art. 18

Il primo colpo della battaglia elettorale

segnalato da Barbara G.

di Norma Rangeri – ilmanifesto.info, 12/01/2017

Quale sarebbe la forza di una campagna referendaria sul lavoro in Italia non è difficile da immaginare. Quale valenza avrebbe, per la sinistra, ingaggiare, così come è già accaduto per il referendum sulla Costituzione, una battaglia elettorale, politica, culturale sul tema cruciale dell’occupazione è altrettanto evidente. Aver dichiarato inammissibile il quesito sull’articolo 18, come ha fatto ieri la Corte Costituzionale, è sicuramente un pessimo segnale, ma non decisivo. Certo, una Repubblica che si proclama fondata sul lavoro sforna, nella realtà, leggi che negano la pari dignità tra lavoratore e datore di lavoro (ti licenzio, il perché non ti riguarda, prendi un bonus e a casa). Vedremo quali saranno le motivazioni della sentenza per un esito comunque combattuto tra i 14 giudici.

Ma sbaglia chi pensa che il tema dei voucher, la modalità di lavoro non di una minoranza di pensionati, bensì dell’area centrale dell’occupazione, quella dei 35 anni, sarebbe di minor impatto nella mobilitazione e nel voto. Al contrario, assisteremmo a una partecipazione massiccia dei giovani, e di quei cittadini che oggi, specialmente nel Sud, subiscono il pesante arretramento nelle condizioni, materiali e morali, della loro vita.

Il condizionale naturalmente è d’obbligo perché è sempre possibile un intervento legislativo che neutralizzi il referendum, e perché se con la sentenza della Corte Costituzionale è comunque iniziata la campagna elettorale resta tutto da vedere di quale natura sarà: se si tratterà della corsa referendaria contro voucher e appalti, o se, invece, tra qualche mese saremo chiamati a eleggere i parlamentari della prossima legislatura.

Oggi sui muri delle nostre città parleranno i primi manifesti della Cgil con l’invito a votare due sì. Dopo aver raccolto oltre tre milioni di firme, il sindacato di Susanna Camusso, in questa settimana obiettivo prediletto dei giornaloni, è ben intenzionato a battere nelle urne le politiche del lavoro promosse dal jobs act. Quelle stesse così orgogliosamente rivendicate dall’attuale presidente del consiglio Gentiloni, e dal suo predecessore Renzi.

Tuttavia è evidente che un bandolo della matassa è nelle mani dell’ex presidente Renzi, e delle forze che a lui si riferiscono. Sarà massimo il suo impegno per evitare di sprofondare di nuovo sul terreno sfavorevole dello scontro referendario, preferendogli le elezioni anticipate (bruciando così il terzo governo del Pd). Ma qui il gioco dei Palazzi è sovrano, le alchimie piuttosto fumose, le trappole trasversali in agguato. Intanto, pur in maniera meno diretta che nel caso dei quesiti referendari, sarà ancora il Palazzo della Consulta a definire su quali premesse potranno agire le correnti dei partiti per definire una legge elettorale post-Italicum. Così come sarà Palazzo Chigi a decidere come staccare la spina a se stesso, con il partito di maggioranza che, attraverso alcuni suoi esponenti di primo piano, va dicendosi pronto anche al gesto estremo di ritirare la fiducia al suo governo. Poi, su tutti, a dire la sua sarà il Palazzo del Quirinale. Mattarella ha detto sì il 4 dicembre, appoggia il Jobs act, ha aperto l’ombrello sul governo fotocopia, ma non sarà facile schierarlo tra i pasdaran del voto anticipato.

Art. 18

segnalato da Barbara G.

Tutte le strettoie per ammettere il quesito sull’art. 18

di Andrea Pertici – huffingtonpost.it, 09/01/2017

È noto che fare previsioni su un giudizio di ammissibilità di un referendum abrogativo non è semplice. Nell’esercizio di questa competenza, la Corte costituzionale giudica, infatti, sulla base di parametri elaborati quasi esclusivamente attraverso la propria giurisprudenza, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, con un orientamento che nel complesso è divenuto progressivamente restrittivo, pur con significative oscillazioni, soprattutto in relazione alle modalità di formulazione del quesito.

Quest’ultimo, infatti, deve essere “chiaro e semplice” e per questo omogeneo: non si può chiedere agli elettori di abrogare, per esempio, il reato di istigazione a disobbedire le leggi e quello di atti contrari alla pubblica decenza, perché questi potrebbero voler rispondere a favore dell’abrogazione dell’uno ma non dell’altro.

Ciò non significa, che non possa essere chiesta l’abrogazione di più norme o anche di più istituti, purché abbiano una “matrice razionalmente unitaria”, individuata dalla Corte, la quale, fissandola a maglie più o meno larghe, può favorire l’ammissibilità di un quesito o al contrario determinare la sua inammissibilità. L’incertezza è accresciuta dal fatto che – sempre secondo la giurisprudenza costituzionale – un quesito deve non solo essere omogeneo (e quindi evitare di contenere qualcosa di troppo) ma anche completo e coerente, con la conseguente necessaria inclusione di tutte le norme connesse a quella matrice razionalmente unitaria, la dimenticanza di alcune delle quali ha determinato in più occasioni una pronuncia di inammissibilità.

Ma le strettoie dell’ammissibilità referendaria non finiscono qui. Sempre dal punto di vista della sola formulazione del quesito, la Corte – soprattutto dal 1997 – ha precisato che i quesiti non debbano essere “manipolativi”, e cioè tali da trasformare il referendum da abrogativo a “surrettiziamente propositivo”.

Pure in questo caso si tratta di un criterio non semplice da definire in concreto, anche considerato che la Consulta non considera manipolativo (o comunque inammissibilmente manipolativo) qualunque ritaglio di parole, ma soltanto quello che realizza una “saldatura di frammenti lessicali eterogenei”, sostituendo una previsione di legge con un’altra che “figura in tutt’altro contesto normativo”.

È quanto avveniva nel caso della sentenza n. 36 del 1997, relativa al limite di trasmissione dei messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica, fissato nel 4% dell’orario settimanale (e nel 12% di ogni ora), che – attraverso un ritaglio di alcune frasi – si mirava a far scendere al 2% che era, invece, il limite dell’eventuale eccedenza oraria da recuperare nell’ora antecedente o successiva.

Diversamente, però, altri ritagli di norme sono stati dichiarati ammissibili, pur determinando la sostituzione di una determinata disciplina con un’altra ,che, tuttavia, non risultava “assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo”, ma al contrario determinava l’estensione di un criterio già esistente come residuale, facendolo diventare quello normalmente applicabile. È quanto la Corte costituzionale disse con la sentenza n. 13 del 1999, a proposito di un referendum sul Mattarellum dal quale sarebbe risultata la sostituzione delle particolari modalità di attribuzione dei seggi previste per la Camera con altre (previste dalla legge solo come residuali).

Ecco, questi aspetti diventano oggi importanti alla vigilia del pronunciamento della Corte costituzionale su tre quesiti proposti dalla CGIL, relativi, rispettivamente, alla disciplina sui licenziamenti illegittimi, alla responsabilità solidale in materia di appalti e ai voucher.

Alcune criticità potrebbe presentare proprio il primo quesito. Questo, infatti, elimina il decreto legislativo sui licenziamenti approvato sulla base di una delega contenuta nel jobs act, proprio come faceva il quesito già proposto da Possibile nel 2015, ma aggiunge poi l’abrogazione di alcune parti dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come successivamente modificato (soprattutto dalla legge Fornero).

Ora, questo potrebbe determinare alcune difficoltà nella individuazione di una matrice razionalmente unitaria sufficientemente definita e quindi quell’omogeneità del quesito necessaria per renderlo ammissibile. Potrebbe infatti volersi votare a favore di una modifica delle conseguenze del licenziamento ingiustificato ma non della estensione di queste anche alle imprese con un più limitato numero di dipendenti (da quindici a cinque)?

La risposta sul punto finirà per dipendere proprio dalla individuazione che la Consulta farà della “matrice razionalmente unitaria”, perché se questa fosse fissata a maglie molto larghe (per esempio, nel “rafforzamento delle tutele rispetto ai licenziamenti illegittimi”) il quesito potrebbe risultare ammissibile, ma in caso diverso no.

Tuttavia, l’inammissibilità del quesito è stata sostenuta da più parti, nelle ultime settimane, sulla base della “manipolatività”, in quanto questo quesito – attraverso il ritaglio di alcune parole e frasi – non determinerebbe una semplice abrogazione ma sarebbe propositivo di una nuova disciplina. La questione si pone, in particolare, per l’ottavo comma dell’articolo 18, relativo alla dimensione dell’impresa alla quale si applicano le tutele previste rispetto al licenziamento illegittimo. Infatti, attraverso la cancellazione di alcune parole, si intende sostituire, ai limiti attualmente previsti, calcolati sulla singola impresa o sulle diverse imprese del medesimo imprenditore nell’ambito del Comune (con una disciplina specifica per le imprese agricole), un unico limite, oggi previsto per le sole aziende agricole, dato dalla presenza di almeno cinque dipendenti.

Ora, come abbiamo detto, non qualunque ritaglio che porti a un cambiamento della disciplina vigente è inammissibilmente manipolativo, ma soltanto quello che, saldando frammenti lessicali eterogenei, relativi a “tutt’altro contesto normativo” produca un effetto surrettiziamente propositivo. Se, invece, il ritaglio porta all’espansione di un criterio già presente, senza operare una sostituzione con un’altra disciplina “assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo (…), ma utilizza un criterio specificamente esistente”, il referendum è ammissibile.

La domanda, quindi, è se la soglia dei cinque dipendenti, prevista oggi per l’applicabilità dell’articolo 18 alle sole aziende agricole, divenendo valida per tutte le aziende (per le quali attualmente è di quindici dipendenti), determini una semplice espansione di una disciplina prevista e non estranea al contesto normativo o no. E da questo potrebbe dipendere l’ammissibilità del quesito o la sua inammissibilità.

E problemi simili potrebbero forse esservi anche per un’altra disposizione oggetto di abrogazione e in particolare per quella relativa alla determinazione dell’indennità risarcitoria per il licenziamento dichiarato inefficace per difetto di motivazione, per la quale, attraverso una serie di ritagli, si applica uno dei criteri (quello della reintegrazione con pagamento di indennità) previsti per il licenziamento ingiustificato.

Di fronte a un esito incerto, soprattutto quando i quesiti sono particolarmente complessi e articolati, rimane da sottolineare la necessità di fornire il giudizio di ammissibilità di parametri meglio definiti e soprattutto l’importanza che la Corte costituzionale arrivi a pronunce quanto più possibile solide, chiare e trasparenti, nel presupposto che, a norma della Costituzione, per il referendum abrogativo l’ammissibilità è la regola e l’inammissibilità l’eccezione.

I criteri che determinano quest’ultima, quindi, ferma restando la necessità di garantire un’autentica libertà di voto, non dovrebbero essere oggetto di un’interpretazione estensiva (rispetto alla quale talvolta la Corte ha ecceduto, come sottolineato anche dall’autore della sentenza n. 16 del 1978, Livio Paladin, in un seminario svoltosi proprio alla Consulta nel 1996).

Epidemia

di Annalisa Dall’Oca – il Fatto Quotidiano

15 ottobre 2014

“Abolire l’articolo 18 è un attentato ai diritti dei lavoratori di tutta Europa”. Oltrepassa i confini nazionali e unisce le tute blu italiane a quelle tedesche la battaglia della Fiom contro la riforma del lavoro del governo Renzi. A promettere barricate in difesa dello Statuto dei lavoratori italiano è stato infatti Hartwig Erb, segretario provinciale del sindacato Ig Metall di Wolfsburg, in Germania, il corrispettivo tedesco della Fiom. “L’abolizione dell’articolo 18 non è la ricetta per risolvere la crisi economica italiana”, ha spiegato Erb, a Bologna per siglare con le tute blu emiliano romagnole un accordo di collaborazione tra i due sindacati. La proposta del tedesco è quella di creare una sorta di fronte comune contro le politiche volte a peggiorare le condizioni di lavoro. “Cancellare l’articolo 18 sarebbe un attentato ai diritti dei lavoratori di tutta Europa. Per questo noi siamo pronti a combattere al fianco della Fiom questa battaglia”.

Del resto nel modello tedesco, cui Renzi dice di essersi ispirato per il Jobs Act, il licenziamento senza giusta causa non esiste. “In Volkswagen ad esempio”, ha spiegato il tedesco, “c’è una legge per 
cui non si può licenziare senza giusta causa, ma anche nelle altre aziende esiste una forma
 di articolo 18”. E per questo la riforma del governo italiano crea preoccupazioni anche in Ue. “Se l’Italia dovesse abolire le tutele, rischiamo che in Europa si verifichi il cosiddetto effetto domino. Ovvero che le aziende multinazionali decidano di applicare anche agli stabilimenti esteri le stesse modalità contrattuali approvate in questo Paese, con il risultato che forme di lavoro con minori tutele potrebbero essere introdotte anche da altri stati dell’Unione, contribuendo così a peggiorare crisi e disoccupazione”.

La flessibilità tedesca, insomma, secondo Erb non corrisponde all’abrogazione dell’articolo 18: “Parliamo semplicemente di ore lavorate”. Più o meno le parole usate dall’attuale segretario di Stato del ministero del Lavoro tedesco, Jörg Asmussen, nel raccontare a “il fattoquotidiano.it” gli elementi necessari per ottenere una buona riforma del lavoro: “La leadership si dimostra quando si guarda ai problemi del Paese, si vagliano le soluzioni possibili e si lotta per portare avanti le scelte migliori, spiegando pubblicamente ai cittadini i pro e i contro delle decisioni prese. Non quando si guarda ai sondaggi e si pensa al risultato elettorale”. E in Germania, “abbiamo un tasso di occupazione da record grazie a uno sforzo collettivo, ma molto costruttivo, di sindacati, imprese e molti governi di diverso colore”.

Da qui l’accordo tra Ig Metal e Fiom, stretto non solo per elaborare politiche comuni che tutelino i diritti dei lavoratori nella fabbriche italiane e tedesche del gruppo Volkswagen, che sulla via Emilia è proprietario di Lamborghini e Ducati, ma anche per rivolgere uno sguardo all’Europa. “Oggi il mercato del lavoro europeo presenta diverse criticità – ha spiegato il segretario di Ig Metall di Wolfsburg – ad esempio abbiamo un deficit a livello di istruzione: ci sono pochissime cattedre che specializzano i giovani a livello professionale, mentre per rilanciare l’occupazione bisognerebbe puntare di più sulla formazione. Inoltre l’Unione Europea permette la libera circolazione dei cittadini, ma è difficile per un lavoratore farsi riconoscere il proprio titolo di studio acquisito in uno Stato membro, col risultato che tanti sono costretti ad accettare impieghi sottopagati e precari. Questo trend va cambiato”.

“Dobbiamo disegnare un modello diverso 
di sindacato – ha sottolineato quindi Erb – che agisca a livello transnazionale in sinergia, che unisca le forze nel combattere le battaglie del mondo del lavoro. A partire dalla tutela dell’articolo 18. Per capire questa necessità, del resto, basta guardare come opera l’imprenditoria: le aziende si presentano sempre molto unite, e così deve fare il sindacato”. Qualche mese fa, ad esempio, imprenditori italiani e tedeschi si erano seduti allo stesso tavolo, e secondo il segretario regionale della Fiom, Bruno Papignani, per l’autunno sarebbe in programma un
 secondo evento, che potrebbe vedere la partecipazione della cancelliera Angela 
Merkel e del presidente del consiglio Matteo Renzi: “Si dice che l’importanza di
questo appuntamento porterà al convegno anche i massimi
 esponenti dei due governi”, ha spiegato Papignani.

Per questo, secondo il rappresentante sindacale tedesco, ci dovrebbe essere una “collaborazione” tra i sindacati italiano e tedesco: “Ciò che avviene in Europa influenza l’Italia e viceversa”. La prossima tappa del piano di lavoro relativo all’accordo Fiom – Ig Metall sarà a novembre, con una trasferta della Fiom e del segretario nazionale Maurizio Landini, in Germania. Sempre a 
novembre, poi, il percorso di cooperazione comincerà ad 
allargarsi oltre oceano, con il coinvolgimento della Confederazione sindacale brasiliana: l’Ig Metall volerà in sud America il 10 novembre, la 
Fiom il 22.

Segnalato da barbarasiberiana.

 http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/15/articolo-18-sindacato-tedesco-teme-contagio-ue-del-jobs-act-in-lotta-con-fiom/1155463/

Dieci domande

Le mie dieci domande a Matteo sul Jobs Act

da Huffingtonpost.it (27/09/2014) – di Stefano Fassina

Lasciamo sullo sfondo e in fondo la questione relativa alla possibilità di reintegro di una persona che lavora licenziata senza giustificato motivo, martellata dal Presidente del Consiglio. Concentriamoci sulle misure vere necessarie al contrasto della precarietà e alla valorizzazione del lavoro. In ordine di rilevanza: la politica macroeconomica; la regolazione del mercato del lavoro.

La politica macro-economica è la variabile decisiva. La ripresa dell’economia può arrivare soltanto da una forte ripresa della domanda aggregata. Soltanto così si possono determinare effetti positivi sulla quantità e qualità dell’occupazione. Insistere per la preliminare attuazione di riforme strutturali vuol dire ingigantire gli ostacoli alle riforme e aggravare le condizioni dell’economia. Allora, sarebbe utile sapere dal Governo, prima di decidere sulla regolazione del lavoro, quali passi avanti si fanno durante la presidenza italiana dell’Unione europea per correggere la rotta insostenibile del mercantilismo liberista. E, quindi, conoscere qual è il segno e quali sono i principali contenuti della legge di stabilità in arrivo. Ha un segno espansivo? Il segno espansivo è sufficientemente robusto da generare un effetto positivo sul Pil e sull’occupazione? Qual è la composizione in termini di spese e entrate? Qual è il programma su privatizzazioni e utilizzo di eventuali proventi?

In secondo piano, le regole del mercato del lavoro. Il disegno di legge delega ha principi ambigui che lasciano spazio a possibilità attuative di segno opposto. Il Parlamento non può dare una delega in bianco al governo. È necessario specificare i principi di delega in punti dirimenti. In particolare, prima di pronunciarsi sia la Direzione del PD sia, nella loro autonomia, i gruppi parlamentari, si dovrebbe rispondere alle seguenti domande:

  1. Quali tipologie contrattuali vengono cancellate? La delega prevede la cancellazione soltanto come eventualità.
  2. Quali tipologie contrattuali oggi escluse vengono coperte con misure di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, di indennità di maternità, di indennità di malattia? Qual è l’ordine di grandezza della platea coinvolta? Nessuna informazione disponibile sul punto.
  3. Quale carattere hanno le misure di sostegno al reddito, indennità di maternità e indennità di malattia? Hanno, in parte, carattere assicurativo, ossia sono a carico di datore di lavoro e persona che lavora come è per i cosiddetti “garantiti”? Oppure, sono completamente a carico del Bilancio dello Stato? “Coprire” 500.000 precari costa oltre 4 miliardi all’anno. Quante risorse aggiuntive si rendono disponibili rispetto agli impegni degli ultimi anni per la Cassa Integrazione in Deroga (circa 3 miliardi nel 2013)? Quali capitoli di spesa si intendono tagliare per reperire le risorse aggiuntive necessarie?
  4. Che cosa vuol dire, per i neo assunti, “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”? Si elimina la possibilità di reintegro in caso di licenziamento senza giustificato motivo oppure tale tutela entra in vigore dopo un periodo tempo?
  5. Sia nel primo che nel secondo caso, come si indennizza la persona che lavora? Il condiviso obiettivo del governo di eliminare discriminazioni, implica che, in caso si elimini la possibilità di reintegro, il regime vale anche per i contratti in essere? Inoltre, l’indennizzo eventualmente introdotto vale sempre, ossia anche per i licenziamenti esclusi dalla possibilità di reintegro e per le imprese sotto i15 dipendenti? Oppure, rimangono lavoratori e lavoratrici di “serie B”?
  6. Qual è il canale di trasmissione tra eliminazione della possibilità di reintegro e maggiori assunzioni a tempo indeterminato? Il diritto del lavoro italiano viene classificato dall’Ocse molto flessibile anche per le imprese sopra i 15 dipendenti (si legga la comparazione sintetizzata dal prof Riccardo Realfonzo). Le imprese hanno decine di forme contrattuali “usa e getta&low cost” per assumere e licenziare, alle quali il “Decreto Poletti” ha aggiunto i contratti a termine senza causale reiterabili per 3 anni e i contratti di apprendistato, molto agevolati sul piano contributivo, senza requisiti di stabilizzazione alla fine del triennio. Perché l’eliminazione della possibilità di reintegro per licenziamenti senza giustificato motivo dovrebbe orientare le imprese a preferire un contratto più costoso a contratti molto meno costosi in quanto senza oneri per l’indennizzo in caso di licenziamento e caratterizzati da minori oneri contributivi (cocopro, associazione in partecipazione, Partita Iva, ecc)?
  7. Come disconoscere che l’unico effetto dell’eliminazione della possibilità di reintegro sia l’ulteriore indebolimento della capacità contrattuale delle persone che lavorano e, inevitabilmente, l’ulteriore riduzione delle retribuzioni, come avvenuto in tutti i paesi oggetto delle raccomandazioni di una Commissione europea segnata da forze conservatrici dedicate ciecamente all’impossibile mercantilismo liberista? In sostanza, l’accanimento terapeutico sulla svalutazione del lavoro, imposta nell’impossibilità di svalutare la moneta, oltre che regressivo sul piano dell’equità, è depressivo sul piano economico.
  8. Come si raccorda il contratto a tempo determinato senza causale introdotto dal “Decreto Poletti” e il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti? La soluzione indicata in alcuni emendamenti del Pd al disegno di legge delega prevede l’attivazione della possibilità di reintegro dopo un primo triennio di lavoro. È una soluzione considerata scarsamente innovativa, anzi alimentata da “conservatorismo e corporativismo”. Ma si è consapevoli che implicherebbe 6 anni di licenziabilità ad nutum dato che l’impresa avrebbe convenienza a fare prima, per un triennio, un contratto a tempo determinato senza causale o un contratto di apprendistato? Si è consapevoli che la mediana della permanenza di un lavoratore in un’azienda sopra i 15 dipendenti è 5 anni e per una lavoratrice 4 anni?
  9. È consapevole il governo che in nessun paese europeo alla persona che lavora è sottratto il diritto di rivolgersi a un giudice per licenziamento senza giustificato motivo?
  10. Infine, il governo non ritiene che, oltre a far ripartire la domanda aggregata, l’unica condizione per asciugare l’area della precarietà sia la riduzione e conseguente fiscalizzazione degli oneri sociali sul contratto di lavoro dipendente, come indichiamo da anni, altrimenti, anche in assenza dei contratti precari oggi disponibili, prevarrebbero comunque le finte Partite Iva, invincibili per via normativa o con i controlli della Guardia di Finanza e degli ispettori del lavoro?

Le risposte a tali fondamentali domande faciliterebbero la discussione nel Pd e, certamente, aiuterebbero a raggiungere un approdo unitario in Direzione e in Parlamento.