Arabia Saudita

I complici siamo noi

Non sconfiggeremo mai il terrorismo islamico, finché saremo suoi complici

A quindici anni dalle Torri Gemelle, continuiamo a riempire di armi e soldi la monarchia saudita e i paesi del Golfo Persico, nonostante sappiamo benissimo che siano loro i padrini e gli ispiratori del terrorismo islamico. Da Al Qaeda all’Isis la musica non è cambiata

Con le armi nel sacco

segnalato da Barbara G.

PRESI…CON LE ARMI NEL SACCO!

Dal 2010 al 2014 l’Italia ha aumentato considerevolmente l’export di armi verso il Medio Oriente e il Nord Africa, teatri di guerre sanguinose. Smettiamo di chiudere gli occhi

di Alexis Myriel – terranuova.it, 06/02/2016

Che l’Italia esporti armi nel mondo e anche in Medio Oriente non è un segreto. Ma è una di quelle notizie che si è abituati ad ignorare perché tutto avviene lontano dai riflettori delle tv e le coscienze possono riposare tranquille. Poi, ecco che nel novembre scorso un deputato sardo pubblica sul suo profilo Facebook le fotografie delle bombe (appena uscite dalla fabbrica di Domusnovas) che vengono caricate sugli aerei e sulle navi per essere trasportate in Arabia Saudita. E scoppia lo scandalo. Che prontamente il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, cerca di liquidare con una manciata di parole: «È tutto regolare, non sono armi italiane, si tratta solo di transito».

Ma, allora, cerchiamo di capire cosa succede quando invece ad essere esportate sono proprio le armi italiane e quando ciò avviene in Paesi con regimi autoritari o impegnati in teatri di guerra. È realistico pensare, come qualcuno ha dichiarato di recente, che l’Italia venda direttamente le armi ai terroristi dell’Isis? O si innescano meccanismi differenti?

«Non abbiamo evidenze che l’Italia venda armi all’Isis» spiega Piergiulio Biatta, presidente di Opal Brescia, l’Osservatorio per le armi leggere. «Ma le armi, per arrivare in mano a gruppi incontrollabili o estremisti, non hanno bisogno di essere vendute direttamente. Se si esportano armi a regimi autoritari o a dittatori che poi magari vengono rovesciati, non si sa in che mani possano finire. Basti pensare all’esempio degli Stati Uniti: hanno inondato la regione mediorientale di armi e si sono ritrovati poi a combattere contro eserciti che usavano quelle di provenienza americana. Sollevammo la questione quando l’Italia fornì sistemi militari al regime di Bashar Al Assad, tanto da essere il maggior fornitore europeo di armamenti alla Siria; servivano per l’ammodernamento dei carri armati di fabbricazione sovietica. Ora questi carri armati a chi sono in mano? Qualcuno può rispondere? E ancora: le 11mila armi italiane vendute nel 2009 alla guardia di sicurezza di Gheddafi dove sono finite?».

In proposito, è utile ricordare che il giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrando nell’agosto del 2011 nel bunker di Gheddafi riportava testualmente:«Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein, dopo l’arrivo dei soldati americani, il 9 aprile del 2003».

«Riguardo poi le armi che escono dall’Italia ma che vengono definite solo in transito, occorre comunque un’autorizzazione del Governo» prosegue Biatta. «Si pensi alle migliaia di bombe inviate dall’Italia alle forze armate dell’Arabia Saudita: le hanno impiegate per bombardare lo Yemen senza un mandato dell’Onu. L’azienda produttrice è la RWM Italia, azienda bresciana appartenente al gruppo tedesco Rheinmetall ma che opera con la piena  autorizzazione del governo italiano. Vogliamo continuare a nasconderci dietro l’ipocrisia, le mezze verità e le mezze risposte?».

Veniamo ai dati

«Se ci si concentra sul quinquennio dal 2010 al 2014, si vede che le esportazioni dall’Italia sono aumentate considerevolmente verso il Medio Oriente e il Nord Africa, cioè proprio le zone di guerra, aree che rappresentano oggi, con un 35,5%, il bacino maggiore per il nostro Paese» spiega Giorgio Beretta, analista Opal. «Nel quinquennio precedente, dal 2005 al 2009, non era così, il bacino maggiore era interno all’Unione Europea. La classifica è guidata dai regimi di Algeria e Arabia Saudita. Se non fosse per la presenza Usa, anche gli Emirati Arabi Uniti sarebbero sul podio».

Esportazioni italiane di armamenti. Autorizzazioni per zone geopolitiche. Confronto tra il quinquennio 2005-2009 e quello 2010-2014

L’informazione, poi, è sempre più carente. «La relazione che il governo Renzi ha inviato alle Camere nel marzo 2015 è corposa, due volumi per un ammontare di 1.281 pagine, ma manca di elementi fondamentali necessari al Parlamento per esercitare quel ruolo di controllo che gli compete. Ancora più carente, tanto da risultare non solo inutile ma addirittura fuorviante, è la sezione curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a seguito delle modifiche legislative introdotte negli anni scorsi. Più che un documento ufficiale sembra un testo di appunti di qualche svogliato funzionario».

Cosa fare

Cosa è possibile fare, dunque, per sollecitare il governo a cambiare rotta? Se non altro fare sentire la propria voce e tenersi informati. Può essere utile seguire e aderire alle campagne di sensibilizzazione della Rete per il Disarmo,  dell’Osservatorio Permanente per le armi leggere (www.opalbrescia.org/) e di Amnesty International Italia.

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Armi italiane in Yemen: otto domande a Matteo Renzi

di Giuseppe Civati – possibile.com, 19/02/2016

La situazione in Yemen è esplosiva, soprattutto da quando lacoalizione guidata dall’Arabia Saudita (senza alcun mandato o copertura della comunità internazionale) ha deciso di procedere abombardamenti su città e villaggi. Si parla di oltre 20.000 morti(tra cui diverse centinaia bambini) e di oltre l’80% della popolazione senza accesso ai servizi essenziali. Senza dimenticare i bombardamenti sugli ospedali.

Una condizione gravissima ed inaccettabile: lo ha sottolineato Ban Ki-moon, nei mesi scorsi aveva espresso preoccupazione la stessaFederica Mogherini, e lo ribadiscono molte prese di posizione di attori internazionali (Agenzie ONU e ONG che operano sul campo).

Matteo Renzi invece non ha mai preso posizione esplicita a riguardo, nemmeno durante la sua visita ufficiale di fine 2015 a Riyad.

Nei mesi scorsi dall’Italia sono partite bombe (almeno sei carichi)alla volta dell’Arabia Saudita. Abbiamo avuto conferma che tali ordigni siano stati usati direttamente in Yemen. Da tempo, diversi parlamentari e la società civile che si occupa di controllo delle armi chiedono conto al Governo di queste spedizioni, ricevendorisposte vaghe ed evasive (tanto che la Rete Disarmo sta presentando in diverse Procure d’Italia degli esposti per violazione della legge 185/90 che impedirebbe di vendere armi a Paesi in conflitto armato, oltre che per violazione del Trattato Internazionale sugli armamenti che anche l’Italia ha ratificato).

La prossima settimana il Parlamento Europeo sarà chiamato a votare (speriamo positivamente) una Risoluzione relativa allo Yemen, che comprende un emendamento favorevole ad un embargo di armi verso i sauditi.

Ma il tempo passa e i morti aumentano e, sia per il silenzio del Governo sia per la fornitura diretta di armi, il nostro Paese si sta rendendo complice di quella che è considerata una delle più gravi crisi umanitarie attuali. Non si può attendere oltre e dunque rivolgiamo al Governo di Matteo Renzi alcune semplici domande per cui chiediamo risposte chiare.

1) Chiediamo al Governo di chiarire tipologia di armi, valore e destinatari finali delle autorizzazioni rilasciate tra il 2012 e il 2014all’esportazione verso Paesi coinvolti nella coalizione Saudita che sta bombardando lo Yemen;

2) In particolare chiediamo al Governo di dettagliare tutti i singoli e specifici tipi di sistemi militari autorizzati e il periodo(anno/mese) di consegna di ciascuna delle esportazioni riportate nella “Tabella delle autorizzazioni” a Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto all’interno della Relazione al Parlamento ex Legge 185/90;

3) Chiediamo al Governo di sapere per quale motivo non siano state sospese le forniture di armi all’Arabia Saudita e ai suoi alleati dopo che, nel marzo 2015, si era resa evidente (per loro stessa ammissione) la partecipazione ad un conflitto armato(fatto che implica la proibizione all’export militare secondo l’articolo 1 della legge 185/90);

4) Poiché tali spedizioni non sono state sospese chiediamo al Governo informazioni precise su quante e quali nuove autorizzazioni siano state rilasciate ad aziende italiane nel corso del 2015 e di queste prime settimane del 2016; per ciascuna azienda e per ciascun specifico tipo di sistema militare chiediamo siano esplicitati quantità e valore, e quali consegne si sianoeffettivamente realizzate nel 2015 verso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto (cioè quelli della coalizione sunnita che è intervenuta in Yemen senza mandato internazionale);

5) Chiediamo a Matteo Renzi il motivo per cui non abbia minimamente affrontato la questione yemenita (e delle forniture di armamenti) nella sua visita di fine 2015 in Arabia Saudita;

6) Chiediamo al Ministro degli Esteri Gentiloni (il MAECI ha il mandato di valutare l’export militare italiano) di spiegare i motivi per cui le consegne all’Arabia Saudita siano proseguite nel corso del 2015 nonostante gli impedimenti della 185/90. Non accetteremo le risposte evasive già fornite al Parlamento (come, ad esempio, che per l’Arabia Saudita possiamo non rispettare la Legge perché “ci aiuta contro il terrorismo”);

7) Chiediamo al Governo che senso abbia inviare bombe all’Arabia Saudita nel giorno stesso in cui il Parlamento Europeo assegnava per acclamazione il Premio Sakharov al dissidente saudita Raif Badawi (ricordando che le gravi violazioni dei diritti umani sono impedimento prescritto dalla Legge per le vendite di armi);

8) Chiediamo al Governo di rispondere alle richieste della società civile in merito alla perdita di trasparenza nelle Relazioni al Parlamento previste dalla legge 185/90. Ad esempio, dalla Relazione pubblicata nel 2015 si può conoscere solo il sistema militare di ogni singola autorizzazione e l’azienda a cui è stata rilasciata, ma non si può ricostruire (nemmeno incrociando tutte le tabelle) il destinatario finale di ciascuna di queste. Tutte cose chiaramente esplicitate, invece, nelle prime Relazioni del governo Andreotti e – seppur a fatica – ricostruibili fino all’avvento del Governo Renzi (cui si possono attribuire ultime due Relazioni).

Un esposto contro le bombe

segnalato da Barbara G.

Le spedizioni contestate sono sei, la prima risale al maggio 2015. Ne avevamo parlato QUI.

Un esposto contro le bombe all’Arabia Saudita

La Rete italiana per il disarmo ha depositato nelle Procure di Roma, Brescia, Verona e Pisa una circostanziata denuncia delle violazioni della legge 185/1990 sul commercio di armamenti. Gli ordigni prodotti da RWM Italia, infatti, avrebbero raggiunto un Paese in conflitto armato non avvallato dalle Nazioni Unite, che sta producendo in Yemen una “catastrofe umanitaria”

Altreconomia.it, 28/01/2016

Le sei spedizioni di bombe aeree dall’Italia all’Arabia Saudita avvenute tra il 2015 e l’inizio di quest’anno finiscono all’attenzione della magistratura. La Rete Italiana per il Disarmo, infatti, ha presentato oggi un esposto in Procura a Roma per chiedere alle autorità competenti di “verificare l’osservanza della Legge n. 185 del 1990”.

Secondo la Rete, che ha monitorato gli invii (il primo dei sei risalirebbe al 2 maggio 2015), sarebbe in atto una continua “violazione dell’articolo 1 della legge 185, che vieta l’esportazione di armamenti verso Paesi in stato di conflitto armato e che violano i diritti umani”.

Oltre a Roma, i rappresentanti della Rete depositeranno il testo dell’esposto anche a Brescia -dove ha sede l’azienda tedesca RWM Italia, fornitrice delle bombe aeree-, Verona e Pisa.

“È una decisione alla quale siamo giunti a seguito delle continue spedizioni di tonnellate di bombe dalla Sardegna all’Arabia Saudita -ha spiegato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo-: bombe che servono a rifornire la Royal Saudi Air Force che dallo scorso marzo sta bombardando lo Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite, esacerbando un conflitto che ha portato a una ‘catastrofe umanitaria’ (ONU), a quasi 6mila morti di cui circa la metà tra la popolazione civile (tra cui 830 tra donne e bambini) e alla maggior crisi umanitaria in tutto il Medio Oriente”.

Dall’esposto emerge come la “dinamica di fornitura” degli ordigni sia totalmente cambiata durante l’autunno del 2015. “Il 29 ottobre 2015 -scrivono infatti i curatori- diverse tonnellate di bombe e munizioni sono state imbarcate all’aeroporto civile di Cagliari Elmas, su un cargo Boeing 747 della compagnia Silk Way dell’Azerbaigian, con destinazione diretta Arabia Saudita. Il cargo in questione, rintracciato dai sistemi di rilevamento, è giunto a Taif (Arabia Saudita) località in cui è situata un base militare della Royal Saudi Armed Forces”.

Il governo Renzi, che si è rifiutato di incontrare alcun rappresentante della Rete, avrebbe fornito risposte “evasive e contraddittorie”, equivocando sul concetto di “esportazione”. Il punto è che la 185, come ricordano gli autori dell’esposto, vieta espressamente non solo l’esportazione ma anche il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”.
Le bombe, come detto, sarebbero prodotte dalla RWM Italia, azienda tedesca del gruppo Rheinmetall con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento a Domunovas (Carbonia-Iglesias), in Sardegna.

“Considerate le ingenti forniture di bombe aeree della RWM Italia avvenute in questi mesi –ha affermato Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio OPAL di Brescia– riteniamo che si tratti di nuove autorizzazioni all’esportazione rilasciate dall’attuale governo Renzi. Se è vero, infatti che le licenze rilasciate negli anni scorsi non erano state riscontrate nelle spedizioni fatte fino all’anno scorso, va però notato che in questi mesi abbiamo monitorato almeno 5 spedizioni via aerea e via mare. In ogni caso anche trattandosi di autorizzazioni rilasciate negli anni scorsi è espresso compito dell’esecutivo, e nello specifico dall’Unità per le Autorizzazioni di Materiali d’Armamento (UAMA) incardinata presso la Farnesina, verificare che sussistano le condizioni di legge per l’invio dei materiali militari. Saremmo perciò interessati a sapere se UAMA e ministero degli Esteri ritengono che l’intervento militare della coalizione a guida saudita in Yemen sia conforme all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e ai principi della nostra Costituzione”.

La violazione evidenziata dall’esposto, peraltro, sarebbe cristallizzata da un’autorevole opinione legale (allegata alla denuncia) pubblicata da Matrix Chambers, e dalla quale emergerebbe che le violazioni sia del Trattato Internazionale sugli Armamenti (ATT, ratificato dall’Italia) sia della Posizione Comune EU si potrebbero applicare anche al caso delle spedizioni italiane. Il parere è del dicembre 2015, ma le spedizioni non si sono fermate.

Non sono bastate infatti le prese di posizione del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon, che ha esplicitamente condannato i bombardamenti aerei sauditi su diversi ospedali e strutture sanitarie, o dell’Alto rappresentante per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un rapporto dove sono documentate “fondate accuse di violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani” di tutte le parti attive nel conflitto. “Nei giorni scorsi -scrivono gli autori dell’esposto- Ban Ki-moon ha ripetuto il suo appello a tutte le parti al ‘cessate il fuoco’. E per tutta risposta dall’Italia è partito un nuovo carico con migliaia di bombe”.

“Ci auguriamo che la magistratura (o chi di dovere) prenda presto in esame il nostro esposto -è il commento degli autori dell’esposto- e che, finché la materia non sia accertata, possa sospendere immediatamente l’invio di bombe e materiali militari verso l’Arabia Saudita”.

Affari e pallottole

segnalato da Barbara G.

Bombe per l’Arabia Saudita: fino a quando il Governo intende evitare le proprie responsabilità?

Continua la mancanza di presa di responsabilità del nostro Governo sul “caso” delle bombe partite dalla Sardegna destinate dell’Arabia Saudita: fino a quanto l’esecutivo di Matteo Renzi intende mantenere l’ipocrisia su queste forniture militari che ormai tutto il mondo conosce? Non sono più accettabili giustificazioni raffazzonate: il Governo deve rendere conto al Parlamento e all’opinione pubblica delle proprie decisioni politiche.
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo – 04 dicembre 2015
Oggi, per l’ennesima volta il Governo italiano ha perso un’occasione per assumere la propria evidente responsabilità riguardo all’invio di bombe prodotte in Sardegna verso l’Arabia Saudita.
Dopo le esternazioni e le dichiarazioni della Ministro della Difesa Pinotti (“E’ tutto regolare…”, “Non sono ordigni italiani…”, “Si tratta solo di transito…”), le parole del Ministro Gentiloni in Parlamento (“Rispettiamo gli embarghi e convenzioni sulle armi vietate”) è stato oggi il sottosegretario Benedetto Della Vedova a rispondere in modo evasivo ad un’interrogazione urgente in materia, cercando di aggirare la questione per non entrare nel merito del problema.
Ormai tutto il mondo è al corrente, e lo ha dimostrato anche Rete Disarmo con documenti e informazioni di prima mano, che diverse forniture di bombe sono partite dalla Sardegna verso l’Arabia Saudita: si tratta di spedizioni rese possibili solo con l’autorizzazione del Governo sulle quali il ruolo del Parlamento è successivo (prende atto solo in un secondo tempo delle autorizzazioni emesse dal Governo) e in cui è irrilevante il fatto che la fabbrica in cui questi ordigni sono assemblati o fabbricati sia di proprietà tedesca.
Invece di scaricare la responsabilità sul Parlamento, i componenti dell’Esecutivo dovrebbero rivolgere precise domande su queste spedizioni all’Unità Autorizzazioni Materiali d’Armamento incardinata presso la Farnesina.
La domanda a cui il Governo di Matteo Renzi dovrebbe rispondere è una sola: chi ha autorizzato le forniture e le recenti spedizioni di bombe dall’Italia all’Arabia Saudita, Paese che sta bombardando lo Yemen senza alcun mandato delle Nazioni Unite?
Ci domandiamo fino a che punto il nostro Governo abbia intenzione di fingere agli occhi del mondo confermando nei fatti di non voler chiarire la questione e richiamando, nelle risposte ufficiali, vaghi riferimenti alla normativa nazionale che internazionale. Riferimenti che peraltro appaiono non pertinenti, come abbiamo già avuto modo di sottolineare. Ci domandiamo se i ministri del Governo stiano consapevolmente svicolando dalla questione o se non conoscano la normativa sull’esportazione di armi: situazione grave in qualsiasi caso.
La Legge italiana (numero 185 del 1990) non solo richiede di tenere in considerazione embarghi dell’Onu o dell’Unione Europea, ma vieta espressamente non solo l’esportazione, ma anche il solo transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”. (art. 1. c 6a) e “verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione (art.1. c6b).
La questione fondamentale è dunque questa: c’è una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che abbia dato mandato alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita ad intervenire militarmente in Yemen o c’è una decisione del parlamento che confermi una deliberazione del CDM a riguardo? No, non c’è: l’Arabia Saudita ha solamente annunciato all’Onu che sarebbe intervenuta militarmente in Yemen ma non ha mai richiesto alcun mandato per farlo.
In mancanza di questo esplicito mandato continuare ad inviare bombe e sistemi militari all’Arabia Saudite è una chiara decisione politica del Governo Renzi, che se ne deve assumere tutta la responsabilità.
Il sottosegretario Della Vedova, che nella risposta di oggi ha fatto riferimento a norme europee, dovrebbe poi sapere bene che la Posizione Comune 2008/204/CFSP (qui in .pdf) non essendo una direttiva, non ha valore vincolante e non prevede sanzioni. Richiede ai Paesi membri di verificare il rispetto degli otto criteri, ma la decisione finale nell’autorizzazione all’esportazione e all’invio di armamenti è di competenza dei singoli governi, in base alle proprie leggi nazionali. Non è quindi appropriato far riferimento alla Posizione Comune per giustificare la continua fornitura di bombe aeree alle forze armate dell’Arabia Saudita. Si dovrebbe invece valutare anche la situazione dei diritti umani e del rispetto delle convenzioni internazionali da parte dell’Arabia Saudita, paese nel quale – come riportano tutte le organizzazioni internazionali – persistono gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, tra cui incarcerazioni immotivate, la tortura e la pena di morte attuata anche con decapitazione e crocifissione in pubblico. Considerazioni ancora più forti a pochi giorni dal 10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani.
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Da dove vengono le armi usate dai jihadisti dello Stato islamico

internazionale.it, 09/12/2015

Un fucile cinese Cq 5.56 sequestrato dalle milizie curde siriane a Kobane alla fine del 2014 e catalogato il 24 febbraio del 2015. (Conflict armament research/Amnesty international

In Siria e in Iraq i jihadisti del gruppo Stato islamico usano armi e munizioni provenienti da almeno 25 paesi, tra cui tutti i paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’Italia. Lo denuncia un nuovo rapporto di Amnesty international pubblicato l’8 dicembre, intitolato Taking stock: the arming of Islamic State.

La maggior parte delle armi usate dal gruppo jihadista è stata sottratta dai depositi di armi in Iraq dopo la conquista di Mosul nel giugno del 2014. La mancanza di controlli e un fiorente mercato illegale permettono ai jihadisti di aver accesso a un numero consistente di armi e munizioni.

L’organizzazione non governativa ha catalogato più di cento tipi diversi di armi e munizioni finite nelle mani dei miliziani, sulla base dell’analisi di video e immaginigirati al fronte di cui è stata verificata l’autenticità. Gran parte delle armi sequestrate era stata fornita all’esercito iracheno dagli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica e da altri paesi dell’ex blocco comunista durante la guerra tra Iraq e Iran negli anni ottanta. In Siria le armi usate dai miliziani sono state fornite dalla Russia, dai paesi dell’ex blocco sovietico e dall’Iran.

Il ruolo dell’Italia. Il rapporto di Amnesty international evidenzia come anche l’Italia abbia contribuito indirettamente ad armare il gruppo Stato islamico, rifornendo durante la guerra tra Iraq e Iraq (1980-1988) sia Baghdad sia Teheran.

Dal 2003, l’Italia ha partecipato alla cosiddetta guerra al terrore guidata dagli Stati Uniti. Per rispondere alla minaccia terroristica dopo gli attacchi dell’11 settembre, tra il 2004 e il 2007 è stato concesso ai paesi esportatori di armi di avere una maggiore libertà per trasferire armi all’Iraq senza troppa considerazione per i diritti umani, attraverso l’Iraq relief and reconstruction fund e l’Iraq security forces fund. In quel periodo la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha firmato contratti per almeno un milione di dollari per trasferire armi e milioni di munizioni in Iraq, provenienti anche dall’Italia.

Infine, nel 2014, a causa dell’avanzata dello Stato islamico nel nord dell’Iraq e in Siria, gli Stati Uniti, insieme ad altri undici paesi europei tra cui l’Italia, hanno coordinato il rifornimento di armi per le truppe irachene, le milizie sciite e quelle curde.

La guerra tra Iran e Iraq all’origine del mercato di armi in Iraq. Il conflitto tra i due paesi medioorientali tra il 1980 e il 1988 è stato un fattore determinante per lo sviluppo del mercato globale illegale delle armi: all’epoca almeno 34 paesi fornirono armi all’Iraq, 28 paesi invece fornirono armi alla potenza rivale: l’Iran.

Nel 1990 le Nazioni Unite hanno approvato un embargo contro Baghdad che ha fermato l’afflusso di armi e munizioni verso il paese. Ma le forniture sono riprese in maniera massiccia dopo l’intervento militare degli Stati Uniti in Iraq nel 2003. Negli ultimi dieci anni, più di trenta paesi, tra cui i membri del Consiglio permanente dell’Onu, hanno fornito armi all’Iraq e la maggior parte di queste armi è al momento nelle mani dei jihadisti.

Proiettili da mortaio costruiti dallo Stato islamico e sequestrati dalle milizie curde siriane a Kobane. (Conflict armament research/Amnesty international)

Tra il 2011 e il 2013 gli Stati Uniti hanno concluso contratti miliardari con il governo iracheno per la fornitura di armi. Alla fine del 2014 sono state inviate munizioni e armi leggere per un valore di 500 milioni di dollari. Questo tipo di attività è proseguita, nell’ambito del programma del Pentagono per l’equipaggiamento e l’addestramento dell’esercito iracheno (per un valore di 1,6 miliardi di dollari). Dal 2011 sono stati mandati in Iraq 43.200 fucili d’assalto M4. Tra il 2011 e il 2013, gli Stati Uniti hanno mandato in Iraq 140 carri armati M1A1 Abrams, decine di aerei da combattimento F-16, 681 missili terra-aria portabili a spalla Stinger, batterie anti-aeree Hawk. Alla fine del 2014, Washington aveva inviato al governo iracheno armi leggere e munizioni per un valore di oltre 500 milioni di dollari.

La corruzione dell’esercito iracheno e dei funzionari governativi e la mancanza di controllo del territorio da parte delle truppe di Baghdad ha permesso che la maggior parte dei depositi e degli arsenali iracheni finissero nelle mani dei jihadisti o nel circuito illegale del commercio di armi.

Fatti e numeri

  • Tre. Il numero di divisioni di soldati (una divisione è formata da 40mila soldati) che lo Stato islamico potrebbe aver equipaggiato con le armi che sono state sequestrate nel solo mese di giugno del 2014.
  • Dodici. La percentuale del mercato globale di armi che negli anni ottanta è stata esportata verso l’Iraq.
  • Quindici. Negli ultimi dieci anni le armi negli arsenali iracheni sono aumentate di quindici volte, per un giro d’affari di 9,5 miliardi di dollari.
  • Venticinque. Le armi usate dallo Stato islamico in Siria e Iraq provengono da almeno 25 paesi.
  • Ventotto. Il numero dei paesi che hanno fornito armi all’Iraq e all’Iran durante il conflitto tra le due nazioni.
  • 650mila. Le tonnellate di munizioni che sono presenti sul territorio iracheno secondo una stima dell’esercito statunitense del settembre del 2003.
  • 1,6 miliardi di dollari. I finanziamenti approvati dal congresso degli Stati Uniti per sostenere l’esercito iracheno e le milizie sciite e curde contro lo Stato islamico.