, uno vota 5 stelle, due sono decisamente orientati verso il fascio, non li cancello per questioni affettive.

    1. 0,8%….
      poteva andare peggio, tipo lo 0,3% dell’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza vien dal mare.
      (ma chi caspita sono?!?)

  4. E venne il giorno dell’orgoglio verdiniano, il giorno in cui la legge elettorale che porta il nome del capogruppo Pd alla camera Rosato, ma di cui Denis Verdini si dichiara orgogliosamente zio (o nonno), viene definitivamente approvata. Con 214 voti favorevoli al senato, un record come fa subito notare l’esperto di sistemi elettorali e deputato verdiniano Massimo Parisi: «Più dell’Italicum, 184 voti, e più del Porcellum, 160».

    E si potrebbe aggiungere molti più del Mattarellum originale, che al senato nel 1993 prese 145 e 134 voti (erano in realtà due leggi elettorali distinte).

    ORGOGLIO LEGITTIMO quello del fiorentino Parisi, che dieci giorni dopo la vittoria del No al referendum costituzionale, ormai quasi un anno fa, aveva presentato la matrice del Rosatellum, un sistema misto con più collegi uninominali ma con i tre elementi portanti della nuova legge: la soglia di sbarramento al 3%, la possibilità di coalizioni e soprattutto il voto unico per maggioritario e proporzionale. «Era un’idea che poi si è sviluppata», spiega allusivo Verdini. Ma al «vecchio repubblicano», che si alza mezz’ora dopo l’inizio del dibattito conclusivo in un senato ancora semivuoto, interessa evocare ben altra continuità. «Berlusconi è stato il grande innovatore della politica italiana. Noi lo abbiamo seguito con convinzione nella sua lotta riformista, credendo e sperando poi nella forza innovativa di Renzi per portare a conclusione l’indispensabile trasformazione del paese». Una storia che naturalmente non è finita, tant’è che Verdini mentre si atteggia a padre della patria – «sono stato tirato per la giacchetta», manco fosse il capo dello stato – e mentre svela il segreto di Pulcinella – «tutta questa legislatura è stata un grande compromesso, noi di Ala in maggioranza ci siamo stati e ci saremo fino alla fine della legislatura» – si ripropone come alleato del Pd per le prossime elezioni. Con il piglio del laico, appunto «vecchio repubblicano»: «Abbiamo votato le unioni civili, voterei anche il testamento biologico e lo ius soli domani». Discorso rivolto a Renzi, non certo a Gentiloni di cui lamenta la «costante indifferenza».

    L’INUTILE POLEMICA sulla norma «salva Verdini», quella che avrebbe dovuto consentirgli di candidarsi all’estero, è stata solo una distrazione. Quando era evidente da subito che per l’ex braccio destro di Berlusconi raccogliere le preferenze in sud America sarebbe quasi impossibile. La sostanza è che l’«impresentabile» si è presentato a chiedere il conto. E si ripresenterà, in Italia. A tanto si deve questo suo rarissimo intervento in aula – l’ultimo tre anni fa per difendersi da una richiesta di autorizzazione a procedere, il penultimo sei anni fa per l’identico motivo – che sconta la disabitudine al luogo: «C’è l’ex presidente della Repubblica in sala», dice, invece che in aula (e il resoconto pietoso corregge).

    L’ULTIMA VOTAZIONE sulla legge Rosato scorre via tranquilla. E’ necessaria una votazione finale sul complesso della legge perché il governo ha messo la fiducia su ogni singolo articolo (tranne uno) e non su un maxi emendamento che la riassume, per evitare di dover tornare alla camera. Voto palese, per cui alla fine non manca neanche un sì nel gruppone Pd, malgrado le facce scure. Tranne i sette dissidenti (Chiti, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ruta, Tocci, Turano) che già mercoledì non hanno votato la fiducia. «Chi ha scritto questa legge non ha mai fatto campagna elettorale in un collegio, non ha idea di come votano i nostri elettori che peraltro sono in gran parte anziani», dice fuori dall’aula, e prima di votare sì, una senatrice democratica che dovrà provare a riconquistarsi il seggio al nord nell’uninominale. E rigira tra le mani il facsimile della scheda, dove il nome del candidato al maggioritario sparisce tra i simboli e le liste bloccate. Luigi Zanda, il capogruppo dem, tira via l’intervento finale con tale distrazione che attribuisce al renziano Roberto Giachetti la battaglia per il Porcellum (casomai il Mattarellum), racconta che il sistema tedesco è stato fatto cadere dalla bocciatura di un emendamento (casomai dalla approvazione) e poi garantisce sulla costituzionalità del Rosatellum come già garantì su quella dell’Italicum.

    E COSÌ, POCO PRIMA che il tabellone fissi i numeri della seconda riforma elettorale di questa legislatura – 214 sì, 2 astenuti e 61 contrari – appaiono più veritierie le parole di un altro veterano delle aule parlamentari, intervenuto subito dopo Verdini. «Nei mille giorni di governo – dice il senatore leghista Calderoli – Renzi ha distrutto il paese e ha fatto dividere il partito. Ora fa approvare una legge elettorale che probabilmente determinerà l’estinzione del Pd, che alle prossime politiche rischia di arrivare terzo su tre».

    https://ilmanifesto.it/e-limpresentabile-verdini-si-presenta-a-chiedere-il-conto/

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