BCE

La ferocia liberista della socialdemocrazia europea

Segnalato da Barbara G.

Di Marco Bascetta – ilmanifesto.info, 07/07/2015

Le due ali politiche istituzionali fanno a gara per imporre i memorandum della Bce e del Fmi all’Europa. E chiudono gli occhi di fronte all’esercizio della democrazia che viene dalla Grecia.

Il volto grigio e tirato di Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, costretto a balbettare il suo commento «istituzionale» al risultato del referendum greco è forse l’immagine più vivida dello stato in cui versa quella che fu la socialdemocrazia europea.

Solo poche ore prima, a urne ancora aperte, era intervenuto, con un gesto inammissibile per il ruolo che ricopre, a sostegno dello schieramento del sì. Per poi, una volta sconfitta la sua «parte», offrire, indecentemente, un sostegno «umanitario» alla Grecia.

Herr Schulz , le cui dimissioni dovrebbero essere cosa scontata, rispecchia tuttavia pienamente l’idea di democrazia prevalente nelle segreterie delle formazioni socialdemocratiche europee. Il suo partito, la Spd, si è speso tanto accanitamente in favore del rigore e delle politiche di austerità da ostacolare perfino quel tanto di aperture che la cancelliera Angela Merkel avrebbe potuto azzardare in alcune fasi del negoziato con Atene.

Neanche per un istante la dirigenza socialdemocratica, in buona compagnia di italiani e francesi, si è discostata, sia pur di poco, da quello schema che pone al centro della costruzione europea il rapporto tra debitori e creditori e il risparmio a discapito dei redditi e dei diritti. Cosicché oggi la socialdemocrazia tedesca è tagliata fuori, per eccesso di zelo, (e per fortuna) da qualunque possibile ruolo nella ripresa di un negoziato con Atene. Come una cantilena, ormai stantia, si limita a ripetere che il referendum greco ha reso la ricerca di una soluzione ancora più difficile, per non dire impossibile. Ma si guarda bene dall’aggiungere che questa «difficoltà» altro non è che il rifiuto di Syriza di governare secondo regole ostili o indifferenti alla volontà dei governati, come sarebbe auspicabile secondo la governance europea.

L’Europa sarebbe insomma minacciata da una overdose di democrazia che rischia di legare le mani dei governi. E non è un caso che nell’Italia delle «riforme» si lavori a rendere sempre più difficoltoso il ricorso allo strumento referendario, suscettibile di scompaginare i giochi dell’esecutivo.

Oltre che sociale, la socialdemocrazia ha dunque cessato anche di essere democratica.

Resta così, nel ruolo sempre più patetico e improbabile di «pontiere», la figura più pallida e impopolare che i partiti socialisti d’Europa abbiano mai espresso: François Hollande.

Mezzo mediterraneo e mezzo governante sempre più in bilico di una grande nazione decisiva per l’Unione europea, ma del tutto subalterno a quella visione tedesca del Vecchio continente, che un tempo preoccupava non poco i governi di Parigi.

La Francia, da tempo, più che una soluzione è diventata una parte rilevante del problema.

È il paese che ha votato no alla Costituzione politica europea, affossandone definitivamente perfino l’idea, ma che in nessun modo si è poi spesa nel correggerne la costituzione materiale, ossia i rapporti di forze economici e gli assetti gerarchici che ne configurano l’equilibrio: «No alla Costituzione, si ai Memorandum», questa la lieta novella che proviene da Parigi.

Nel repubblicanesimo francese si annidano molti più sentimenti antieuropei di quanti se ne possano incontrare dalle parti di Atene. E non è sorprendente che nel suo seno prosperi e si sviluppi una forza come il Front National di Marine le Pen. Né che la socialdemocrazia francese si riveli del tutto incapace di farvi in alcun modo fronte.

Sotto un velo retorico sempre più sottile e trasparente l’Unione va trasformandosi in un tavolo negoziale tra criptosciovinismi di potenza diseguale, con l’entusiastica adesione delle socialdemocrazie in costante declino di credito elettorale. Affannato e petulante, truccando spudoratamente i numeri del «successo», il nostro Pd partecipa alla gara nelle seconde file. La «priorità dell’interesse nazionale» non è più l’evocazione impronunciabile di una storia obbrobriosa, ma un buon argomento da campagna elettorale.

In un siffatto contesto in cui l’ipocrisia si fa necessità storica, diventa essenziale sostenere che il «no» uscito trionfante dal referendum greco è un no all’Europa e una delle molte insorgenze «populiste» o «rossobrune» che minano la costruzione europea e aprono sull’ignoto.

Sembrerebbe esservi una singolare teoria che circola da qualche tempo nei principali media europei e nel dibattito pubblico. Se una volta andavano in gran voga gli «opposti estremismi» ora sembra venuto il tempo dei «convergenti estremismi» che, da destra e da sinistra, alleandosi fra loro, puntano a demolire la stabilità del Vecchio continente e a indebolirne le auree regole.

Ogni voce critica viene automaticamente attribuita a questo inquietante scenario. Non manca nemmeno chi annovera Alba dorata tra i sostenitori di Tsipras, comunque ricorrentemente assimilato al Front national, al Movimento5 stelle o ai nazionalisti polacchi. Naturalmente in compagnia del temutissimo Podemos.

Questa opera di disinformazione ha raggiunto il parossismo alla vigilia del referendum in Grecia. Il quale esprimeva invece un punto irrinunciabile, ribadito con grandissima insistenza: la permanenza nell’Unione europea e la creazione di condizioni tali da non far dipendere questa appartenenza da un rapporto tra creditori e debitori universalmente riconosciuto come insostenibile.

Ciò che risulta veramente indigeribile dell’esperienza greca è appunto il suo convinto europeismo. Il quale minaccerebbe non tanto i trattati europei quanto gli interessi nazionali (sovente più ideologici che contabili) degli stati che governano di fatto l’Unione.

Se di «salto nel buio» si deve parlare non è certo riferendosi alla mossa referendaria di Tsipras, quanto alla caparbia difesa di uno squilibrio che sta spianando la strada alle peggiori forme di nazionalismo, alle quali la socialdemocrazia europea risponde facendosi a sua volta portavoce «ragionevole» dell’«interesse nazionale». E’ questa la deriva che sta minacciando l’Europa e che la crisi greca non ha certo prodotto, ma piuttosto chiaramente rivelato.

L’Europa o cambia o muore

segnalato da n.c.60

CONTRO IL TOTALITARISMO FINANZIARIO, L’EUROPA O CAMBIA O MUORE

Di Marco Revelli – ilmanifesto.info, 27/06/2015

Non solo Grecia. In effetti non si era mai visto un creditore, per stupido che esso sia, cercare di uccidere il proprio debitore, come invece il Fmi sta facendo con i greci. Ci deve essere qualcosa di più: la costruzione scientifica del «nemico». E la volontà di un sacrificio esemplare.

L’«economia che uccide» di cui parla il papa la vediamo al lavoro in questi giorni, in diretta, da Bruxelles. Ed è uno spettacolo umiliante. Non taglia le gole, non ha l’odore del sangue, della polvere e della carne bruciata. Opera in stanze climatizzate, in corridoi per passi felpati, ma ha la stessa impudica ferocia della guerra. Della peggiore delle guerre: quella dichiarata dai ricchi globali ai poveri dei paesi più fragili. Questa è la metafisica influente dei vertici dell’Unione europea, della Bce e, soprattutto, del Fondo monetario internazionale: dimostrare, con ogni mezzo, che chi sta in basso mai e poi mai potrà sperare di far sentire le proprie ragioni, contro le loro fallimentari ricette.

La «trattativa sulla Grecia», nelle ultime settimane, è ormai uscita dai limiti di un normale, per quanto duro, confronto diplomatico per assumere i caratteri di una prova di forza. Di una sorta di giudizio di dio alla rovescia. Già le precedenti tappe avevano rivelato uno scarto rispetto a un tradizionale quadro da «democrazia occidentale», con la costante volontà, da parte dei vertici dell’Unione, di sostituire al carattere tutto politico dei risultati del voto greco e del mandato popolare dato a quel governo, la logica aritmetica del conto profitti e perdite, come se non di Stati si trattasse, ma ormai direttamente di Imprese o di Società commerciali.

Ha ragione Jürgen Habermas a denunciare lo slittamento – di per sé devastante – da un confronto tra rappresentanti di popoli in un quadro tutto pubblicistico di cittadinanza, a un confronto tra creditori e debitori, in un quadro quasi-privatistico da tribunale fallimentare. Era già di per sé il segno di una qualche apocalisse culturale la derubricazione di Alexis Tsipras e di Yanis Varoufakis da interlocutori politici a «debitori», posti dunque a priori su un piede di ineguaglianza nei confronti degli onnipotenti «creditori».

Ma poi la vicenda ha compiuto un altro giro. Christine Lagarde ha impresso una nuova accelerazione al processo di disvelamento, alzando ancora il tiro. Facendone non più solo una questione di spoliazione dell’altro, ma di sua umiliazione. Non più solo la dialettica, tutta economica, «creditore-debitore», ma quella, ben più drammatica, «amico-nemico», che segna il ritorno in campo della politica nella sua forma più essenziale, e più dura, del «polemos».

In effetti non si era mai visto un creditore, per stupido che esso sia, cercare di uccidere il proprio debitore, come invece il Fmi sta facendo con i greci. Ci deve essere qualcosa di più: la costruzione scientifica del «nemico». E la volontà di un sacrificio esemplare.

Un auto da fé in piena regola, come si faceva ai tempi dell’Inquisizione, perché nessun altro sia più tentato dal fascino dell’eresia.

Leggetevi con attenzione l’ultimo documento con le proposte greche e le correzioni in rosso del Brussels group, pubblicato (con un certo gusto sadico) dal Wall Street Journal: è un esempio burocratico di pedagogia del disumano. L’evidenziatore in rosso ha spigolato per tutto il testo cercando, con maniacale acribia ogni, sia pur minimo, accenno ai «più bisognosi» («most in need») per cassarlo con un rigo. Ha negato la possibilità di mantenere l’Iva più bassa (13%) per gli alimenti essenziali («Basic food») e al 6% per i materiali medici (!). Così come, sul versante opposto, ha cancellato ogni accenno a tassare «in alto» i profitti più elevati (superiori ai 500mila euro), in omaggio alla famigerata teoria del trickle down, dello «sgocciolamento», secondo cui arricchire i più ricchi fa bene a tutti!

Ha, infine, disseminato di rosso il paragrafo sulle pensioni, imponendo di spremere ulteriormente, di un altro 1% del Pil — e da subito! — un settore già massacrato dai Memorandum del 2010 e del 2012.

Il tutto appoggiato sulla infinitamente replicata falsificazione dell’età pensionabile «scandalosamente bassa» dei greci (chi spara 53 anni, chi 57…). Il direttore della comunicazione della Troika Gerry Rice, durante un incontro con la stampa, per giustificare la mano pesante, ha addirittura dichiarato  he «la pensione media greca è allo stesso livello che in Germania, ma si va in pensione sei anni prima…».

Una (doppia) menzogna consapevole, smentita dalle stesse fonti statistiche ufficiali dell’Ue: il database Eurostat segnala, fin dal 2005, l’età media pensionabile per i cittadini greci a 61,7 anni (quasi un anno in più rispetto alla media europea, la Germania era allora a 61,3, l’Italia a 59,7). E sempre Eurostat ci dice che nel 2012 la spesa pensionistica pro capite era in Grecia all’incirca la metà di Paesi come l’Austria e la Francia e di un quarto sotto la Germania. Il Financial Times ha dimostrato che «accettare le richieste dei creditori significherebbe per la Grecia dire sì ad un aggiustamento di bilancio… pari al 12,6% nell’arco di quattro anni, al termine dei quali il rapporto debito-PIL si avvicinerebbe al 200%». Paul Krugman ha mostrato come l’avanzo primario della Grecia «corretto per il ciclo» (cyclically adjusted) è di gran lunga il più alto d’Europa: due volte e mezzo quello della Germania, due punti percentuali sopra quello dell’Italia.

Dunque un Paese che ha dato tutto quello che poteva, e molto di più. Perché allora continuare a spremerlo? Ambrose Evans-Pritchard – un commentatore conservatore, ma non accecato dall’odio – ha scritto sul Telegraph che i «creditori vogliono vedere questi Klepht ribelli (greci che nel Cinquecento si opposero al dominio ottomano) pendere impiccati dalle colonne del Partenone, al pari dei banditi», perché non sopportano di essere contraddetti dai testimoni del proprio fallimento. E ha aggiunto che «se vogliamo datare il momento in cui l’ordine liberale nell’Atlantico ha perso la sua autorità – e il momento in cui il Progetto Europeo ha cessato di essere una forza storica capace di motivare – be’, il momento potrebbe essere proprio questo». È difficile dargli torto.

Non possiamo nasconderci che quello che si consuma in Europa in questi giorni, sul versante greco e su quello dei migranti, segna un cambiamento di scenario per tutti noi. Sarà sempre più difficile, d’ora in poi, nutrire un qualche orgoglio del proprio essere europei. E tenderà a prevalere, se vorremo «restare umani», la vergogna.

Se, come tutti speriamo, Tsipras e Varoufakis riusciranno a portare a casa la pelle del proprio Paese, respingendo quello che assomiglia a un colpo di stato finanziario, sarà un fatto di straordinaria importanza per tutti noi. E tuttavia resterà comunque indelebile l’immagine di un potere e di un paradigma con cui sarà sempre più difficile convivere. Perché malato di quel totalitarismo finanziario che non tollera punti di vista alternativi, a costo di portare alla rovina l’Europa, dal momento che è evidente che su queste basi, con queste leadership, con questa ideologia esclusiva, con queste istituzioni sempre più chiuse alla democrazia, l’Europa non sopravvive.

Mai come ora è chiaro che l’Europa o cambia o muore.

La Grecia, da sola, non può farcela. Può superare un round, ma se non le si affiancheranno altri popoli e altri governi, la speranza che ha aperto verrà soffocata.

Per questo sono così importanti le elezioni d’autunno in Spagna e in Portogallo.

Per questo è così urgente il processo di ricostruzione di una sinistra italiana all’altezza di queste sfide, superando frammentazioni e particolarismi, incertezze e distinguo, per costruire, in fretta, una casa comune grande e credibile.

Agli ordini della Troika

segnalato da n.c.60

Crisi Grecia, Atene: “Giornalisti agli ordini della Troika per fare propaganda pro-Ue”

Lo ha denunciato la Commissione parlamentare sulla trasparenza della crisi, che indaga sul Fondo, sulle base delle rivelazioni dell’ex membro greco dell’FMI Panagiotis Roumeliotis. A dare manforte, secondo le accuse, anche un pool di economisti e docenti universitari che in occasione di interviste sui quotidiani o in tv cercava di persuadere l’opinione pubblica che quella dell’austerità era l’unica strada possibile.

di Francesco De Palo – ilfattoquotidiano.it, 16 giugno 2015

pochi giorni dalla riapertura della tv di Stato greca Ert, chiusa per volere della Troika, uno scandalo scuote il mondo della comunicazione ellenica. In Grecia, dal 2010 ad oggi, il Fondo Monetario Internazionale avrebbe “formato” giornalisti embedded favorevoli alle posizioni dei creditori internazionali. Lo ha denunciato la Commissione parlamentare sulla trasparenza della crisi, che indaga sul Fondo, grazie alle rivelazioni dell’ex membro greco dell’FMI Panagiotis Roumeliotis. Ha rivelato che i seminari di formazione sono stati architettati volontariamente per creare “portavoce” delle istanze spinte dalle istituzioni internazionali che hanno gestito la crisi ellenica. I nomi dei giornalisti greci che hanno preso parte ai meeting saranno svelati nelle prossime settimane alla Camera dei Deputati di Atene.

Misure di austerità, strutturazione e comunicazione del memorandum, rischi di una Grexit, passando per quel “terrorismo mediatico” che la stampa ellenica ha megafonato svariate volte negli ultimi anni, soprattutto a ridosso delle elezioni politiche e amministrative: queste le accuse rivolte ai giornalisti coinvolti. Secondo Roumeliotis, la Commissione parlamentare potrebbe chiedere formalmente al responsabile comunicazione del FMI, Jerry Reis, i nomi dei giornalisti invitati ai seminari. Per questa ragione il presidente della Camera, Zoì Konstantopoulou, ha fatto sua la proposta annunciando una lettera formale indirizzata all’istituto guidato da Christine Lagarde.

L’ex rappresentante greco al FMI ha aggiunto che a dare manforte alla stampa pro Troika era anche un pool di economisti e docenti universitari che, in occasione di interviste sui quotidiani o di trasmissioni televisive, cercavano di persuadere l’opinione pubblica che quella del memorandum era l’unica strada possibile per la Grecia. Il tutto mentre ad Atene la polizia arrestava forse l’unico giornalista greco che aveva dato una notizia, ovvero Kostas Vaxevanis, reo di aver pubblicato sul suo settimanale Hot Doc i duemila nomi degli illustri evasori della lista Lagarde che avevano spostato capitali in svizzera.

E così dopo il dossier siglato proprio dal FMI che nel 2012 ha certificato un errore di calcolo da parte di Washington sulla crisi greca, ecco un’altra falla che si apre nell’istituzione che assieme all’UE e alla BCE ha governato la crisi greca e i due memorandum imposti ad Atene, il primo dei quali votato nel novembre 2012 dai deputati socialisti e conservatori che lo avevano ricevuto in visione solo poche ore prima.

Intanto ricomincia la mobilitazione sociale in tutto il Paese e anche in Europa. “Neanche un passo indietro”: questo il titolo della manifestazione promossa in contemporanea ad Atene e a Salonicco per mercoledì 17 giugno “contro la disinformazione, gli usurai, gli istituti di credito e i requisiti che vogliono imporre alla classe operaia e ai cittadini”. Sostegno da Parigi e Bruxelles dove, rispettivamente sabato e domenica prossimi, oltre 50 organizzazioni marceranno contro l’austerità e a sostegno di Atene nell’ambito della settimana della solidarietà europea con il popolo greco.

 

È MOVIMENTO SOLO SE SI MUOVE

segnalato da Ciarli P.

Esclusiva, Casarini da Francoforte: “Landini guardi a Blockupy per un’Italia contro i potenti”

di Andrea De Angelis – intelligonews.it, 18 marzo 2015

IntelligoNews ha intercettato Luca Casarini, storico esponente dei movimenti di sinistra italiani e già candidato con la Lista Tsipras alle ultime europee, in strada a Francoforte, durante la protesta dei movimenti nel giorno dell’inaugurazione dei nuovi uffici della Bce…

Casarini, perché in questo momento sta manifestando a Francoforte?

«C’è una situazione di grande protesta da questa mattina alle sei. Oggi è il giorno dell’inaugurazione della Bce e migliaia di persone stanno manifestando per sottolineare l’assurdità di grandi festeggiamenti nei confronti di un’Europa in cui aumenta la povertà dal punto di vista sociale».

Si parla di una decina di feriti e di una città messa a ferro e fuoco…

«Ci sono state barricate, vari tentativi di bloccare gli ingressi della Bce e naturalmente la polizia era presente e ha fatto cariche oltre ad utilizzare gli idranti».

Dove si trova adesso?

«Sono in un blocco di oltre duecento italiani che sono stati fermati e adesso vengono presi ad uno ad uno dai reparti di polizia per l’identificazione».

Ci sono delle delegazioni con lei?

«Sì, c’è sia quella dei parlamentari europei de L’Altra Europa con Eleonora Forenza, che quella dei parlamentari di Sinistra Ecologia e Libertà con Fratoianni e Zaccagnini. Di certo oggi non si potrà dire che l’Europa è un luogo pacificato in cui i potenti possono fare le loro grandi feste di apertura di palazzi e le persone non protestano».

In rete si vedono filmati di ragazzi mascherati. C’è divisione tra i gruppi?

«Non c’è nessun tipo di divisione tra le persone, ci sono tanti modi diversi e creativi di fare blocchi e la protesta è molto dura perché fatta in un luogo in cui teoricamente oggi non doveva esserci nulla se non le sfilate di macchine blindate dei vari potenti della finanza e delle banche. C’è tensione perché la gente vuole protestare, ma nessuna divisione tra parti».

Tutto sommato mi sembra di capire che la situazione è comunque sotto controllo, non c’è il rischio di una escalation?

«Sì, l’obiettivo politico di questa protesta è stato pienamente raggiunto, ovvero quello di chiedere con forza un’Europa democratica dove la questione aperta dalla Grecia diventi una questione politica per tutti i governi europei. Ridiscutere insieme che tipo di Europa vogliamo. Adesso bisogna evitare l’escalation da parte della polizia e su questo credo sia importante anche il ruolo dei media».

Venendo alla coalizione sociale di Landini, oggi a Francoforte è presente anche la Fiom?

«Sì, ci sono dei pullman di persone della Fiom che manifestano. Ci sono reti sociali, studenti, precari, insomma tutta la coalizione sociale europea, Blockupy, che ha realizzato questo evento. Anche questa in Europa è già una coalizione sociale».

Dunque la coalizione sociale in Italia guarda anche a questo modello?

«Spero e penso di sì, credo che sia il modo giusto di affrontare il tema di come organizzarci per cambiare la storia di un’Europa fatta fino ad ora di povertà sempre più grandi da una parte e ricchezze di pochi dall’altra».

Eppure su molti giornali si scrive che i movimenti identitari in Italia non hanno mai funzionato, quasi preannunciando un flop di Landini. Come risponde?

«Non credo che Landini intenda la coalizione sociale come movimento identitario, ma che ponga il problema di mettere insieme ciò che l’austerity divide. Oggi purtroppo la crisi, la miseria e la povertà tendono a costruire guerre tra poveri piuttosto che prendersela con i veri potenti. Oggi si vedrà chi sta con i potenti e chi invece con le persone che vogliono riprendersi in mano il proprio destino».

*******

«È movimento solo se si muove. Se sta fermo, potrebbe trattarsi di fermento, ma il fermento è quasi sempre cattiva digestione». Ciarli P.

 

 

 

Socrate non deve morire (di nuovo)

di Nammgiuseppe

A gentile richiesta di qualche sconsiderato/a ripropongo di seguito il post con la bozza che più bozza non si può di un appello a una raccolta di firme a favore della Grecia e contro la pervicacia irrazionale dell’Europa che conta. Vaniloquendo sulla possibilità di rendere il testo, anche radicalmente rivisto, virale coltivo la speranza (illusione?) che possa andare a buon fine un esperimento di collaborazione operativa comune, anche dovesse restare confinata a questo blog. Qualche tentativo è stato fatto: il blog di Antonio, il manualetto per le giovani generazioni. Non siamo andati mai molto in là. Ma non si può mai dire.

Inizia la bozza (la bizza)

Socrate, secondo quanto ne dice Platone, fu processato e condannato ingiustamente a morte e accettò quella condanna perché pronunciata secondo le giuste leggi della città, sottraendosi alle quali, per quanto male amministrate, egli riteneva che avrebbe causato un male maggiore di quello che subiva.  Con Socrate fu uccisa la ragione, nel nome di un presunto oltraggio alle divinità e di una presunta corruzione della gioventù.

La Grecia, che è uno stato e un popolo, non un filosofo anziano, è oggi sul banco degli imputati in un tribunale che applica stolidamente  leggi  discutibili, emanate da un’autorità che non è del paese, a tutela del dio oltraggiato del liberismo economico e finanziario. La Grecia, diversamente da Socrate, non riconosce che quelle leggi siano giuste e ritiene che rispettarle causi alla stessa collettività che le ha emanate un danno maggiore che il sottrarsi a esse.

Condannando la Grecia si condanna, una volta di più la ragione.

Economisti non dilettanti ma premi Nobel quali Krugman e Stiglitz affermano che l’imposizione alla Grecia, delle politiche di austerità e di rientro dal debito è un’assurdità dal punto di vista economico.

Gli Stati Uniti, paese che nessuno si azzarderebbe a definire comunista, hanno scelto politiche di enormi immissioni di liquidità nel sistema per superare la crisi e, a quanto pare, i fatti stanno a dimostrare che quella ricetta funziona.

Il FMI monetario, per contro, ha ammesso che la politica d’austerità in Grecia ha fallito.

La BCE sta, finalmente, attuando, in contrasto con gli integralisti della finanza, politiche di ‘alleggerimento quantitativo’, seguendo l’esempio statunitense e accettando di acquistare direttamente titoli di debito sovrano. Ma non  della Grecia. Forse perché la BCE si è spinta sin troppo in là nel difendere la ragione dall’aggressione di potenti interessi di parte.

La ragione, nella vicenda oggi greca ma domani quasi certamente spagnola, portoghese, irlandese e infine italiana, è coerente con il buon senso. Strangolare un debitore che chiede tempo per rimborsare i suoi debiti in percentuale del suo reddito produce allo stesso creditore un danno superiore a quello dell’accoglimento della proposta. È un comportamento che usa solo la mafia per ‘dare l’esempio’ ai potenziali reticenti a pagare il ‘pizzo’.

È tempo di dire ai nostri governanti e alla dirigenza dell’Unione Europea che noi cittadini stiamo dalla parte della ragione e non di un feticcio economico che pretende irragionevoli sacrifici umani.

Socrate fu già un morto di troppo. Non vogliamo che l’intera collettività dei suoi compatrioti, due millenni e mezzo dopo di lui, subisca una condanna tanto ingiusta. Il popolo greco non intende bere la cicuta. Noi siamo con il popolo greco.

No alla nuova cicuta. Schieratevi firmando qui.

#dallapartegiusta

segnalato da crvenazvezda76

ATENE CHIAMA La Grecia è cambiata, cambiamo l’Europa

***

Grecia. Fiom: “Basta con le politiche dell’austerità. Partecipiamo alla manifestazione di sabato 14 febbraio

La segreteria nazionale della Fiom ha diffuso oggi la seguente nota.

Le ultime decisioni della Bce sul debito greco, ampiamente annunciate dalle dichiarazioni del cancelliere tedesco Angela Merkel, rappresentano un atto gravissimo che continua a subordinare il bene di una popolazione e le sue scelte democratiche alle logiche finanziarie e speculative.

È ora di cambiare. Per costruire un’Europa vera fondata sul lavoro e sulla giustizia sociale serve nuova politica anche della Bce. Mutualizzare e congelare il debito pubblico, allungare nel tempo la sua scadenza, non prevedere il pagamento degli interessi: è questa la strada da seguire. Ciò non significa risolvere i problemi della sola Grecia, ma anche quelli dell’Italia e di tutta l’Unione Europea.

Questo è il modo per liberare risorse da destinare agli investimenti, unica strada per creare posti di lavoro stabili e un nuovo modello sociale e produttivo.

Con l’elezione di Alexis Tsipras, si è aperta per la Grecia la possibilità di risollevare le condizioni di vita della sua popolazione e per il resto d’Europa di guardare a nuove ricette per affrontare la crisi.

Condizione necessaria per tutto questo è però superare la linea economica imposta alla Grecia dalla Troika, le rigidità dei vincoli dettati da trattati comunitari tutti da riscrivere, battere le pratiche di chi – per salvare una banca – è disposto a sacrificare un intero popolo. Tutto questo diventa decisivo per il futuro dei nostri Paesi e per la democrazia europea.

Oggi milioni di persone nel nostro continente hanno dovuto subire un arretramento delle loro condizioni di vita andato di pari passo con il degrado dei loro diritti di cittadinanza: una vera e propria regressione storica visibile nella povertà che dilaga tra i nostri cittadini, nei lavoratori-poveri con salari sotto la soglia di sussistenza, nella disoccupazione dilagante, nei milioni di persone prive d’assistenza sanitaria. Un degrado che rischia d’allontanare definitivamente milioni di cittadini dalla partecipazione alla vita pubblica, generando così un pericoloso deficit di cittadinanza, per la gioia delle élites e delle oligarchie. Rimettere la dignità della persona al centro dell’agire pubblico e, con essa, fare del lavoro il principale obiettivo dell’azione politica deve diventare il minimo comune denominatore per tutti coloro che vogliamo risollevare l’Europa dalle macerie in cui l’hanno ridotta gli speculatori e i burocrati.

Su queste basi, la Fiom sostiene lo sforzo del Governo greco e partecipa con le proprie proposte alla manifestazione “Dalla parte giusta. È cambiata la Grecia, cambiamo l’Europa”, indetta per il 14 febbraio a Roma, invitando tutte le associazioni che hanno a cuore il lavoro e la giustizia sociale ad essere presenti.

Roma, 6 febbraio 2015

Grecia tra grande vittoria e incertezze

segnalato da crvenazvezda76

da ilmanifesto.info (29/01/2015) – di Etienne Balibar

Sbilanciamo l’Europa. La vittoria di Tsipras è un segnale forte di rifiuto dell’arroganza di chi oggi governa l’Europa, incurante di ogni segnale che viene dai cittadini europei. E in una situazione di emergenza umanitaria, le minacce di queste istituzioni non hanno prodotto sottomissione, ma ribellione.

La vit­to­ria di Syriza alle recenti ele­zioni par­la­men­tari in Gre­cia ha senza dub­bio una por­tata sto­rica. È la prima volta da quando le poli­ti­che di auste­rità sono diven­tate la regola in Europa che una forza popo­lare, radi­cata a sini­stra, soste­nuta da una mobi­li­ta­zione col­let­tiva ed orga­niz­zata in una forma demo­cra­tica, con­qui­sta la mag­gio­ranza nel pro­prio paese e si trova nella con­di­zione di rimet­tere in que­stione la gover­nance che domina l’Europa da quando ha imboc­cato la svolta «neo-liberale» (all’inizio degli anni 1990).

Que­sta rot­tura accade in un «pic­colo paese», ma da una parte la Gre­cia, a causa delle sof­fe­renze ecce­zio­nali che le hanno impo­sto Fmi, Bce e la Com­mis­sione euro­pea per ripor­tala «all’interno delle regole», è diven­tata un sim­bolo, la cui espe­rienza e le cui resi­stenze sono fonte d’ispirazione in altri paesi (com­prese, poten­zial­mente, la Fran­cia e l’Italia, ndr).

E d’altra parte l’Europa è un sistema politico-economico all’interno del quale tutti gli ele­menti sono soli­dali, nel senso mec­ca­nico ma anche morale del ter­mine, e di con­se­guenza ogni cam­bia­mento nei rap­porti di forze sul «fronte greco» influen­zerà l’insieme del sistema.

Appena il governo Tsi­pras sarà in grado di affron­tare le que­stioni di fondo per le quali è stato eletto, in par­ti­co­lare quella del debito, è tutto il pano­rama poli­tico euro­peo che cam­bierà, ed i con­flitti di fondo in que­sto modo emergeranno in modo chiaro. Da qui deri­ve­ranno gli osta­coli impor­tanti con i quali il governo Tsi­pras si dovrà scontrare.

Que­sti ultimi sono di natura sia interna che esterna. Dall’esterno, ci pos­siamo aspet­tare un niet sonoro da parte delle forze che oggi domi­nano la costru­zione euro­pea, soste­nute dal governo tede­sco e dalla Com­mis­sione di Bru­xel­les, ispi­rate non solo dall’ideologia ma anche dagli inte­ressi, ben inter­pre­tati, di tutti coloro i quali (a par­tire dal sistema ban­ca­rio) hanno bene­fi­ciato e con­ti­nuano a trarre bene­fi­cio dall’inflazione del debito greco. La que­stione è semplicemente quella di sapere chi, in ultima ana­lisi, por­terà il far­dello dei debiti non rim­bor­sa­bili, quelli che l’economista fran­cese Pierre-Noël Giraud chiama i “misti­gri” (ovvero gli attivi finan­ziari che non man­ten­gono la promessa di ren­dite future, ndr). E que­sto quando tutta una parte della comu­nità degli eco­no­mi­sti, da Sti­glitz a Passa­ri­des (si veda la loro dichia­ra­zione nel Finan­cial Times alla vigi­lia delle ele­zioni) fino ai teo­rici dell’FMI, denun­ciano gli effetti disa­strosi delle poli­ti­che monetariste.

Da qui nasce la que­stione cru­ciale: fino a dove gli altri governi ed attori eco­no­mici sono dispo­sti a spin­gersi nel ricono­scere gli errori pas­sati ed impri­mere un nuovo corso alla poli­tica euro­pea? A tutto que­sto si aggiun­gono senza dub­bio gli osta­coli interni: una parte con­si­de­re­vole della società greca ha con­ti­nuato a godere di pri­vi­legi e ad organiz­zare la cor­ru­zione; que­sta parte ha perso le ele­zioni ma non si riterrà tut­ta­via bat­tuta, e se ce ne sarà neces­sità farà ricorso alle pro­vo­ca­zioni della destra estrema.

Tra gli osta­coli interni ed esterni ci sono mol­te­plici legami, sui quali sarà impor­tante fare chia­rezza. Prendo un solo esem­pio: quello dell’evasione fiscale (stret­ta­mente legato alla que­stione del debito nazio­nale). Sap­piamo e si dice che i vari governi greci non sono mai “riu­sciti” a com­bat­terla, il che in realtà signi­fica: non ne ave­vano alcuna inten­zione. Ma il pro­blema si pone in tutt’Europa, come l’ha reso chiaro l’affaire del Lus­sem­burgo, lo scan­dolo Lux Leaks, che mina la legit­ti­mità del pre­si­dente della Com­mis­sione euro­pea (Junc­ker) e della Com­mis­sione stessa. Quindi, c’è una rete di osta­coli, ma que­sti vanno affron­tati sepa­ra­ta­mente.
È dun­que legit­timo affer­mare che la vit­to­ria di Syriza offre delle pro­spet­tive impor­tanti per i popoli d’Europa espo­sti al neo­li­be­ri­smo ed ai pro­cessi de de-democratizzazione che lo accom­pa­gnano (ciò che qual­che tempo fa, nel momento della “nomina” dei governi Monti e Papa­de­mos, avevo chia­mato una “rivo­lu­zione dall’alto” e che Jür­gen Haber­mas, da parte sua, ha chia­mato la costru­zione di un “ese­cu­tivo fede­rale post-democratico”). Sotto molti aspetti, que­sto risul­tato rove­scia — o neu­tra­lizza — gli effetti cata­stro­fici delle ultime ele­zioni euro­pee. Ma penso che si debba evi­tare di cedere ad una reto­rica trion­fa­li­sta, per­ché siamo all’inizio di un periodo dif­fi­cile. Dif­fi­cile per il popolo greco e la sua nuova lea­der­ship, in primo luogo, ma anche per tutti noi insieme a loro.

Resta il fatto che il pro­blema dell’austerità è comune a tutta l’Europa (e non riguarda solo l’Europa del Sud), e che l’esempio greco non può che fun­zio­nare come segno di spe­ranza di un rin­no­va­mento demo­cra­tico gene­rale. Avrà una riso­nanza soprat­tutto in paesi come la Fran­cia, dove delle forze di sini­stra erano state elette per inver­tire il corso neo-liberista impo­sto alla costru­zione euro­pea (ed in par­ti­co­lare inver­tire il dogma del pareg­gio di bilan­cio, al di fuori di ogni con­si­de­ra­zione eco­no­mica e sociale), e que­ste stesse forze si sono poi affret­tate a cam­biare casacca, sia per­ché ave­vano sot­to­va­lu­tato la durezza degli osta­coli da affron­tare ed “il corag­gio della verità” che sarebbe stato neces­sa­rio per farlo, sia per­ché al loro interno l’ideologia libe­rale e gli inte­ressi pri­vati erano in realtà pre­va­lenti anche se in modo non mani­fe­sto. Ma la situa­zione della Fran­cia ha delle forti ana­lo­gie con gli altri paesi: ha pro­dotto il “con­do­mi­nio” socialista-conservatore che oggi domina l’UE e che sarà scom­pa­gi­nato dalla situa­zione greca.

A que­sto si aggiunge un ele­mento fon­da­men­tale, che vediamo chia­ra­mente in Fran­cia ma che è valido anche altrove: la messa in discus­sione dei dogmi e dei rap­porti di forza non pro­viene, come era stato annun­ciato, dalla destra estrema, ma dalla sini­stra “radi­cale”. Pro­ba­bil­mente è qui che risiede la più grande spe­ranza per i popoli euro­pei, sia come popoli, sia in quanto popoli che sono — nella loro diver­sità — euro­pei, legati da una sto­ria e da un inte­resse comuni. È fon­da­men­tale che Syriza abbia fatto una cam­pa­gna non con­tro ma per l’Europa (ovvero con tutta evi­denza per un’altra Europa), ovvero con­tro il popu­li­smo ed il nazio­na­li­smo. È invece inquie­tante che, dal primo giorno, per com­pen­sare la man­canza di una mag­gio­ranza asso­luta (e forse anche per fare pres­sione sui suoi inter­lo­cu­tori di Bruxel­les, di Fran­co­forte e di Ber­lino, e anche di Parigi e Roma), Ale­xis Tsi­pras abbia scelto di allearsi con un par­tito di estrema destra “sovra­ni­sta”, anche se non incline a posi­zioni fasciste.

L’esito degli eventi dipen­derà in misura essen­ziale, in que­ste con­di­zioni, dalla maniera in cui emer­ge­ranno, in Europa, dei movi­menti di soli­da­rietà e delle mani­fe­sta­zioni di soste­gno il più ampie pos­si­bile. Biso­gna far cono­scere le richie­ste della Gre­cia per quello che sono — evi­tando inu­tili esa­ge­ra­zioni. La sfida del momento non è quella di dare impulso ad una rivo­lu­zione anti­ca­pi­ta­li­sta o (o come ha appena detto la por­ta­voce della Linke in Ger­ma­nia) di dare il via ad una “pri­ma­versa rossa” in Europa. Non si tratta di “fare esplo­dere l’euro” (fatto di cui i Greci sareb­bero le prime vit­time). Si tratta invece di sta­bi­lire dei rap­porti di forza a par­tire da linee chiare.

Ci sono due Europe in con­cor­renza, che non hanno né gli stessi inte­ressi né la stessa con­ce­zione della demo­cra­zia. Biso­gna rin­for­zare l’Europa dei popoli a disca­pito dell’Europa delle ban­che, il che signi­fica anche che tutti i popoli devono essere mobi­li­tati: si sente par­lare soprat­tutto di quelli dell’Europa del Sud, e ne capi­sco il motivo, ma io vorrei insi­stere sui popoli dell’Europa del Nord, in par­ti­co­lare i tede­schi, ai quali si deve poter spie­gare che l’argomento del “con­tri­buente” con la respon­sa­bi­lità del debito greco non fun­ziona (per­ché con­fonde una ristrutturazione con un default) — senza par­lare dell’argomento “morale” (il debito tede­sco è stato can­cel­lato del 70% nel 1953!). Delle voci che non sono senza auto­re­vo­lezza si alzano per for­tuna in que­sto senso (per esem­pio quella dell’ ex redat­tore capo Theo Som­mer sull’ultimo numero di Die Zeit, fino ad ora molto più nazio­na­li­sta). Ancora più che in pas­sato, si tratta ora di costruire una poli­tica demo­cra­tica euro­pea che attra­versi le frontiere.