TV Siberiana

Le ragazze del ’43 e la bicicletta

segnalato da Barbara G.

uisp.it, 13/05/2015

Le ragazze del ’43 e la bicicletta” è il documentario realizzato da Uisp e Udi in occasione del 70° della Liberazione. Il video racconta il contributo decisivo delle donne alla Resistenza e in modo particolare quello dei Gruppi di difesa della donna e delle staffette partigiane. L’Uisp sceglie la bicicletta come simbolo della Liberazione per celebrare il ruolo fondamentale giocato dalle Staffette partigiane durante la Resistenza. La bici è, inoltre, un esempio di Liberazione da un modello di mobilità urbana insostenibile.

Le donne nella Resistenza erano in gran parte giovani e giovanissime e per il loro impegno hanno usato i mezzi semplici e poveri che avevano a disposizione, come la bicicletta. Questa, proibita come pericolosa dai nazisti, rimane il simbolo dell’impegno di una nuova generazione di uomini e di donne per la libertà del nostro paese e aiuta a comprendere il coraggio e la generosità di quella storia.

Il documentario, della durata di 30′, racconta, attraverso immagini e le testimonianze di Marisa Rodano, Lidia Menapace, Luciana Romoli e Tina Costa, quelle straordinarie pagine della Resistenza italiana, scritte anche con l’uso della bicicletta. Il video è stato ideato da Vittoria Tola e Raffaella Chiodo, che hanno curato e realizzato le interviste, mentre la regia e il montaggio sono firmati da Francesca Spanò.

Ecco alcuni stralci delle interviste alle quattro partigiane: “La bicicletta in quegli anni serviva per scappare, per questo i nazisti la vietarono a Roma durante l’occupazione, con un editto del 1943. La stessa cosa avvenne in altre città italiane, ha detto Marisa Rodano, classe 1921, parlamentare italiana ed europea che ebbe un ruolo attivo nella lotta partigiana a Roma.

“La maestra un giorno ci disse che saremmo dovuti andare tutti vestiti da figli della lupa e piccole italiane e a me l’idea piaceva molto. Mia madre quel giorno mi disse: ‘qui c’è poco da mangiare, vai a cercare la lupa e fatti dare da mangiare, perché anche per lei non ne abbiamo’. Credo di aver fatto la mia scelta quel momento, anche guidata da una famiglia di antifascisti”. Queste le parole di Tina Costa.

Luciana Romoli, ci ha raccontato il suo primo atto di ribellione, nel 1938: “Appartenevo ad una famiglia di antifascisti, mia madre addormentava le mie sorelle con canzoni sovversive. Nel 1938 quando facevo la terza elementare sono stata espulsa da tutte le scuole del regno perché ho difeso la mia compagna di banco ebrea”.

“Dopo l’8 settembre mio padre viene preso e portato in un campo di concentramento, noi siamo sfollati ma mia sorella e io in bicicletta tutte le mattine scendiamo a Torino per andare a scuola. Una volta mentre scendiamo due ragazzi in borghese ma col moschetto ci fermano e ci chiedono ‘Da che parte state?’ Io rispondo che sto contro quelli che hanno portato via mio padre, allora ci propongono di aiutarli a portare messaggi a Novara. Così sono diventata staffetta, usando la bici che era il mezzo di comunicazione più popolare”, così Lidia Menapace racconta il suo ingresso tra le staffette partigiane.

Siria, la guerra più lunga

segnalato da Barbara G.

Il 03/05/2017 a Cremona si è tenuto un incontro sul tema della guerra in Siria e dell’accoglienza, organizzato dalla Tavole della Pace e da altre associazioni. Gli ospiti erano Asmae Dachan, giornalista e scrittrice italo-siriana, e il sociologo Mauro Ferrari. La serata si è incentrata principalmente sulla testimonianza di Asmae. Di seguito riporto una intervista, pubblicata sul settimanale “Il Piccolo” di Cremona e ripresa dal portale Democratici nel Mondo, e il video dell’intervento della giornalista, pubblicato su welfarenetwork.it.

***

Intervista ad Asmae Dachan, scrittrice e giornalista italo-siriana.

I suoi genitori sono nati ad Aleppo e lei ha tenuto un rapporto non solo affettivo, ma culturale e civile con il popolo siriano e il suo destino. Quando può, torna come giornalista in quelle aree martoriate e visita ai confini i campi profughi. ” La società siriana è stata spaccata in due, volutamente. Ma adesso è sbagliato descrivere quel dramma come una guerra civile. E’ un genocidio!” In questa intervista Asmae Dachan parla da musulmana, da teologa islamica, da pacifista, da ammiratrice di papa Francesco e sostenitrice del dialogo interreligioso. I negoziati internazionali in corso invece di spartirsi le aree di influenza dovrebbero assicurare prima di tutto il diritto del popolo siriano alla pace.

Il dramma della Siria può essere sintetizzato come “ la guerra più lunga” dei nostri tempi. Perchè sta durando così tanto e quali effetti sta producendo sulla stessa popolazione siriana?

La guerra in Siria è effettivamente la più lunga dell’ultimo secolo, sta durando più della Seconda Guerra mondiale. Sono passati 6 anni e ancora non se ne vede la fine. La stessa ONU la definisce la più grave crisi umanitaria dalla Seconda Guerra mondiale. Ma è una guerra di nuovo tipo: non c’è un esercito di uno Stato che combatte contro l’esercito di un altro Stato. La Siria non è invasa da uno Stato straniero. E’ lo stesso regime siriano di Bashar al Assad che combatte e bombarda il suo stesso popolo. La stessa opposizione armata, formata in un primo momento da militari siriani che si sono rifiutati di sparare sulla propria gente, hanno disertato e formato l’Esercito Libero Siriano, con l’andare del tempo sono stati ridimensionati se non sostituiti in ampie zone del Paese da formazioni estremiste e qaediste finanziate dagli Stati arabi del Golfo. Per questo sarebbe sbagliato analizzare il conflitto siriano solo con una interpretazione politica di parte: ha torto Bashar al Assad e hanno ragione i suoi oppositori. Oppure fa bene al Assad ad utilizzare la forza in una situazione di caos e hanno torto i suoi oppositori visto che, nel frattempo, in Siria si è infiltrato l’estremismo di radice islamica ed è nato l’Isis.

Qual’è allora il punto di vista che i negoziati sul futuro della Siria ma anche le opinioni pubbliche in Italia e in Europa dovrebbero privilegiare per capire meglio cosa sta succedendo in Siria ?

Adottare il punto di vista della società siriana, il punto di vista di una popolazione che nella sua grande maggioranza non ha voluto e non vuole ricorrere alla violenza, non vuole imbracciare per forza un fucile a sostegno o contro al Assad. Attenzione: non è una scelta di neutralità tra campi avversi. E’ la consapevolezza diffusa che la violenza speculare degli uni e degli altri non porta a nessuna liberazione. E’ soprattutto la consapevolezza che nel conflitto siriano sono entrati prepotentemente in gioco attori e interessi internazionali che ne hanno stravolto la portata: Iran e Russia da un lato, Arabia Saudita e Stati Uniti dall’altro non mostrano alcun interesse al destino e ai diritti umani del popolo siriano. Per non parlare della Turchia di Erdogan che ha fatto una sorta di doppio gioco: dichiararsi contro al Assad e poi bombardare i kurdi siriani; dichiararsi contro l’Isis e poi permettere che migliaia di giovani foreign fighters raggiungessero lo Stato Islamico. All’inizio non era così: nel marzo 2011, in coincidenza con le “primavere arabe” partite il 17 dicembre 2010 dalla Tunisia, gran parte dei giovani e degli intellettuali siriani si sono mobilitati pacificamente per chiedere democrazia e diritti. Per otto mesi in tutte le città siriane c’è stato un risveglio della società civile che chiedeva riforme e libertà. Il gesuita italiano padre Paolo dall’Oglio né è stato testimone e sostenitore, in coerenza con la tradizione siriana della convivenza e del dialogo tra le diverse religioni. Purtroppo il regime di al Assad ha deciso invece di ricorrere alla forza, di utilizzare l’esercito, ha scelto la repressione più violenta. Adesso quello che è sotto gli occhi degli osservatori che non si lasciano accecare dal tifo per gli uni o per gli altri è la realtà drammatica di un genocidio. In Siria non c’è una guerra civile, ma un genocidio.

Genocidio è un termine durissimo e ha anche una valenza giuridica importante nel Diritto internazionale: se c’è “genocidio” la Comunità internazionale avrebbe il “dovere” di fermarlo, di imporre almeno il cessate il fuoco. Che dati può fornire a proposito ?

Nel solo mese di aprile 2017 sono stati bombardati in Siria 24 obiettivi sanitari : ospedali, presidi da campo, banche del sangue, prontosoccorsi. Non si tratta di incidenti, ma di obiettivi scelti e ben individuati per terrorizzare la popolazione e costringerla ad andarsene. Il bilancio complessivo di questi 6 anni è spaventoso: non meno di 400.000 morti. In un Paese di circa 22 milioni di abitanti gli “sfollati” sono tra gli 8 e i 9 milioni. Attenzione: gli sfollati non sono i profughi. Sono siriani costretti ad abbandonare le loro case e che sono rimasti in Siria trovando riparo temporaneo in zone meno vicine alle linee di conflitto. A questi vanno aggiunti i siriani che, usciti dai confini, sono diventati “profughi”: almeno 6 milioni, 3 milioni dei quali in Turchia che per tenerli ha ottenuto il contributo finanziario dell’Unione Europea. Nel piccolo Libano che ha 3,5 milioni di abitanti i profughi siriani sono 1,2 milioni con enormi problemi di convivenza. Nella Giordania esiste in pieno deserto il più grande campo profughi che si possa immaginare, Zaatari: 80.000 siriani accampati nel nulla che sperano solo di andarsene e fuggire da scarsità di acqua, mancanza di servizi igienici, malattie infettive. In Siria è rimasta nelle proprie abitazioni un terzo della popolazione. E’ come se in Italia 40 milioni di abitanti su 60 fossero stati cacciati dalle proprie case. La violenza di questa guerra ha raggiunto livelli di disumanità spaventosi: bombe a grappolo, barili di esplosivo e acciaio, armi chimiche. I giovani costretti ad arruolarsi a forza da una parte o dall’altra. Per questo molti scappano. E poi l’uso dello stupro nei confronti di donne e persino dei bambini. E’ la logica di guerra che non è mai pulita né chirurgica. Infine l’adozione sistematica dello strumento militare dell’assedio di città, di quartieri, di villaggi per impaurire, cacciare o asservire. Dopo l’assedio di Sarajevo, tutti avevamo detto “mai più”. Invece….

Invece la storia si ripete in Siria in modo ancora più brutale, con ferite che sarà difficilissimo curare anche all’interno del mondo arabo e islamico. Oltre alle responsabiltà dell’Occidente, non c’è anche una responsabilità specifica dello stesso Islam soprattutto nei confronti dell’estremismo dell’Isis ?

Le reponsabilità storiche recenti e passate di Stati europei o degli Stati Uniti è evidente, ma preferisco non utilizzare mai il termine “Occidente” che lascia presagire come inevitabile lo scontro di civiltà. Francia e Gran Bretagna si sono spartite il Medio Oriente dopo la caduta dell’impero ottomano. La Siria e il Libano sono stati assegnati alla Francia. L’iniziale bandiera siriana è quella del 17 aprile 1946 quando la Siria diventa indipendente. La bandiera attuale è invece un’altra, quella preferita dalla famigli degli al Assad. In anni più recenti, gravissimo errore è stato quello di invadere l’Irak fortemente voluto dall’amministrazione Bush, ma non dall’ONU. Ci sono giovani irakeni che hanno vissuto solo in guerra, non sanno cosa sia vivere periodi di pace. La stessa cosa vale per molti giovani afghani e ceceni. L’Isis è riuscita ad arruolarli anche perchè la logica di guerra e del ricorso alla violenza è per loro più familiare della scuola, della libertà di giocare, della convivenza con altre etnie o religioni. La Siria dei miei genitori, originari di Aleppo, era composta da 47 etnie diverse e crocevia di molte religioni e correnti religiose. Adesso la possibilità di ricostruire quella convivenza su basi nuove, su basi democratiche è stata mandata in frantumi. Certo la Russia di Putin fa il suo gioco, visto che da decenni ha in Siria le proprie basi militari navali. Certo gli Stati Uniti pretendono di contare ancora in quello scacchiere così vitale per la produzione e il trasporto del petrolio. Ma c’è una responsabilità specifica gravissima di Stati come l’Arabia Saudita, sunnita, e l ‘Iran sciita che strumentalizzano la religione islamica per accrescere le proprie aspirazioni egemoniche. L’estremismo barbaro e folle dell’Isis è cresciuto in questo contesto fatto di ambiguità e rivalità tra Stati che invece di collaborare, mirano a indebilire l’altro. C’è infine una questione dottrinale all’interno dello stesso Islam. Come donna di fede islamica, laureata in teologia e Diritto islamico, come democratica sostengo che noi musulmani possiamo e dobbiamo delegittimare totalmente l’ isis e le sue giustificazioni e dichiarare incompatibili l’Islam e l’uso della violenza. Come dice papa Francesco le religioni possono e debbono essere solo religioni di pace e il Dio unico che preghiamo ammette un solo estremismo: quello della carità. Del resto la stessa parola islam deriva da salam che significa pace.

A German Life

«Era così gentile, così elegante. Un gentiluomo». Che di nome faceva Joseph Goebbels, il ministro per la propaganda del nazismo, il numero due dopo Hitler. Ma per Brunhilde Pomsel lui era solo il suo capo: «Un bell’uomo, un po’ vanesio, aveva le mani curatissime», ricorda. Dettagli che a una segretaria perfetta come lei non sfuggivano.

Dal ’42 al ’45 al suo fianco, pronta ad eseguire ogni ordine, mai sfiorata dal dubbio se quel che faceva fosse giusto o no. «Era un lavoro come un altro, di quel che accadeva dietro la porta non sapevo nulla», è la tesi ribadita oggi da questa vecchia sorprendente per lucidità e memoria, che a 104 anni si è raccontata in A German Life , film-intervista di Christian Krönes, Olaf Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer, in programma il 24 al Trieste Film Festival, e poi il 27 nelle sale per la Giornata della Memoria.

Due ore di filmato in bianco e nero con tante sfumature di grigio nascoste nel volto di Frau Pomsel. Spietata, la cinepresa indugia su quel paesaggio di rughe, sulle pupille scure di quella testimone oculare del male e della sua banalità. Tutto ciò che ha visto, sentito e negato affiora lì, in quel volto inguardabile da cui non si può staccare lo sguardo. «È un male se chi ricopre un certo ruolo cerca di fare qualcosa per sé, anche se danneggia altri?», si chiede. Certo che no, perché mettersi contro il potere, rischiare il posto e anche di più?

Lei era stata cresciuta alla prussiana: «Obbedire, mentire, imbrogliare», parole d’ordine della generazione ‘Nastro bianco’ di Haneke. Piccoli nazisti crescono. «Mi sono iscritta al partito nazista. Per la tessera ho pagato 10 marchi». Ben spesi. Prima il posto alla Radio, poi al Ministero di Goebbels, dove ogni giorno si spedivano nei campi ebrei, gay e ribelli. «Non sapevo nulla, io battevo a macchina». Tra le sue mani passano fascicoli scottanti. Come quello di Sophie Scholl della «Rosa bianca». «Morta per un volantino antinazista. Se avesse taciuto sarebbe ancora viva».

Certo, quando Goebbels si scatena dal palco incitando alla «guerra totale» anche lei resta sgomenta. «Un attore fenomenale, da persona civile si trasformava in un nano delirante». Lo seguirà anche nel bunker di Hitler. «Era la fine, si beveva per stordirsi. Poi i suicidi: il Führer, Goebbels e la moglie dopo aver avvelenato i bambini». Lei, Pomsel, se la cava con 5 anni di prigionia in Russia.

Poi torna in Germania, riprende il posto alla Radio, si sposa. «Nessun senso di colpa. Se sono colpevole io lo è anche il popolo tedesco». Nella sua casa in Baviera ha appena compiuto 106 anni.

 (testo di Giuseppina Manin – Corsera, 20 gennaio 2017 )