Month: dicembre 2017

Tutte le facce dell’astensionismo e il voto a LeU

segnalato da Barbara G.

Sinistra. Il mondo degli astenuti è un’entità dinamica e con tante sfumature. Un mondo complesso e poco indagato (nei tanti sondaggi si chiede per chi si vota e mai perché non si vota e per chi si votava prima) che propone una domanda: quanta parte di esso può attrarre una nuova lista di sinistra?

di Aldo Carra – ilmanifesto.it, 16-12-2017

Gli astenuti alla ribalta. I loro voti fanno gola a tutti. Naturalmente l’ultimo nato – Liberi e Uguali – guarda con attenzione ancora maggiore a questo mondo perché lì, negli ultimi anni, si sono rifugiati tanti delusi dalle politiche del Pd che si spera di riconquistare.

Ma l’operazione non è affatto facile ed il fatto che l’astensionismo si sia stabilizzato sul 50% non deve far pensare che ci siano tanti elettori ansiosi di tornare a votare.

Il mondo degli astenuti è un’entità dinamica e con tante sfumature. Si va dall’astensionismo strutturale (ragioni oggettive di età, salute, disinteresse di lungo periodo..), a quello da disillusione (l’intreccio tra crisi economica e crisi politica ha trasformato in un boomerang la politica degli annunci), a quello da depotenziamento del voto (lo spostamento a livello sovranazionale dei livelli decisionali ha svuotato le istituzioni più vicine al territorio..), fino ad arrivare ad un astensionismo fortemente politico, scelto come equivalente di voto attivo (il partito degli astenuti) e, più di recente, all’astensione come voto punitivo (il voto sottratto al partito per il quale si è sempre votato), un non voto di rancore alimentato anche dalla mutazione violenta del linguaggio della rottamazione e del vaffa.

Un mondo, quindi, complesso e poco indagato (nei tanti sondaggi si chiede per chi si vota e mai perché non si vota e per chi si votava prima) che propone una domanda: quanta parte di esso può attrarre una nuova lista di sinistra?

Realisticamente, tenendo conto delle sfumature tratteggiate e del fatto che nel corso degli ultimi anni una buona parte dei delusi di sinistra si è spostata sul M5S, si può stimare che essa si aggiri tra il 5% ed il 10% del corpo elettorale. Una percentuale non irrilevante, ma anche non facilmente riconquistabile nei tempi stretti che ci separano dalle elezioni ed in assenza di movimenti e lotte sociali che possano produrre nuove politiche e nuova classe politica. Come agire allora?

Aver messo insieme forze che nel corso di questi anni hanno fatto scelte diverse su tanti temi può essere un vantaggio, ma anche un handicap. Sarà un handicap se la nuova lista apparirà come un assemblaggio puramente elettorale, sarà un vantaggio se essa sarà vissuta come punto di approdo di alcune battaglie comuni fatte negli ultimi tempi e punto di partenza per affrontare un nuovo tragitto insieme.

Per questo la messa a punto del programma sarà un banco di prova per stabilire il minimo comun denominatore. Per dimostrare che un pezzo di passato che ci ha divisi – la fascinazione della globalizzazione neoliberista che tante nuove disuguaglianze ha creato – è alle spalle e che un tratto di futuro – la volontà di rilanciare la funzione pubblica di regolazione e promozione di investimenti per un nuovo sviluppo – ci unisce.

Se ci saranno questi tratti di una nuova identità forte si potrà sperare in un recupero di astenuti e ci si potrà anche rivolgere ad una’altra fascia di elettorato: l’astensionismo incombente, quello di elettori del Pd e del M5S ancora incerti se votare o no, che nel caso del Pd potrebbero diventare tra poco una valanga.

Ma qui si pone un’altra domanda: è sufficiente puntare tutto solo sul mondo degli astenuti? Penso che restringere, come sembrano orientati a fare i principali esponenti di LeU, il proprio spazio di iniziativa agli elettori che comunque non voterebbe più Pd sia una scelta giusta, ma assolutamente insufficiente e di autocondanna ad una funzione residuale e subordinata. Il confronto elettorale sarà duro e la legge senza scorporo penalizza fortemente una forza come LeU. Al contrario un cambiamento coraggioso come quello che ci si ripropone richiede meno Pd, meno M5S e più sinistra. Perciò si impone un’incursione civile nell’elettorato di sinistra che vota Pd e M5S. Non è questione di galateo, ma di confronto politico e di coerenza e credibilità.

Verso l’elettorato del Pd occorre agire nella contraddizione tra un gruppo dirigente sempre più vicino ad una collocazione di centro ed un corpo elettorale nel quale sono presenti molti elettori che appartengono all’area storica della sinistra. compresa una componente di cattolicesimo sociale sempre più estranea alle logiche di potere prevalenti.

Un ragionamento analogo vale per il M5S sul quale occorre agire nella contraddizione tra le due anime, di sinistra e di destra, adesso che la capacità di attrazione degli astenuti si è, come si è visto in Sicilia, arrestata e che, sotto Di Maio, il movimento appare più come un soggetto rassicurante e di centro che di cambiamento radicale.

Compito difficilissimo? Sì. Anche per questo la pluralità – da completare nella rappresentanza di genere – di soggetti e storie che confluiscono nella lista LeU e ai quali sarebbe opportuno si affiancassero i promotori del Brancaccio – non dovrebbe essere compressa o offuscata. Un soggetto con un garante autorevole come Grasso può permettersi di liberare e valorizzare la pluralità che esso incorpora, un pluralità preziosa anche per attrarre componenti diverse dell’elettorato.

Il caso Boschi spiegato a Matteo Renzi

Il caso Boschi spiegato a Matteo Renzi

Il caso Boschi spiegato a Matteo Renzi

di Stefano Feltri – ilfattoquotidiano.it, 18 dicembre 2017

Nella sua intervista al Corriere della Sera e nella lettera che ha fatto mandare dal suo portavoce al Fatto QuotidianoMatteo Renzi pone un problema che vale la pena affrontare seriamente: ma non staremo esagerando con l’attenzione sul caso Boschi? Non è che stiamo sottovalutando quanto emerge sulle responsabilità della Banca d’Italia e della Consob?

La domanda non andrebbe certo posta al Fatto che, è vero, ha dedicato grande spazio a Maria Elena Boschi e ai suoi legami con Banca Etruria ma da tre anni, grazie soprattutto agli articoli di Giorgio Meletti, ha sviscerato la crisi bancaria e le conseguenze di una regia nel settore del credito velleitaria e con risultati disastrosi da parte della Banca d’Italia.

La commissione Banche non ha aggiunto molto a quanto già emerso negli ultimi anni. Chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno sottolinea che il capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo è stato messo di fronte alle sue responsabilità, ha fornito versioni contraddittorie, poi emendate per correggere le contraddizioni, e ora rischia anche accuse per falsa testimonianza, ed è emerso dai documenti che la Consob di Giuseppe Vegas sapeva molto di più di quanto sosteneva, non ha ricevuto tutte le informazioni di cui Bankitalia era in possesso ma era abbastanza consapevole di certe situazioni critiche da poter tutelare meglio di come ha fatto i risparmiatori (vedi l’emissione di obbligazioni subordinate di banca Etruria a dicembre 2013).

Il bicchiere si può però anche vedere mezzo vuoto: il continuo scaricabarile, a colpi di dettagli burocratici, documenti omissivi o superflui, dichiarazioni tanto assertive quanto vaghe, ha creato una cortina fumogena intorno ai disastri bancari di questi anni. Tutti sembrano – e sono – colpevoli, dunque nessuno è colpevole. Da Mps alle due banche venete, la responsabilità delle crisi pare così condivisa da risultare non attribuibile a nessuno in particolare. Il rischio è che al termine di queste settimane di audizioni infinite l’unico verdetto possibile possa essere una condanna collettiva abbinata ad assoluzioni individuali.

Sul caso Boschi, invece, sono emerse molte cose nuove. E tutte peggiorano la posizione del sottosegretario e dei due governi che l’hanno sostenuta. Renzi lamenta, sul Corriere e sul Fatto, che i titoloni sui suoi incontri con Vegas abbiano oscurato il resto. Vero, ma anche perché la maldestra gestione di un conflitto di interesse oggettivo (Maria Elena è figlia di Pier Luigi Boschi, vice presidente di una banca oggetto di interventi del governo di cui il ministro era anche una piccola azionista) si è trasformata in un suicidio politico collettivo.

In estrema sintesi: la Boschi prima ha sostenuto che non ci fosse alcun conflitto di interesse. Poi, a fine 2015, non partecipa ad alcuni consigli dei ministri dove si discute degli interventi su Etruria per evitare accuse di conflitto d’interessi (per questo l’Antitrust la assolve ai sensi della legge Frattini, certificando di fatto l’esistenza dei conflitti d’interesse ma la correttezza dei comportamenti). Se il conflitto c’era ed era tale da non permettere la presenza in consiglio, perché la Boschi poi parlava con banchieri (Federico Ghizzoni di Unicredit) e istituzioni di vigilanza (Vegas di Consob e Fabio Panetta di Bankitalia)? Erano solo normali interlocuzioni, dice oggi la sottosegretaria. Una tesi incompatibile con i suoi comportamenti precedenti, ma anche con quelli successivi: se queste interlocuzioni erano normali, perché non raccontarle al Parlamento quando la Boschi ha dovuto rispondere delle accuse di conflitto di interesse? E perché chiedere un risarcimento danni al giornalista Ferruccio de Bortoli che ha rivelato in un libro gli incontri con Ghizzoni? Si può pretendere da un giornalista un risarcimento se si arricchisce pubblicando notizie false e diffamatorie, non se scopre retroscena inediti ma veri che spingono tanti lettori ad acquistare il suo libro.

Dulcis in fundo: se per la Boschi i rapporti con Vegas erano normali, che senso ha continuare a lasciar intendere in dichiarazioni e interviste che le attenzioni del presidente della Consob erano un po’ inopportune negli orari (messaggi notturni) e nelle richieste di incontro (alle otto di mattina a casa Vegas)? Sembra tanto una vendetta per le dichiarazioni, anche queste chiaramente ritorsive  ma fondate, di Vegas in audizione che, per l’ostilità di alcuni renziani, non ha avuto la presidenza della Figc.

Ancora una volta, poi, i tentativi di difesa della Boschi peggiorano la sua posizione. Vegas, dice lei, le aveva chiesto di andare a casa sua la mattina del 29 maggio 2014, alle otto di mattina, dopo che in precedenti incontri avevano parlato di Etruria. Cosa succede quel giorno? La Popolare di Vicenza ufficializza la sua intenzione di lanciare un’offerta pubblica di acquisto su Etruria, cioè si iniziava a concretizzare proprio quello scenario che la Boschi paventava nei suoi colloqui con Vegas.

L’incontro alle otto di mattina può suggerire, come si percepisce dalle parole della Boschi, desideri poco finanziari di Vegas che cerca di attirare la avvenente ministra in una trappola di seduzione domestica. Ma è anche compatibile con un’altra spiegazione: poiché Vegas sapeva quanto la Boschi era sensibile alla possibile scalata di Vicenza su Etruria, le usa la cortesia di informarla in anticipo, cioè prima dell’apertura dei mercati, sull’imminente ufficialità della scalata (che poi non si è concretizzata). E il gran rifiuto della Boschi potrebbe spiegarsi non con una orgogliosa difesa del proprio onore assediato – con Vegas si erano già visti a vari pranzi e cene – ma come una dimostrazione di stizza perché la Consob nulla aveva fatto per fermare i vicentini (come sapeva la Boschi dell’Opa? A quanto è emerso con suo padre non c’erano segreti sulle vicende di Etruria).

Morale: dalle udienze della commissione è emerso poco di nuovo su Bankitalia e Consob rispetto a quanto il Fatto ha pubblicato in questi anni mentre si è aggravata la posizione della Boschi e dei suoi sponsor.

Se Renzi vuole andare oltre il caso Boschi, ha varie possibilità. Produrre documenti e non allusioni sui tanti punti toccati nei suoi ultimi due interventi pubblici, sulle responsabilità di Bankitalia, dei dirigenti di Mps e su tutto il resto (magari anche sulle colpe della Commissione europea nella direzione Concorrenza). E poi dovrebbe dire come vorrebbe cambiare la vigilanza bancaria, la tutela dei risparmiatori e l’accountability delle autorità indipendenti: presenti un progetto e lo renda uno dei pilastri del programma del Pd alle elezioni e lo prenderemo sul serio.

Altrimenti rimarremo dell’idea che tutto il suo attivismo intorno al caso Etruria e alla Banca d’Italia di Visco sia dovuto a meri interessi personali e al fatto che, insieme ai bilanci di alcune banche, questi intrecci di conflitti di interesse e insipienza politica stanno soffocando la sua carriera politica.

Come TV e giornali stanno normalizzando il fascismo

segnalato da Barbara G.

di Matteo Lenardon – threvision.com, 11/12/2017

Si potrebbero usare tante parole per descrivere le persone entrate nella sede di “Como senza frontiere” per leggere un proclama anti-immigrati o i militanti di Forza Nuova che hanno manifestato sotto la redazione de la Repubblica, ma perché usarle quando basta il termine “idioti”?

I nazisti e fascisti che abbiamo visto – probabilmente le invasioni italiane più patetiche dalla sconfitta nel 1896 del nostro esercito per mano di etiopi scalzi armati di lance, spade e cavalli — hanno dominato l’attenzione politica e mediatica dell’ultima settimana. Renzi ha chiesto una netta condanna da parte di tutti i partiti e Salvini – no, non è necessario finire la frase. Dopo Ostia, questi fatti sono stati visti come l’ennesimo segnale del ritorno dell’estremismo di destra nella società italiana.

Tralasciando il disperato tentativo di acquisizione di elettori da parte della Lega Nord – e la corretta condanna del leader del partito di governo –, davvero sono loro, i tizi tipo quelli entrati nella sede di “Como senza frontiere”, in cima alla lista dei soggetti da arginare per fermare la diffusione del fascismo in Italia ?

Abbiamo visto tutti lo stesso video?

L’imbarazzo della gente seduta, la diffusa goffaggine esistenziale di chi parla, il tentativo di tutti i presenti di non guardarsi mai negli occhi, il controllo ossessivo dei propri orologi sperando che tutto finisse il più in fretta possibile – più che un’aggressione fascista mi ha fatto venire in mente quello che accade quando qualcuno si masturba su un autobus o una presentazione di Minimum Fax.

Io il video ho fatto fatica perfino a vederlo per intero. Così carico dello stesso fastidio e imbarazzo che provi quando guardi qualcun altro subire uno scherzo.

Solo il Paese convinto che Gomorra sia uno spot per la criminalità organizzata o che giocare a GTA5 possa diventare un trampolino per diventare serial killer poteva pensare che qualcuno, guardando un video del genere, sarebbe arrivato a pensare: “sai cosa? Credo che abbandonerò le mie decennali convinzioni che ripongo nella democrazia occidentale ed entrerò nel distaccamento veneto della crew del Patata dei Simpson”.

Lo stesso vale per quanto avvenuto sotto la redazione di Repubblica.

Sono una decina i militanti di Forza Nuova che arrivano, ripresi dal cellulari di un giornalista del quotidiano. Sono armati di fumogeni e indossano le maschere che usano le coppie scambiste nei porno amatoriali in dialetto pugliese. Non mi viene in mente nulla che puzzi di sfiga più di tutto questo. Ma le più alte cariche dello Stato hanno chiamato il direttore Mario Calabresi per testimoniare vicinanza e solidarietà.

Certo, è grave se c’è chi minaccia la libera informazione, ma è anche importante razionalizzare chi lo sta facendo e perché.

Alcune delle più importanti associazioni internazionali di psicologi hanno rilasciato dei vademecum per spiegare ai giornalisti il modo corretto di raccontare gli attacchi terroristi e le stragi nelle scuole o in altri luoghi pubblici. Raccomandano sempre di non sensazionalizzare la paura procurata, di non rendere i responsabili delle star. Di non usare i loro nomi. Di non mostrare le loro foto. Chiedono di non far girare in modo ossessivo i video che documentano le violenze. E soprattutto di non diffondere un eventuale manifesto.

Insomma, di non fare tutto quello che la stampa italiana continua a fare.

È stato dimostrato un collegamento diretto fra il modo in cui si raccontano simili avvenimenti e la frequenza con cui si ripetono. Non è un caso che la manifestazione di Forza Nuova sia avvenuta dopo così pochi giorni dai fatti di Como. E i fatti di Como dalla testata di Roberto Spada. Nei casi italiani non parliamo di stragisti, ma i profili umani sono identici: uomini emarginati incazzati con la società.

L’unica cosa che desiderano queste persone è farsi vedere e ascoltare. Il loro unico modo di farlo è tramite azioni di questo tipo. E i media stanno facendo di tutto per aiutarli.

Sempre più spesso non devono neppure indossare maschere o fare “irruzione” all’interno di associazioni per la difesa dei migranti.

I militanti neo-fascisti sono ormai ospiti fissi e dialoganti in tutti i maggiori talk show italiani. Servono a raccontare la “rabbia crescente” della popolazione italiana. Vengono presi per commentare i servizi su Rom e negri cattivi in quelle trasmissioni dove le persone urlano dentro split screen. Loro, gli italiani veri, stufi e arrabbiati per i soprusi degli stranieri, contro vari fantocci mosci che dovrebbero rappresentare la sinistra di questo Paese.

Formigli, il conduttore di Piazza Pulita, ha spiegato il perché di questi continui inviti nei talk show. “Ospitiamo Casapound,” dice in diretta su La 7, “perché siamo giornalisti. Sapere cosa pensa Casapound di queste violenze e aggressioni è una notizia”.

Ma Formigli era stato ospite di Casapound diverse settimane prima di queste aggressioni e violenze, in uno dei tanti “dibattiti” organizzati per mettere a confronto  Di Stefano con i principali giornalisti televisivi italiani. Dopo di lui sono andati Nicola Porro, Davide Parenzo e perfino Enrico Mentana. È un’operazione che fa comodo a tutti. CasaPound rimane on brand come partito fascista con il pollice opponibile e i giornalisti possono invece scrivere sui social di quanto siano “pluralisti” e “democratici” e altre stronzate tipo “le idee sbagliate si combattono con le idee giuste” — una di quelle cose in cui credono solo gli uomini convinti che le donne lesbiche esistono solo perché non hanno ancora accettato la loro richiesta di amicizia su Facebook.

Mentana sostiene di non stare “legittimando” Casapound: è la democrazia stessa a farlo. Ha ragione: lui, Formigli e tutti gli altri stanno solo normalizzando Casapound e il fascismo. I dibattiti a cui tanto tengono nessuno li ha mai visti. A meno che non si vogliano contare le poche decine di presenti e le 17.000 views su YouTube. Sono stati usati da CasaPound come propaganda.

Le loro foto, i volti di personaggi pubblici stimati e riconoscibili, sono state affisse per Roma e postate su tutti i social, come fossero manifesti elettorali. Il messaggio che vogliono veicolare è implicito: se il conduttore del Tg delle 20:00, quello che entra nelle case di tutti gli italiani, quello che modera i dibattiti per le politiche, che intervista Renzi e Di Maio, parla amabilmente con dei fascisti, che male fanno questi fascisti? E che differenza c’è veramente fra loro e gli altri partiti politici? Discutere con CasaPound di stronzate pop, tipo Che Guevara, in questi dibattiti o ospitare i suoi esponenti in TV significa far entrare nel dibattito nazionale anche tutto il resto della loro retorica fascista.

Anche negli Stati Uniti, dopo Trump e soprattutto dopo Charlottesville, i fascisti e i nazisti sono diventati “notiziabili” e sì, anche il giornalismo americano ha commesso l’errore, in alcuni casi, di normalizzare i fascisti, ma almeno nessuno ha lasciato Richard Spencer, il neo-nazista che ha coniato il termine alt-right, monologare per 40 minuti sulla CNN o su Fox News.

È stato invece preso a pugni in faccia. E la stampa ha poi discusso sulla necessità di prendere a pugni in faccia in pubblico i nazisti.

l giornalismo non può rimanere equidistante.

CasaPound deve rimanere un problema locale romano, come la metropolitana che si blocca con la pioggia e i gruppi indie che rovinano il rap. I giornalisti televisivi non possono Santorizzare i movimenti neo-fascisti come hanno fatto col M5S nel 2007-2008.

Il compito del giornalismo dovrebbe essere quello di annichilire i fascisti, riscrivendo il profilo LinkedIn con cui oggi si presentano: come movimento sociale e populista che viene dal basso, come ha fatto in modo esemplare fino a oggi solo l’inchiesta de L’Espresso. Non di renderli persone con cui relazionarsi. La satira dovrebbe quindi usare le inchieste giornalistiche e ridicolizzare i fascisti, sbriciolando la posa omoerotica da pseudo maschi alfa che fa sentire così “duri” e “pericolosi” i militanti di questi movimenti.

Negli Stati Uniti la riposta migliore alla marcia neo-nazista a Charlottesville è infatti venuta proprio dai comici del Late Night e delle tramissioni satiriche come quelle di Stephen Colbert o di John Oliver. Non hanno invitato i leader neo-nazisti a parlare nelle loro trasmissioni, non hanno romanzato il loro vissuto, non si sono raccolti in posizione fetale aspettando la morte, ma hanno messo in moto le loro redazioni giornalistiche per ridimensionare gli uomini che hanno terrorizzato gli Stati Uniti in figure patetiche. Non si tratta di ridicolizzare un pericolo reale, ma di riconoscere quando un pericolo proviene da personaggi ridicoli.

In Italia noi abbiamo Maurizio Crozza.

E le nostre trasmissioni “giornalistiche” sono Matrix di Nicola Porro, Mattino 5, il contenitore quotidiano di Canale 5 accusato di pagare i Rom per dichiarare che rubano migliaia di euro al giorno, Dalla Vostra Parte di Belpietro e Quinta Colonna di Del Debbio su Rete 4, La Gabbia di Paragone chiusa di recente su La 7 e ora Non è L’Arena di Giletti, che continuano a terrorizzare i loro spettatori creando un’emergenza che non esiste. Nel 2014 i reati sono diminuiti del 7% rispetto l’anno precedente. Nel 2015 dell’8%. Nel 2016 addirittura del 15%. Ma guardando i talk show e leggendo i giornali italiani sembrerebbe di vivere nella più grossa emergenza di criminalità della nostra storia. E sta funzionando: il 46% si sente in pericolo, il dato più alto negli ultimi dieci anni. L’approvazione nei confronti dello Ius soli fra gli italiani in 6 anni è crollata dal 71% al 44.

Volete veramente fermare il ritorno del fascismo nel nostro Paese? Cominciate dal giornalismo italiano.

La Boschi no

Appello a Renzi: non candidare Boschi

di Luca Di Bartolomei – strisciarossa.it, 5 dicembre 2017

Bisogna che sia chiaro, proprio nel momento in cui per speculazione elettorale i grillini e la Lega chiedono le dimissioni di Maria Elena Boschi: la sottosegretaria è fuori da ogni indagine, è estranea così come il governo con le sue azioni da responsabilità. Ma vorrei porre una domanda a Matteo Renzi: vogliamo davvero affrontare la campagna elettorale con sul tavolo questa fonte di aggressioni, polemiche, continuo scambio di accuse?

Io penso di no e penso che per sminare il terreno sarebbe bene se Renzi chiedesse alla Boschi un atto di generositá: la disponibilitá a non candidarsi alle prossime politiche. Capisco sia molto difficile visto lo strettisimo rapporto politico e umano che un leader ha verso le persone a lui più vicine, quelle di cui più di tutte si fida e nelle mani delle quali consegna spesso responsabilitá importanti. Peró credo che sarebbe davvero un atto dirompente, uno di quelli che dimostrano amore verso il proprio partito e ricambiano di quanto la nostra comunitá ha offerto loro in questi anni di battaglie durissime.

So (e comprendo) l’obiezione per la quale la non candidatura per accuse tutte da dimostrare nei confronti non già della sottosegreteria bensì del di lei padre sarebbe una resa al populismo giustizialista. Ma se è il Pd a rovesciare le carte l’effetto politico sarebbe inverso. Ci stiamo avvicinando ad una campagna elettorale che segnerà uno spartiacque fra il Paese che conosciamo e quello che verrá: in una situazione di polarizzazione frammentata, di confusione così pazzesca sarebbe opportuno presentarsi come una “forza tranquilla”, evitando magari di porre in lista per questo giro persone che per la loro recente storia – diretta e indiretta, positiva e negativa – hanno prodotto così tante divisioni nell’opinione pubblica italiana.

Politicamente parlando chieder loro un po’ di generosità inserendo in lista magari tutti quegli amministratori locali di piccoli comuni abituati a fare coi modi di chi sa comporre nell’interesse di una comunità sarebbe un segnale di grandissima forza e porterebbe, di certo, molti più voti in una lotta contro le destre che oggi ci vede assai indietro.