Lo spopolamento dei Balcani

segnalato da Antonella

Fonte: LeMonde Diplomatique, giugno 2018

Olga, Petar, Marko, Goran, Svetlana… In qualche ora un muro del pianto improvvisato, eretto il 17 ottobre del 2017 in pieno centro a Banja Luka, la città principale della Republika Srpska, l’entità serba di una Bosnia-Erzegovina ancora divisa, si è eicoperto di centinaia di nomi, formando un monumento effimero dedicato a yna comunità che sta scomparendo. L’organizzazione ReStart Srpska aveva chiesto ai cittadini di scrivere i nomi dei loro cari “andati all’estero nella speranza di una vita migliore”, come spiega il suo animatore, Stefan Blagič. Quest’uomo di 27 anni non la finisce più di contare gli amici che hanno preso la via dell’esilio. “Anche i laureati più qualificati sono pronti ad accettare qualsiasi impiego. È meglio lavorare per 1000 euro al mese in un supermercato in Occidente che per 400 euro qui”. Tra le destinazioni più richieste: la Germania, l’Austria, ma anche la Slovenia.

Questo esodo colpisce tutta la Bosnia-Erzegovina. Pasa Baragovič , 25 anni, abita a Tuzla, nella federazione di Bosnia Eraegovina, l’altra entità del paese. Questa grande città operaia abbandonata è stata sempre un baluardo della sinistra antinazionalista. Qui, i bosniaci musulmani, i croati e i serbi hanno convissuto anche negli anni più bui del conflitto (1992-1995). Nato nel dopoguerra, Barakovič è cresciuto in un paese devastato da un’interminabile transizione che hz prodotto un saccheggio sistematico delle risorse pubbliche attraverso le privatizzazioni. Con, al posto della democrazia, una minopolizzazione del potere da parte delle formazioni nazionaliste di ciascuna comunità: il partito d’azione democratica (Sda, musulmano), l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd, serbo), e la comunità democratica croata (Hdz).

Baraković si è già recato a più riprese in Francia, a Besançon, per lavorare in nero nell’edilizia. A casa, a volte venuva chiamaro da alcune stazioni di servizio per 300 euro al mese. “Bisogna pagarsi la benzina per andare al lavoro. Con il pranzo e le sigarette si spende più di quanto si guadagna.” Alla fine ha deciso d’iscriversi in una scuola privata di medicina, un passaggio molto utile per ottenere un contratto di lavoro in Germania, le cui case di riposo assumono in massa dai Balcani. “La mia formazione è costata 2600 marchi (1300 euro) e ho seguito dei corsi di tedesco che ho pagato 465 marchi, più 265 marchi per l’iscrizione all’esame del livello b2”. Ormai attende il visto e il permesso di lavoro promessi da una clinica di Dusseldorf. Gli hanno garantito un salario mensile di 1900 euro, che diventeranno 2500 dopo i primi sei mesi. In questo modo, potrà farsi raggiungere dalla moglie e dalla figlia di pochi mesi. La Bosnia-Erzegovina? Baraković ci tornerà finché i genitori continueranno a lavorare – sua madre è una maestra elementare e sio padre un poliziotto-, ma quandi arriverà il momento della pensione, spera di poter accogliete anche loro in Germania.

A Tuzla le scuole private di lingua si stanno moltiplicando. In una di queste, la Deutsch als Fremdsprache, una ventina di studenti è alle prese con degli esercizi di grammatica. “Tre anni fa il gruppo Glossa di Banja Luka, conta già una dozzina di scuole in tutta la Bosnia, ha voluto aprire un centro anche a Tuzla, e io mi sono detta che dovevo lanciarmi. I nostri iscritti aumentano ogni giorno di più” si rallegra Alisa Kadić, la direttrice che lavora anche come insegnante di tedesco nella scuola secondaria. Grazie a un accordo sottoscritto tra l’agenzia di cooperazione internazionale tedesca e il governo della federazione di Bosnia ed Erzegovina, alcuni datori di lavoro occidentali finanziano dei corsi intensivi di quattro mesi e mezzo ai loro futuri dipendenti, “Ci guadagnano tutti, a cominciare dalle imprese tedesche, che spenderebbero molto di più formando i loro dipendenti dul posto, osserva la Kadić. Degli ispettori del Goethe Institut e dell’Österreich institut di Sarajevo vengono a esaminare gli studenti ogni mese”.
Chi intende partire a volte deve accettare fin dall’inizio di rivedere al ribasso le sue pretese in funzione delle esigenze del mercato. “Dei fisioterapisti sono andati a lavorare come inservienti, perchè in Germania la loro specializzazione non è richiesta”.

Nessuno redige delle statistiche relative all’emigrazione, né le autorità cantonali né quelle statali. In tutti i paesi della regione, le partenze sono difficilmente quantificabili, perché non danno luogo a dichiarazioni ufficiali. Admir Hrustanović, che dirige l’ufficio di collocamento del cantone di Tuzla e scuote la testa desolato, tiene un proprio conto basato sul tasso di disoccupazione, che indirettamente rivela l’ampiezza degli spostamenti. Nel 2017, nel cantone, 98.600 persone avevano un posto di lavoro e 84.500 ne erano sprovviste, ma il numero dei disoccupati sta diminuendo: nel 2016 erano 91.000. ” il nostro ufficio offre impieghi in Austria e in Slovenia, perchè abbiamo degli accordi con questi paesi. Ma l’anno scorso solo 1.500 persone sono state assunte con la mediazione dei nostri servizi. Le altre sono scomparse dalle statistiche, il che significa che sono andate all’estero senza segnalarcelo. É così che si fa credere che la situazione economica sia migliorata.” Questo esodo non sembra disturbare affatto i dirigenti politici del paese. Anzi, fa abbassare i numeri della disoccupazione e serve da valvola di sfogo per le tensioni sociali. Quelli che partono sono tutti cittadini che avrebbero potuto esprimere la loro collera in occasione delle elezioni, alle quali, dall’estero, è molto probabile che non partecipino.

I candidati alla partenza sono per lo più giovani, laureati o persone con qualifiche tecniche che avrebbero potuto essere utili al proprio paese. “Ci sono tre gruppi, spiega il demografo Aleksandar Čavić, che è anche vice-presidente del partito progressista (conservatore): quelli che non hanno un lavoro, quelli che ne hanno uno ma mal pagato e quelli che hanno un buon lavoro, remunerato in modo corretto, ma temono l’insicurezza politica e trovano impossibile crescere adeguatamente i propri figli in un paese come la Bosnia- Erzegovina”. Analista politica presso la Fonfazione Friedrich Ebert di Banja Luka, Tania Topić mette in evidenza il decadimento del sistema educativo del paese, la diffusione di università private che vendono le loro lauree e la necessità di un “aggancio” e di raccomandazioni politiche per ottenere qualsiasi lavoro. La situazione è la stessa in entrambe le entità del paese. “In passato, afferma caustico Jasmin Imamović, sindaco di Tuzla e figura emblematica della sinistra bosniaca, avevamo il partito unico, ma per assegnare un posto di lavoro si guardavano i titoli e le competenze. Oggi abbiamo tre partiti etnici che tendono a comportarsi come partiti unici all’interno delle loro rispettive comunità e se si vuole ottenere un impiego bisogna passare per loro”.’

“Le persone se ne vanno perchè hanno perso ogni speranza. Ormai anche il più piccoli cambiamento appare impossibile.” Spiega Jasna Jasarević, della Fondazione comunitaria di Tuzla. Nel febbraio del 2014, la città è stata il centro nevralgico del movimento dei plenum, una potente rivolta sociale contro la corruzione della classe politica e la cattiva gestione delle privatizzazioni. La mobilitazione era iniziata in alcune fabbriche messe all’asta, i cui operai non venivano pagati da mesi, e aveva poi raggiunto l’intera società. Il movimento ha ottenuto rapidamente le dimissioni delle autorità cantonali, ma non ha tardato a lacerarsi in guerre intestine. “Il 2014 è stato un anno di alti e bassi, afferma la Jasarević, il fallimento dei plenum ha spento le nostre speranze. Poi, nel mese di maggio, la regione è stata colpita da inondazioni devastanti senza che le autorità facessero nulla. La gente sa che tali disastri si ripeteranno e che le nostre istituzioni saranno altrettanto innefficaci. Come si può immaginare il proprio futuro in un paese del genere?”

“Vogliamo restare qui, non vogliamo emigrare!” Scandivano i sostenitori dei plenum, proprio come i manifestanti che sono scesi in piazza in Serbia nell’aprile del 2017 per protestare contro la contestata elezione di Aleksandar Vučić alla presidenza della repubblica, la mobilitazione, durata alcune settimane, si è ben presto estesa all’insieme delle sfide che la Serbia ha di fronte in questa fase di transizione liberale. Rivendicazioni simili si sono sentite anche in Macedonia durante la “rivoluzione dei colori” del 2016. Dopo il fallimento registrato in tutti i paesi, i giovani animatori di questi movimenti sono stati spesso i primi ad andarsene e la loro partenza ha contribuito a ridurre ulteriormente le speranze di cambiamento.

Nei Balcani, l’emigrazione è una tradizione antica. Già ai tempi della Jugoslavia socialista, molti uomini andavano a lavorare in Germania o in Austria come gastarbeiter – lavoratori ospiti – questo termine, diventato gastarbajter in serbo-croato, ha assunto il significato di emigrato in tutta la ex Jugoslavia. Poi le guerre degli anni ’90 hanno provocato grandi esodi. Ancora oggi, intere famiglie lasciano la Bosnia-Erzegovina e la vicina Croazia, nonostante quest’ultima faccia parte dell’UE dal 2013. In Croazia, solo la capitale Zagabria, le città costiere e le zone più turistiche riescono in qualche modo a cavarsela. Basta allontanarsi pochi chilometri dalla costa per incontrare delle regioni in cui lo spopolamento sta avanzando rapidamente e lo stesso vale per il centro e la parte orientale del paese.

Al liceo di Nova Gradiska, una piccola città della Slavonia addossata all’autostrada per la Serbia, i conti sono presto fatti: all’inizio dell’anno scolastico 2017-2018 la scuola contava 343 studenti contro i 465 del 2012, vale a dire una diminuzione del 27%. “Nel comune abbiamo un cinema, un teatro, un ospedale e due asili, ma non c’è lavoro”, afferma Ljiljana Patčnik, la direttrice della scuola. Alcune aziende sono venute a stabilirsi nel nuovo parco industriale della città, ma i salari rimangono bassi. “Quando abbiamo aderito all’UE, pensavamo che la situazione sarebbe migliorata, ma i giovani non hanno più la pazienza di aspettare un ipotetico futuro migliore” Anche gli insegnanti del liceo se ne stanno andando: l’anno scorso la professoressa di arti visive ha seguito il suo compagno in Austria, “e abbiamo enormi difficoltà a sostituirla” precisa la direttrice. Nel censimento del 1991, Nova Gradiska contava 17.071 abitanti. In quello del 2011 erano 14.229 e negli ultimi cinque anni, l’emigrazione ancora più marcata, ha ridotti sempre più le forze vive della città e si é portata via le giovani generazioni, che avrebbero potuto assicurare il rinnovamento della popolazione. “Con l’ingresso nell’Unione, in molti temevano che gli occidentali sarebbero arrivati e avrebbero acquistato tutte le terre. Ma sono i croati che stanno partendo in massa”, lamenta la Ptačnik.

Eppure gli investitori conoscono bene la tradizione industriale e la manodopera qualificata della Slavonia. Piccole imprese austriache, ungheresi, italiane, si stanno trasferendocnella regione, dove si assiste anche a un’esplosione del lavoro da casa, offerto soprattutto dai call center internazionali, che richiedono molti lavoratori con una buona padronanza delle lungue straniere. Lo stesso accade dall’altro lato del confine, nella Posavina bosniaca. Derventa nelka Republika Srpska, registra da diversi anni un tasso record di creazione di imprese: si tratta di piccole unità produttive esternalizzate da aziende austriache, ungheresi o italiane, principalmente nel settore tessile e in quello dell’indotto automobilistico. La regione è facilmente raggiungibile dall’autostrada che porta a Zagabria; il diritto del lavoro, un concetto puramente teorico. Gli stipendi fanno fatica a superare l’equivalente di 200 euro e la flessibilità assoluta rimane la regola. Tutti i governi della regione sono pronti a fare ponti d’oro agli investitori stranieri, anche se questo significa praticare un vero dumping fiscale e sociale. Queste delicalizzazioni non sono accompagnate da alcun trasferimento di tecnologia e sono spesso di breve durata. E i lavoratori che rifiutano lz nuove forme di salario precario non hanno altra soluzione che l’esilio.

Il bisogno di manodopera della Germania sembra inesauribile. Imprese, Länder e persino singoli comuni organizzano direttamente campagna fi assunzioni nei balcani. I media della Bosnia-Erzegovina, della Croazia e della Serbia annunciano regolarmente incontri per ottenere un’offerta e un visto di lavoro. All’inizio di marzo, ad esempio, il gruppo Sozialwerk Heuser di Bad Aibling (Baviera), che gestisce delle case di riposo, ha annunciato che stava assumendo infermieri e tecnici medici in Serbia. La società paga le spese di trasferimento e garantisce salari compresi tra 1900 e 2500 euro al mese. Il 16 aprile del 2018, la Küchen Aktuell, un’azienda presente in tutta la Germania è arrivata ad assumere trenta installatori di cucine a Tuzla.

Spesso le agenzie locali fungono da intermediari. La RIAdra Works, con sede a Fiume, in Croazia, sta cercando muratori per la Danimarca. Nella stessa città industriale – disastrata e molto poco turistica – situata a nord sulla costa adriatica, un’altra agenzia assume in Serbia delle addette alle pulizie per alcuni alberghi della zona. Le migrazioni sono in forte aumento, soprattutto per chi lavora nel campo delle professioni mediche, nell’edilizia, nel settore alberghiero e nei servizi: bosniaci, macedoni e serbi si spostano in Croazia e in Slovenia, mentre Croati e Sloveni partono per la Germania. “Ai tedeschi non resta che andare a lavorare in Svizzera” dice scherzosamente Blagić a Banja Luka.

L’emorragia di lavoratori qualificati é tale da mettere a rischio le imprese locali. La camera di commercio della federazione di Bosnia ed Erzegovina ha recentemente lanciato l’allarme, facendo presente che al paese mancano dei quadri preparati. Il suo presidente, Mirsad Jasarspahić, punta il dito contro il sistema educativo, che non formerebbe professionisti adatti alle esigenze di mercato. Ma questa tesi non sembra essere affatto condivisa in Germania. Nel mese di marzo del 2018, gli studenti della scuola superiore di costruzione navale di Fiume, che stavano frequentando uno stage a Francoforte sul Meno, si sono visti offrire degli impieghi come elettricisti, installatori di impianti di riscaldamento o carpentieri. È però anche vero che il cantiere navale “3 maggio” in passato fiore all’occhiello di Fiume, è da tempo in attesa di un acquirente, dal momento che la privatizzazione di tutto il settore è stata posta come condizione per l’ingresso della Croazia nella UE.

Nessuno stato della regione è risparmiato da questo fenomeno. In alcuni casi le partenze assumono l’aspeto di veri e propri esodi dettati dal panico. Nell’inverno 2014-2015, piú di centomila persone, quasi il 7% della popolazione, hanno lasciato il Losovo nell’arco di poche settimane. La conclusione di un accordo tra Belgrado e Pristina aveva permesso ai cittadini kosovari di entrare in Servia solo con la carta d’identità. Poco dop, sono stati predisposti dei pullman diretti in Voivodina e essendo il Kosovo l’unico paese nei Balcani ancora non esentato dal visto per l’area Schengen, decine di migliaia di persone hanno attraversato illegalmente il confine ungherese per proseguire il viaggio verso la Germania. In assenza di un permesso di lavoro o di studio, moltissimi kosovari hanno chiesto asilo politico nell’Europa occidentale, ma sono stati espulsi nei mesi successivi. Le espulsioni hanno colpito in particolare i piú poveri, che avevano venduto tutti i loro averi per finanziare il proprio viaggio. Il 7 settembre del 2017, migliaia di persone si sono riversate nuovamente in Serbia, al punto che le autorità kosovare hanno dovuto chiudere la stazione dei pullman di Pristina per diverse ore. Tre giorni prima, i partiti nati dalla guerriglia dell’Esercito di luberazione del Kosovo (Uck) avevano formato un governo di coalizione, ponendo fine alle speranze di cambiamento suscitate dallo sfondamento del movimento di sinistra Vetëvndosje (Autodeterminazione), nelle elezioni legislative dell’11 giugno.

Ondate migratorie simili hanno interessato il nord del Montenegro nella primavera del 2015. Gli abitanti di suesta regione svantaggiata hanno creduto di poter trovare condizioni di vita migliori nella Bassa Sassonia, un’area della Germania nord-occidentale colpita da un forte calo demografico. Alcuni consiglieri tedeschi locali avevano chiesto alle autorità federali di inviare richiedenti asilo quanto più possibile. “Se vogliamo che la nostra comunità soravviva, abbiamo bisogno di nuovi arrivi”, aveva spiegato il sindaco di Goslar, le cui proposte erano arrivate fino in Montenegro.

Nella Bulgaria occidentale o nella Serbia sud-orientale, intere regioni si stanno spopolando a causa di un tasso di natalità molto basso e di un alto livello di emigrazione. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, 160.000 persone hanno lasciato la Serbia tra censumenti del 2002 e del 2011. In questo paese, che nel 2030 potrebbe avere meno di 6 milioni di abitanti contro i 7.7 mioni di oggi, l’età media è già passata dai 38.8 anni del 1995 ai 42.7 del 2015.

Nel suo piccolo ufficio presso la facoltà di geografia di Zagabria, il demografo Stjepan Sterc osserva preoccupato le sue tabelle statistiche. “Il calo della popolazione croata è l’unico problema che la nostra classe dirigente dovrebbe affrontare, perchè condiziona tutte le politiche pubbliche”, sottolinea, prima di recitare un lunga litania di cifre. Secondo le sue stime, nel 2017 in Croazia i decessi sono stati 18000 in piú rispetto al numero delle nascite, mentre il tasso di fertilità rimane bloccato a 1,4 figli per donna. Dal 1991, anno della sua indipendenza, il paese avrebbe perso 627.000 abitanti su una popolazione fi 4,1 milioni, ovvero il 13% della popolazione di allora L’emigrazione a sua volta influisce sul tasso di natalità, dal momento che le prime fasce di età a partire sono quelle che hanno maggiori probabilità di procreare.

Il paese, inoltre, soffre ancora per le conseguenze della guerra e in particolare per l’esodo forzato di circa 200000 serbi nell’estate del 1995. “Se questa tendenza dovesse confermarsi, in un decennio un quarto della popolazione croata potrebbe scomparire”, aggiunge Sterc, che, vicino ad ambienti conservatori, si batte per politiche piú incisive di incentivi alla natalità. “È essenziale adottare misure per proteggere le donne lavoratrici che vogliono avere figli. Bisogna proibire i licenziamenti a seguito di gravidanze, organizzare la flessibilità del lavoro, prevedere sussidi per le famiglie numerose e abbassars le tasse nelle regioni che si stanno spopolando. La Germania continuerà senza dubbio ad assorbire le forze vive dell’Europa dell’ Est; è quindi necessario rinnovarle.”

Come soluzione al problema demografico e alla catastrofe sociale alle porte, i governi dei Balcani si limitano tuttavia a offrire garanzie ai conservatori e a rendere difficile l’aborto. Il 16 marzo, il presidente serbo Vučić non ha esitato a implorare le “madri e le donne di capire le esigenze della Serbia”, chiedendo ai medici di mostrare l’ecografia del feto e di far sentire il battito del suo cuore a quelle che desiderano interrompere la gravidanza. Il ministro sella difesa Aleksandar Vulin, da parte sua, si è impegnato a “impiegare l’esercito nella lotta contro lo spopolamento della Serbia”, mentre il ministero della cultura ha lanciato una gara di slogan miranti a stimolare la natalità.

Nella vicina Croazia, sotto la pressione di movimenti conservatori molto strutturati, una nuova legge sull’aborto potrebbe presto sostituire quella del 1978, rendendo obbligatori degli in ontri di consulenza per le donne che chiedono un’interruzione di gravidanza e introducendo un periodo di attesa prima dell’intervento. Questa mobilitazione in favore della natalità, di cui i media hanno parlato molto, permette di eludere ogni discussione sulle cause reali dell’esodo delle popolazioni balcaniche: il fallimento generale di una classe politica corrotta e le cure neoliberiste somministrate alle ecnmie esangui di tutti i paesi della regione.

È molto improbabile che queste iniziative riescano a contenere il declino demografico, mentre le delocalizzazioni industriali continuano a incentivare le partenze. “Ho vissuto in Germania per cinque anni e so che laggiù non è il paradiso, dice la Kadić nella sua scuola di lingue a Tuzla. Ma fermare l’esodo è impossibile. Se ne vogliono andare tutti. Siccome io sarò forse l’ultima a partire, quando lascerò i Balcani spegnerò la luce”.

 

31 comments

  1. La Ferrero, 9000 euro di premio in 4 anni, minchia che notiziona. Grazie badrone. Io dieci anni fa ne ebbi tremila in un anno, facendomi pagare straordinari, notturni e festivi (come da contratto metalmeccanico, un’era giurassica ca). Vuoi mettere la pacca sulla spalla dei padroni e il titolone su repubblica? (Per chi non è avezzo alla tassazione, circa 1500 all’anno).

  2. Daniè, mi scuso(!!) non è a te che dovevo chiedere della Rai semmai a Mc2 perchè a quanto pare s’è trattato del solito scambio di favori tra FI (RAI) e PD (Copasir)……bleah

    #nonewillbesavedtherevenge

    1. Ma non vanno per legge all’opposizione? Div’ lo « skantalooo!1!1!1! » 🤣🤣🤣

      PS
      Infatti nell’ex legislatura era Fico il pres della commissione

      1. L’opposizione è piuttosto vasta, almeno quanto a sigle. Capisco che per Salvini porre il veto a un berlusconide poteva essere un problema, ma non per Di Maio. Non credo sarebbe caduto il governo se fosse stato scelto qualcuno, che ne so?, anche di FI, per dire. (Del PD no, che nel partito ormai dipartito non sarebbero mai riusciti a mettersi d’accordo su un nome)

        1. Vasta?! Al momento siamo:

          – area governativa: 60%+
          – PD: 17%
          – Fozza Itaglia: 9%
          – Fascistelli d’Italia: 4%
          – Leu : 2%
          – Europa- / radicali liberi: 1%
          – Potere al papero: 1%
          – altri/vari: 5%

          E a chi dovevano dare le presidenze?!

          1. L’ho scritto, credo, che l'”opposizione” è vasta quanto a sigle, non a percentuali.
            E ho anche detto che potevano dare le presidenze al Fratelli di Taglia. E, mia ironia a parte, anche perché no al PD? La cui missione, Renzi dixit, è di stare all’opposizione. Gli altri o non contano percentualmente o sono opposizione moolto sui generis.

  3. Daniè, com’è che la presidenza di vigilanza Rai è finita in mano a Forza Italia? E’ come mettere Erode a capo dellUnicef (il ruspirazzista apprezzerebbe)… ci sono rimasta male, pensavo che gli stellati ci tenessero , cos’è Salvini comincia a pagare i debiti al suo (ex seee) alleato?
    Non gliela dovevate dare vinta, così la foglia di Fico diventa una foglia di rosmarino….

    #nonewillbesaved

  4. Pare che per rilanciare il partito sotto lo slogan “Lasciate che i tontoli vengano a me”, Renzi stia consegnando la sua visione politica a un libro che dovrà entrare in tutte le case (e riempire una cassa sola).
    Titolo: “La mia frattaglia”
    Edizioni: La Leopolda Tutta Nuda sulla Tolda

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