austerità

Il piano B

PlanBEuropa
di Susan George, Yanis Varoufakis, Ada Colau, Zoe Kostantopoulou, Ken Loach, Noam Chomsky e altri

Ripubblicato da Plan B Europa

Nel luglio del 2015 abbiamo assistito a un colpo di stato finanziario condotto dall’Unione Europea e dalle sue istituzioni contro il governo greco che ha condannato il popolo greco a continuare a subire le politiche di austerità che erano state respinte alle urne in due occasioni. Questo colpo di stato ha intensificato il dibattito sul potere della UE e, per estensione, delle sue istituzioni, sulla sua incompatibilità con la democrazia e sul suo ruolo di garante dei diritti umani fondamentali pretesi dai cittadini europei.

Sappiamo che esistono alternative all’austerità. Manifesti come “For a Plan B in Europe”, Austerexit o DiEM25 (Movimento 2025 per la democrazia in Europa) denunciano il ricatto del terzo memorandum d’intesa imposto alla Grecia, la catastrofe che provocherà e la natura antidemocratica della UE. Nientemeno che il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha affermato: “Non possono esserci decisioni democratiche contro i trattati europei”.

Siamo anche testimoni della reazione non solidale, e a volte xenofoba, dei membri della UE e delle loro istituzioni all’arrivo di profughi dal Medio Oriente e dall’Africa e al dramma umano che comporta. A sottolineare l’ipocrisia del dibattito all’interno della UE riguardo ai disastri umanitari vi è il modo indiretto in cui, attraverso la vendita di armi o promuovendo le proprie politiche commerciali, la UE è stata una protagonista chiave dei conflitti che a loro volta hanno provocato la recente crisi umanitaria.

La soluzione della UE alla crisi, iniziata otto anni fa e basata sull’austerità, privatizza i beni comuni e distrugge i diritti sociali e del lavoro invece di affrontare le cause alla radice della crisi, la liberalizzazione del sistema finanziario e il sequestro da parte dell’industria delle istituzioni della UE mediante l’impiego di lobby potenti e politiche di porte girevoli. La UE promuove false soluzioni negoziando trattati sugli scambi e gli investimenti che scarsissima trasparenza o controllo democratico, quali TTIP, CETA o TISA, che eliminano quelle che sono considerate barriere al commercio: i diritti e le regole che proteggono i cittadini, i lavoratori o l’ambiente. E’ il colpo finale alle nostre democrazie e allo stato di diritto, specialmente riguardo alle procedure poste in essere per la cosiddetta protezione degli investitori.

La UE attuale è governata da una tecnocrazia di fatto al servizio degli interessi di una minoranza piccola ma potente di poteri economici e finanziari. Ciò ha provocato un rigurgito della retorica della destra e di fazioni xenofobe e nazionaliste in molti paesi europei. Abbiamo la responsabilità di reagire contro questa minaccia e di impedire ai fascisti di capitalizzare il dolore e l’infelicità dei cittadini che, a dispetto di tutto, hanno mostrato solidarietà nei confronti delle centinaia di migliaia di profughi che stanno soffrendo questa tragedia umanitaria.

La società ha oggi cominciato a lavorare per un cambiamento radicale delle politiche della UE. Movimenti sociali come Blockupy, l’attuale campagna contro il TTIP (Accordo Transatlantico su Commercio e Investimenti tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti), l’Alter Summit, lo sciopero generale europeo del 2012, le euro marce o la grande quantità di lavoro condotto da numerosi gruppi di cittadini e ONG costituiscono un prezioso capitale umano, intellettuale e ideologico a difesa dei diritti umani, del rispetto del pianeta e della dignità delle persone prima degli interessi politici ed economici e sopra di essi. Tuttavia noi riteniamo che siano necessari un miglior coordinamento e una migliore collaborazione al fine di una mobilitazione di livello europeo.

Ci sono molte proposte sul tavolo in grado di eliminare l’austerità: una politica fiscale equa e la chiusura dei paradisi fiscali, sistemi di scambi complementari, rimunicipalizzazione dei servizi pubblici, distribuzione uguale di tutti i posti di lavoro che onorino condizioni eque e con un impegno a un modello produttivo basato sulle energie rinnovabili e riforma o abolizione dei trattati fiscali UE, formalmente noti come il Trattato sulla Stabilità, il Coordinamento e il Governo dell’Unione Monetaria ed Economica. L’esempio della Grecia ci ha dimostrato che per affrontare la situazione attuale dobbiamo unire le forze, tutti gli stati membri e da tutte le loro sfere: politica, intellettuale e della società civile. La nostra visione è onnicomprensiva e internazionale. Per mettere in atto tutte queste proposte al fine di ridefinire e rifondare le istituzioni e i trattati europei, la società civile deve essere riorganizzata, dobbiamo ideare nostre strategie comuni e pensare a come articolarle.  Sappiamo che queste trasformazioni non possono essere realizzate isolatamente da ciascuno dei paesi europei. La nostra visione è solidale e internazionalista.

Per questo motivo vogliamo creare una convergenza di tutte le persone, movimenti e organizzazioni che si oppongono all’attuale modello della UE e concordare un programma comune di obiettivi, progetti e iniziative con lo scopo di spezzare il sistema dell’austerità a livello europeo e di democratizzare radicalmente le istituzioni europee, mettendole al servizio dei cittadini.

Con questa idea in mente proponiamo di convocare una conferenza europea il 19, 20 e 21 febbraio a Madrid e vi invitiamo a partecipare ai dibattiti, ai seminari e alle discussioni che vi avranno luogo.

Per una lista completa dei firmatari, per aggiungere il vostro nome e per trovare altro sulla conferenza proposta visitate Plan B Europa.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/plan-b-for-europe/

Originale: Links.org

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Sinistra di lotta e di governo

Portogallo, fine della macelleria sociale, sinistra pronte a governare

Portogallo. L’esecutivo di destra di Coelho, il meno longevo della storia della democrazia portoghese, è già caduto. Bocciati i diktat di Bruxelles. A Lisbona per la prima volta un’alleanza frentista, di sinistra, anti austerity, potrebbe diventare realtà.

di Goffredo Adinolfi – ilmanifesto.info, 11 novembre 2015

Dopo due giorni di discussione alle 17.05 di ieri pomeriggio al parlamento portoghese inizia la votazione della mozione di sfiducia delle sinistre contro il governo Passos Coelho. Prova di quorum, il dispositivo elettronico sugli scranni non funziona! L’esecutivo meno longevo della storia della democrazia conquista qualche secondo di vita. Si procede così al ben più lento voto manuale. Conteggio, maggioranza! Alle 17 e 17 la mozione è approvata, nessuna defezione, 123 deputati contro 107, governo sfiduciato! Le destre, ora, salvo sorprese provenienti dal palazzo di Belém (presidenza della repubblica), dopo una legislatura all’insegna della macelleria sociale, dovranno tornare all’opposizione.

Passati 40 anni di conventio ad excludendum si è infine «rotto un tabù e si è abbattuto un muro» dice Antonio Costa nel suo intervento all’Assembleia da Repubblica durante il dibattito per l’approvazione della mozione di sfiducia. Passo dopo passo, con grande pazienza, tenacia, coraggio e determinazione il percorso di una alleanza frentista sembra stia per diventare realtà.

Le sinistre, unite per la prima volta, hanno gridato un assordante «no» a Pedro Passos Coelho, uno dei simboli più visibili della politica austeritaria europea e che, nella sua variante lusitana, ha mostrato una intransigenza non inferiore a quella del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble.

Dopo settimane di incertezze la lunga discussione alla camera dei deputati di ieri è stata certamente catartica. Nel principale organo rappresentativo della sovranità popolare, dopo contrattazioni avvenute in modo perlopiù discreto, si sono messe in chiaro le ragioni che hanno portato all’intesa quattro forze politiche — Partido Socialista (Ps), Partido Comunista Português (Pcp), Bloco de Esquerda (Be) e Partido Ecologista os Verdes (Pev) — che sono state, restano e resteranno molto differenti tra di loro. Convergenze parallele di una sinistra — soggiunge Costa — orgogliosamente plurale.

Il segretario Ps affronta a viso aperto una delle maggiori critiche che arrivano da chi si è battuto affinché una maggioranza alternativa a quella della Coligação non fosse costruita: «Essere contro la Nato, l’Euro e le politiche energetiche non implica che non si possa trovare un terreno comune di mediazione.

Un accordo che parte dal presupposto di come sia ora necessario voltare definitivamente pagina al radicalismo ideologico che ha animato la coalizione di destra e inauguri un nuovo ciclo politico che ridia speranza e un futuro di fiducia». È finita l’èra del «cinismo di classe — dice Jeroninmo de Sousa segretario generale del Partido Comunista Português — per cui si finge di parlare in nome del paese per poi occuparsi degli interessi di una piccola minoranza».

Questa destra non solo ha applicato pedissequamente il memorandum con la Troika, ma lo ha reinterpretato in una chiave tanto estensiva da non lasciare nessun settore escluso da una rimodulazione dei rapporti tra lo stato e il cittadino. I bilanci, dice Catarina Martins, sono stati soltanto la punta di un iceberg, perché è il contratto sociale stesso ad essere stato alterato.

Ed é per questo, continua la portavoce del Be, che oggi la destra è isolata nel parlamento, perché in questi anni essa è stata isolata nel paese.
Ultimo a pronunciarsi, prima della votazione finale, è un Passos Coelho che sembra riemergere da un passato ormai superato. Minoritario all’Assembleia, nominato nonostante fosse chiaro che le sinistre, maggioritarie, intendevano farsi governo, si considera purtuttavia vittima, vittima di un parlamento che non gli vuole riconoscere una vittoria mai ottenuta.

Ora il lato orientale e quello occidentale del continente sembrano incamminarsi verso una strada di rifiuto pragmatico ma deciso delle politiche iperliberiste.

Un governo di sinistra anti-austerità — afferma Panos Trigazis membro del comitato centrale di Syriza in una dichiarazione inviata all’agenzia Lusa — rappresenta un sostegno indispensabile agli sforzi portati avanti da Atene a livello europeo.

È inoltre un contributo essenziale per la creazione di una base programmatica anti-austerità e rafforza l’aspettativa di sviluppi simili nella vicina Spagna alle prossime elezioni del 20 dicembre.

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Portogallo, c’è un programma di sinistra

Portogallo. Pronta mozione di sfiducia contro il governo di Pedro Passos Coelho.

di Goffredo Adinolfi – ilmanifesto.info, 10 novembre 2015

Dopo più di un mese dalle elezioni l’accordo tra socialisti, Bloco de Esquerda (Be) e Partido Comunista (Pcp) è stato finalmente concluso. Durante lo scorso fine settimana le segreterie dei tre partiti hanno ratificato in via definitiva il documento programmatico che dà il via libera ad Antonio Costa per formare un governo appoggiato dalle sinistre.

Il testo prevede la cancellazione di fatto di grande parte delle riforme austeritarie di questi ultimi anni. Scorrendo le 138 pagine si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un vero e proprio percorso di smantellamento di quanto fatto a partire dal 2009–2010 quando, a causa della tempesta scatenatasi sui debiti sovrani, il premier socialista José Socrates è stato costretto a firmare con la Troika — Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione — un piano di contenimento draconiano del bilancio dello stato e di svalutazione salariale.

Al primo punto dell’intesa misure volte ad «aumentare il reddito delle famiglie per rilanciare l’economia». Nel corso del 2016, se Costa sarà nominato primo ministro, verranno annullati per intero i tagli degli stipendi della funzione pubblica e il salario minimo verrà portato da 505 a 600 Euro entro il 2019 (ovvero una crescita di quasi il 20% che riguarderà circa 500 mila persone). Agli aumenti diretti occorre poi aggiungere quelli indiretti che comunque incidono in modo sostanziale sul potere d’acquisto. I contributi previdenziali verranno ridotti del 4% e compensati da un investimento maggiore da parte della Segurança Social (Inps). Sono inoltre previste una serie di riforme atte a combattere l’uso ingiustificato del lavoro autonomo, per favorire l’occupazione e ridurre i livelli di precarietà. Infine verranno reintrodotti i giorni festivi aboliti nel 2011 che passeranno da 9 a 13.

Riguardo all’Europa — una delle tematiche più controverse visto il presunto antieuropeismo di comunisti e blocchisti — ci si trova di fronte a una sorta di paradosso. Dal documento concordato sembrerebbe infatti emergere la volontà di portare ulteriormente in avanti il processo di integrazione e, soprattutto, di democratizzazione dei processi di decision-making (ri)dando maggiore centralità, in quanto principale organo rappresentativo della sovranità popolare, al parlamento. Intanto ieri pomeriggio è iniziato il dibattito all’Assembleia da Republica che si concluderà oggi con l’approvazione della mozione di sfiducia contro il governo guidato da Pedro Passos Coelho. A questo punto il capo dello stato Aníbal Cavaco Silva dovrà decidere quale cammino intende seguire: se dare luce verde ad un esecutivo frentista, mantenere un governo di gestione o addirittura promuovere un governo di iniziativa presidenziale.

Al momento le polemiche riguardo le denunce di «colpo di stato» lanciate dal Telegraph qualche settimana fa e che tanta eco hanno avuto nei media internazionali, sembrano essersi sopite. Anche il potente ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha mostrato tranquillità dicendosi convinto che il Portogallo proseguirà comunque sulla strada della crescita.

Sia come sia da questa sera inizierà un percorso del tutto inedito e quindi ancora molto incerto nella recente storia portoghese e che, ne siamo certi, avrà un impatto non solo interno ma anche sulla Spagna (si voterà il prossimo 20 dicembre) e sull’intero continente (basti pensare al peso giocato dal centro-destra portoghese in sede di eurogruppo). Anche se il compromesso storico lusitano è stato perlopiù accettato le prossime giornate si prospettano delicate perché, come sottolinea Catarina Martins portavoce del Bloco, le pressioni «da parte dell’Europa dell’austerità saranno gigantesche, così come gigantesche saranno le pressioni da parte di quel potere finanziario che in questi anni ha lucrato con la svendita del nostro paese».

GREFERENDUM

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Tsipras: «No ai ricatti e agli ultimatum». E annuncia il referendum il 5 luglio

Grecia. Il 5 luglio referendum sull’accordo proposto dei creditori. Nel frattempo chiesta un’estensione dei finanziamenti. Sulla legittimità del referendum si esprimerà il Parlamento. Ieri giornata di tensione in attesa del nuovo Eurogruppo di oggi. Atene sembra indirizzata verso un default con la volontà di rimanere dentro l’euro, ma potrebbe annunciare che non verrà pagato il debito. La palla a quel punto passerebbe ai creditori.

di Simone Pieranni – ilmanifesto.info, 27 giugno 2015

Tor­nato ad Atene, da Bru­xel­les, Tsi­pras ha rimesso nelle mani del popolo greco la deci­sione sulla pro­po­sta dei creditori. Il 5 luglio un refe­ren­dum, che dovrà essere prima rati­fi­cato dal par­la­mento (ma Syriza ha i numeri per appro­varlo), sta­bi­lirà se la Gre­cia accet­terà o meno le ultime pro­po­ste delle «istituzioni».

Tsi­pras, come altri mini­stri, si è già espresso per il «no» in modo chiaro, ma il governo farà decidere alla popo­la­zione greca. La deci­sione di Ale­xis Tsi­pras è giunta al ter­mine di una giornata convulsa, di grande ten­sione, pro­prio quando sem­brava deci­sivo l’incontro di oggi, tra pessi­mi­smo e sce­nari apocalittici.

Se sarà no, si va verso uno sce­na­rio di default con­trol­lato, ma senza uscire dall’euro. A quel punto saranno i cre­di­tori a dover accet­tare, ingo­iando un boc­cone amaro, o sbat­tere la Gre­cia fuori dall’euro.

Ieri, infatti, dopo l’ennesimo ver­tice con Mer­kel e Hol­lande, nell’ennesima gior­nata tesa vis­suta a Bru­xel­les, il premier greco Ale­xis Tsi­pras aveva respinto l’ultima offerta dei cre­di­tori specificando che Atene non avrebbe accettato «ulti­ma­tum e ricatti». Il pre­stito di 12 miliardi fino a novem­bre, con un’aggiunta di 3,5 miliardi imme­diati del Fmi in cam­bio da subito delle riforme richie­ste (altra auste­rity) e di nes­sun accordo sostan­ziale sul debito è stato giu­di­cato da Syriza una trap­pola che non scio­glie i nodi e che, molto pro­ba­bil­mente, avrebbe por­tato il governo a trat­tare un terzo memo­ran­dum a Natale con un paese sem­pre in ginoc­chio e senza più con­senso sociale e politico.

Soprat­tutto dopo i recenti ten­ta­tivi di Bru­xel­les nel son­dare altri par­titi poli­tici, un ten­ta­tivo di golpe soft, una strada che le «isti­tu­zioni» sto­ri­ca­mente cono­scono bene: com­prare la con­tro­parte per renderla mal­lea­bile oppure sca­ri­carla con un governo tec­nico di unità nazionale.

Tsi­pras ha detto di no, con­fer­mando le parole del mini­stro delle finanze Varou­fa­kis, che aveva definito «non praticabile» l’accordo e che oggi dovrà affron­tare un duris­simo Euro­gruppo (l’undicesimo sulla Gre­cia), e una volta giunto ad Atene ha con­vo­cato un con­si­glio dei mini­stri d’emergenza per pren­dere le deci­sioni imme­diate dopo il no a Bru­xel­les. La que­stione a que­sto punto, non ha a che fare con la ragio­ne­ria e l’economia, bensì con la politica.

Men­tre scri­viamo la riu­nione è ancora in corso. Ma Atene, molto pro­ba­bil­mente, si avvi­ci­nerà al default con la volontà di rima­nere den­tro l’euro. Salvo sor­prese, sicu­ra­mente saranno dram­ma­tiz­zati i toni e attuate tutte le misure neces­sa­rie a bloc­care i movi­menti di capi­tali inclusi i ban­co­mat. Il debito pub­blico greco è dete­nuto, all’80%, da fondi Ue, paesi mem­bri, Bce e Fmi. Per­ciò la palla per ora è soprat­tutto nel campo dell’Europa che all’Eurogruppo di oggi dovrà deci­dere se accet­tare la «ribel­lione» greca e con­trol­lare gli esiti di un ine­vi­ta­bile default suc­ces­sivo al Grexit (ipo­tesi caldeg­giata ieri dal pre­mier bri­tan­nico Came­ron, che l’ha per­fino «con­si­gliato» a Merkel).

Oppure nego­ziare su basi diverse. Atene infatti non ha alcuna inten­zione di annun­ciare motu proprio un’uscita dalla moneta unica, che si scon­tre­rebbe con le pro­messe elet­to­rali e con la volontà popo­lare: più pro­ba­bile che ci pos­sano essere gior­nate di «pre­pa­ra­zione» a un’uscita, sem­pre che sia cau­sata dai creditori.

Che l’aria sia cam­biata ieri, in un tur­bine di dichia­ra­zioni a seguito del sup­po­sto «no» greco, lo hanno dimo­strato fonti euro­pee che hanno comin­ciato a par­lare di un «piano B», una sorta di «quaran­tena eco­no­mica» che dovrebbe pre­ve­dere un default con­trol­lato. Dra­ghi e i cre­di­tori sanno che quei soldi sono ormai persi (il 30 scade la dop­pia tran­che al Fmi) e devono riflet­tere se continuare a soste­nere il sistema finan­zia­rio, man­te­nendo la Gre­cia all’interno dell’euro dando però fiato ai «ribelli», vedi Pode­mos (a novem­bre ci saranno le ele­zioni in Spa­gna), oppure dare la vittoria ai fal­chi alla Schäu­ble, con una «cac­ciata» della Gre­cia che potrebbe sca­te­nare un indesiderato effetto domino.

L’ipotesi del default con­trol­lato, dun­que, poli­ti­ca­mente potrebbe essere l’opzione più sag­gia, anche se, gioco forza, segne­rebbe un suc­cesso per Tsi­pras, per­ché dimo­stre­rebbe la pos­si­bi­lità poli­tica di ristrut­tu­rare il debito con la trojka. Un momento sto­rico che, così come un’eventuale «Gre­xit», potrebbe dare vita a feno­meni poco gra­diti ai credi­tori. La que­stione è dun­que pura­mente poli­tica e com­porta rifles­sioni che coin­vol­gono tutta l’Europa.

Qual­siasi deci­sione verrà presa, l’unione eco­no­mica come l’abbiamo con­ce­pita fino ad oggi, non sarà più. Del resto, il «con­tro piano» pre­sen­tato con pre­sun­zione dalle «isti­tu­zioni» (con quelle corre­zioni in rosso, sot­to­li­neate anche dalla stampa inter­na­zio­nale, come il Guar­dian, che al contrario di certi com­men­ta­tori nostrani, rispetta il fatto che un governo di sini­stra possa dire di no alle impo­si­zioni di chi fino ad ora ha sca­ra­ven­tato un intero paese in una crisi uma­ni­ta­ria senza precedenti) era parso fin da subito inac­cet­ta­bile ai greci.

Nella serata di ieri Tsi­pras è tor­nato ad Atene per infor­mare il governo e il paese sullo stallo dei nego­ziati, men­tre veni­vano rila­sciati alcuni stralci di un docu­mento pro­dotto da Atene, nel quale veniva riba­dito il «no» all’accordo proposto.

Secondo il governo greco si trat­te­rebbe di un’intesa che por­te­rebbe ad una nuova «cata­strofe umanita­ria». «Lo stermi­nio del nostro popolo», secondo il mini­stro del Lavoro. Il governo greco, si legge, «non ha il man­dato popo­lare per accet­tare simili richieste».

Nei 7 punti del docu­mento di Atene si legge che «la pro­po­sta da parte delle isti­tu­zioni comporterebbe pro­fonde misure reces­sive, che faranno male al tes­suto sociale già ferito del Paese, come pre-condizione per cin­que mesi di finan­zia­mento, che in ogni caso, è stato giu­di­cato del tutto ina­de­guato. Se que­sta pro­po­sta venisse accet­tata dal governo e dal par­la­mento, la popo­la­zione e i mer­cati dovreb­bero affron­tare altri cin­que mesi di ulte­riore auste­rity, che por­te­rebbe ad un altro nego­ziato in con­di­zioni di crisi. Que­sto è uno dei motivi per cui la pro­po­sta delle istituzioni non può essere accolta». Lo scopo dei cre­di­tori è chiaro: stroz­zare per cin­que mesi il paese, per por­tarlo ad un nego­ziato in con­di­zioni migliori (per loro).

E men­tre in serata la Reu­ters, citando fonti euro­pee, soste­neva che in realtà le parti sareb­bero più vicine di quanto sem­bri, altre fonti testi­mo­nia­vano una rot­tura che appare insa­na­bile. L’infinito «gioco del cerino» ini­ziato cin­que mesi, ormai è alle ultime battute.

L’Eurogruppo straor­di­na­rio, fis­sato ini­zial­mente alle 17, è stato anti­ci­pato alle 14, ma l’aria che tira è delle peg­giori. Il pal­lino, in quella sede, ce l’avranno soprat­tutto Dra­ghi e Angela Mer­kel, due figure che sulla difesa della moneta unica «costi quel che costi» hanno scom­messo tutte le proprie carte.

#Change4all

segnalato da crvenazvezda76

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Nel mese cruciale del negoziato fra il popolo greco e i poteri forti europei

RENDIAMO VISIBILE IL LEGAME FRA LE LOTTE IN EUROPA 

CONTRO L’AUSTERITÀ, PER I DIRITTI, LA DEMOCRAZIA, LA DIGNITÀ, LA PACE

un sito, una mappa interattiva dove ciascuno può inserire

le proprie iniziative, una pagina Facebook

per rendere visibili lotte, vertenze, iniziative in tutta Europa

e per ricevere quotidianamente informazioni vere dalla Grecia

facciamo circolare questa lettera del team di Change4all – che sta realizzando uno strumento del coordinamento europeo contro l’austerità e per la solidarietà alla Grecia.

*

Cari tutti e tutte,

permetteteci di presentarvi il nostro nuovo progetto!

#Change4all è il nuovo canale di informazione alternativa in Europa.

Questa è la nostra pagina web: www.change4all.eu (che sarà in linea da lunedì 18 maggio).

Questa è la nostra pagina Facebook: www.facebook.com/change4all.eu?fref=ts (che è già pubblica. Mettete “mi piace” e condividete con i vostri contatti, organizzazioni, liste ecc…)

Perché è importante sostenerci?

1. Perché il sito ospiterà una grande mappa interattiva con le iniziative di solidarietà, le reti, le organizzazioni, i movimenti e tutti gli eventi che sono in corso o programmati per il prossimo periodo. Ciascuno potrà aggiungere la propria iniziativa nella mappa! Il nostro obiettivo è di stabilire un ponte fra le varie iniziative politiche e sociali, quelle relative alla lotta contro l’austerità – ma non solo!

2. Sia la pagina Facebook che il sito permetteranno di avere una informazione credibile e ufficiale in inglese, che arriverà direttamente dalla Grecia. C’è una incredibile mancanza di informazioni ufficiali riguardo i negoziati fra la Grecia e l’Unione Europea, e Change4all vuole portare una voce nuova e vera. Come sapete, c’è un grande tentativo da parte dei media mainstream e dell’élite politica europea di creare una certa immagine dei negoziati, del popolo greco e del suo governo. Lo scopo della nostra iniziativa è decostruire questa immagine e costruire una nuova narrativa basata su fatti reali, dati, comunicati ufficiali del governo, documenti non ufficiali, analisi, punti di vista di attivisti sociali, e altro. Potrete trovare informazioni quotidiane, traduzioni in inglese dei documenti ufficiali e di articoli.

E infine:

È il tempo della lotta più grande. Per la prima volta, il popolo europeo sta sfidando il potere neoliberista dominante. Non abbiamo media o grandi interessi economici dalla nostra parte. Abbiamo solo noi stessi! Ora, nel picco del conflitto, è il tempo di allargare la nostra solidarietà! Uniamoci per un futuro comune di democrazia, giustizia e dignità! Fate circolare il messaggio di Change4all!

Molte molte grazie

Change4all team

Non lasciamo sola la Grecia!

segnalato da n.c.60

FIRMA LA PETIZIONE!

A TUTTI I GRUPPI POLITICI DEL PARLAMENTO ITALIANO

Chiediamo ai parlamentari che approvano e sostengono il governo greco di manifestare tale sostegno attraverso un ordine del giorno che consenta a tutto il Parlamento di liberamente esprimersi.

A fine aprile le autorità politiche e monetarie europee si pronunceranno sulle misure adottate dal governo greco dopo l’accordo del 24 febbraio. Accordo che dà respiro alla Grecia, ma che prepara un ancor più duro show-down in Aprile.

È assolutamente necessario che il Governo ellenico riesca ad arrivare all’appuntamento con il massimo sostegno nelle opinioni pubbliche nazionali dei vari paesi europei.
Riteniamo che le settimane che ci separano da quella verifica debbano essere utilizzate per agire in forme coordinate sul dibattito nazionale. In esso finora è dominante l’assunto che la Grecia, perché paese debitore, sia automaticamente tenuta a rispettare gli impegni, indipendentemente dalla sua capacità a farvi fronte e che l’Europa, perché principale creditore, sia automaticamente abilitata a dettare le politiche per il risanamento economico, giudicarne i comportamenti e deciderne il destino. Tutto questo nonostante il fallimento delle terapie fin qui imposte alla Grecia e che hanno avuto come risultato, non solo l’aumento vertiginoso del debito pubblico, ma la riduzione in povertà della maggioranza del popolo.
La pretesa cessione di sovranità alla Commissione Europea e agli organismi finanziari internazionali ha così, non solo mortificato la dignità di un popolo, ridotto letteralmente alla fame, ma con arrogante rigidità – e la complicità della grande informazione – ha tentato di mistificarne le cause, nascondendo le proprie interessate manchevolezze, imponendo come unica e intangibile la propria visione dei fatti.
Il caso greco, dunque, svela, per merito del nuovo governo, la clamorosa mancata efficacia delle politiche di austerità, finora imposte come indiscutibili.
Il rifiuto della Grecia di adattarsi docilmente al ruolo di prototipo del Paese Debitore senza alcun potere, diventa un’indicazione e un esempio per altre più complesse situazioni di crisi (Italia e Spagna).
Significativo, da questo punto di vista, è il mix di disinteresse e avversione ripetutamente mostrata dalla Commissione Europea e dalle sue tecnocrazie verso l’esperienza dell’amministrazione Obama, che conferma, con risultati discutibili, ma nettamente migliori di quelli europei, come le strategie possibili sono più d’una e che nulla è più falso dell’affermazione per la quale “non ci sono alternative”.
Al contrario, tutto ciò che è avvenuto in Grecia negli ultimi sei anni – quattro consultazioni elettorali, di cui due a trenta giorni di distanza; tre differenti maggioranze di governo; la bocciatura preventiva di un referendum da parte della UE e, infine, l’ingresso in parlamento di una formazione neo-nazista – dimostra che la conclamata e presunta assenza di alternative non può produrre che instabilità e disordine.
I limiti statutari dell’azione della Bce e l’assenza di un’autonoma iniziativa delle socialdemocrazie europee non inducono a eccessivo ottimismo circa l’evoluzione a breve della crisi greca, ma suggeriscono considerazioni utili per il nostro dibattito nazionale.
Siamo convinti che l’affermazione di Syriza debba essere accolta, indipendentemente dagli orientamenti politici, come una novità positiva, giacché mette in campo per la prima volta un gruppo dirigente del tutto nuovo per formazione e cultura e per assenza di responsabilità storiche, che sta dimostrando all’Europa come un altro modo di concepirsi sia necessario e possibile.
Il che significa rompere una sudditanza, a un tempo, politica e culturale. Quella che si manifesta in ampi settori della maggioranza di questo governo, così come dei governi che lo hanno preceduto. Quella che anima le linee editoriali di gran parte dei media (a cominciare dalle tre testate principali e dalla Rai). Quella che si spiega, di volta in volta, con l’adesione più o meno acritica al modello dominante, o con una diffusa ignoranza della materia, o con l’influenza esercitata da una scuola di pensiero egemone nell’accademia e indisponibile a un onesto esame di realtà.
L’esito di questo intreccio di fattori è quotidianamente sotto i nostri occhi e consiste nella negazione o minimizzazione di due dati innegabili: l’inesigibilità del debito pubblico greco e il bisogno di nuove politiche economiche su scala europea; politiche che favoriscano un recupero di fiducia nel futuro, il rilancio della domanda, politiche salariali e di sviluppo in grado di produrre buona occupazione e di aggredire e contenere le abissali diseguaglianze che lacerano la società europea.
Riteniamo che quanti si oppongano alla linea affermatasi finora, in Europa non possano più limitarsi a enunciare posizioni di testimonianza, ma debbano invece farsi carico di un compito più impegnativo: rappresentare attivamente, con iniziative comuni e trasversali ai partiti e movimenti di appartenenza, la rivendicazione di dignità posta con la forza della democrazia dal popolo greco, quale obiettivo su cui orientare tutte le misure volte alla soluzione della crisi. Dare forma a questo impegno significa innanzi tutto affermare in un dibattito pubblico, finalmente trasparente e sollecito, le ragioni della democrazia, della dignità, della solidarietà tra i popoli e i governi d’Europa.Perché l’Europa si ritrova e vive se le ragioni storiche della sua unione non cessano d’essere illuminate da questi valori.

Qui chi ha firmato e invita a firmare la petizione.

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È MOVIMENTO SOLO SE SI MUOVE

segnalato da Ciarli P.

Esclusiva, Casarini da Francoforte: “Landini guardi a Blockupy per un’Italia contro i potenti”

di Andrea De Angelis – intelligonews.it, 18 marzo 2015

IntelligoNews ha intercettato Luca Casarini, storico esponente dei movimenti di sinistra italiani e già candidato con la Lista Tsipras alle ultime europee, in strada a Francoforte, durante la protesta dei movimenti nel giorno dell’inaugurazione dei nuovi uffici della Bce…

Casarini, perché in questo momento sta manifestando a Francoforte?

«C’è una situazione di grande protesta da questa mattina alle sei. Oggi è il giorno dell’inaugurazione della Bce e migliaia di persone stanno manifestando per sottolineare l’assurdità di grandi festeggiamenti nei confronti di un’Europa in cui aumenta la povertà dal punto di vista sociale».

Si parla di una decina di feriti e di una città messa a ferro e fuoco…

«Ci sono state barricate, vari tentativi di bloccare gli ingressi della Bce e naturalmente la polizia era presente e ha fatto cariche oltre ad utilizzare gli idranti».

Dove si trova adesso?

«Sono in un blocco di oltre duecento italiani che sono stati fermati e adesso vengono presi ad uno ad uno dai reparti di polizia per l’identificazione».

Ci sono delle delegazioni con lei?

«Sì, c’è sia quella dei parlamentari europei de L’Altra Europa con Eleonora Forenza, che quella dei parlamentari di Sinistra Ecologia e Libertà con Fratoianni e Zaccagnini. Di certo oggi non si potrà dire che l’Europa è un luogo pacificato in cui i potenti possono fare le loro grandi feste di apertura di palazzi e le persone non protestano».

In rete si vedono filmati di ragazzi mascherati. C’è divisione tra i gruppi?

«Non c’è nessun tipo di divisione tra le persone, ci sono tanti modi diversi e creativi di fare blocchi e la protesta è molto dura perché fatta in un luogo in cui teoricamente oggi non doveva esserci nulla se non le sfilate di macchine blindate dei vari potenti della finanza e delle banche. C’è tensione perché la gente vuole protestare, ma nessuna divisione tra parti».

Tutto sommato mi sembra di capire che la situazione è comunque sotto controllo, non c’è il rischio di una escalation?

«Sì, l’obiettivo politico di questa protesta è stato pienamente raggiunto, ovvero quello di chiedere con forza un’Europa democratica dove la questione aperta dalla Grecia diventi una questione politica per tutti i governi europei. Ridiscutere insieme che tipo di Europa vogliamo. Adesso bisogna evitare l’escalation da parte della polizia e su questo credo sia importante anche il ruolo dei media».

Venendo alla coalizione sociale di Landini, oggi a Francoforte è presente anche la Fiom?

«Sì, ci sono dei pullman di persone della Fiom che manifestano. Ci sono reti sociali, studenti, precari, insomma tutta la coalizione sociale europea, Blockupy, che ha realizzato questo evento. Anche questa in Europa è già una coalizione sociale».

Dunque la coalizione sociale in Italia guarda anche a questo modello?

«Spero e penso di sì, credo che sia il modo giusto di affrontare il tema di come organizzarci per cambiare la storia di un’Europa fatta fino ad ora di povertà sempre più grandi da una parte e ricchezze di pochi dall’altra».

Eppure su molti giornali si scrive che i movimenti identitari in Italia non hanno mai funzionato, quasi preannunciando un flop di Landini. Come risponde?

«Non credo che Landini intenda la coalizione sociale come movimento identitario, ma che ponga il problema di mettere insieme ciò che l’austerity divide. Oggi purtroppo la crisi, la miseria e la povertà tendono a costruire guerre tra poveri piuttosto che prendersela con i veri potenti. Oggi si vedrà chi sta con i potenti e chi invece con le persone che vogliono riprendersi in mano il proprio destino».

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«È movimento solo se si muove. Se sta fermo, potrebbe trattarsi di fermento, ma il fermento è quasi sempre cattiva digestione». Ciarli P.

 

 

 

Deutschland über alles

segnalato da Andrea

di Juan Torres López –  4 marzo 2015 – Eunews

L’establishment mediatico ed economico-politico europeo vorrebbe farci credere che le difficoltà nel trovare un’intesa tra la Grecia e l’Eurogruppo dipendono dalle richieste irragionevoli del nuovo governo ellenico (e in generale dall’inaffidabilità dei greci), che giustificherebbero l’intransigenza degli altri governi europei, guidati dalla Germania.

La verità è che la Grecia ha seguito alla lettera i diktat della troika, ma questi si sono rivelati un fallimento totale dal punto di vista del rilancio dell’economia, della riduzione del debito e del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Il fallimento delle politiche di austerità della troika giustifica la ricerca di una strada alternativa. Inoltre, il nuovo governo non si sta rifiutando di onorare gli impegni presi dai  precedenti governi; sta semplicemente cercando di trovare delle soluzioni per affrontare i problemi che essi hanno creato. Ma per riuscirci la Grecia avrebbe bisogno almeno di una frazione delle risorse e della generosità che finora sono state riservate alle banche e alle economie più prospere del continente, tra cui la Germania. Al punto che persino il presidente Obama – che di certo non può essere sospettato di nutrire simpatie politiche per un partito come Syriza – ha dichiarato che sarebbe ragionevole allentare la morsa nei confronti della Grecia e permettere al paese di ritornare a crescere per uscire dall’impasse.

Per comprendere l’intransigenza della Merkel e dei suoi alleati, però, non dovremmo guardare tanto alla Grecia quanto alla stessa Germania, e più specificatamente a come è cambiata l’economia tedesca negli ultimi anni. Molti europei non si rendono conto che la Germania non è un partner come gli altri, solo un po’ più grande e potente. No, la Germania è molto più di questo: è la quarta potenza economica al mondo dopo gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina, ma soprattutto è la seconda potenza esportatrice del pianeta. In altre parole, è un’economia gigantesca e per questo è costretta a pensare innanzitutto ai propri interessi nazionali, a partire dall’accesso ai mercati esteri, il che significa che tutte le strategie della Germania sono necessariamente subordinate al mantenimento di una posizione di forza nel contesto in cui opera.

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Negli ultimi dieci anni, quasi la metà della crescita dell’economia tedesca è venuta dalle esportazioni nette. Per cui ritengo che uno debba guardare alla natura dell’economia tedesca per comprendere l’intransigenza con cui porta avanti i suoi interessi all’interno dell’Unione europea, e ora nei confronti della Grecia.

In questo senso, possiamo individuare tre fattori decisivi che oggi influenzano la strategia tedesca:

  1. In primo luogo, il commercio mondiale sta subendo una forte contrazione e non si tratta solo di un problema di natura congiunturale. Secondo un recente studio dell’Fmi e della Banca mondiale (“Slow Trade”), nel 2012-13 esso è cresciuto meno della metà che nei venti anni precedenti e meno di quanto non sia cresciuta l’economia mondiale, un fatto che non si verificava da almeno quarant’anni. Questo significa che nei prossimi anni le economie esportatrici come la Germania avranno serie difficoltà a mantenere gli stessi livelli di crescita dei periodi precedenti.
  2. In secondo luogo, dobbiamo tenere a mente che i paesi di destinazione delle esportazioni tedesche sono cambiati negli ultimi anni. Nel 1990, il 50% delle esportazioni andava a paesi che oggi fanno parte dell’area euro; nel 2014 quella percentuale era scesa al 40%. La crescita media annuale delle esportazioni verso il resto dell’eurozona dal 2000 ad oggi (4.5%) ammonta alla metà o meno della crescita verso altre aree come l’Europa centrale (9%) e l’Asia (10%). La Germania, dunque, sta iniziando ad avere altri partner commerciali preferiti.
  3. In terzo luogo, dobbiamo considerare che anche la situazione interna dell’economia tedesca sta cambiando. Un articolo pubblicato a dicembre dall’istituto di ricerca del gruppo Bnp Paribas (“Inflexible Allemagne”) mostrava che, oltre ai problemi derivanti dal rallentamento del commercio globale, la Germania deve anche fare i conti due sfide interne molto serie. Primo, l’invecchiamento crescente della popolazione, che ha trasformato la Germania nel secondo paese più “vecchio” al mondo, dopo il Giappone, in base alla percentuale di ultra-65enni nella popolazione (in parte per le difficoltà incontrate dalle donne nel conciliare la carriera con la maternità). È probabile che questo causerà, tra le altre cose, un crollo dei tassi di risparmio domestico nei prossimi anni.  Secondo, il paese negli ultimi anni ha trascurato gli investimenti interni: quelli privati sono scesi di 7 punti negli ultimi vent’anni, mentre gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche sono il 30% al di sotto della media dell’Ocse. Tutto questo ha determinato delle carenze strutturali molto serie. Secondo lo studio della Bnp Paribas, il divario accumulatosi tra il 1992 e il 2012 tra il tasso di investimento effettivo e quello ottimale ammonta al 40% del Pil. Avendo negli ultimi decenni reinvestito i profitti del suo avanzo commerciale all’estero – in buona parte per finanziare bolle speculative in altri paesi – la Germania ha finito per trascurare il suo reddito interno, facendo aumentare drasticamente i livelli di povertà nel paese, che nel 2013 hanno toccato un nuovo record storico: il 16.1% della popolazione totale, il 69% dei disoccupati, il 35.2% dei genitori single e il 5.7% dei bambini.

Quello che sta accadendo dunque è che: il futuro della Germania non appare molto roseo; che essa farà sempre più fatica a mantenere il suo avanzo commerciale; che i suoi interessi commerciali non saranno più rappresentati dagli altri paesi dell’eurozona – che ha ormai spremuto quasi fino all’ultima goccia –; e che sarà costretta a dedicare molta più attenzione ai suoi problemi interni e in particolare alla carenza di investimenti.

853bf4d9ff6f76b86beab1b9c55c8a17La Germania non si assumerà la responsabilità di rompere lo status quo dell’euro perché quello sarebbe visto come un attacco frontale al progetto di integrazione europeo. Ma imporrà condizioni sempre più rigide a quegli stati membri che non considera più suoi partner e con cui non condivide alcun interesse strategico. Continuerà dunque a stringere il cappio attorno al collo di questi paesi finché essi non avranno altra scelta che arrendersi o abbandonare l’euro.

La Germania sta già puntando ad un nuovo asse europeo con la Francia e la Polonia. È per questo che paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, Cipro e anche l’Italia non avranno vita facile da ora in poi. Sarebbe ora che questi paesi cominciassero a chiedersi se sono disposti ad essere testimoni silenziosi o semplici comparse in un’architettura monetaria cucita addosso agli interessi della Germania, o se forse hanno anche altro in comune oltre al fatto di essere disprezzati dalla superpotenza tedesca.

(Juan Torres López è professore di economia applicata all’Università di Siviglia)

fonte: http://www.eunews.it/2015/03/04/da-cosa-deriva-lintransigenza-tedesca/31304

Grecia tra grande vittoria e incertezze

segnalato da crvenazvezda76

da ilmanifesto.info (29/01/2015) – di Etienne Balibar

Sbilanciamo l’Europa. La vittoria di Tsipras è un segnale forte di rifiuto dell’arroganza di chi oggi governa l’Europa, incurante di ogni segnale che viene dai cittadini europei. E in una situazione di emergenza umanitaria, le minacce di queste istituzioni non hanno prodotto sottomissione, ma ribellione.

La vit­to­ria di Syriza alle recenti ele­zioni par­la­men­tari in Gre­cia ha senza dub­bio una por­tata sto­rica. È la prima volta da quando le poli­ti­che di auste­rità sono diven­tate la regola in Europa che una forza popo­lare, radi­cata a sini­stra, soste­nuta da una mobi­li­ta­zione col­let­tiva ed orga­niz­zata in una forma demo­cra­tica, con­qui­sta la mag­gio­ranza nel pro­prio paese e si trova nella con­di­zione di rimet­tere in que­stione la gover­nance che domina l’Europa da quando ha imboc­cato la svolta «neo-liberale» (all’inizio degli anni 1990).

Que­sta rot­tura accade in un «pic­colo paese», ma da una parte la Gre­cia, a causa delle sof­fe­renze ecce­zio­nali che le hanno impo­sto Fmi, Bce e la Com­mis­sione euro­pea per ripor­tala «all’interno delle regole», è diven­tata un sim­bolo, la cui espe­rienza e le cui resi­stenze sono fonte d’ispirazione in altri paesi (com­prese, poten­zial­mente, la Fran­cia e l’Italia, ndr).

E d’altra parte l’Europa è un sistema politico-economico all’interno del quale tutti gli ele­menti sono soli­dali, nel senso mec­ca­nico ma anche morale del ter­mine, e di con­se­guenza ogni cam­bia­mento nei rap­porti di forze sul «fronte greco» influen­zerà l’insieme del sistema.

Appena il governo Tsi­pras sarà in grado di affron­tare le que­stioni di fondo per le quali è stato eletto, in par­ti­co­lare quella del debito, è tutto il pano­rama poli­tico euro­peo che cam­bierà, ed i con­flitti di fondo in que­sto modo emergeranno in modo chiaro. Da qui deri­ve­ranno gli osta­coli impor­tanti con i quali il governo Tsi­pras si dovrà scontrare.

Que­sti ultimi sono di natura sia interna che esterna. Dall’esterno, ci pos­siamo aspet­tare un niet sonoro da parte delle forze che oggi domi­nano la costru­zione euro­pea, soste­nute dal governo tede­sco e dalla Com­mis­sione di Bru­xel­les, ispi­rate non solo dall’ideologia ma anche dagli inte­ressi, ben inter­pre­tati, di tutti coloro i quali (a par­tire dal sistema ban­ca­rio) hanno bene­fi­ciato e con­ti­nuano a trarre bene­fi­cio dall’inflazione del debito greco. La que­stione è semplicemente quella di sapere chi, in ultima ana­lisi, por­terà il far­dello dei debiti non rim­bor­sa­bili, quelli che l’economista fran­cese Pierre-Noël Giraud chiama i “misti­gri” (ovvero gli attivi finan­ziari che non man­ten­gono la promessa di ren­dite future, ndr). E que­sto quando tutta una parte della comu­nità degli eco­no­mi­sti, da Sti­glitz a Passa­ri­des (si veda la loro dichia­ra­zione nel Finan­cial Times alla vigi­lia delle ele­zioni) fino ai teo­rici dell’FMI, denun­ciano gli effetti disa­strosi delle poli­ti­che monetariste.

Da qui nasce la que­stione cru­ciale: fino a dove gli altri governi ed attori eco­no­mici sono dispo­sti a spin­gersi nel ricono­scere gli errori pas­sati ed impri­mere un nuovo corso alla poli­tica euro­pea? A tutto que­sto si aggiun­gono senza dub­bio gli osta­coli interni: una parte con­si­de­re­vole della società greca ha con­ti­nuato a godere di pri­vi­legi e ad organiz­zare la cor­ru­zione; que­sta parte ha perso le ele­zioni ma non si riterrà tut­ta­via bat­tuta, e se ce ne sarà neces­sità farà ricorso alle pro­vo­ca­zioni della destra estrema.

Tra gli osta­coli interni ed esterni ci sono mol­te­plici legami, sui quali sarà impor­tante fare chia­rezza. Prendo un solo esem­pio: quello dell’evasione fiscale (stret­ta­mente legato alla que­stione del debito nazio­nale). Sap­piamo e si dice che i vari governi greci non sono mai “riu­sciti” a com­bat­terla, il che in realtà signi­fica: non ne ave­vano alcuna inten­zione. Ma il pro­blema si pone in tutt’Europa, come l’ha reso chiaro l’affaire del Lus­sem­burgo, lo scan­dolo Lux Leaks, che mina la legit­ti­mità del pre­si­dente della Com­mis­sione euro­pea (Junc­ker) e della Com­mis­sione stessa. Quindi, c’è una rete di osta­coli, ma que­sti vanno affron­tati sepa­ra­ta­mente.
È dun­que legit­timo affer­mare che la vit­to­ria di Syriza offre delle pro­spet­tive impor­tanti per i popoli d’Europa espo­sti al neo­li­be­ri­smo ed ai pro­cessi de de-democratizzazione che lo accom­pa­gnano (ciò che qual­che tempo fa, nel momento della “nomina” dei governi Monti e Papa­de­mos, avevo chia­mato una “rivo­lu­zione dall’alto” e che Jür­gen Haber­mas, da parte sua, ha chia­mato la costru­zione di un “ese­cu­tivo fede­rale post-democratico”). Sotto molti aspetti, que­sto risul­tato rove­scia — o neu­tra­lizza — gli effetti cata­stro­fici delle ultime ele­zioni euro­pee. Ma penso che si debba evi­tare di cedere ad una reto­rica trion­fa­li­sta, per­ché siamo all’inizio di un periodo dif­fi­cile. Dif­fi­cile per il popolo greco e la sua nuova lea­der­ship, in primo luogo, ma anche per tutti noi insieme a loro.

Resta il fatto che il pro­blema dell’austerità è comune a tutta l’Europa (e non riguarda solo l’Europa del Sud), e che l’esempio greco non può che fun­zio­nare come segno di spe­ranza di un rin­no­va­mento demo­cra­tico gene­rale. Avrà una riso­nanza soprat­tutto in paesi come la Fran­cia, dove delle forze di sini­stra erano state elette per inver­tire il corso neo-liberista impo­sto alla costru­zione euro­pea (ed in par­ti­co­lare inver­tire il dogma del pareg­gio di bilan­cio, al di fuori di ogni con­si­de­ra­zione eco­no­mica e sociale), e que­ste stesse forze si sono poi affret­tate a cam­biare casacca, sia per­ché ave­vano sot­to­va­lu­tato la durezza degli osta­coli da affron­tare ed “il corag­gio della verità” che sarebbe stato neces­sa­rio per farlo, sia per­ché al loro interno l’ideologia libe­rale e gli inte­ressi pri­vati erano in realtà pre­va­lenti anche se in modo non mani­fe­sto. Ma la situa­zione della Fran­cia ha delle forti ana­lo­gie con gli altri paesi: ha pro­dotto il “con­do­mi­nio” socialista-conservatore che oggi domina l’UE e che sarà scom­pa­gi­nato dalla situa­zione greca.

A que­sto si aggiunge un ele­mento fon­da­men­tale, che vediamo chia­ra­mente in Fran­cia ma che è valido anche altrove: la messa in discus­sione dei dogmi e dei rap­porti di forza non pro­viene, come era stato annun­ciato, dalla destra estrema, ma dalla sini­stra “radi­cale”. Pro­ba­bil­mente è qui che risiede la più grande spe­ranza per i popoli euro­pei, sia come popoli, sia in quanto popoli che sono — nella loro diver­sità — euro­pei, legati da una sto­ria e da un inte­resse comuni. È fon­da­men­tale che Syriza abbia fatto una cam­pa­gna non con­tro ma per l’Europa (ovvero con tutta evi­denza per un’altra Europa), ovvero con­tro il popu­li­smo ed il nazio­na­li­smo. È invece inquie­tante che, dal primo giorno, per com­pen­sare la man­canza di una mag­gio­ranza asso­luta (e forse anche per fare pres­sione sui suoi inter­lo­cu­tori di Bruxel­les, di Fran­co­forte e di Ber­lino, e anche di Parigi e Roma), Ale­xis Tsi­pras abbia scelto di allearsi con un par­tito di estrema destra “sovra­ni­sta”, anche se non incline a posi­zioni fasciste.

L’esito degli eventi dipen­derà in misura essen­ziale, in que­ste con­di­zioni, dalla maniera in cui emer­ge­ranno, in Europa, dei movi­menti di soli­da­rietà e delle mani­fe­sta­zioni di soste­gno il più ampie pos­si­bile. Biso­gna far cono­scere le richie­ste della Gre­cia per quello che sono — evi­tando inu­tili esa­ge­ra­zioni. La sfida del momento non è quella di dare impulso ad una rivo­lu­zione anti­ca­pi­ta­li­sta o (o come ha appena detto la por­ta­voce della Linke in Ger­ma­nia) di dare il via ad una “pri­ma­versa rossa” in Europa. Non si tratta di “fare esplo­dere l’euro” (fatto di cui i Greci sareb­bero le prime vit­time). Si tratta invece di sta­bi­lire dei rap­porti di forza a par­tire da linee chiare.

Ci sono due Europe in con­cor­renza, che non hanno né gli stessi inte­ressi né la stessa con­ce­zione della demo­cra­zia. Biso­gna rin­for­zare l’Europa dei popoli a disca­pito dell’Europa delle ban­che, il che signi­fica anche che tutti i popoli devono essere mobi­li­tati: si sente par­lare soprat­tutto di quelli dell’Europa del Sud, e ne capi­sco il motivo, ma io vorrei insi­stere sui popoli dell’Europa del Nord, in par­ti­co­lare i tede­schi, ai quali si deve poter spie­gare che l’argomento del “con­tri­buente” con la respon­sa­bi­lità del debito greco non fun­ziona (per­ché con­fonde una ristrutturazione con un default) — senza par­lare dell’argomento “morale” (il debito tede­sco è stato can­cel­lato del 70% nel 1953!). Delle voci che non sono senza auto­re­vo­lezza si alzano per for­tuna in que­sto senso (per esem­pio quella dell’ ex redat­tore capo Theo Som­mer sull’ultimo numero di Die Zeit, fino ad ora molto più nazio­na­li­sta). Ancora più che in pas­sato, si tratta ora di costruire una poli­tica demo­cra­tica euro­pea che attra­versi le frontiere.