Autore: Barbara G.

Regeni, “realpolitik” e credibilità

segnalato da Barbara G.

“L’Italia si illude se pensa che arrendersi sul caso Regeni le porterà qualche beneficio”

L’ex diplomatico spiega perché il comportamento del Governo sul caso del ricercatore ucciso non ci porterà giovamenti. Anzi, ci squalifica ancora di più come Paese

di Jean-Pierre Filiu, testo raccolto da Federica Bianchi

espresso.repubblica.it, 25/08/2017

La politica italiana nei confronti dell’Egitto all’indomani dell’omicidio di Giulio Regeni è stata tutto tranne che realista. Al contrario, la definirei estremamente irrealista.

In democrazia se un tuo cittadino muore in condizioni atroci il vero realismo è quello di fare luce su un tale crimine. E non c’entrano i principi ideali o la morale. Sto parlando delle basi stesse su cui si fonda una democrazia. Irrealista è accettare per un anno e mezzo che le bugie di Stato fornite dall’Egitto diventino verità ufficiali.

Non esiste alcun dubbio razionale sul fatto che Giulio Regeni, il ricercatore italiano trovato morto per tortura lungo un’autostrada della periferia del Cairo il 3 febbraio 2016 sia stato prelevato il 25 gennaio 2016 dalle forze di Sicurezza nazionale. Con la rivoluzione del 2011 queste forze hanno sostituito la famigerata Sicurezza di stato, l’apparato dei servizi segreti agli ordini del ministero degli Interni, odiatissima sotto l’ex presidente Hosni Mubarak, ma hanno conservato l’aspetto più oscuro del sistema repressivo egiziano.

Gli elementi forniti dalle autorità egiziane non hanno rivelato nulla della responsabilità della Sicurezza nazionale mentre gli egiziani hanno intuito subito, dalle modalità della sua morte, che Giulio era considerato una spia. Purtroppo a un anno e mezzo dalla morte non sappiamo ancora perché Regeni è stato torturato a morte e dietro quale ordine. Non è stato fatto nessun progresso verso la verità e non è mai esistita nessuna vera cooperazione tra autorità giudiziarie italiane e egiziane. Al contrario, l’Egitto ha imposto la sua tesi alla giustizia italiana. E questa è una situazione molto grave per l’Italia e per gli italiani e di un dolore infinito per la famiglia Regeni e i loro cari, un dolore a cui mi associo in modo assoluto.

L’Italia non solo ha subito una chiara sconfitta ma ha anche imboccato una strada senza via di uscita. Inviando il loro ambasciatore al Cairo, le autorità italiane hanno perso l’ultima leva che avevano in mano per ottenere la verità su un gesto tanto atroce. Come si può anche solo immaginare che ora gli egiziani possano fornire più informazioni di quelle che non hanno dato fino ad oggi? E se gli italiani pensano che ora che l’ambasciatore è stato inviato nuovamente in Egitto la cooperazione con gli egiziani migliori si sbagliano: questo gesto politico sicuramente non migliorerà i rapporti giudiziari.

La sola vera politica è quella del principio e della morale: se si tollera l’intollerabile non si fa una politica realista. Se poi Roma pensa che in seguito a questa resa incondizionata sull’affare Regeni, l’Egitto possa diventare un suo alleato su altri fronti si illude due volte.

La prima illusione è che il signore della guerra Khalifa Haftar (che guida la Cirenaica, ovvero la parte orientale della Libia) sia controllato esclusivamente dal Cairo: non è così. Gode anche di altri sostegni, in modo particolare dagli Emirati Arabi e dalla Russia. E siccome è un dirigente molto autoritario, con il mito dell’uomo forte, che ha allargato la sua influenza in Libia soffiando sui venti del nazionalismo, è difficile che ceda a pressioni straniere.

La seconda illusione di un’Italia che pensa che la giustizia possa essere oggetto di baratto è il concetto di mercato. A chi tra gli italiani è stato detto in pubblico o in privato che in cambio dell’arrendevolezza sull’affare Regeni l’Egitto avrebbe aiutato l’Italia sulle questioni libiche e immigratorie? Se una tale logica di scambio può funzionare tra italiani non è detto che valga anche per gli egiziani nei confronti degli italiani. Per questo insisto sul fatto che la scelta di inviare nuovamente l’ambasciatore non è stata una scelta di real politik ma una decisione che va contro i principi di una politica estera efficace in Libia e in Egitto.

Bisogna infine considerare il ruolo dello Stato. Dal momento in cui uno Stato europeo abbandona il bisogno di verità nel caso della morte atroce di un suo cittadino vuol dire che gli europei, e gli italiani in particolare, sono in pericolo. È infatti compito dello Stato difendere i suoi membri, garantirne la sicurezza e ottenere verità e giustizia per loro conto. Si tratta di una regola del diritto internazionale che è alla base di ogni protezione consolare.

L’Italia vi ha abdicato. Sono fiero del Parlamento europeo che l’anno scorso ha preso una decisione storica contro la tortura in Egitto e ha disposto il divieto di vendita all’Egitto di armi per la repressione interna. Anche molti alti dirigenti europei nei colloqui privato con le controparti egiziane hanno sollevato il caso Regeni.

Sottolineo però che avrebbero potuto farlo in modo molto più pubblico per dare un segnale forte all’Europa, definendo il suo ruolo non solo nei confronti dell’Egitto ma anche di tutto il Medio Oriente. Ce n’è bisogno.

L’Egitto sta vivendo un enorme paradosso: negli affari esteri si presenta come partner dell’Occidente ma nella propaganda interna si scaglia contro l’Occidente, ogni giorno in modo più aggressivo. Accusa i Fratelli musulmani di essere tutti terroristi che complottano insieme all’Occidente per sovvertire lo Stato egiziano. Inveisce contro gli occidentali dai media, tutti controllati dal governo. Iniziate nel 2015, le “sparizioni” come quella di Regeni, aumentano di mese in mese.

Continuamente in Egitto si sparisce e si muore. Gli assassinii politici perpetrati dallo Stato sono quadruplicati rispetto ai tempi di Mubarak e si sono moltiplicate le restrizioni a ogni tipo di attività sindacale, sociale o vagamente politica. Per non parlare della censura su Internet. In questo modo il generale al-Sisi cerca di consolidare il proprio potere in un momento in cui – ancora una volta – l’economia non riparte e la gente soffre. L’Occidente e gli occidentali sono diventati capri espiatori per tutto ciò che non funziona. Non si era mai vista una situazione simile nella storia d’Egitto, un tale livello di xenofobia, di cui anche Regeni è stato vittima. Una vera inversione di rotta rispetto ai tempi di Sadat e Mubarak quando invece la politica esterofila era coerente sia all’interno che all’esterno. L’Egitto è diventato una dittatura opaca e violenta e, soprattutto, inefficace nella lotta reale contro il terrorismo.

(*) ex alto diplomatico francese, oggi docente di Studi Mediorientali all’università Science Po di Parigi

Vivere oltre i limiti

segnalato da Barbara G.

Earth Overshoot Day, esaurite le risorse 2017 della Terra

ansa.it, 31/07/2017

Uomo sempre più “vorace” e le risorse naturali, quelle che la Terra è in grado di rigenerare da sola, si esauriscono sempre prima. L’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse terrestri disponibili per il 2017, quest’anno cade il 2 agosto. Da mercoledì il pianeta sarà sovrasfruttato dall’uomo: lo stiamo consumando 1,7 volte più velocemente della capacità naturale degli ecosistemi di rigenerarsi. Per soddisfare la domanda degli italiani ci sarebbe bisogno di 4,3 “Italie”.

Il calcolo è del Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale, che evidenzia come ogni anno questa giornata cada sempre prima a causa dell’aumento dei consumi mondiali di natura che comprendono frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno. L’anno scorso era stata celebrata l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto, nel 2000 a fine settembre.

Invertire la tendenza, secondo gli attivisti, è possibile e lanciano la campagna #movethedate, per cercare di posticipare l’Overshoot Day. Se riuscissimo a spostare in avanti questa data di 4,5 giorni ogni anno, spiegano, ritorneremmo “in pari” con l’uso di risorse naturali entro il 2050. Ognuno può contribuire con piccole azioni ma servono soluzioni “sistemiche”, dice l’organizzazione: se ad esempio l’umanità dimezzasse le emissioni di anidride carbonica, l’Overshoot Day si sposterebbe in avanti di quasi tre mesi.

*****

coenergia.com, 11/08/2015

Vent’anni fa l’Earth Overshoot Day è stato il 10 ottobre, nel 1975 il 28 novembre, nel 1970 il 23 dicembre. Lo scorso anno è stato l’8 Agosto.

Quello che offre il pianeta non basta a soddisfare i bisogni, sempre crescenti, della popolazione globale: secondo il report, se avessimo lo stile di vita degli americani, avremmo bisogno delle risorse naturali di almeno 4,8 pianeti mentre se vivessimo come gli australiani ne servirebbero almeno 5,4. Lo stile di vita di noi italiani necessiterebbe di 2,7 Terre mentre servirebbero 4,3 Italie per soddisfare il fabbisogno nazionale con le sole risorse territoriali.

Tuttavia, nonostante il dato davvero allarmante, si è notato un lieve rallentamento di questa tendenza negli ultimi 5 anni, anche grazie all’aumento dell’utilizzo dell’energia proveniente da fonti rinnovabili!
Grazie alle tecnologie disponibili e con un piccolo sforzo da parte di tutti, sarà possibile invertire la rotta!

Stop CETA: mobilitiamoci verso il 25 luglio!

Attiviamoci!!! abbiamo tempo fino al 25!!!

Stop TTIP Italia

Martedì 25 luglio il Senato italiano ha intenzione di ratificare il CETA. Senza consultare adeguatamente la società civile, le organizzazioni agricole, i sindacati, il mondo ambientalista e i consumatori, gran parte del Pd, insieme a Forza Italia, i Centristi di Pier Ferdinando Casini (CpE), Alternativa Popolare (AP) di Angelino Alfano e schegge del Gruppo Misto, intendono dare il via libera all’accordo tossico UE-Canada.

Forti del sostegno di centinaia di migliaia di cittadini contrari a questo trattato e preoccupati per i loro diritti e la loro salute, le organizzazioni della Campagna Stop TTIP Italia ritengono questa accelerazione intollerabile e ingiusta. Contro il CETA si sono espresse anche numerose Regioni, votando delibere contrarie e chiedendo al Senato di fermare il processo. Lazio, Lombardia, Liguria, Veneto, Puglia, Calabria, Marche e Valle d’Aosta, oltre a centinaia di Comuni, hanno intimato al Parlamento di aprire una consultazione ampia sugli effetti del trattato. Questo…

View original post 167 altre parole

La ‘valorizzazione’ di Franceschini

segnalato da Barbara G.

di Tomaso Montanari – articolo9.blogautore.repubblica.it, 11/05/2017

Ricevo questa incredibile fotografia, scatta domenica scorsa nella reggia di Caserta da una guida turistica. Ecco il suo commento:

Questa è la reggia di Caserta stamattina. Questa foto è stata scattata da un collega guida turistica che stamattina era lì col suo gruppo.
Questa non è cultura che vince. Questi numeri non sono una vittoria. Domattina ci saranno i soliti titoli sensazionalistici di chi conta, conta, fa numeri, grida al successo. Nessuno, o quasi, oggi da me a Capodimonte, così come negli altri siti statali italiani, ha imparato qualcosa. Ogni prima domenica del mese vedo le persone accalcarsi nelle sale, scorrendo come un fiume, cercando bagni e uscite, urlando a telefono per cercare il parente smarrito, spesso senza minimamente guardare le cose belle di cui sono circondati. E nel frattempo a terra cadono tutte le loro cartacce, perché le loro mani libere servono a toccare qualsiasi cosa, a toccare dipinti (!), a toccare statue, a toccare affreschi.
Se questa fame d’arte è autentica, bisogna cercare un’alternativa realmente efficace, perché questo è il fallimento della cultura. E io provo profonda vergogna.

Le retorica dominante dice che in questo modo il patrimonio si apre, democraticamente, ai cittadini. Ma cosa c’è di democratico nello spingere i cittadini in un simile carnaio, senza nessun valore aggiunto di conoscenza? La vera democrazia non consiterebbe nel dare a tutti strumenti culturali di vera partecipazione?

L’idea portante è, al contrario, che tanto il popolo bue non capirebbe nulla, dunque tanto vale che si accalchi. E l’altra faccia di questa medaglia falsa della valorizzazione corrente è offrire questi stessi monumenti in splendida solitudine ai ricchi che possono permettersi di pagare gli eventi esclusivi.

Siamo tornati all’antico regime, col principe che benevolmente apre ogni tanto le porte del palazzo alla plebe. Salvo che oggi quel patrimonio lo mantiene quella ‘plebe’, con le sue tasse.

Freccero: «Guevara tecnologico, sogno o utopia?»

“Quando sento dire che destra e sinistra non esistono, rialzo la cresta. Ma per chi è cresciuto in questi anni la sinistra è identificata con il potere”

di Micaela Bongi – ilmanifesto.it, 08/04/2017

Carlo Freccero, anche lei sarà a Ivrea all’evento in ricordo di Gianroberto Casaleggio a un anno dalla morte. Perché sarà lì?

Il Movimento 5 Stelle nasce da un’intuizione che è quella di tutti i partiti tecnologici, come i Pirati. L’intuizione di Casaleggio è che non si possono inviare messaggi alternativi usando i media mainstream. Non a caso in questi anni il critico del sistema, il dissidente, coincide con la figura dell’hacker. Che Guevara è tecnologico. Casaleggio, partendo da questa intuizione, ha creato Rousseau perché bisognava dotarsi di mezzi propri, una piattaforma e un sistema operativo. Secondo: la comunicazione politica non doveva più essere passiva (attraverso la televisione o la stampa, appunto) ma attiva, con la creazione di un sapere comune politico condiviso. E ancora: questo sapere doveva essere riscritto insieme, un’opera comune, come Wikipedia. Quarto: non bisognava partire da una qualsivoglia ideologia data, socialismo o liberismo, ma fare tabula rasa.

Dunque, cosa dirà a Ivrea?

Questo sogno di Casaleggio non rischia di essere un’utopia? La politica di oggi, importata in Europa sul modello Usa, è propaganda, manipolazione, non agisce a livello conscio ma inconscio, per piegare le masse al volere delle élite. Il sogno di Casaleggio, quello di elettori non contaminati dalla propaganda, è realizzabile? Ho dei dubbi: la propaganda dei media getta comunque un’ombra sull’autonomia degli elettori. Quando arrivo su Rousseau sono già condizionato dalla propaganda martellante dei media tradizionali. I 5 Stelle pensano che tutto si risolva con la tecnologia. Ma anche gli algoritmi selezionano i nostri contenuti sottoponendoci a un controllo. E io penso che ancora ci sia differenza tra destra e sinistra. Quando sento dire che destra e sinistra non esistono, rialzo la cresta. Una volta Gianroberto Casaleggio mi invita e mi dice: «Sa che lei è bloccato tra destra e sinistra?». Poi purtroppo per la sua malattia il confronto non è potuto proseguire. Ma io ho cercato di capire.

Intanto si potrebbe già dire che i media mainstream sono utilizzati eccome dai 5 Stelle, e sempre di più rispetto agli esordi. Lo stesso Davide Casaleggio, dopo averlo presentato sul «Corriere della sera», ha sentito il bisogno di andare da Lilli Gruber sulla 7 a due giorni dall’appuntamento dedicato a suo padre. Insomma, non disdegnano la «contaminazione».

Io vorrei verificare se sia possibile non essere condizionati e rimanere indenni dalla manipolazione. A me sembra poi che i 5 Stelle non affrontino mai temi ideologici di portata generale, sulla piattaforma ci si esprime sempre su quesiti semplici. Il rischio è la politica sul modello dell’assemblea del condominio. Io sono legato al Novecento, a destra e sinistra, la loro concezione tecnologica lo ha fatto fuori. Il loro atteggiamento è molto liberista su alcuni temi, su altri no. Sulla Rai ad esempio sono praticamente per il ritorno al bianco e nero.

Ecco, la Rai appunto: lei stesso, indicato dai 5 Stelle, insieme a Sel, per il consiglio d’amministrazione di viale Mazzini scelto dai partiti, è espressione delle contraddizioni del Movimento.

E poi hanno il «garante», significa che l’«elettore attivo» rischia di essere fregato.

Come dimostra la vicenda della votazione per il candidato sindaco di Genova.

Appunto. Queste sono le contraddizioni. Ma ho visto anche altri casi, come quello di Antonio Di Pietro, che nel suo movimento è finito circondato da gente dubbia. Un controllo ci deve essere, loro pensano che la rete possa selezionare la classe dirigente…

La manifestazione di Ivrea, oltre che un omaggio a Gianroberto Casaleggio, vuole essere anche una sorta di palestra per un eventuale governo a 5 Stelle?

A me non sembra che in questo momento puntino veramente al governo, non mi sembrano ancora pronti. E poi se non ammettono la possibilità di alleanze, come fanno?

Pierluigi Bersani è stato subissato di critiche per le sue analisi sui 5 Stelle.

Bersani ha detto una cosa interessante, ma non solo per lui. Per tutta la sinistra sarebbe interessante aprire un confronto con il Movimento 5 Stelle. La parola sinistra negli ultimi anni è diventata «sinistra», con le virgolette. Per chi è cresciuto in questi anni, la sinistra è identificata con il potere.

Le opinioni molto calunniate di Rania Khalek sulla Siria

segnalato e tradotto da nammgiuseppe

di Rania Khalek e Justin Podur – znetitaly.altervista.org, 31/03/2017

Quando la conferenza della giornalista Rania Khalek è stata cancellata il 27 febbraio il gruppo che l’aveva invitata, Students for Justice in Palestine – Università della Carolina del Nord (SJP-UNC), ha diffuso una dichiarazione che affermava che la cancellazione era dovuta alle “idee” di Rania sulla Siria e che il gruppo riteneva che “il suo invito avrebbe erroneamente implicato che il SJP condivideva tali idee”. Il gruppo ha anche aggiunto che “non sottoscrive né respinge le sue idee sulla guerra civile in Siria in quanto restano relativamente poco chiare secondo diverse opinioni dei nostri membri riguardo alle analisi di Rania”.

In reazione alla cancellazione un vasto numero di firmatari, molti dei quali impegnati nella solidarietà alla Palestina, ha sottoscritto una dichiarazione contro la messa al bando di Rania ma anche contro le liste di proscrizione in generale. Tale dichiarazione concludeva:

“I firmatari di questa dichiarazione hanno una pluralità di opinioni sulla Siria. Alcuni concordano con la Khalek; altri dissentono, in alcuni casi molto vigorosamente. Ma noi sentiamo che quando un gruppo che persegue la giustizia in Palestina sottopone oratori o membri a un banco di prova relativo alle loro opinioni sulla Siria, ciò conduce inevitabilmente a scissioni, messe a tacere, confusione e una grave erosione della fiducia. Va contro la possibilità che si apprenda gli uni dagli altri, cambiando punto di vista e ci si educhi a vicenda mediante l’attivismo. Dissensi su temi politici esistono all’interno di qualsiasi movimento di coalizione. Non devono essere resi materia di denigrazione mirata di attivisti del movimento”.

La dichiarazione “contro le liste di proscrizione” ha suscitata un’altra ondata di diffamazioni, poiché alcune delle stesse persone che avevano esercitato pressioni sul SJP perché cancellasse la sua conferenza hanno avvicinato firmatari per sostenere che non avrebbero dovuto firmare. Tra i loro argomenti che esiste e dovrebbe esistere un banco di prova politico, uno che Rania non ha superato. Da firmatario iniziale io stesso sono stato avvicinato più di una volta da amici che mi suggerivano che io non conoscevo realmente le idee di Rania.

Le persone che hanno scritto pubblicamente su Rania spaziano da molestatori davvero loschi ad accademici di sinistra che hanno sparato una rapida serie di articoli calunniosi e poi hanno manifestato sconcerto per le reazioni a essi. Ma a parte quelli che parlano a proposito di lei, è in realtà piuttosto difficile trovare fonti di quelle sue “idee” che apparentemente la squalificano dal parlare o pubblicare su qualsiasi argomento.

Preoccupato del fatto che forse non le conoscevo davvero ho cercato Rania per chiederle di queste “idee” molto calunniate ma raramente messe in onda.

Justin Podur (JP): Sei un’assadista?

Rania Khalek (RK): Non sono una tifosa del governo siriano. Non ho intenzione di sostenere il governo siriano.

Ciò cui mi oppongo è allo smantellamento dello stato siriano che è ciò che numerose potenze hanno fatto negli ultimi sei anni. Mi oppongo a questo perché abbiamo visto come vanno queste cose in Libia, Iraq, Afghanistan, Somalia e non vogliono vederle succedere in Siria.

Mi oppongo anche all’attuale alternativa al governo siriano, che è un mosaico di gruppi jihadisti salafiti che vogliono imporre una rigida legge religiosa, uccidere minoranze e lapidare donne per adulterio. Questo è inaccettabile a me e a molte persone, compresi miei parenti che vivono in Siria e che accade appartengano a minoranze.

JP: Dunque questa è la tua prima “idea”. In base alla tua interpretazione di ciò che è accaduto dopo la rimozione di Gheddafi in Libia, di Saddam in Iraq, e in altri paesi, ti opponi alla distruzione dello stato e sulla base della tua interpretazione di gruppi come Nusra e ISISI non appoggi l’opposizione al governo siriano. Quelli che per questo di definiscono assadista dovrebbero anche definire saddamisti quelli che erano contro la guerra in Iraq, gheddafisti quelli che si opponevano alla guerra in Libia, eccetera.

RK: Esattamente. E io penso che sia una presentazione scorretta e un dualismo inaccurato la tesi che se non appoggi questi gruppi islamisti ribelli che hanno ambizioni ultraconservatrici ciò ti dovrebbe rendere un sostenitore di un dittatore, e questo non è corretto.

Mi piacerebbe vedere una Siria democratica. Mi piacerebbe vedere una Siria in cui partiti diversi dal Ba’ath possano prosperare e partecipare a elezioni. Il fatto ora è che c’è un’insurrezione di estrema destra finanziata da alcune delle maggiori potenze del mondo alla ricerca della distruzione del paese. Nella situazione attuale è impossibile per il popolo sollecitare e ottenere riforme.

JP: Ah, anche qui c’è una genuina diversità di opinioni con i sostenitori della rivoluzione siriana che sostengono il contrario: che fintanto che Assad resta al potere non si possono avere riforme.

RK: Sì, ma questo dovrebbe essere un punto controverso di una discussione politica. Perché non possiamo discuterne?

JP: Sono d’accordo. La tua affermazione che le riforme sono impossibili mentre prosegue questa ribellione e l’affermazione che le riforme sono impossibili mentre il regime è al potere sono valutazioni diverse della situazione che dovrebbe essere possibile dibattere all’interno del movimento.

La mia domanda successiva: hai partecipato a una conferenza di pubbliche relazioni (PR) patrocinata da Assad a Damasco?

RK: Ho potuto recarmi in Siria, ho potuto ottenere il visto per la Siria, accettando di partecipare a una conferenza di due giorni a Damasco condotta da una ONG britannica filogovernativa.

Ci sono andata insieme con numerosi giornalisti di spicco di ogni canale importante in occidente: New York Times, Washington Post, NPR, BBC, LA Times, Telegraph, The Times (UK).

JP: Ho recentemente seguito un documentario della PBS di alcuni anni fa intitolato Inside Assad’s Siria[Dentro la Siria di Assad). Quel giornalista partecipava a una visita guidata del regime.

RK: Quello è l’unico modo per entrare nelle aree della Siria controllate dal governo. Permettono solo di vedere determinate cose. Se sei un giornalista dovresti tenerlo presente e renderlo chiaro.

JP: Capita spesso che se sei un giornalista che riferisce su un qualsiasi genere di conflitto, il solo modo per entrare consiste nell’andare con una parte o con l’altra. E’ uno dei motivi per cui è così difficile buone informazioni sui conflitti e una cosa su cui ha scritto l’hanno scorso Patrick Cockburn.

RK: Tutti quei giornalisti hanno accettato di andare a quella conferenza in modo di potersi recare nelle aree governative, dove vive la maggior parte delle persone che ancora restano nel paese. Se vuoi parlare con quelle persone devi ottenere un visto, il che significa che devi avere l’assenso del governo. Tutti hanno pagato il loro arrivo, il soggiorno, i trasporti. Io non sono stata finanziata dal regime. Ho pagato di tasca mia. Non ho neppure finito per presenziare alla conferenza. Ho deciso di non andarci quando ho scoperto che il mio nome era stato incluso nel programma anche se non avevo accettato di parlare (insieme con molti altri che non avevano accettato di parlare).

Giornalisti tradizionali hanno parlato a questa conferenza, in più di una sessione. Nessuno di loro è stato diffamato al modo in cui lo sono stata io. E’ stata una campagna per cacciarmi e ha funzionato. A causa di queste calunnie c’è stato un boicottaggio morbido di tutti i miei servizi, e questo è il punto.

Chiunque ripeta che io ho “parlato a una conferenza di pubbliche relazioni patrocinata da Assad in Siria” può essere fuorviato o malevolo, ma nell’un caso e nell’altro partecipa a un processo che cerca di assicurare che nessuno dei miei servizi sia messo in onda.

JP: Dunque, riguardo a questo punto: come ogni giornalista tradizionale che lavora sulla Siria e insieme con molti di loro ti sei recata in aree controllate dal governo e hai partecipato a eventi governativi con il permesso del governo.

La mia domanda successiva: Reuters, Al Jazeera e altri canali hanno riferito a dicembre 2016 che i ribelli avevano avvelenato l’acquedotto di Damasco. Ricordo che tu hai scritto via Twitter al riguardo. E in marzo un rapporto dell’ONU, esaminando fotografie satellitari e interrogando persone del luogo, ha affermato che si trattato di un bombardamento governativo contro il suo stesso acquedotto. Secondo il NYT nel marzo  del 2017 “investigatori hanno affermato che video dei bombardamenti, racconti di testimoni e immagini satellitari dimostravano che il sistema idrico era stato danneggiato in almeno due attacchi aerei usando bombe ad alto esplosivo”, e che l’idea le strutture idriche fossero state bombardate da terra era “incongrua con evidenze fisiche osservabili”. Cosa ne dici?

RK: I ribelli di cui parlavamo erano a Wadi Barada ed erano di al-Nusra (al-Qaeda in Siria; hanno cambiato nome di nuovo da allora, ma sono di al-Qaeda). Wadi Barada è da dove proviene l’acqua di Damasco. Le mie fonti sul campo hanno detto che i ribelli affiliati ad al-Qaeda avevano messo diesel nell’acqua. C’è stata un’interruzione dell’acqua: un male per tutti a Damasco, compresi miei amici che vivono là. La valle dove si trova quest’acqua è stata distrutta in alcuni bombardamenti. Entrambe le parti hanno incolpato l’altra, anche se ci sono state foto di ribelli in piedi sull’infrastruttura idrica distrutta. Ci sono affermazioni di entrambe le parti e in questo caso per me non ha senso che il governo bombardasse la sua stessa fornitura d’acqua.

JP: Damasco è la capitale, un’area tenuta dal governo. Anche questo a me pare discutibile. Il governo è stato brutale nei confronti di aree tenute dai ribelli, ma è difficile identificare quale potrebbe essere la logica della distruzione da parte del governo della propria fornitura d’acqua, e facile identificare perché i ribelli avrebbero voluto compierla.

RK: I ribelli lo hanno già fatto in passato, ad Aleppo; l’ISIS l’ha fatto quando controllava l’Eufrate.

Non ho alcun problema a credere che il governo in Siria abbia fatto brutte cose. Le ha fatte. In questo caso fonti di cui mi fido, che non sono del governo, mi dicono che questo rapporto è inaccurato. Non c’è alcun modo in cui io o i miei detrattori possiamo dimostrarlo una versione o l’altra.

JP: Dunque, secondo te, questa è una domanda aperta e oggettiva cui è difficile rispondere. Come molti altri tu hai riferito che i ribelli avevano danneggiato l’acquedotto e continui a ritenere che siano stati i ribelli. Anche questa a me pare un’area in cui si potrebbe dissentire dalle tue valutazioni delle prove e della logica.

Ora ho una domanda su cui persone ragionevoli non possono dissentire, affermazioni su di te che io ritengo sbagliate e voglio verificare. Un accademico ha detto che tu difendi “il bombardamento siriano di aree civili densamente popolare”. E’ così?

RK: Non l’ho mai detto. Nemmeno una volta. Mai. Questo è tutto.

JP: Farlo ti renderebbe una specie di mostro. Sarebbe una cosa orrenda da dire, come quando Hussam Ayloush del Comitato per le Relazioni USA-Islam (CAIR), uno dei tuoi detrattori, ha twittato che era “triste” che la caduta di un aereo militare russo ha ucciso “solo 92” persone, mentre l’aereo avrebbe potuto trasportarne 180. In seguito si è scusato, ma è difficile non notare che il suo primo istinto è stato di festeggiare delle morti e desiderarne di più.

RK: Non appoggio la violenza praticata dal governo siriano. Non l’ho mai fatto. Non lo farei mai. Non ho mai applaudito la violenza del governo siriano contro al-Qaeda. Civili? Non appoggerei mai, nemmeno in un milione di anni, la violenza contro i civili e non l’ho mai fatto.

JP: Lo stesso professore che ha detto che l’hai fatto ha detto anche che tu attacchi “organizzazioni rispettabili per i diritti umani che documentano simili crimini di guerra”. Non sono sicuro di che cosa egli intenda con “attacchi” ma qual è la tua risposta a ciò?

RK: Trovo davvero sorprendente che così tanti vogliano accettare qualsiasi narrazione ricevano da qualsiasi organizzazione, è solitamente si tratta delle stesse persone che contestano costantemente tali organizzazioni a proposito di altri temi, specialmente in relazione alla Palestina. Sulla Palestina sappiamo che tutto è tanto prevenuto. Sulla Siria si suppone che noi accettiamo  qualsiasi affermazione da parte degli stessi canali e delle stesse organizzazioni. Dovremmo sempre mettere in discussione queste cose, specialmente quando è implicato il nostro governo. Non sto negando che ci siano state atrocità. Ritengo necessario contestare organizzazioni per i diritti umani quando riferiscono affermazioni fatte senza prove.

JP: Dunque, per sintetizzare, se hai un’”idea” su questo, è che si dovrebbero “contestare organizzazioni per i diritti umani quando riferiscono affermazioni fatte senza prove”.

RK: Queste organizzazioni hanno una storia di ipocrisia riguardo ai fatti quando i paesi accusati sono dalla parte sbagliata della politica estera statunitense. Ci sono organizzazioni per i diritti umani che ricevono finanziamenti da USAID. E’ cruciale che mettiamo in discussione le loro affermazioni.

JP: Dunque stai dicendo: quando si riceve l’affermazione di un’atrocità, indipendentemente dalla fonte, si deve guardare alle prove.

JP: Sì, verificare le prove. Non prendere le affermazioni di gruppi ribelli alla lettera quando non ci sono sul campo organizzazioni indipendenti per i diritti umani. Il governo siriano mente molto. Penso non si debbano accettare neppure le sue affermazioni senza prove. A Gaza c’erano investigatori per i diritti umani e giornalisti indipendenti. In Siria non è così in nessuna delle parti. Tutto ciò che arriva dalla Siria, da una parte o dall’altra, dovrebbe essere considerato con una grossa dose di scetticismo.

JP: Dunque se il professore avesse riformulato “attacchi a rispettabili organizzazioni per i diritti umani” in “contestazioni di affermazioni che arrivano senza prove, anche da organizzazioni rispettabili per i diritti umani”, sarebbe stato su un terreno solido.

L’ultima cosa che questo professore ha aggiunto è stata che tu apparentemente insisti “che la resistenza siriana è composta solo da terroristi islamisti sostenuti dall’estero”. Immagino che lui sia turbato perché per chi è a favore dell’opposizione l’Esercito Siriano Libero (FSA) non è costituito da “terroristi islamisti sostenuti dall’estero”. Insisti che lo siano? Anche se lo facessi io penso che anche questa è una valutazione che potrebbe essere discussa, ma per favore dimmi come la pensi.

RK: Non uso il termine “terroristi”, dunque non accetterei quell’affermazione su di me. Quanto a quello che penso del FSA: era un insieme variegato di fazioni combattenti. Possono esserci stati alcuni moderati all’inizio, ma la cosa non è durata, e quello che conta è ciò che è diventato, cioè fondamentalmente assorbito negli altri gruppi islamisti armati. Il FSA ha operato al fianco di Nusra. Hanno un obiettivo simile, che è una qualche specie di stato con elementi islamisti. Ciò non significa che tutti quelli che hanno combattuto nel FSA stavano tentando di imporre uno stato islamico. Ma i combattenti più duri erano islamisti e settari ed è quel filone che è prosperato. A questo punto nel 2017 nessuno può citare un gruppo combattente che cerchi di rovesciare il governo che non sia completamente sunnita. L’opposizione armata non ha mai ottenuto il sostegno della maggioranza del popolo perché era settaria e alla fine interamente sunnita; combatteva per fini islamisti e per imporre uno stato islamico. La vasta maggioranza del popolo in Siria si oppone a ciò, persino persone che non appoggiano il governo. Temono più i ribelli di quanto temano il governo. Sto parlando dei fatti, qui, non delle mie opinioni. Nel 2017 c’è una forza combattente in Siria in cerca di rovesciare il governo che non sia settaria e islamista? Io non ne vedo una.

JP: E riguardo all’idea che ci sono consigli locali che fioriscono in aree ribelli?

RK: I consigli locali hanno rapidamente perso il controllo nelle aree ribelli. C’è ancora controllo locale in aree che hanno elaborato accordi di riconciliazione. Probabilmente procedendo ci sarà più controllo locale e questa è una buona cosa. I consigli locali nelle aree ribelli sono stati venduti da persone che volevano l’intervento.

Quello che vedo in Siria è molto diverso. Persone che appoggiavano l’opposizione ora partecipano a processi di riconciliazione e ci sono ONG mediatrici. I consigli locali alla testa di tali aree di accordi di riconciliazione non hanno avuto la possibilità di operare in aree dell’opposizione armata. L’opposizione armata dai sauditi, da Qatar, Turchia, Stati Uniti non ha alcun interesse alla democrazia reale, ai progressisti o alle femministe liberali nella regione. Quelle persone non hanno mai avuto alcuna possibilità.

JP: Dunque abbiamo qui due domande fattuali o forse analitiche: 1) Qual è la portata dell’opposizione non islamista armata? 2) In quale misura l’opposizione non armata è stata in grado di fiorire in aree tenute dai ribelli? Secondo la tua analisi la risposta a entrambe le domande è “virtualmente nessuna”. Ma anche questa a me sembrano domande su come uno valuta le prove riguardanti la guerra, non sul fatto che uno abbia qualche specie di ottica discriminatrice.

RK: Guarda, io sono una donna di una minoranza araba con parenti sia in Siria sia in Libano. I gruppi di opposizione diversi da al-Qaeda hanno spesso operato parallelamente a essa. Hanno ucciso persone come me unicamente in base alla loro identità. Qui non si tratta di appoggiare la dittatura. Si tratta della sopravvivenza per molte persone della regione. Per persone che non vogliono vivere in un sistema in stile Arabia Saudita. E’ questo che sta succedendo qui. Molte persone che stanno facendo questo a me provengono da un luogo realmente settario. Sono attaccata dagli elementi più conservatori della mia comunità. E’ stato davvero sorprendente vedere tante persone  prendere per buona la loro parte della storia e cancellarmi totalmente senza considerare che, ehi, forse persone come Rania …  non sto parlando per conto di altri ma sto parlando di un’opinione presente nella regione … c’è un motivo per cui qualcuno come me non vorrebbe vivere sotto persone simili.

JP: La cancellazione del tuo invito in febbraio è arrivata dopo alcuni tweet a proposito del wahabismo e del salafismo.  Hai scritto: “Sì, essere salafiti o wahabiti non significa essere violenti, ma decisamente significa essere fanatici e misogini”. Ho notato una velocissima e straordinaria reazione a quel tweet. Una delle prime reazioni che ho visto è stata qualcuno che ti ha detto: “Smettila di parlare della Palestina”, se ci credi. Ho visto quella reazione molte volte. L’ho trovata una reazione molto interessante: “smettila di parlare della Palestina”. Perché è quella la prima reazione? C’è un argomento che è fondamentalmente tabù in occidente, qualcosa di cui non si può parlare senza conseguenze potenzialmente gravi, e quando dici qualcosa che a questa gente non piace, ti dicono di “smetterla di parlare della Palestina” come se ogni altra parte della società non ti stesse già dicendo di chiudere il becco a proposito della Palestina.

RK: E’ davvero impressionante il modo in cui la solidarietà, i canali e gli attivisti a favore della Palestina siano stati attaccati fin dall’inizio da persone che appoggiano l’intervento in Siria. Fanno di tutto per mettere a tacere l’attivismo palestinese.

Persino nella regione oggi la Palestina è l’ultimo dei pensieri della gente. C’è anche un tentativo di equiparare la Siria alla Palestina. La tattica dell’affermare: se appoggi la resistenza in Palestina ma non l’opposizione siriana, allora sei un ipocrita e non hai diritto a parlare della Palestina. Ma sono diverse. La Palestina è occupata e colonizzata. Non occorre amare l’esercito siriano per riconoscere che è di quel paese e che combatte un’insurrezione in cui vi sono elementi stranieri. Non si può semplicemente appoggiare qualsiasi resistenza. Conta per cosa combatti. Se combatti il colonialismo, posso essere a favore. Se combatti per imporre uno stato islamico, non posso appoggiare questo.

Non c’è unanimità tra i palestinesi riguardo alla Siria. Molti palestinesi vivono in Siria. Ci sono palestinesi che appoggiano l’opposizione, palestinesi che hanno tentato di restare neutrali e palestinesi che combattono con il regime. Non è una situazione facile. Non c’è unanimità tra gli arabi o tra i palestinesi. E’ ipocrita usare la questione della Palestina per far passare la propria posizione sulla Siria.

JP: Sono stato colpito da come tutto è concentrato sull’impedire alle persone di parlare.

Ma tornando a quel tweet. Posso capire come essere definito “fanatico e misogino estremista” possa far imbestialire qualcuno che si identifica come salafita o wahabita e possa indurlo a ribattere definendoti islamofoba. Come reagisci a tale accusa?

RK: Ho fatto una dichiarazione al riguardo su Facebook. Non è islamofobo criticare salafismo e wahabismo, ideologie di estrema destra che promuovono il genocidio di minoranze e i cui sistemi di credenze sono alla radice ispiratrice di ciò che muove al-Qaeda e l’ISIS e gruppi simili a loro.  Per me è scandaloso vedere persone che cercano di sopprimere la critica di ideologie ultraconservatrici evocando l’islamofobia. L’islamofobia è un problema serio nel paese e non dovrebbe essere buttata lì superficialmente. E’ analogo a dire che chi critica il sionismo è colpevole di antisemitismo. C’è chi ha detto che io non sono mussulmana e dunque non posso criticare. Ma quelle ideologie mi riguardano direttamente; affermano che io sono da uccidere e non umana. Dunque da minoranza della regione ho ogni diritto di parlarne.

JP: L’accademico citato prima che ti accusa di mascherare i crimini del governo indica un articolo da te scritto su come le sanzioni stanno danneggiando l’economia siriana. Non sono sicuro di come la seconda cosa porti alla prima. Forse puoi approfondire.

RK: Io non nego che il governo siriano uccida gente. Ho visto i risultati dei suoi bombardamenti. Bombardano qualsiasi cosa. E’ un livello schiacciante, indiscriminato di violenza contro aree dell’opposizione. E l’opposizione ha ucciso decine di migliaia di soldati governativi. E’ una guerra tra due schieramenti. Ho detto che questa è una guerra tra due parti.

Ma non si dovrebbe credere alle classifiche che affermano che il governo è responsabile del 95% di tutte le uccisioni. Se il governo ha ucciso il 95% dei civili, allora la parte in guerra in cui c’è al-Qaeda ha ucciso solo forze governative ed è la forza combattente più nobile della storia. Non maschero le atrocità del governo. Ho detto qualcosa che è evidente: ci sono due parti che combattono e due parti che uccidono civili.

JP: Al-Qaeda è famosa per operazioni contro i civili. Ma continuiamo riguardo alle sanzioni.

RK: Ho scritto un articolo che diceva che le sanzioni sono distruttive per i civili. Non mi vergogno di scrivere al riguardo. Hanno cercato di distorcere i miei servizi sulle sanzioni dicendo che nascondono le atrocità del governo. Le sanzioni hanno distrutto l’economia siriana e reso realmente difficile ottenere aiuti umanitari in una delle maggiori catastrofi umanitarie. Gli Stati Uniti hanno inondato la Siria di armi e soldi a gruppi armati sanzionando contemporaneamente gli aiuti umanitari alla gente presa in mezzo al fuoco incrociato. E’ qualcosa che andrebbe contrastato. Stephen Zunes ha scritto a proposito delle sanzioni contro l’Iraq e su quanto orribili sono state. Dice che io copro il regime perché ho la stessa posizione sulle sanzioni contro la Siria, che per inciso hanno negato farmaci anticancerogeni per i bambini in Siria. L’ipocrisia è ridicola. Persone che si sono opposte alle sanzioni contro l’Iraq mi stanno attaccando perché ho la stessa posizione.

JP: E’ davvero bizzarro, perché se opporsi alle sanzioni contro la Siria ti rende un’apologeta di Assad, opporsi alle sanzioni contro l’Iraq deve renderti un apologeta di Saddam, e Saddam non è uno cui queste persone vorrebbero vedersi associate, non più che con Assad.

RK: Penso che la differenza sia questa: gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq con decine di migliaia di soldati statunitensi. La Siria è stata una guerra per procura in cui gli Stati Uniti hanno appaltato a gruppi jihadisti salafiti. Così non si vede che c’è una guerra contro la Siria.

JP: Per concludere vedo quattro cose qui:

1) un insieme di valutazioni che tu hai su argomenti specifici come l’acquedotto di Damasco, la portata dei gruppi armati non islamisti e del sostegno popolare all’opposizione e l’impatto delle sanzioni;

2) un insieme di tue idee politiche che sono piuttosto comuni nella sinistra, compreso un forte sostegno al laicismo, l’opposizione alle ideologie wahabita e salafita e scetticismo anche nei confronti di principali organizzazioni per i diritti umani quando presentano affermazioni che vanno oltre le prove da loro offerte;

3) un insieme di dichiarazioni su di te che sono false (ad esempio che tu “difendi attacchi contro civili”, “hai partecipato a un tour di pubbliche relazioni patrocinato da Assad, eccetera);

4) una combinazione di tutte queste cose per parlare delle tue “idee” come se tu avessi opinioni discriminatrici su determinati gruppi di persone.

Ma non è così. Tu sei una sostenitrice di sinistra di diritti uguali per tutti e hai idee inequivocabilmente antidiscriminatorie. Nessuno dovrebbe fare 3) e 4) e se qualcuno ha problemi con 1) e 2) dovremmo discuterne nel merito.

(Originale: https://zcomm.org/znetarticle/the-much-maligned-views-of-rania-khalek-on-syria/)

Green Economy alla rignanese

segnalato da Barbara G.

Renzi, la ‘green economy’ dell’ex premier: niente Strategia energetica nazionale e grandi agevolazioni per gli idrocarburi

Dalla California l’ex premier rilancia “la scommessa sulle energie alternative” perché “durante i mille giorni abbiamo fatto molto ma ne abbiamo parlato poco”. La realtà è diversa: il suo esecutivo verrà ricordato per le trivellazioni più facili nel Mediterraneo, il calo degli investimenti sul fotovoltaico, le mosse del Mef per non far pagare l’Imu alle piattaforme petrolifere, gli annunci per la Sen e il Green Act mai arrivati. Ma ora l’obiettivo è quello di spuntare le armi di Michele Emiliano.

di Marco Pasciuti – ilfattoquotidiano.it, 24/02/2017

E’ la carta che rispunta ciclicamente dal cilindro alla vigilia delle battaglie più importanti. L’aveva tirata fuori quando, nei panni del rottamatore, andò alla conquista del comune di Firenze. Lo fece di nuovo alle primarie del 2012, quando sfidò Pier Luigi Bersani per la leadership del centrosinistra. Poi nel febbraio 2014, presentando il suo governo. E’ successo ancora questa settimana, con la partita del congresso alle porte e il tentativo di fare proprie le armi dell’avversario: dalla California Matteo Renzi torna a rilanciare “la scommessa sulle energie alternative” e sulla sostenibilità ambientale. I temi sui quali Michele Emiliano, suo principale sfidante alle prossime primarie del Pd, ha costruito la propria figura politica e la propria ascesa nel partito. Ma, al di là delle dichiarazioni, per la green economy nei 2 anni e mezzo a Palazzo Chigi l’ex premier ha fatto meno di quanto annunciato.

La gestione del comparto energetico a resta ancorata a “una concezione dello sviluppo troppo legata a modelli del passato“, ha scritto il 16 gennaio Ermete Realacci in un intervento su Linkiesta. Eppure tre anni fa, il 24 febbraio 2014, lo stesso presidente della Commissione Ambiente esultava per i cenni alle “fonti rinnovabili, l’innovazione in campo ambientale con la chimica verde” contenuti nel discorso con cui il neo-premier aveva chiesto la fiducia in Senato. La prima legge a portare gli ambientalisti sulle barricate era stato il cosiddetto “Spalma incentivi“: il decreto 91 convertito il 7 agosto 2014 prevedeva che dal 1° gennaio 2015 tutti gli impianti fotovoltaici di potenza superiore ai 200 kWp non avrebbero più goduto dei sussidi previsti, lasciando la possibilità di scegliere tra un’erogazione dell’incentivo su 24 anni invece che su 20, oppure un taglio secco del sussidio.

L’intero settore aveva bisogno di una regolamentazione, data anche la mole di truffe e casi di “solare fantasma” che andavano a ingolfare i tribunali del Sud Italia, ma l’effetto ha influito negativamente sugli investimenti. “L’aspetto più critico del provvedimento – si legge nel rapporto Rinnovabili nel mirino pubblicato da Greenpeace nel marzo 2016 – risiede nella sua retroattività. Si è deciso di modificare accordi definiti in precedenza per investimenti già effettuati”. Così secondo il report “Global Trends in Renewable Energy Investment 2016” elaborato dall’Unep, il Programma ambientale dell’Onu, nel 2015 “l’Italia ha visto gli investimenti sulle  rinnovabili scendere sotto quota 1 miliardo di dollari, – 21% rispetto al 2014 e molto al di sotto dei 31,7 miliardi registrato durante il boom del fotovoltaico del 2011 (prima della lunga sequela di tagli inaugurata dal governo Monti, ndr). Il taglio retroattivo degli incentivi ha contribuito a smorzare l’interesse degli investitori”. Nel 2015 anche la Germania, si legge ancora, aveva conosciuto un calo consistente, “il peggiore da 12 anni”, ma il crollo si era fermato a quota a 8,5 miliardi.

“Sulle rinnovabili il governo Renzi ha soltanto tagliato – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – dopo la promessa fatta ai tempi del referendum sulle trivelle (e ribadita il 21 aprile 2016 a New York in occasione del dibattito sugli obiettivi per lo sviluppo sostenibile alle Nazioni Unite, ndr) di arrivare entro fine legislatura al 50% di energia prodotta da fonti rinnovabili, l’esecutivo non ha fatto un solo provvedimento serio che va in questa direzione. Non a caso tra il 2015 e il 2016 la percentuale si è ridotta dal 38% al 33%“.

Un mese più tardi scoppiava la grana trivellazioni. Il 12 settembre 2014 il governo aveva varato il decreto Sbocca Italia“, ribattezzato dai detrattori “Sblocca Trivelle“, perché toglieva alle Regioni e dava a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi nel Mediterraneo. Immediatamente la Puglia guidata da Michele Emiliano si metteva a capo di una cordata formata da Basilicata, Marche, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise – oltre a Greenpeace, Legambiente e WWF Italia – che chiedeva e otteneva dopo un lungo braccio di ferro legale e politico il referendum abrogativo. Il 20 marzo 2016, a meno di un mese dal voto del 17 aprile, Renzi chiariva ufficialmente la linea del partito: la segreteria del Pd è per l’astensione. Per poi ribadire qualche giorno dopo nel pieno delle polemiche: “L’astensione a un referendum che ha il quorum è una posizione sacrosanta e legittima“. Risultato: la consultazione non raggiunse il quorum e “le compagnie hanno continuato a richiedere autorizzazioni per impianti nel Mediterraneo – continua Zanchini – come il progetto Vega di Edison che viene presentato in questi giorni, quando loro negavano che si potessero costruire nuove strutture”.

Nel frattempo, il 19 maggio 2015, il Senato aveva approvato in via definitiva il testo unificato sugli Ecoreati, che aggiornava il codice penale prevedendo il carcere per 5 nuovi reati: disastro ambientale e inquinamento ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento dell’eco-controllo, omessa bonifica. Un testo salutato con soddisfazione da tutte le parti politiche (approvato a Palazzo Madama grazie all’inedita alleanza M5s-Sel-Pd), ma che le associazioni mettevano nel mirino perché orfano del divieto dell’utilizzo dell’air-gun, tecnica che prevede esplosioni ad aria compressa per la ricerca di idrocarburi in mare. Contro la quale il solito Michele Emiliano partiva per l’ennesima crociata.

Ulteriore conferma del senso di Matteo per gli idrocarburi era arrivata il 1° giugno 2016, giorno in cui il Ministero dell’Economia era intervenuto in un pluridecennale braccio di ferro tra giganti del petrolio e diversi territori del Sud. Con la risoluzione numero 3/DF il Dipartimento delle Finanze stabiliva che per le piattaforme di trivellazione le compagnie non devono pagare Imu e Tasi. La motivazione: quel tipo di impianti non è inventariato dal Catasto ma dall’Istituto idrografico della Marina, e di conseguenza per ottenere il pagamento servirebbe “l’ampliamento del presupposto impositivo dell’Imu e della Tasi”, scriveva il Mef. Che prendeva così nettamente posizione in favore dell’Eni contro il comune di Pineto, nel teramano, tentando di superare la sentenza del 24 febbraio 2016 della Corte di Cassazione. Che ribadiva l’obbligo del pagamento in un successivo pronunciamento del 30 settembre 2016.

Tra le misure adottate Renzi può annoverare il Collegato ambientale. Approvato il 22 dicembre 2015, il testo prevedeva tra le altre cose 35 milioni di euro a favore dei comuni con più di 100mila abitanti per finanziare progetti di mobilità sostenibile, credito d’imposta del 50% in favore delle imprese per la bonifica dell’amianto, norme contro l’abbandono di rifiuti di piccole dimensioni come mozziconi di sigarette, gomme da masticare, scontrini, fazzoletti di carta. Ancora presto per valutare gli effetti del decreto Rinnovabili del 23 giugno 2016, che mette sul piatto 9 miliardi in 20 anni per le rinnovabili non fotovoltaiche.

Provvedimenti che, tuttavia, non si inseriscono in una Strategia energetica nazionale, che il governo Renzi non ha mai varato. L’ultima Sen risale a inizio 2013, ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Al di là degli annunci, il lavoro dell’esecutivo in questo senso è approdata appena a una risoluzione approvata in Commissione Ambiente al Senato il 16 febbraio in cui si consegna “al governo una serie di impegni“. L’ennesimo libro dei sogni.

Altrettanto campato in aria è il Green Act di cui Renzi aveva parlato per la prima volta due anni fa, in un tweet del 2 gennaio 2015 in cui elencava i capitoli principali dell’azione del suo governo. Il tema era stato oggetto di una infinita serie di annunci del ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti che iniziava il 25 febbraio 2015 (“Il Green Act partirà a  marzo“) e terminava il 10 giugno 2016 (“Il Green Act potrà rappresentare il primo passo verso un nuovo modo di vedere e vivere la normativa ambientale”). Con la capogruppo Pd in Commissione Ecomafie Laura Puppato che ancora il 27 ottobre 2016 ne parlava al futuro sottolineando la necessità di “varare al più presto il Green Act”.