Alfano

La doppia morte di Giulio Regeni

segnalato da Antonella

di Luigi Manconi – ilmanifesto.it, 06/09/2017

Pensandoci bene, trascorso un certo numero di ore ed esercitata la più rigorosa autodisciplina per non incorrere in eccessi ineleganti, devo concludere che l’esito dell’audizione del Ministro Angelino Alfano presso le Commissioni Esteri di Camera e Senato è stato addirittura rovinoso. A parte le solite e lodevoli eccezioni – in questo caso particolarmente rare – il senso complessivo della discussione ha evidenziato alcuni elementi decisamente imbarazzanti.

E se le principali considerazioni sul merito e sulla sostanza di un dibattito deludente sono state già espresse, rimangono alcune questioni in apparenza di dettaglio che sono persino più rivelatrici. Eccole.

Giulio Regeni, nel corso dell’audizione, ha subìto quel meccanismo che abbiamo chiamato di «doppia morte».

È un dispositivo che è stato applicato, in numerose circostanze, nei confronti di vittime di abusi e violenze da parte di uomini e apparati dello Stato. Chi ne ha patito i danni si è ritrovato oggetto, nel corso dell’inchiesta e del dibattimento, di una vera e propria deformazione della sua identità. Alla morte fisica segue un processo di degradazione della persona, della sua biografia e della sua vicenda umana. Lentamente, la vittima rivelerà comunque una sua colpevolezza (e chi può dirsi totalmente innocente?). È quanto, in ultimo, accade a Giulio Regeni. Da molti degli interventi nel corso della seduta, si ricavava la sensazione quasi palpabile che il ricercatore italiano sia stato – a sua insaputa, per carità – una spia britannica: presumibilmente torturato e ucciso nella stessa Cambridge, in una oscura sentina di quell’Ateneo, al fine di metterlo a tacere. Non esagero (basti ascoltare il resoconto di quel dibattito e i suoi toni). Di conseguenza, se ne dovrebbe dedurre che il regime di Al-Sisi non sarebbe, certo, il più liberale del mondo ma, per «ragioni geo-strategiche» e per realismo politico, le sue responsabilità nell’orribile omicidio di Regeni andrebbero messe in secondo piano rispetto alle più gravi colpe della democrazia inglese. La quale ultima ha mosso e continuerebbe a muovere le fila di una trama spionistico-diplomatica nella quale si è trovato impigliato inavvertitamente «il povero ragazzo». Si badi al linguaggio. Perché, a tal proposito, insistere nel definire «ragazzo» un giovane uomo di 28 anni? E perché «studente», dal momento che aveva la qualifica professionale di ricercatore? Per la verità, in tanti interventi quelle parole così maldestre e le altre cui alludevano (l’ingenuità, la sprovvedutezza, l’inesperienza) rivelavano un sentimento assai diffuso tra i membri di quelle stesse Commissioni ma anche in parte della classe politica e della stessa opinione pubblica: un astio malcelato nei confronti di chi è giovane, intellettualmente preparato, ricco di talento e – ahi lui – grosso modo di sinistra. E, infatti, la figura così limpida e fascinosa di Giulio Regeni suscita, in alcuni segmenti della mentalità comune, un sentimento assai simile a una sorta di sottile invidia. Può sembrare tragicamente grottesco, se solo si pensa al corpo straziato di Regeni. Eppure credo che sia così: lo spirito del tempo porta con sé un rancore e una voglia di rivalsa che rendono insopportabile la limpidezza di quelle figure che si trovano a essere, nell’agonia e nella morte, simbolo intenso di valori forti. Da qui, l’irresistibile pulsione a lordarle, quelle figure, o almeno a ridimensionarle per ridurle alla nostra mediocre misura. Si tratta di meccanismi che degradano l’identità e la reputazione e che richiamano l’odiosa pratica del character assassination. Ancora. Nel corso dell’audizione il deputato Erasmo Palazzotto ha chiesto che le Commissioni Esteri ascoltino i genitori di Regeni e il loro legale, Alessandra Ballerini.

La proposta non è stata finora accolta e temo che non verrà presa in considerazione.

Al di là delle motivazioni formali, la vera ragione è che, da sempre, nei confronti dei familiari si assume un atteggiamento sminuente, se non denigratorio, anche quando si propone come massimamente rispettoso. «La più affettuosa comprensione» e la «la più doverosa solidarietà», ovviamente, verso il loro dolore e, allo stesso tempo, la riduzione delle loro parole alla sola dimensione dell’emotività. Dunque, la voce del cuore come contrapposta alla ragion di stato. Ma questo, oltre a essere meschino, è sommamente sciocco. La politica, l’autentica politica, quella intelligente e razionale, quella lungimirante e capace di una prospettiva strategica, ha sempre tenuto in gran conto la sfera dei sentimenti, delle passioni e delle sofferenze. Le vittime e i familiari delle vittime hanno svolto spesso un ruolo cruciale proprio nel dare profondità e razionalità all’azione pubblica e al ruolo delle istituzioni.

I genitori di Giulio Regeni, da oltre un anno e mezzo, svolgono una funzione essenziale non solo perché esprimono il senso di un dolore incancellabile, ma anche – ecco il punto – perché trasmettono un’idea politica saggia sulle cause dell’omicidio del figlio, sulle circostanze e il contesto che lo hanno prodotto e, infine, sulle scelte da adottare affinché quella morte non cada nell’oblio.
Quindi l’audizione dell’altro ieri, tra i molti altri significati (pressoché tutti negativi), si è configurata come una ulteriore occasione persa. La tragedia di Giulio Regeni viene in genere considerata come un fatto non politico o pre-politico o, nell’interpretazione più favorevole, umanitario. Mentre, all’opposto, può ritenersi che le questioni sollevate da questa vicenda – non solo da essa, ovviamente – possano costituire il cuore della politica e il suo fondamento materiale e sociale.

Zerbini

segnalato da Barbara G.

Alfano il cameriere, l’Italia lo zerbino: così si frolla il cadavere di Giulio Regeni

di Giulio Cavalli – left.it, 05/09/2017

Angelino Alfano ha strizzato il proprio povero vocabolario per difendere la scelta del governo di rispedire in Egitto l’ambasciatore italiano seppur in assenza di qualsiasi passo in avanti nella ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. “L’Egitto è un partner ineludibile dell’Italia, allo stesso modo come l’Italia è imprescindibile per il Cairo” ha dichiarato ieri di fronte alle commissioni di Camera e Senato riunite ieri per fare il punto sulla vicenda.

In sostanza il Ministro agli Esteri ha preso ispirazione da Il Trono di Spade citando Stannis Baratheon: “Cos’è la vita di una sola persona di fronte a un regno?”. Nulla. Certo.

Poi è riuscito a trattare l’inchiesta del New York Times come se fosse uno spiffero di corridoio.

La chiamano “realpolitik” e invece è la codardia di chi molla il colpo fingendo che ci siano interessi più alti di una verità negata. È la solita Italia: quella che commemora con aule universitarie morti di cui non ci hanno raccontato abbastanza, provando a convincerci che davvero funzioni commemorare una storia che non ci è nemmeno stata raccontata.

Sullo sfondo c’è la Procura di Roma, incagliata in una mancata collaborazione con l’Egitto che è vergogna aggiunta alla vergogna, che ora deve farsi carico anche del peso politico, oltre che giudiziario.

Sullo sfondo gode Al Sisi, governante dalla scarsissima democrazia, che sorride mentre usa l’Italia come lettiera. C’è sempre un motivo superiore, quando i governanti non hanno il coraggio di dichiarare la resa.

Ma ve lo ricordate quando il governo egiziano ci disse che Regeni era morto in un incidente stradale? Ve lo ricordate Al Sisi quando mentì dicendo che Regeni non era conosciuto dai servizi segreti egiziani? Ecco. Non è nemmeno più indignazione: è uno scoramento, che puzza.

Sicilia, il ritorno di province e indennità

Sicilia, tornano le Province (ma le chiamano «liberi consorzi»). Ripristinate anche le indennità

Alla vigilia di Ferragosto, con un colpo a sorpresa voluto da Forza Italia, passa la reintroduzione dell’elezione diretta dei presidenti. Viene ripristinata anche l’indennità.

di Cesare Zapperi – corriere.it, 11 agosto 2017 
Il presidente della Regione Sicilia Rosario CrocettaIl presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta
Ritorno al passato

La legge regionale segna un ritorno al passato. La Sicilia, infatti, aveva deciso di anticipare la riforma Delrio cancellando per prima le Province, ma da allora le elezioni indirette (cioè affidate agli amministratori locali) sono sempre state rinviate. Esulta il centrodestra: «Abbiamo messo fine alla riforma più strampalata di Rosario Crocetta. Le ex province sono state massacrate da scelte scellerate del Pd per cinque anni. Ora si vede un po’ di luce. Torna anche la democrazia con il voto a suffragio universale. Sono orgoglioso di essere stato il primo firmatario del disegno di legge che oggi con il voto d’Aula ha reintrodotto il voto diretto», afferma Vincenzo Figuccia, deputato di Forza Italia.

Il blitz

La reintroduzione «mascherata» delle province è stato un vero e proprio blitz. Il voto è arrivato dopo che l’aula aveva approvato le norme della cosiddetta finanziaria bis. A sorpresa i deputati hanno chiesto alla presidenza dell’Ars di mettere ai voti il disegno di legge, iscritto all’ordine del giorno da tempo, che reintroduce il voto diretto nelle ex Province. Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia, osserva: «Oggi restituiamo la parola ai cittadini. Con questa legge certifichiamo al tempo stesso la politica fallimentare del Pd, che sulla riforma ottenne l’improvvido sostegno dei 5 Stelle, anche nel settore degli enti locali». Ribatte l’assessore regionale all’Agricoltura Antonello Cracolici: «La decisione del parlamento siciliano di approvare gli articoli della legge che ripristina l’elezione diretta a suffragio universale del sindaco metropolitano è una palese violazione della norma nazionale. È evidente che questa legge sarà inevitabilmente impugnata dal governo nazionale, determinando un ulteriore condizione di caos sulle ex province».

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Da sud a nord, rivolta anche in casa Alfano

Alleanze. Dopo l’abbraccio in Sicilia tra Pd-Ap, il partito del ministro degli esteri è in fermento. Ma anche Renzi ha un problema con Orlando, dopo che l’Assemblea regionale ha approvato una legge che ripristina il voto diretto per le province.

 Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando

di Alfredo Marsala – ilmanifesto.info, 11 agosto 2017

Un’immagine plastica di cos’è la politica in Sicilia, abbarbicata nei giochetti pre-elettorali col pallottoliere e i sondaggi tra le mani, arriva direttamente dal parlamento più antico d’Europa. Ieri ultimo giorno di lavoro per i deputati regionali, da oggi in vacanza (rientro a settembre). A sorpresa, Ap e un pezzo di Pd , per la felicità del centrodestra, impongono, riuscendoci, di mettere ai voti un disegno di legge che poltriva da mesi nel polveroso ordine del giorno dell’Assemblea siciliana. Giovanni Ardizzone, presidente dell’Assemblea e sodale di Casini-D’Alia, lascia in fretta lo scranno, cedendolo al suo vice, Giuseppe Lupo (Pd). Sfilandosi apparentemente così dal pasticcio: come dire, io non c’ero e se c’ero ero in altre faccende affaccendato. Messo ai voti il ddl passa: d’un colpo ritorna l’elezione diretta nelle ex province – ora «Liberi consorzi» – e nelle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina dove i sindaci si sono insediati da qualche mese.
Un blitz vero e proprio, in barba alla (fallimentare) legge Delrio che ha cancellato il voto diretto. In Sicilia, invece se il governo non impugnerà la legge, si tornerà a votare in primavera nella tornata per le amministrative, unica regione in Italia, per la scelta di presidenti, sindaci e consiglieri. L’obiettivo centrato dalla fronda bipartisan – col voto contrario del governatore Rosario Crocetta e del M5s – era quello di rimettere in sesto poltrone da assegnare per rassicurare le truppe assetate di potere. Così è stato. Un blitz che non è piaciuto a Leoluca Orlando, che s’era battuto nei mesi scorsi proprio per fare passare all’Ars l’adeguamento alla Delrio e c’era riuscito tra i maldipancia di molti.

Un problema politico in più per il Pd che ora dovrà dare spiegazioni al sindaco di Palermo con il quale ha congelato il confronto nell’attesa di chiudere l’accordo con Alfano per le regionali di novembre. Già irrigidito da questo flirt, Orlando rischia di ritrovarsi col cerino in mano. La trattativa sul nome del candidato «centrista» a governatore non piace a Mdp e Sinistra italiana, partner di Orlando nella partita. La sinistra rimane ferma sul «modello Palermo»: candidato non legato ai partiti e liste civiche senza simboli.
In realtà un progetto mascherato dietro al quale ci sono le solite facce, persino della prima Repubblica tipo Carlo Vizzini e Totò Cardinale. «Non possiamo in questo contesto non vedere come l’accordo politico tra il Pd e Alfano sostituisca al modello Palermo una alchimia politica siciliana che ripropone ancora una volta il sistema di potere che ha caratterizzato l’esperienza del governo Crocetta» ragionano i leader di Mdp e Si. Schermaglie, per ora. Che non bloccano il dialogo in corso sulla coalizione in Sicilia (anche perché il Pd lavora proprio a un candidato civico), ma minacciano di ripetersi nelle importanti Regioni prossime al voto.

Non è passata inosservata l’offensiva avviata da sinistra anche sulla Lombardia, dov’è in campo per il Pd la candidatura di Giorgio Gori. Sul sindaco di Bergamo, che si è detto pronto alle primarie, Mdp non nasconde le sue perplessità. E dopo l’elogio di Gori all’ex governatore Formigoni, il capogruppo alla camera Francesco Laforgia dichiara che con un «moderatismo senz’anima» che punta ai voti del centrodestra, la sinistra perde. Anche in Lombardia – afferma – la strada del centrosinistra è tutta da costruire». Difficile, per il momento, che a Renzi riesca in Sicilia il progetto del campo largo: una grande ammucchiata con dentro Pd, Ap, centristi per l’Europa, Mdp, Si e liste civiche. I veti incrociati non mancano, mentre il tempo scorre e il M5s corre. Dentro Ap, i malumori sono parecchi. Soprattutto al nord, dove i big, a cominciare da Formigoni, spingono per un’intesa con Forza Italia. Ma anche al Sud le fibrillazioni non mancano.

In Sicilia, il grande bis sponsor della rimpatriata con il centrodestra è Ciccio Cascio, che alle comunali di Palermo, disobbedendo agli ordini di Alfano, ha appoggiato Fabrizio Ferrandelli allineandosi alla scelta di Forza Italia. Cascio è tra i più attivi sostenitori dell’accordo con Fi, dove monta il malessere nei confronti del commissario Gianfranco Miccichè.Tra i dissidenti c’è l’emergente Vincenzo Figuccia, cui è toccato il compito di bacchettare il «capo» per il rinvio del vertice azzurro che era stato fissato per oggi. «Avevamo chiesto a Miccichè un incontro col gruppo parlamentare di Forza Italia all’Assemblea siciliana, evidentemente non è in grado di reggere il confronto e preferisce parlare nei salotti con Alfano», attacca. «La verità – ammette – è che c’è una lotta interna tra chi vuole far rinascere il centrodestra in Sicilia e chi vuole rimanere morbosamente attaccato al potere». E avverte i suoi: «Non è più tempo di burattini da gestire a proprio piacimento. Noi non seguiremo Miccichè in questo percorso». Un endorsement per Nello Musumeci, gradito a un pezzo di Fi che lo ritiene il candidato ideale per sconfiggere il Movimento 5 Stelle.

Pietà l’è morta

segnalato da barbarasiberiana

Premessa. Ieri mattina, a commento del post con cui l’assessore Majorino chiedeva l’assunzione di responsabilità politica ai massimi livelli, un tale ha scritto: “Ma che cazzo stai dicendo razza di decerebrato? è grazie alla vostra politica sinistrorsa che accadono queste cose, tranquillo, noi della riva destra le uniche lacrime che piangiamo sono quelle per il ridere a crepapelle, sia per l’accaduto sia per vedere il vostro fallimento diventare sempre più grosso! By by perdenti!” 

Al simpatico personaggio che ha scritto ciò, e a tutti gli altri che hanno fatto sparate simili, auguro di provare, anche solo per qualche minuto, quello che provano questi disperati. E di pensare che in fondo, una volta, i disperati eravamo noi.

L’articolo che segue è stato scritto dopo una delle tante stragi di questo inverno. Da inizio anno sono morte più di mille persone.

LAMPEDUSA, PIETA’ L’E’ MORTA

di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it, 13/02/2015

Da come si comportano e da ciò che dicono, abbiamo l’impressione che Matteo Renzi, Angelino Alfano, Matteo Salvini (e molti altri ancora) non abbiano ben chiaro cosa è accaduto e cosa purtroppo ancora accadrà sui gommoni alla deriva nel Canale di Sicilia.

A parte i pochissimi sopravvissuti, i più fortunati sono morti per annegamento. Un’onda più alta li ha trascinati nell’acqua gelata: ma se hanno avuto la forza di lasciarsi andare, per loro è sopraggiunta quasi subito l’asfissia. È andata peggio a chi cercava di resistere. Aggrappato ai bordi dell’imbarcazione o rannicchiato sul fondo. L’ipotermia è un processo lungo che sale uno a uno tutti i gradini della sofferenza prima di concludersi con la liberazione finale. Sferzata dal vento gelido e senza adeguato riparo, la pelle comincia a ulcerarsi mentre il corpo è scosso dai brividi. I movimenti si fanno lenti e affannosi, il viso è sempre più pallido mentre labbra, orecchie, mani e piedi diventano blu. Chi tenta di parlare lo fa con crescente difficoltà, le dita s’irrigidiscono, la pelle si gonfia, la mente si annebbia, sopraggiunge l’affanno mentre aumenta la frequenza cardiaca. Infine, a causa della ridotta attività cellulare, il corpo richiederà più tempo per subire la morte cerebrale.

I più giovani avranno il tempo di ricordare i momenti felici, i genitori, gli amori, tutto forse in quell’attimo racchiuso nel tasto del cellulare che non avranno più la forza di premere. Quanti, per non provare più quel rimpianto infinito, avranno implorato la fine? Ora, se Renzi, Alfano e Salvini fossero capaci di moltiplicare questa sofferenza per le 300 vittime di mercoledì e poi per le stragi infinite che hanno trasformato il Mediterraneo nella tomba gigantesca che sappiamo, si renderebbero conto di come le loro reazioni siano, oltreché politicamente inadeguate, “umanamente” insopportabili.

Grida vendetta la fine di “Mare Nostrum” dettata da ragioni biecamente economiche come se le vite di migliaia di persone, salvate grazie al prodigarsi degli uomini della Marina Militare, avessero un prezzo (vero Alfano?). E che dire di chi ha trasformato una grande tragedia umanitaria in uno slogan da stampare sulle felpe (“Basta clandestini”) per fare il pieno dei voti nel becero qualunquismo imperante (vero Salvini?). Lascia infine basiti il tweet di Renzi: il solito cinico scaricabarile questa volta “sul caos in Libia”, un modo per lavarsene le mani indegno di un capo di governo.

Di sceneggiate ne abbiamo viste abbastanza. Silvio Berlusconi che, nel 1997, a Brindisi piange sulla strage del barcone speronato dalla corvetta “Sibilla”, salvo poi – ritornato al governo – varare leggi ancora più disumane. Ed Enrico Letta che oggi s’indigna, ma che nell’ottobre 2013, a Lampedusa, s’inginocchiò davanti a centinaia di bare scusandosi per le “inadempienze” insieme all’allora presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e all’immancabile Alfano.

Verrebbe da chiedere cosa abbiano realmente cambiato quelle lacrime. Possibile che questa classe politica, eternamente inadempiente, non riesca a elaborare concetti che vadano oltre i 140 caratteri? Possibile che sulle lapidi di quei ragazzi morti di freddo non siano capaci di scrivere una parola di pietà, ma solo gli scarabocchi delle loro piccole, squallide beghe?

Come mai, come mai, sempre in culo agli operai?

di crvenazvezda76

Prevedibile quanto successo ieri ai metalmeccanici della AST di Terni.
Il modo in cui Renzi ha accolto l’esito della manifestazione di sabato organizzata dalla CGIL non lasciava presagire nulla di buono. Troppo grande il messaggio politico di quella piazza per non dare una risposta decisa, tangibile e immediata che seguisse il suo roboante “Non mi farò fermare da una manifestazione”. Troppo chiara la volontà sua, del governo e dei suoi seguaci di non smuoversi dalle posizioni assunte nel decreto lavoro. E poi le dichiarazioni della Picierno, che sembra non avere idea del funzionamento del sindacato. Nozioni superflue, se devi sparare contro come un Brunetta qualunque.

Ora sono curioso di sentire le dichiarazioni dei dirigenti Pd che sabato hanno fatto la passarella a Roma, e di vedere cosa faranno poi in Parlamento, quando si tornerà a discutere di lavoro.
Certo… non bisogna essere maghi per prevedere un legnoso “Forte indignazione per ciò che è avvenuto oggi a Roma” e un compìto “Votiamo la delega per responsabilità verso il partito”. Chissà se mi sbaglio…

Cambiano i governi, ma il trattamento riservato alla piazza non cambia: la cura del manganello non passa mai di moda.