ANPI

Non abbassare la guardia

Non abbassare la guardia

di Tommaso Di Francesco – ilmanifesto.it, 25 febbraio 2018

In un clima terrorifico, con le tv impegnate per tutto il giorno a ripetere ossessivamente le parole «incubo manifestazioni», è invece scesa in piazza a Roma, chiamata da Anpi, Cgil, Arci e Libera una marea pacifica di centomila antifascisti e antirazzisti.

Con uno striscione in prima fila a caratterizzare la giornata: «Macerata antifascista e antirazzista». Come a ricordare che il punto di svolta è stato per tutti il 10 febbraio scorso. Quando a Macerata, dopo l’azione squadrista del fascioleghista Traini, in 30mila decisero di scendere in piazza, contro le minacce di divieto di Minniti e la retromarcia iniziale delle stesse forze che l’avevano convocata.

Ieri in piazza c’era tutta la «sinistra». Certo, distante e divisa. C’erano LeU e il Pd, ma anche rappresentanti di Potere al popolo.

C’era anche il governo. A rappresentare il ministro Minniti c’erano quasi 4mila poliziotti schierati; ma sono arrivati anche il presidente del Consiglio Gentiloni e, nascosto dietro il palco, il segretario del Pd Matteo Renzi timoroso dei fischi.

Diciamolo francamente: la loro altro non è stata che una comparsata. E se l’hanno potuto fare, incuranti di chi li ha accusati di «antifascismo elettorale», è solo perché il 10 febbraio c’è stato a Macerata quel vasto presidio della sinistra diffusa che ha fatto capire che c’è una soglia rossa assolutamente invalicabile, ed è l’antifascismo.

La grande manifestazione di ieri è stata la vittoria unitaria di chi è sceso in piazza in tutti questi giorni di clima arroventato, quando dopo i fatti di Macerata, a Roma, Bologna, Napoli, Torino, Pisa, e in ogni periferia del Belpaese si è innescata la provocazione dei neofascisti.

E mentre non smette di andare in onda la nefasta riedizione della teoria degli opposti estremismi. Con giornaloni e media impegnati a rappresentare il teatrino dell’«ultrasinistra» da una parte e dei neofascisti dall’altra.

Come se fossero la stessa cosa. Come se manifestare la propria contrarietà al fascismo e alle sue riedizioni, più o meno mascherate, ma sempre portatrici di violenza, fosse la stessa cosa di chi scende in piazza rivendicando l’eredità del fascismo contro il dettato della Costituzione, come fanno ormai apertamente gli accoliti di Casa Pound e Forza Nuova. Che pure vengono premiati e tranquillamente ammessi alle liste elettorali, ricevendo sempre più spazi di agibilità politica.

«Essere antifascisti vuol dire impedire di manifestare ai neofascisti» 

Sandro Pertini, Genova 1960

Non un «violento» ma Sandro Pertini dichiarava che «essere antifascisti vuol dire impedire di manifestare ai neofascisti».

Senza dimenticare che a scatenare il clima strutturale di violenza e odio xenofobo e razzista che attraversa queste elezioni sono le forze politiche di destra, impegnate in una ideologia della revanche.

Da Fi che sveglia la mummia Berlusconi, a Fratelli d’Italia che riaggiorna la parole d’ordine del Msi di Almirante (fucilatore di partigiani ma celebrato in un convegno patrocinato con vanto dal governatore della Puglia Emiliano); e in particolare della Lega di Salvini che ha sdoganato in chiave etnico-razzista i contenuti suprematisti del neofascismo.

Altro che «fascismo morto»: l’onda nera riscrive la storia e pesca nel torbido del disastro sociale dell’Occidente europeo che alimenta paura, rabbia e rancore in primo luogo contro i migranti e contro tutti gli ultimi.

E non finirà con le elezioni, anzi. Non abbassiamo dunque i toni e la guardia.

La parità di genere è una questione di civiltà, deve riguardare tutti

segnalato da Barbara G.

Partigiani (non) renziani

Firenze, Anpi contro Nardella: “Partigiani non invitati a parlare alla giornata della Liberazione. È la prima volta nella Storia”

“Riteniamo incomprensibile e grave tale scelta”, si legge in una lettera inviata al sindaco dalla segreteria provinciale, ma “vogliamo comunque credere che si sia trattato solo di uno sfortunato episodio”. Nuovo fronte di polemica con i renziani dopo le parole del ministro Boschi a maggio: “I veri partigiani voteranno sì al referendum”.

di   – 12 agosto 2016

L’Associazione Nazionale Partigiani punta il dito contro il primo cittadino di Firenze, il renziano Dario Nardella. “Signor Sindaco, per la prima volta nelle ricorrenze della giornata della Liberazione di Firenze dall’occupazione tedesca (11 agosto 1944, ndr) – si legge in una lettera della segreteria Provinciale di Firenze dell’Anpi indirizzata all’erede di Matteo Renzi alla guida del capoluogo – nessun rappresentante dell’Anpi, erede dei partigiani che combatterono per la cacciata dell’esercito nemico, lasciando sul terreno, secondo le cronache, 205 morti e 435 feriti, è stato invitato a prendere la parola in ricordo di quella giornata, che meritò alla città la prima medaglia d’oro della storia repubblicana da parte del capo del Governo Ferruccio Parri“.

“Riteniamo incomprensibile e grave tale scelta – prosegue l’Anpi – in primo luogo verso le partigiane ed i partigiani che hanno combattuto per la città di Firenze. Ricordiamo che, come stabilito da una recente sentenza del tribunale militare di Verona, l’Anpi è storicamente l’erede, in forma statutariamente riconosciuta, di tutti quei gruppi e formazioni che dal 1942-’43 in avanti hanno costituito centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione italiana, che animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese libertà e democrazia, ha agito nelle più avanzate forme, anche non necessariamente armate. Di quei gruppi e formazioni l’Associazione è l’erede spirituale, stante l’identità dei fini”.

“Vogliamo comunque credere che si sia trattato solo di uno sfortunato episodio – conclude l’Anpi – ed auspichiamo che i rapporti tra l’Anpi e l’amministrazione comunale possano rimanere all’interno del buon clima collaborativo su cui reciprocamente abbiamo sempre contato”.

I partigiani, al momento quelli fiorentini, aprono così un nuovo fronte di polemica con la stretta cerchia di personalità politiche che gravitano attorno al presidente del Consiglio. L’ultima occasione di scontro l’avevano fornita le parole di Maria Elena Boschi, che a maggio distingueva tra i “veri partigiani” desiderosi di votare sì al  referendum e tutti gli altri. Ospite di Lucia Annunziata a In mezz’ora su Rai Tre, il ministro delle Riforme affermava: “L’Anpi come direttivo nazionale ha preso una linea (quella del no, ndr), poi ci sono molti partigiani, quelli veri, e non quelli venuti delle generazioni successive, che voteranno sì alla riforma”, argomentava, citando il 97enne partigiano “Diavolo” che aveva annunciato di voler votare sì al referendum. Le rispondeva prontamente il partigiano Eros, mentre la polemica montava furiosa: “Si vede che non conosce partigiani veri, perché siamo tutti per il no”.

Partigiani o fiancheggiatori?

segnalato da Barbara G.

Cara Boschi, i tuoi sono fiancheggiatori. Altro che partigiani

di Giulio Cavalli – left.it, 23/05/2016

Poi a fine giornata lei, la ministra dei paninari arrivati al governo, ha cercato di minimizzare dicendo di essere stata fraintesa. Al solito: è difficile cercare l’ecologia delle parole in chi ha fatto del bullismo lessicale una matrice. Così la Boschi dice che ci sono partigiani veri e partigiani falsi. Partigiani millantatori. Come riconoscerli? I veri sono quelli che concordano con il suo capo Renzi. Gli altri? Partigiani da discount. Partigiani gufi.

Ma quella della Boschi non è una scivolata, tutt’altro: non può essere sdrucciolevole un concetto come quello dell’appartenenza. E sull’appartenenza questi, costituzionalisti allo sbaraglio, hanno costruito tutta la tessitura politica che ci ha ricamato questa classe dirigente di ex compagni del liceo che si ritrovano per il consiglio dei ministri piuttosto che la cena di fine anno. E per questo il concetto di partigiano (cioè di qualcuno che sa esattamente da che parte stare piuttosto che “con chi” stare) alla Boschi proprio non sembra riuscire ad entrarle in testa: l’appartenenza a un ideale è un valore troppo rarefatto per chi tra padri, testimoni di nozze, ex collaborazionisti e fratelli di dialetto ha costruito una banda chiamandola “partito”.

Non sa, la cara Boschi, che quel suo esercito arrabattato di parteggianti non a niente a che vedere con la partigianeria poiché sono semplicemente fiancheggiatori fluidi pronti ad attaccarsi al capezzolo del potente di turno: il contrario esatto di chi ha preso la parte dei deboli (i partigiani, appunto) a favore di una democrazia che di colpo era diventata terribilmente fuori moda. E non sa, la cara Boschi, che la grandezza dei partigiani sta proprio nel riuscire a mettersi insieme con tutte le loro profonde diversità per un ideale più alto degli interessi di bottega. L’altezza che manca, appunto, a questa riforma votata sgagnando i favori di un Verdini qualsiasi. Però la cara Boschi è riuscita a compiere un capolavoro: in poche parole ha dimostrato perché lei (e gli altri servetti di questo renzismo di polistirolo) non hanno lo spessore per mettere mano alla Costituzione. Va bene così.

Buon lunedì.

(A proposito: in questa giornata di memoria di plastica per Giovanni Falcone segnatevi che “la scorta” ha nomi e cognomi. Sono Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e c’è un sopravvissuto che hanno dimenticato tutti: Giuseppe Costanza. Perché la memoria si fa dando il nome alle cose, anche. Figurarsi le persone.)

Radiografia dell’estrema destra europea

segnalato da n.c.60 

da anpi.it – di Pasquale Martino (27/11/2014) 

Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Pasquale Martino, membro del direttivo provinciale dell’ANPI di Bari, comparso su «La Gazzetta del Mezzogiorno», il 27 novembre. 

Quando consideriamo il panorama politico dell’Europa – immaginando i volti propositivi che il «gigante economico» assumerà negli scenari mondiali – non dovremmo trascurare la presenza strutturata di una destra estrema che si pone oltre i conservatori di Juncker e Merkel e offre un mix ideologico capace di aver presa sugli strati popolari.

Non ci riferiamo soltanto a forze euroscettiche e discretamente xenofobe come l’Ukip di Nigel Farage, vincitore delle recenti elezioni europee in Gran Bretagna (27,7%, primo partito), che ha costituito il gruppo parlamentare con il M5S italiano. Pensiamo soprattutto a una destra che ha radici neofasciste e neonaziste, o che dialoga con i neofascisti, li assimila, ne condivide i motivi ispiratori, dal nazionalismo all’antieuropeismo, alle teorie del complotto, alla xenofobia con esplicite venature razziste. Nel parlamento di Strasburgo siedono nove di tali partiti, senza contare gli altri che, non rappresentati nell’assise europea, hanno rilievo nei rispettivi paesi.

Si suole opportunamente distinguere fra l’estrema destra dell’Europa occidentale e quella dei paesi ex sovietici.

La prima ha attuato un’operazione di restyling per prendere le distanze dal neofascismo storico pur inglobandone i temi e arruolandone i seguaci. In questo senso il capolavoro riuscito è quello del Front National di Marine Le Pen (24% alle europee, primo partito in Francia) che ha le radici fra i nostalgici del regime di Vichy e gli ex coloni d’Algeria, ma adesso si racconta come forza-guida di una lotta «dal basso contro l’alto», conquistando ampi consensi in tutte le classi sociali. Manovra simmetrica e inversa rispetto a quella della Lega Nord, che dopo essere stata alleata di governo dei post-fascisti (handicap non da poco, rispetto al curriculum di opposizione del Front National), oggi si riqualifica paladina dei territori contro l’“invasione” e converge nelle piazze con i mussoliniani dichiarati di CasaPound. L’ultradestra occidentale in crescita di consensi si è liberata da retaggi imbarazzanti quali l’antisemitismo – che resta tuttavia sullo sfondo e nel retropensiero di tanta parte della “base”, attiva nei social network – e inoltre approva il governo israeliano.

Viceversa, l’estrema destra dell’Europa orientale non dissimula le nostalgie nazionalsocialiste. Il caso più recente riguarda la formazione ucraina Svoboda (Libertà) i cui militanti sono stati decisivi nella sommossa di Kiev che ha abbattuto il presidente filorusso. Comprimaria nel nuovo governo filo-occidentale con il vicepresidente e il ministro della Difesa, ridimensionata dal voto politico di un mese fa ma ancora in ballo nelle trattative per la costituenda compagine ministeriale, Svoboda dichiara di battersi contro la «mafia ebreo-moscovita» e onora come proprio eroe il collaborazionista Stepan Bandera che appoggiò i nazisti contro i russi. In generale, l’ultradestra est-europea – dalla Bulgaria alle repubbliche baltiche – celebra i vari «Quisling» che aiutarono i tedeschi (anche nello sterminio degli ebrei) come combattenti per l’indipendenza nazionale contro i sovietici.

Per loro il pericolo attuale non è l’Europa dei banchieri, ma l’ingerenza della vicina Russia. Una parziale eccezione è costituita dall’Ungheria, dove lo Jobbik o Movimento per l’Ungheria migliore (15% alle europee, secondo partito del paese) pur essendo all’opposizione fiancheggia il premier di destra Orban nelle sue politiche autoritarie, antieuropeiste e di apertura verso Putin. La destra di Budapest non teme il nazionalismo russo che si proietta esclusivamente sui paesi slavi; anzi, sogna a sua volta la «Grande Ungheria» che dovrebbe includere le minoranze magiare di Romania, Serbia, Slovacchia. Già legato alla disciolta formazione paramilitare della Guardia Magiara, Jobbik dimentica il sostegno dato dalle Frecce uncinate ungheresi all’Olocausto nazista e chiede che invece siano gli ebrei magiari a scusarsi per le vittime della rivoluzione comunista di Bela Kun nel 1919, appoggiata dagli ebrei stessi.

Ma ciò che accomuna tutta l’estrema destra europea, dalla Danimarca all’Austria, dalla Grecia alla Finlandia, è il richiamo a valori tradizionalisti declinati secondo una malintesa identità dell’Occidente cristiano; ed è soprattutto la visione apocalittica del fenomeno migratorio, l’ostilità contro stranieri e immigrati in quanto tali, in nome dell’integrità delle culture nazionali-locali e di una gerarchia dei bisogni sociali che dà la priorità ai nativi. Al razzismo biologico del XX secolo – bianchi contro neri, ariani contro semiti – è subentrato un razzismo etnico-culturale, che teme più d’ogni cosa il «multiculturalismo»: sinonimo odiato, un tempo, di marxismo ed ebraismo, equivalente oggi di integrazione, di tolleranza verso i Rom e specialmente verso gli immigrati di fede musulmana. L’islamofobia è il dato emergente – già in auge dopo l’11 settembre, rilanciato ora come reazione agli eccidi dell’Isis – tanto più preoccupante in quanto, se l’ultradestra ne è il portabandiera, l’opinione pubblica se ne mostra comunque largamente permeabile.

Ma qui non c’entra la legittima critica all’islamismo politico come esperienza storicamente determinata. Ciò che si demonizza è la presunta “essenza” immutabile dell’Islam, per cui il musulmano è sempre un potenziale terrorista e uno che comunque non potrà mai integrarsi nella “nostra” civiltà; si cede al pregiudizio e si perde il valore del dialogo, della relazione come cambiamento reciproco. Si perde anche la fede umanistica nella solidarietà fra lavoratori, quantunque di diversissima condizione, e nella scuola, che possono trasformare gli esseri umani, avvicinarli al di là di nazionalità e religione. Nascono le cosiddette guerre fra poveri, quasi mai spontanee, innescate da agitatori politici che strumentalizzano il disagio sociale.

Lo studente e il partigiano

segnalato da barbarasiberiana

ACCORDO MIUR-ANPI PER PROMUOVERE LA COSTITUZIONE E LA RESISTENZA NELLE SCUOLE

Protocollo Miur-Anpi con l’obiettivo di promuovere la Costituzione e la Resistenza nelle scuole.

L’intesa è stata sancita al Senato, questa mattina, giovedì 24 luglio, fra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Anpi.

A siglarlo, il Ministro Stefania Giannini e il presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

L’accordo punta a promuovere e sviluppare progetti didattici nelle scuole per divulgare i valori della Costituzione repubblicana e gli ideali di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale.

Miur e Anpi, in particolare, realizzeranno iniziative per le celebrazioni del 70° della Resistenza e della Guerra di Liberazione, promuovendo processi tematici di riscoperta dei luoghi della memoria e la divulgazione dei valori fondanti la Costituzione repubblicana.

“Questo accordo – ha sottolineato il Ministro Giannini – è uno strumento fondamentale per far comprendere a tutti gli studenti il valore della nostra Costituzione e l’importanza della memoria della Resistenza raccontata anche da chi l’ha vissuta in prima persona”.

“Ritengo – ha aggiunto il Presidente Smuraglia – che questa firma assuma una grandissima importanza rispondendo ad una esigenza profonda che emerge dal mondo della scuola e che assicura un’attività continuativa in favore della cittadinanza attiva”.

Il Protocollo di intesa MIUR-ANPI