Ambiente

Indebitati con la Terra

di Barbara G.

Provate ad immaginare se, ogni mese, voi spendeste il 70% in più del vostro stipendio, tredicesima e quattordicesima comprese.

Potreste reggere qualche mese, poi comincerebbero a pignorarvi l’auto, la TV…

Ecco, il pianeta Terra non può pignorarci l’auto. O lo smartphone i-minchia. Magari, potesse…

Ecco, oggi noi abbiamo finito di consumare ciò che la Terra è in grado di rigenerare nell’arco dell’anno. E cominciamo a vivere andando “in prestito” di ciò che non si può rigenerare, e che quindi non potremo tecnicamente restituire.

Riporto qui un grafico relativo all’andamento negli anno del cosiddetto “Earth overshoot day”

Faccio una considerazione: la data calcolata è un valore globale. Come siamo messi noi in Italia? Malissimo. Se fossero tutti come noi, ogni anno servirebbero 2,6 pianeti come la Terra.

Riporto qui qualche articolo sul tema, e il link al sito dell’organizzazione internazionale che si occupa di queste tematiche. Meditate, gente…

https://oggiscienza.it/2018/08/01/earth-overshoot-day-2018/

https://www.overshootday.org/

 

La distruzione del Gran Chaco

segnalato da Barbara G.

Le immagini mai viste della distruzione del Chaco: distese di soia al posto delle foreste

Terreni bruciati, alberi abbattuti. Poi, distese di soia, dove prima sorgeva la foresta. Ecco le immagini della deforestazione in Argentina e Paraguay. Per far crescere l’industria dei mangimi. Tra glifosato e bambini con tumori

di Francesco De Augustinis – corriere.it, 26/03/2018

Le immagini sono davvero impressionant/i. Distese di monocolture che si stendono a vista d’occhio. Poi una sottile linea di confine e inizia la scena, sempre uguale, di distese altrettanto vaste di terreni rasi al suolo dalle fiamme o coperti da file di tronchi abbattuti dal lavoro sistematico dei bulldozer. Terreni che prima ospitavano la foresta del Chaco, il più grande ecosistema “nativo” del Sud America dopo l’Amazzonia, che giorno dopo giorno lascia spazio a nuove coltivazioni di soia e cereali.

Video qui LINK

La frontiera della deforestazione

Le immagini sono state realizzate tra agosto e settembre 2017 dalla Ong statunitense Mighty Earth in un tratto lungo 4200 km del Gran Chaco, tra Argentina e Paraguay. Un lavoro durato settimane, per raccontare attraverso l’occhio di un drone e una serie di indagini sul campo quello che sta succedendo nella zona dove la deforestazione (legale e illegale) avanza con i ritmi più rapidi al mondo.
L’ecosistema del Chaco ricopre un’area di 110 milioni di ettari tra Argentina, Paraguay, Brasile e Bolivia. Si stima che tra il 12 e il 15 per cento del Chaco sia già stato “convertito” in uso agricolo. Tra il 2000 e il 2012 è stata deforestata un’area di circa 8 milioni di ettari. Negli anni successivi il ritmo è aumentato come “effetto indiretto” delle normative contro la deforestazione legata alla soia in altre zone del Sud America, come l’Amazzonia.

Carenza normativa

«In Argentina e in Paraguay esistono sistemi di tutela ambientale simili, che sono ancora più deboli di quello del Brasile. In generale c’è una situazione di mancanza di norme», ci racconta Anahita Yousefi, responsabile delle campagne di Mighty Earth. «In questi due Paesi in sostanza c’è solo Greenpeace Argentina come soggetto che si occupa di monitorare l’avanzata della deforestazione, contrastando il taglio illegale».
Secondo i dati raccolti dall’associazione, la «carenza normativa» ha già permesso la perdita di oltre il 22 per cento della superficie di foreste dell’Argentina, convertite per lo più in coltivazioni di soia. La zona più colpita è il nord del Paese, nell’area del Gran Chaco, ovvero nelle province di Santiago del Estero, Salta, Formosa e Chaco, «dove si concentra l’80 per cento della deforestazione».
Anche in Paraguay il Chaco è il principale fronte di deforestazione da quando nel 2004 una normativa ha imposto la «deforestazione zero» dall’altra parte del Paese, nelle aree atlantiche già quasi totalmente convertite in terreni agricoli, spostando di fatto l’avanzata delle coltivazioni. «Nel Chaco argentino il principale motivo della deforestazione è la soia», afferma Yousefi. «Nell’area del Chaco in Paraguay invece il primo motivo di deforestazione è l’allevamento bovino (ne avevamo parlato in un precedente servizio, ndr), poi c’è la soia».

La questione chimica

Insieme alle immagini della deforestazione, Mighty Earth ha approfondito anche l’impennata dell’utilizzo della chimica nel Chaco, dovuto alle sfavorevoli condizioni di coltivazione in quest’area del pianeta. «Il clima rigido del Chaco non è naturalmente adatto alle grandi monocolture», si legge nel rapporto della Ong. «Di conseguenza, la soia coltivata qui è geneticamente modificata e richiede grandi quantità di fertilizzanti chimici e pesticidi, come l’erbicida glifosato».
Ad oggi in Argentina sono ammesse 46 colture Ogm, la maggior parte soia e mais. Il team investigativo di Mighty Earth ha raccolto sul campo diverse storie in cui le fumigazioni dei campi, fatte con gli aerei sulle grandi monoculture di soia, sono le principali indiziate dei problemi di salute anche gravi alle popolazioni delle città e dei villaggi della regione, adiacenti ai campi. «Sono venuti qui nel Chaco e in tutta l’Argentina per crearci problemi di salute con la Soia», si sfoga Catalina Cendra, piccola agricoltrice di Napai, città della provincia del Chaco in Argentina. «Vengono, seminano, avvelenano, raccolgono e vanno via».

Chi vende e chi compra

Il team di ricercatori incaricato da Mighty Earth riferisce nel rapporto di aver intervistato anche diversi coltivatori delle distese di soia: «Ci hanno detto che la loro soia è venduta ai principali trader, citando specificamente Cargill e Bunge tra i maggiori acquirenti». Le due multinazionali, insieme ad altre sigle come Adm, Louis Dreyfus e Wilmar, controllano circa il 90 per cento del commercio mondiale di cereali e semi oleosi come la soia. Entrambe erano già state citate in una precedente investigazione di Mighty Earth sul Cerrado Brasiliano e l’Amazzonia in Bolivia. Quello che è certo è che la stragrande maggioranza della soia coltivata nel Chaco è destinata all’esportazione, in particolare attraverso il porto argentino di Rosario. A livello mondiale, Brasile, Argentina e Usa rappresentano insieme circa l’80 per cento della produzione mondiale di soia, mentre Europa e Cina sono i due principali importatori. Secondo i dati dell’osservatorio resourcetrade.earth nel 2016 l’Europa ha importato 46,8 milioni di tonnellate di soia, di cui 27,8 dall’America Latina. L’Italia ha un ruolo tutt’altro che secondario nelle importazioni di soia sudamericana. Secondo lo stesso osservatorio, nel 2016 ha importato -nell’ordine- 1,5 milioni di tonnellate dall’Argentina (terzo importatore UE), 653 mila tonnellate dal Brasile (sesto importatore UE), 530 mila dal Paraguay (secondo importatore UE).

L’industria dei mangimi

Almeno l’85 per cento della soia importata in Italia è utilizzata per la produzione di mangimi, destinati agli allevamenti. La stessa Mighty Earth mette in correlazione la soia importata con l’aumento del consumo di carne in Europa: secondo i dati Ocse, nel 2016 ogni cittadino europeo ha consumato in media 32 kg di suino, 24 kg di pollo, 11 kg di carne bovina, 2 chili di ovini e caprini.

Il collegamento tra deforestazione, soia, carne e derivati è un tema centrale in ottica di sostenibilità alimentare. L’aumento di nuovi terreni coltivati a soia e cereali è trainato prevalentemente dalla domanda dell’industria mangimistica, che deve far fronte all’aumento del consumo globale di carne. Una domanda che che a sua volta va di pari passo con l’aumento della popolazione mondiale, che dovrebbe superare i 9,7 miliardi nel 2050.

Secondo i dati Faostat, produciamo già calorie alimentari per circa 16 miliardi di persone, ma gran parte della produzione di cereali e semi oleosi è destinata ai circa 70 miliardi di animali da produzione allevati ogni anno. Con questo ritmo, si stima che nel 2050 un quinto delle foreste residue sul pianeta dovrà essere convertito in terreno agricolo per la produzione di soia e cereali.

Scusate il ritardo.

Emissioni inquinanti, Italia inadempiente sui dati del 2015: ‘Comunicati fuori tempo per problemi tecnici’. Unico Paese dell’Ue

Triskel182

Roma non ha fornito a Bruxelles informazioni relative a oltre 3.000 stabilimenti. Lo si legge sul sito dell’E-Prtr, il Registro europeo del rilascio e trasferimento degli inquinanti: “Non sono state comunicate entro la data richiesta”, marzo 2017.

L’Italia è l’unico Paese a non aver fornito alla Commissione europea i dati relativi al 2015 sulle emissioni inquinanti di oltre 3.000 stabilimenti nei tempi stabiliti dal Regolamento comunitario. Così, ora che il registro è pubblico, nella mappa delle circa 30mila industrie dei Paesi membri e di Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Serbia e Svizzera, la Penisola è un buco nero senza alcuna informazione. E la situazione non cambierà almeno fino a novembre.

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Case di paglia

”Niente gas, solo pannelli solari e paglia: ecco la mia casa a impatto zero”

Carlo Gazzi di fronte alla sua casa (Cafragna, Parma)

La storia di Carlo che, ”scappato” da Milano, ha deciso di costruire con una tecnica in totale rispetto dell’ambiente. Un’abitazione in autonomia energetica da 140 metri quadrati.

di Giacomo Talignani – repubblica.it, 28 luglio 2017

CAFRAGNA (PARMA) – Un’intera casa costruita a chilometri zero. Quando Carlo ha visto per la prima volta quel terreno in cima a un piccolo colle accarezzato dalla brezza fra le vallate di Cafragna si è innamorato. Voleva costruirci il suo rifugio, solo non pensava di farlo con ciò che stava appena calpestando: la terra e la paglia tutt’attorno.
Oggi, ormai finita, quella di Carlo Gazzi, 39enne grafico fuggito da Milano per inseguire il suo sogno, è uno dei primi e recenti esempi di casa modernissima e a due piani tutta in terra-paglia (altri si contano nelle Marche, in Abruzzo o Liguria), antica tecnica che utilizza elementi naturali e iper traspiranti, da tempo dimenticata ma che ora sta riprendendo piede in Italia. Nel 2015 persino Roma ha visto ”sorgere” un’abitazione del genere, fulgido esempio green nel quartiere del Quadraro, che ha raccolto il plauso sui social network. Già prima degli anni Settanta diverse abitazioni rurali italiane venivano realizzate con balle di paglia, ma la nuova edilizia ha superato questi sistemi tutt’oggi in auge in Germania o Francia, seppur adattissimi al clima italiano. Carlo è uno di quei giovani che ha deciso di recuperarli e investirci.
Così, incontrato l’architetto Maddalena Ferraresi, che gli ha dato lo spunto per la tecnica della terra-paglia, “ho comprato un terreno a Cafragna, a pochi minuti da Parma, su un colle circondato dalla via Francigena, i boschi di Carrega e i primi Appennini. Logisticamente perfetta”.
Dalla Francia l’architetto Olivier Sherrer specializzato in case di “terre paille” è arrivato sui colli  per “formare gli operai. Ha fatto un vero e proprio workshop insegnando come costruire”.
A maggio 2016 sono iniziati i lavori e oggi la casa è quasi finita: due bagni, cucina, sale da letto e per gli ospiti (tutte con pavimenti di larice) e diversi spazi per la creatività. “Tutta la casa è green: la struttura portante è in legno, sul tetto i pannelli solari garantiscono l’energia sufficiente. Al momento, per i lavori, sono attaccato alla rete elettrica ma presto credo che utilizzerò soltanto alcune batterie esterne per poter essere del tutto autonomo. Il gas? Non c’è, al limite userò fornelli ad induzione e se farà molto freddo una stufa a legna per l’inverno”.
In un mondo che lotta contro il riscaldamento globale, e dove molte delle attuali procedure edilizie ed energetiche contribuiscono all’effetto serra, l’idea di realizzare qualcosa a basse emissioni di CO2 e sostenibile “era importante. Economicamente ho speso quanto fare una casa normale, ma sono sicuro che l’investimento pagherà e se in futuro ci fosse uno sviluppo di questa tecnica in Italia probabilmente i costi si abbatterebbero ancor di più” dice mostrando un foro nel muro dove si vedono terra e paglia mischiate “che garantiscono un isolamento termico grazie alle proprietà dell’argilla”.
Mentre tutt’attorno alla casa si sentono solo cicale e il rumore della macchina con cui l’architetto Emanuele Cavallo prepara la terra cruda per gli intonaci Gazzi prima di tornare ai lavori indica un punto in fondo alla vallata. “Quella è parte della via Francigena. Se fosse tracciata, i pellegrini potrebbero passare più spesso di qui e sarei felice di condividere con loro il mio spazio e spiegargli come è fatta questa dimora. Anche loro godrebbero del fresco naturale che c’è all’interno. Sto anche pensando a un festival sul tema o altro, quando sarà finita. Perché oltre alla casa in sé, vorrei che questo fosse un messaggio generale su come poter costruire per le nuove generazioni”.

Vivere oltre i limiti

segnalato da Barbara G.

Earth Overshoot Day, esaurite le risorse 2017 della Terra

ansa.it, 31/07/2017

Uomo sempre più “vorace” e le risorse naturali, quelle che la Terra è in grado di rigenerare da sola, si esauriscono sempre prima. L’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse terrestri disponibili per il 2017, quest’anno cade il 2 agosto. Da mercoledì il pianeta sarà sovrasfruttato dall’uomo: lo stiamo consumando 1,7 volte più velocemente della capacità naturale degli ecosistemi di rigenerarsi. Per soddisfare la domanda degli italiani ci sarebbe bisogno di 4,3 “Italie”.

Il calcolo è del Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale, che evidenzia come ogni anno questa giornata cada sempre prima a causa dell’aumento dei consumi mondiali di natura che comprendono frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno. L’anno scorso era stata celebrata l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto, nel 2000 a fine settembre.

Invertire la tendenza, secondo gli attivisti, è possibile e lanciano la campagna #movethedate, per cercare di posticipare l’Overshoot Day. Se riuscissimo a spostare in avanti questa data di 4,5 giorni ogni anno, spiegano, ritorneremmo “in pari” con l’uso di risorse naturali entro il 2050. Ognuno può contribuire con piccole azioni ma servono soluzioni “sistemiche”, dice l’organizzazione: se ad esempio l’umanità dimezzasse le emissioni di anidride carbonica, l’Overshoot Day si sposterebbe in avanti di quasi tre mesi.

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coenergia.com, 11/08/2015

Vent’anni fa l’Earth Overshoot Day è stato il 10 ottobre, nel 1975 il 28 novembre, nel 1970 il 23 dicembre. Lo scorso anno è stato l’8 Agosto.

Quello che offre il pianeta non basta a soddisfare i bisogni, sempre crescenti, della popolazione globale: secondo il report, se avessimo lo stile di vita degli americani, avremmo bisogno delle risorse naturali di almeno 4,8 pianeti mentre se vivessimo come gli australiani ne servirebbero almeno 5,4. Lo stile di vita di noi italiani necessiterebbe di 2,7 Terre mentre servirebbero 4,3 Italie per soddisfare il fabbisogno nazionale con le sole risorse territoriali.

Tuttavia, nonostante il dato davvero allarmante, si è notato un lieve rallentamento di questa tendenza negli ultimi 5 anni, anche grazie all’aumento dell’utilizzo dell’energia proveniente da fonti rinnovabili!
Grazie alle tecnologie disponibili e con un piccolo sforzo da parte di tutti, sarà possibile invertire la rotta!

Trump e gli altri ipocriti

G20, energia. Trump e gli altri ipocriti

Ad Amburgo, al vertice dei G20, la situazione si fa incandescente. Ad accendere la miccia, però, non sono state certo le proteste. L’atteggiamento irresponsabile dei leader mondiali è impressionante. Sul piano ambientale lo testimoniano in primo luogo le cifre. Gli Stati, a cominciare da quelli europei, pronti alla levata di scudi sul mancato rispetto degli impegni sul riscaldamento del pianeta da parte di Trump, continuano a destinare come nulla fosse fiumi di denaro per l’estrazione di petrolio, gas e carbone tramite le agenzie di credito all’esportazione e le istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali di sviluppo. L’Italia è in prima fila, sostiene le fonti energetiche più inquinanti con 2,1 miliardi di dollari l’anno, mentre alle rinnovabili destina appena 123 milioni. E pensare che al mondo fanno credere che bisogna stare col fiato sospeso per sapere se questa volta Trump ha stretto la mano alla Merkel.

di Luca Manes – comune-info.net, 7 luglio 2017

Fra il 2013 e il 2015 i Paesi del G20 garantiscono 71,8 miliardi di dollari in fondi pubblici al settore dei combustibili fossili. Al comparto delle rinnovabili va solo un quarto di questa somma. Lo rivela “Talk is Cheap” un rapporto redatto da Oil Change International, Sierra Club, WWF e Friends of the Earth USA, e sottoscritto tra gli altri anche Re:Common, lanciato nelle ore che hanno preceduto il summit delle 20 principali potenze globali in programma ad Amburgo (Germania) il 7 e 8 luglio.

Gli stati “favoriscono” l’estrazione di petrolio e carbone tramite le agenzie di credito all’esportazione e istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali di sviluppo. Nel caso dell’Italia, presidente di turno del G7 di fatto “boicottato” da Donald Trump,il sostegno pubblico alle fonti energetiche più inquinanti in primis tramite la Sace (agenzia pubblica di credito all’export nostrana) ammonta a 2,1 miliardi di dollari l’anno, a fronte di un misero totale di 123 milioni per le rinnovabili. Le più avanzate ricerche scientifiche indicano che se si vogliono rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul Clima, almeno l’85 per cento delle riserve di combustibili fossili devono rimanere nel sottosuolo.Eppure i paesi del G20 destinano fino a 13,5 miliardi di dollari per nuove esplorazioni, una forte contraddizione rispetto alla levata di scudi di molti leader, in particolare quelli dell’Unione europea, nei confronti del clamoroso passo indietro dell’amministrazione Trump rispetto all’intesa sui cambiamenti climatici presa alla COP 21 di Parigi del 2015.

Le agenzie di credito all’export meno “amiche del clima” sono nell’ordine quelle di Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, con la Chexim cinese l’ente che maggiormente sostiene l’estrazione del carbone.

E’ vergognoso che l’assicuratore pubblico italiano sia in prima fila nel finanziarie l’espansione dell’uso del carbone e nuove esplorazioni di gas in giro per il mondo”, ha dichiarato Antonio Tricarico di Re:Common. “Si pensi ai nuovi impianti a carbone di Punta Catalina in Repubblica Domenicana, o quello di Long Phu 1 in Vietnam, per non parlare delle mega operazioni offshore dell’ENI in Mozambico. Tutti progetti garantiti da ‘Stato Pantalone’, che facilmente dimentica gli impegni presi a Parigi quando si tratta di foraggiare gli affari dei soliti noti”, ha concluso Tricarico.

Per scaricare il rapporto in inglese: http://priceofoil.org/2017/07/05/g20-financing-climate-disaster

Re:common

Quattro consigli per un futuro amico. Rileggendo Alex Langer

La Bottega di Nazareth

da Alexanderlanger.org, il sito della Fondazione Alexander Langer Stiftung.

Nell’agosto del 1995, un mese dopo la morte di Alex, appare su «Rocca» il testo del suo intervento al Convegno di Assisi 1994; partendo dal recupero della semplicità francescana Alex stende lo sguardo su questo mondo malato e cerca di dare concretezza all’insegnamento del santo di Assisi. Il suo pensiero e riassumibile nel motto «lentius, profondius, soavius», che oggi è diventato lo slogan di coloro che ricordano Alex con affetto.

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Se l’ambiente perde il suo Corpo

Segnalato da Barbara G.

Premessa

Visto che qualche settimana fa se ne era parlato, propongo questo articolo: è un po’ vecchio ma riporta alcuni dati interessanti relativamente al contributo alla società dato dall’attività del CFS.

Nel frattempo il CFS è stato “militarizzato” accorpandolo ai Carabinieri. In realtà però la situazione non è così chiara, più tardi posterò anche un articolo che, partendo dalla vicenda di Rigopiano, fa alcune puntualizzazioni sul passaggio di competenze.

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Il 48% degli ecoreati compiuti nel 2014 sono stati scoperti dalla “forestale”

Se l’ambiente perde il suo Corpo

Il Governo con la legge Madia sulla pubblica amministrazione mette mano al Corpo forestale dello Stato, che svolge compiti preziosi nel campo della sicurezza agroalimentare. C’è, secondo i sindacati, il rischio che venga accorpato al corpo dei Carabinieri: il 14 ottobre si terrà una conferenza stampa a Roma e un volantinaggio all’Expo 2015, per informare sui cambiamenti legati a questa ipotesi.

Di Luca Martinelli – Altreconomia n°175

cfs

A fine luglio il Corpo forestale dello Stato ha sequestrato 17 milioni di litri di vino, nell’Oltrepò pavese. Sarebbero stati imbottigliati come Doc o Igp/Igt, senza averne le caratteristiche. Poche settimane prima, aveva sequestrato nella Riviera del Brenta 80 chilogrammi di pellami tra pelli intere di lucertola, varano e ben 129 pelli intere di alligatori e coccodrilli. Il Corpo forestale (Cfs) è infatti quella forza di polizia che si occupa di sicurezza agroalimentare (e per questo dipende dal ministero dell’Agricoltura), ma è anche incaricato nel nostro Paese di assicurare il rispetto della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES). È -lo dicono i numeri- la principale forza di polizia ambientale italiana: il 48% di tutti gli ecoreati commessi nel 2014 e censiti da Legambiente nel rapporto “Ecomafie 2015” sono infrazioni portate alla luce dal Corpo forestale dello Stato; negli ultimi cinque anni, inoltre, il Cfs ha scoperto un migliaio di reati legati al settore agro-alimentare.

Questi sono solo due esempi, che raccontano come la Forestale sia “un corpo tecnico con funzioni di polizia giudiziaria, e negli ultimi decenni ha maturato grandi competenze: riesce ad affrontare il reato ambientale sotto l’aspetto scientifico e giudiziario” come spiega ad Altreconomia Maurizio Santoloci, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Terni. Secondo Santoloci, che è anche direttore dell’ufficio legale della LAV (Lega anti vivisezione), “il personale del Corpo forestale ha la capacità di cogliere i collegamenti tra i settori agro-alimentare, ambientale e di salute pubblica, portando avanti operazioni in cui queste tre visioni interagiscono”. Il personale -circa 7.500 persone- garantisce una presenza diffusa e capillare, “anche in aree remote -suggerisce Santoloci-, dove spesso vengono consumati i reati ambientali, da quelli considerati minori, come il bracconaggio, allo sversamento illegale di rifiuti”.

Gli agenti del Cfs sono però destinati a sparire: è dalla loro la forza di polizia che il Governo ha scelto di partire per “riformare” il sistema (per dare un’idea degli ordini di grandezza, Carabinieri e Polizia di Stato contano circa 100mila effettivi in servizio). Il “ddl Madia” di riforma della pubblica amministrazione (prende il nome dal ministro, Marianna Madia), convertito in legge ad agosto, delega il governo a normare una “riorganizzazione del Corpo”, anche se appare evidente che l’“eventuale assorbimento in altra Forza di polizia” -previsto dallo stesso articolo 8 comma 1 lettera a) del disegno di legge- sia l’opzione prioritaria dal governo. Pesano contro questa scelta le parole del Capo del Corpo forestale Cesare Patrone, pronunciate a maggio 2015 davanti alla commissione Affari costituzionale della Camera: “La polizia non è culturalmente attrezzata per affrontare il reato ambientale”. E rimaste inascoltate.

“Fatico un po’ a gestire lo sconcerto dei collaboratori” racconta Amedeo De Franceschi, responsabile del NAF, il Nucleo Agroalimentare Forestale del Corpo: “Le nostre indagini nascono dall’esame del territorio, e da alcuni indici e marcatori di criticità lungo le filiere. Nel corso del 2015, ad esempio, ci siamo concentrati sull’olio, e in particolare sulla produzione etichettata come Dop o Igp, ma anche sulle produzioni da agricoltura biologica: per affrontare il problema della mosca olearia, che nella campagna 2014 ha ridotto la produzione, sono stati fatti numerosi trattamenti, anche con sostanze illecite. Ad aprile, così, abbiamo sequestrato nel viterbese olio extra vergine di oliva contenente residui  di ‘Clorpirifos etile’, un prodotto fitosanitario vietato in olivicoltura e in agricoltura biologica”. Secondo Santoloci, “l’iper-attività della Forestale per alcuni rappresenta un problema: i reati ambientali sono stati contrastati in gran parte dal Corpo forestale e dalle polizie provinciali: le seconde sono già state eliminate, e se venisse a mancare anche l’apporto del primo sarebbe un vulnus spaventoso”. Perché la Forestale scopre discariche abusive e arresta piromani in flagranza di reato. “Diluire le competenze investigative del Corpo all’interno di altre forze di polizia significa disperdere questo patrimonio” chiarisce Santoloci.

È d’accordo con lui Stefano Ciafani, vice presidente di Legambiente, che prova a guardare oltre: “Noi speriamo che questa operazione di semplificazione serva a creare una nuova polizia ambientale che faccia tesoro di tutto il know-how che il Corpo forestale ha consolidato in anni di attività, costringendo il governo a creare una nuova Polizia ambientale. Dopo il lavoro fatto per arrivare all’approvazione della legge sugli eco-reati (vedi Ae 173), potrebbe valer la pena coordinare il lavoro dei migliori investigatori della forestale e di quelli dei Carabinieri, che insieme lavorano per combattere le ecomafie -dice Ciafani-. Lo schema -aggiunge- sarebbe quello utilizzato nella prima metà degli anni Novanta quando venne istituita la Direzione investigativa antimafia, mettendo insieme personale proveniente da diverse forze dell’ordine”. Il 9 settembre ENPA, LAV, Legambiente, Lipu e Wwf hanno diffuso un comunicato stampa, accusando il governo di prepararsi a realizzare “un regalo alle ecomafie e zoomafie”. Il decreto attuativo in fase di redazione non terrebbe conto delle indicazioni condivise nelle loro interviste da Ciafani e dal magistrato Maurizio Santoloci, che chiede “trasparenza” e “condivisione”. Il provvedimento è rischioso anche per la gestione delle aree protette del nostro Paese: “Non sarebbe possibile proseguire nella gestione sostenibile delle 130 riserve naturali statali, costituite su terreni demaniali” ha detto Patrone in audizione in Parlamento.

Una legge del 2013 ha affidato al Corpo forestale dello Stato la tutela dei patriarchi verdi, gli alberi monumentali. “La valorizzazione e la tutela dei grandi alberi del nostro Paese necessita di regolamenti regionali e nazionali in grado di identificare i criteri di monumentalità e di eccezionalità di un albero, comprese le indicazioni riguardanti penali per l’eventuale danneggiamento -spiega Tiziano Fratus, autore per Laterza de “L’Italia è un bosco”-. Oggi questo quadro è finalmente attivo, mentre il Paese deve ancora capire il valore della convivenza con creature di 300-400-500 anni”. Non è chiaro se il “futuro” Corpo forestale potrà occuparsi di portare a termine il censimento.

Intanto, mentre l’Italia pensa di poterne fare a meno, la Commissione europea ha chiesto ufficialmente al nostro Paese un rafforzamento del Corpo forestale dello Stato, nell’ambito di una pre-procedura d’infrazione (EU Pilot) relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

L’estate 2015 del Corpo forestale dello Stato

Nei mesi di giugno, luglio e agosto del 2015, mentre l’opinione pubblica dava già per “accorpato” il Corpo forestale dello Stato, i nuclei investigativi (quelli di polizia ambientale e forestale, quello antincendio boschivo, quello  per i reati in danno agli animali, tra gli altri) hanno portato a termine numerose inchieste. Oltre agli arresti di alcuni piromani tra Lucchesia e Colli Euganei, lo spettro delle operazioni aiuta a comprendere gli ambiti d’azione del Corpo.

Giugno 2015

  • Il pellet che fa male Sequestrate in 5 regioni 100 tonnellate di pellet contaminato, prodotto da un’azienda di Lecco. Erano presenti concentrazioni indebite di nichel, cromo, zinco, cadmio e rame.
  • Corni di rinoceronti, avorio e corallo Un’operazione internazionale sul traffico illegale di specie di flora e fauna ha portato il Corpo a sequestrare in Italia 5 corni di rinoceronte, 60 pezzi di avorio, 30 pezzi di corallo e oltre 50 pelli di coccodrillo del Nilo
  • La discarica di Calvi Risorta (Caserta) Il Corpo forestale ha scoperto una discarica illegale con un’estensione di circa 25 ettari e un volume di 2 milioni di metri cubi di rifiuti. L’indagine della Forestale è durata circa un anno, mossa dalle denuncia di due giornalisti.
  • Rifiuti e comitati: a Bergamo In un’area di circa 400mila metri quadrati, nella bergamasca, erano stati smaltiti illegalmente 100mila metri cubi di materiali da scavo. L’inchiesta del Corpo forestale fa seguito agli esposti del Comitato spontaneo di cittadini “No alla discarica del Monte Castra”.

Luglio 2015

  • La falsa birra “artigianale” 13 tipologie di birra e oltre un milione di etichette fraudolente: venivano commercializzate con la dicitura “artigianale”, ma erano prodotte in impianti industriali.

Agosto 2015

  • Isernia: fagiolini e caporalato Il Comando Stazione di Venafro (IS) ha individuato in un terreno agricolo una quarantina di persone intente alla raccolta di ortaggi (fagiolini). Nessuno aveva un regolare rapporto di lavoro.
  • Valle dei Templi: via il cemento abusivo Il personale del Corpo ha sovrainteso ai lavori di abbattimento di edifici abusivi costruiti nella zona A del Parco archeologico Valle dei Templi, dal 1997 Patrimonio Unesco.

Governo fossile

Le industrie sporche spendono sempre più in politica per mantenerci nell’era fossile.
di George Monbiot – 19 gennaio 2017 – the Guardian

Facciamo aspettare l’America di nuovo. Questa è la sostanza della politica energetica di Trump. Fermate tutti gli orologi, mettiamo la rivoluzione tecnologica in attesa, assicuriamoci che la transizione dai combustibili fossili all’energia pulita sia ritardata il più a lungo possibile.

Trump è il presidente che i luddisti delle multinazionali sognavano; l’uomo che consentirà loro di spremere ogni cent rimasto dalle loro riserve di petrolio e carbone prima che diventino senza valore. Loro hanno bisogno di lui perchè la scienza, la tecnologia e le domande della gente per un mondo sicuro e stabile li hanno lasciati a terra. Non c’è nessuna battaglia giusta che possano vincere, quindi la loro ultima speranza sta in un governo che truccherà la competizione.

A questo scopo Trump ha nominato nel suo gabinetto alcuni di questi responsabili di un crimine universale: inflitto non a particolari nazioni o gruppi, ma a tutti quanti.

Ricerche recenti suggeriscono che – se non vengono prese misure drastiche del tipo previsto dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico – la perdita di ghiaccio nell’Antartico potrebbe far salire i livelli dei mari di un metro in questo secolo e di quindici metri nei secoli seguenti. Combinate questo con lo scioglimento in Groenlandia e l’espansione termica delle acque marina e scoprirete che molte delle grandi città del mondo sono a rischio esistenziale.

Lo sconvolgimento climatico di zone agricole cruciali – in Nord e Centro America, Medio Oriente, Africa e buona parte dell’Asia – presenta una minaccia alla sicurezza che potrebbe sovrastare tutte le altre. La guerra civile in Siria, se non vengono adottate politiche risolute, ci fa intravedere il possibile futuro globale.

Questi non sono, se i rischi si materializzano, cambiamenti a cui possiamo adattarci. Queste crisi saranno più grandi della nostra capacità di rispondere ad esse. Potrebbero portare alla rapida e radicale semplificazione della società, il che significa, per dirla brutalmente, la fine della civilizzazione e di molte delle persone che sostiene. Se questo accade sarà il pi grande crimine mai commesso. E vari membri del gabinetto proposto da Trump sono tra i principali responsabili.

Nelle loro carriere, finora, hanno difeso l’industria fossile allo stesso tempo contestando le misure intese a prevenire la degradazione del clima. Hanno considerato i bisogni di pochi eccessivamente ricchi di proteggere i loro folli investimenti per alcuni anni ancora, soppesandoli contro le condizioni climatiche benigne che hanno permesso all’umanità di fiorire e hanno deciso che gli investimenti folli sono più importanti.

Nominando Rex Tillerson, amministratore delegato della società petrolifera ExxonMobil come segretario di stato, Trump non solo assicura all’economia fossile che siederà vicino al suo cuore; offre conforto ad un altro supporter: Vladimir Putin. È stato Tillerson che ha concluso l’affare da 500 miliardi di dollari tra la Exxon e la società statale russa Rosneft per sfruttare le riserve petrolifere dell’Artico. Come risultato gli è stato concesso da Putin l’Ordine Russo dell’Amicizia.
L’affare è stato stoppato dalle sanzioni che gli USA hanno imposto quando la Russia ha invaso l’Ucraina. La probabilità che queste sanzioni sopravvivano nella loro forma corrente al governo Trump è, fino all’ultimo decimale, la stessa di una palla di neve all’inferno. Se la Russia ha interferito nelle elezioni USA sarà lautamente ricompensata quando l’affare andrà avanti.

Le nomine di Trump a segretario per l’energia e agli interni sono entrambi negazionisti del cambiamento climatico, i quali – curiosa coincidenza – hanno una lunga storia di sponsorizzazioni da parte delle industrie fossili. La sua proposta per procuratore generale, il senatore Jeff Session, sembra abbia dimenticato di dichiarare nella sua lista di interessi personali che affitta terra ad una società petrolifera.

L’uomo nominato a guidare l’EPA (Environmental Protection Agency, Agenzia di Protezione dell’Ambiente, n.d.t.), Scott Pruit ha speso gran parte della sua vita lavorativa a fare campagna contro…l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente. Come procuratore generale in Oklahoma ha aperto 14 indagini contro l’EPA, cercando tra le altre cose, di stroncare il Piano Energia Pulita, i suoi limiti al mercurio e altri metalli pesanti rilasciati dalle centrali a carbone e la sua protezione delle forniture di acqua da bere e della fauna. In tredici di queste indagini sarebbero coinvolte come parti in causa delle società che hanno finanziato la sua campagna politica o comitati affiliati a lui.

Le nomine di Trump riflettono quel che io chiamo il Paradosso dell’Inquinamento. Più una società è inquinante e più denaro deve spendere in politica per accertarsi che non vengano stabilite regole che la costringono a chiudere. I finanziamenti delle campagne quindi finiscono per essere dominati da società sporche, che si assicurano di esercitare la più grande influenza, con l’esclusione conseguente dei loro rivali più puliti. Il gabinetto di Trump è imbottito di gente che deve la propria carriera politica alla sporcizia.

Si poteva una volta sostenere, giusto o no, che i benefici umani dati dallo sviluppo delle attività estrattive di combustibili fossili potevano superare i danni. Ma la combinazione di una scienza climatica più sofisticata, che ora presenta i rischi in termini crudi e il costo in caduta delle tecnologie pulite rende questo argomento altrettanto obsoleto di una centrale a carbone.

Mentre gli USA si rintanano nel passato, la Cina sta investendo massicciamente in energie rinnovabili, auto elettriche e nuove tecnologie per le batterie. Il governo cinese sostiene che questa nuova rivoluzione industriale genererà 13 milioni di posti di lavoro. Questo, in contrasto con la promessa di Trump di creare milioni di posti di lavoro attraverso la rianimazione del carbone, ha almeno una chance di materializzarsi. Non si tratta solo del fatto che tornare ad una vecchia tecnologia quando ne sono disponibili di migliori è difficile; è anche che l’estrazione del carbone è stata automatizzata fino al punto che ora offre pochi posti di lavoro. Il tentativo di Trump di far rivivere l’era fossile non servirà a nessun altro che ai baroni del carbone.

Comprensibilmente i commentatori hanno cercato lampi di luce nella posizione di Trump. Ma non ce ne sono. Non potrebbe averlo detto più chiaramente, attraverso le sue dichiarazioni pubbliche, la piattaforma Repubblicana e le sue nomine, che intende chiudere i fondi nella maggior misura possibile sia per la scienza climatica che per l’energia pulita, stracciare l’accordo di Parigi, mantenere i sussidi ai combustibili fossili e annullare le leggi che proteggono le persone e il resto del mondo vivente dall’impatto dell’energia sporca.

La sua candidatura è stata rappresentata come una ribellione che sfida il potere costituito. Ma la sua posizione sul cambiamento climatico rivela quel che avrebbe dovuto essere ovvio fin dall’inizio: lui e il suo team rappresentano il potere in carica e combattono le tecnologie ribelli e le sfide politiche a un modello di business moribondo. Essi tratterranno la marea di cambiamento per quanto a lungo potranno. E poi la diga esploderà.

fonte: http://www.monbiot.com/2017/01/20/the-pollution-paradox/

(trad. Lame)