Berlusconi

Gli eterni alibi dei Michele Serra

Gli eterni alibi dei Michele Serra

di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it, 6 luglio 2017

È spesso un piacere leggere Michele Serra. Lo è per la forma e la sostanza, quando parla di tutto tranne che di politica. Se scrive di quest’ultima, il piacere si limita unicamente alla forma. È sempre meno attratto dalla scrittura politica, e lo capisco ogni giorno di più. Dopo l’ultima batosta patita dal partito che non smetterà mai di votare, Michele ha scritto una settimana fa: “La ingovernabile presunzione di Renzi e il vecchio calcificato settarismo dei suoi odiatori porteranno quasi certamente allo stesso esito anche alle politiche: perché nei miracoli non crede più nessuno, forse nemmeno chi, come Pisapia e Prodi, sta provando a progettarne uno. Nel frattempo i voti di destra tornano a casa, come i bambini dopo le vacanze”. Si noti: per Serra l’unico difetto di Renzi è la presunzione. Un po’ come il traffico in Sicilia in Johnny Stecchino.

Era però la seconda parte del corsivo a contenere la summa del pensiero dei fiancheggiatori del Pd: l’alibi. Il dare sempre la colpa agli altri, perché non farlo li costringerebbe all’autocritica: “Il Movimento di Grillo è servito a tenerli ben custoditi, e a ogni ballottaggio li riconsegna al mittente in ottime condizioni: come nuovi. Alla fine della parabola non stupirebbe scoprire che soprattutto a questo è servito il grillismo: sbarrare la strada alla sinistra dopo il crollo di Berlusconi (chiedere notizie a Bersani) e riconsegnare il paese alla destra. Da un certo punto di vista, un capolavoro politico”.

Capito come funziona? Non è che Berlusconi, e con lui il centrodestra, siano tornati in auge perché tra copia (Renzi) e originale (Berlusconi) è sempre meglio il secondo. Non è che il centrodestra vinca perché il centrosinistra ha una classe dirigente pietosa o perché la sua politica è pressoché identica a quella del centrodestra. E non è che Berlusconi sia sempre lì perché a fine 2011 il partito preferito da Serra ebbe la straordinaria pensata di non andare al voto ma appoggiare quel bolscevico di Monti (che al tempo piaciucchiava anche a Michele).
No: è colpa del Movimento 5 Stelle.

Per carità: i grillini hanno tante colpe, e quando leggo della Lombardi possibile candidata alla Regione Lazio penso che l’Armageddon sia davvero ormai prossimo. La tesi di Serra è analoga a quella che una tal Bresso, dopo essere riuscita a perdere nel 2010 in Piemonte con tal Cota, propinò ai media: non era colpa sua, ma dei grillini che le avevano “tolto” voti. Una sintesi politica così citrulla che infatti Mario Calabresi, al tempo “direttore” de La Stampa e ora (guarda caso) di Repubblica, sposò in pieno. Come se i voti appartenessero per decreto regio al Pd e i grillini si ostinassero a non rispettare odiosamente tale dogma.

Michele Serra è libero di credere che ogni nequizia del Creato dipenda dal suo ex amico Grillo, che il buco nell’ozono sia colpa di Vito Crimi e che il Pd sia ancora il partito di Berlinguer e non di Nardella: ognuno ha le coperte di Linus che vuole. Chissà però se Serra, al buio e nel segreto delle sue stanze curiali, ammette ogni tanto a se stesso che la colpa di tutto questo sfacelo è anche di quelli come lui. Giornalisti, scrittori e artisti “de sinistra”: ieri incendiari e oggi tifosi, che è molto peggio d’esser pompieri. Ieri scudisciavano il potere, o almeno così sembrava. E oggi fanno i supporter finto-critici di uno che, se solo fosse stato iscritto al PSI oppure in Forza Italia, avrebbero combattuto in ogni modo.

Caro Michele, te lo dico con la stima che sai: se Berlusconi è tornato in auge, è perché nel frattempo anche tu hai cominciato a votarlo. E il dramma è che fingi pure di non essertene accorto.

L’età non conta

Una gag in tivù e un “doppio shock” per rilanciare l’economia

 

A Porta a porta nel 2001, Silvio Berlusconi mostra alle telecamere il celebre contratto sottoscritto con gli italiani

di Ugo Magri – lastampa.it, 3 luglio 2017

La gag è già pronta. Berlusconi si presenta nello studio tivù tutto curvo, zoppicante, aggrappato a una stampella. Avanza titic-titoc e davanti alla telecamera sospira: «Questo vecchietto avrebbe voluto cedere il testimone a qualcuno più nuovo di lui. Ma siccome nessuno dei giovani è in grado, eccomi di nuovo qui», via la stampella, «costretto a tornare in campo per il bene dell’Italia». Avrebbe voluto mettere in scena lo sketch una decina di giorni fa, da Vespa. L’hanno tutti convinto a soprassedere, il Paese non è nel “mood” adatto, per gli scherzi sarà tempo più avanti. Ma stiamo certi che l’uomo ci riproverà. Per due ragioni.

Anzitutto, gli è tornata una smania di vincere. E quando avvista la preda, l’ex Caimano diventa iper-cinetico. Manterrà il ritmo faticoso di 2 interviste a settimana inaugurato con le Comunali, più 7-8 colloqui politici al dì, più riunioni sistematiche con lo stato maggiore “azzurro”: vuole dare il senso fisico della presenza perché, come sapeva bene Napoleone, ha effetti balsamici sulla truppa. Non solo conta di riprendersi gli elettori “rubati” da Grillo, ma perfino quanti si erano indirizzati verso Renzi considerandolo un Berlusconi con 40 anni di meno. Silvio vorrà convincerli che il vero “giovanotto” è lui, perché ha in testa un paio di idee dirompenti. Di sicuro, spericolate.

Va dicendo ai suoi che stiamo sull’orlo di una guerra civile. Con 15 milioni di famiglie in difficoltà e il 40 per cento dei giovani disoccupati, «non potremo uscirne fuori con le ricette ordinarie, serve uno doppio shock», è il mantra berlusconiano. Cosa ci può essere di più scioccante di un taglio netto delle imposte attraverso una «flat tax» sotto il 20 per cento? Chiaro che si porrebbe qualche problemuccio con Draghi e con Bruxelles, perché almeno nell’immediato salterebbero i conti. Finiremmo in bancarotta. Ma qui soccorre l’altro «shock» immaginato da Silvio: la «doppia moneta», che qualcuno credeva una mossa per andare incontro a Salvini, invece Berlusconi ci punta sul serio. Consisterebbe nel tenerci l’euro per le transazioni internazionali, e nell’uso corrente tornare alle lire, della quale potremmo stamparne a volontà. Nei conversari privati, il Cav ammette che ci ritroveremmo con l’inflazione a livelli di Sud America. Però «diversamente della Germania, incapace di conviverci, negli anni ‘70 e ‘80 noi non siamo stati così male nell’inflazione a due cifre, la priorità adesso è rimettere in moto l’economia». Ne discuterà con economisti di sua fiducia e con alcuni gestori di patrimoni mobiliari per sondare le reazioni. Chi, tra i meno ardimentosi dei suoi, ha osato sollevare dubbi si è beccato la seguente risposta: «Vinceremo solo con idee rivoluzionarie e non banali, lasciate fare a me». Toni da giovane visionario.

Il vecchio che avanza  

E qui sta l’altro obiettivo della gag con la stampella: aggredire l’idea, sparsa in primis da Salvini, che con 80 primavere sulle spalle Berlusconi non possa incarnare il futuro. L’anagrafe conta poco, «è più importante la freschezza politica», si ribella Silvio. Gli hanno segnalato la popolarità di Jeremy Corbyn nel Regno Unito, e di Bernie Sanders negli Usa, per citare due vecchioni. Qualcuno gli ha rammentato che Peron tornò al governo quando aveva 78 anni, e in fondo Giorgio Napolitano domina la scena nonostante abbia passato i 90. L’importante è conservarsi bene. Perciò le feste «eleganti» fino alle tre di notte sono ormai un ricordo. Qualora cadesse in tentazione, non troverebbe la compiacenza di chi ora lo assiste: da Licia Ronzulli in veste di segretaria ai due assistenti Valentino Valentini e Sestino Giacomoni, quasi filiali nel loro affetto, con la supervisione dell’avvocato Niccolò Ghedini e di Gianni Letta, ritornato vicino a Silvio dopo una fase di disincanto. Il risultato è che adesso raramente chiude le palpebre mentre qualcuno gli parla, e se ciò accade è segno di noia più che di età avanzata, perché quando l’argomento gli interessa sarebbe capace di discuterne ore. Come a una cena, qualche sera fa, quando si è cimentato in una gara di barzellette. Ne ha snocciolate 50 delle sue, una dietro l’altra.

«Con Renzi non vinceremo mai»

D’Alema: «Leader e candidato premier nuovi. Populisti bene nel governo locale»

L’ex presidente del Consiglio: anziché deprecarli, mettiamoci in sintonia con il popolo. Con Renzi non vinceremo mai. I dem e Berlusconi non avranno i numeri per il governo.

di Aldo Cazzullo – corriere.it, 18 gennaio 2017

Massimo D’Alema, lei è tra i vincitori del referendum. Che ha abbattuto l’ultimo leader di centrosinistra che resistesse in Europa. Ora si va verso il proporzionale e, se tutto va bene, un governo Pd-Berlusconi. Un vero trionfo.
«Non è che l’alternativa sarebbe stata migliore. Buona parte di questi guai li ha provocati Renzi. Diciamo le cose come stanno: la caduta di Renzi è stata costruita da lui stesso. È stato lui a imporre con tre voti di fiducia una legge elettorale incostituzionale, per poi dopo tre mesi considerarla anche sbagliata. È stato lui a impostare il referendum come un grande plebiscito sulla sua persona; dopo un’esperienza di governo fallimentare, nonostante il favore al di là di ogni ragionevole limite del sistema dell’informazione, almeno di quella ufficiale; che non mi pare abbia comunque avuto una grande influenza sull’esito finale del voto».

Fallimento totale?
«Legga il rapporto del World Economic Forum, che non è un’organizzazione trotzkista. Su 30 Paesi industrializzati, l’Italia è quartultimo come crescita inclusiva, terzultimo come equità tra generazioni con trend in netto peggioramento negli ultimi due anni, per fare alcuni esempi».

Renzi rivendica di aver cambiato segno: dal meno al più.
«Il segno è cambiato in tutto il mondo. Ma da noi la crescita economica è particolarmente bassa, mentre abbiamo una crescita impressionante delle disuguaglianze e della povertà, che si riflette nella geografia sociale del voto. Il Sì ha perso nelle periferie, al Sud, tra i giovani».

Le uniche città in cui ha vinto il Sì, a parte Milano, sono Firenze e Bologna. Renzi rivendica che il 91% degli elettori Pd l’ha sostenuto.
«Renzi dice tante cose che non hanno riscontro. In realtà, lui parla di elettori del Pd, mentre io parlo di elettori del centrosinistra, di cui una grande quota non vota più Pd. In pochi giorni abbiamo costituito 300 comitati: molti erano composti da persone di sinistra che non votavano più, e sono tornati alle urne per votare No. Sabato 28 gennaio ci riuniremo in assemblea, e proporremo di trasformare questi comitati in comitati per ricostruire il campo del centrosinistra».

Hanno votato Sì anche tutti gli ex dalemiani: Orfini, Latorre, Rondolino, da ultimo Cuperlo.
«Io non ho mai fondato correnti, non ho mai preteso fedeltà. Ognuno è sempre stato libero di fare le proprie scelte. La mia è stata quella di condividere il sentimento della grande maggioranza degli italiani».

Lei crede ci sia davvero nel Pd un’alternativa a Renzi?
«Siamo stati tormentati per mesi da maître à penser secondo cui Renzi era insostituibile. Invece è arrivato Gentiloni e abbiamo avuto un presidente del Consiglio più garbato, più accettabile dagli italiani. E ne conosco altri, nel Pd e nel centrosinistra, in grado di svolgere efficacemente quel compito. Ripeto, nessuno è insostituibile. È un principio che a suo tempo ho applicato anche a me stesso».

Chi potrebbe essere «il giovane Prodi» evocato da Bersani?
«Non lo so. So che Renzi ci porterebbe a perdere le elezioni. Bersani ha detto giustamente che bisogna individuare un nuovo segretario del partito e un candidato del centrosinistra alla guida del Paese; proprio perché il Pd non appare più in grado di esprimere una vocazione maggioritaria. Questo richiede una personalità capace di rimettere insieme i riformisti».

Non potrebbe essere ancora Renzi?
«Non mi pare la persona adeguata. Ormai è chiaro che con Renzi non vinceremo mai. Tra lui e una parte del nostro mondo si è determinata una rottura sentimentale, difficilmente recuperabile. Lui insiste sui ballottaggi; ma oggi il Partito democratico è un partito isolato. L’unica mano tesa verso il Pd è quella di Berlusconi, che ha bisogno del governo contro la scalata di Vivendi: do ut des. Ma non credo che la mano tesa di Berlusconi corrisponda al sentimento dell’elettorato di centrodestra. Mediaset, come ci spiegò lui stesso, si schierò per il Sì; non mi pare abbia avuto grandi riscontri».

Il futuro quindi non è un governo Pd-Forza Italia?
«Se la tendenza elettorale è quella che vedo, il Pd e Berlusconi non avranno i numeri per fare nessun governo».

Quindi toccherà a Lega e 5 Stelle?
«Anziché deprecare il populismo cercando di delegittimare i nostri competitori politici, dovremmo cercare di metterci in sintonia con il popolo. È vero che la Raggi sta pagando a caro prezzo i legami con gli ambienti della destra romana, ma la Appendino è considerata il miglior sindaco d’Italia. Tra i primi tre presidenti di Regione ci sono, insieme a Enrico Rossi, i due leghisti, Zaia e Maroni. Stiamo perdendo anche il primato del governo locale, da sempre nostro punto di forza».

Il renzismo è finito?
«Non saprei. Certo i risultati non sono positivi. La situazione del Paese è molto grave. La principale preoccupazione di Renzi è stata stabilire un rapporto forte con l’establishment, attraverso un enorme trasferimento di risorse pubbliche alle imprese: 15 miliardi che non sono stati reinvestiti. Sono stati distribuiti incentivi a pioggia, che hanno prodotto solo un po’ di occupazione assistita e precaria. Sono stati versati bonus e mance, di cui ora l’Europa ci chiede il conto, imponendoci una manovra. E sono state salvate le banche salvando i grandi debitori delle banche, con i soldi dei cittadini».

A chi si riferisce?
«Mi auguro che la commissione d’inchiesta porti alla luce i nomi. A cominciare dai debitori del Monte dei Paschi. Potremmo trovare alcuni editori di giornali. Ma la gente non si informa sui giornali, va in rete e si chiede: perché se non pago il mutuo mi tolgono la casa, mentre se non paga i debiti un gran signore sono sempre io, cittadino italiano medio, che devo rimediare di tasca mia?».

Il Monte dei Paschi è roba vostra. La banca della sinistra.
«Quando ero presidente del Consiglio mi battei perché il Monte fosse tolto dal controllo della Fondazione. Non volevamo “la banca della sinistra”: volevamo privatizzarla. A Siena ci fu una rivolta. Furono stampati manifesti con la scritta “D’Alema come Mussolini”. Credo che bisognerebbe raccontare la storia vera e non quella che fa comodo al potente di turno».

Renzi rivendica di aver redistribuito ricchezza con gli 80 euro.
«Io espressi apprezzamento per gli 80 euro, ma nello stesso tempo, tagliando l’Imu sulla prima casa, il reddito restituito alle famiglie più ricche è stato assai più consistente. Il ricco riceve 2 mila euro, l’occupato 80, l’emarginato zero. Non è antirenzismo; è matematica».

È stata fatta una legge contro la povertà.
«Una buona legge. Finanziata con un miliardo di euro, per nove milioni di poveri: faccia lei il conto. Non è che gli elettori sono cattivi o ingrati. L’82% dei giovani ha votato No; e un partito che ha contro 8 ragazzi su 10 non ha futuro».

Resta il 40% di Sì.
«Sulla scala mobile il Pci da solo conquistò il 45,7% di Sì. Alle Politiche successive andò sotto il 27».

Quando si vota secondo lei?
«Non credo a giugno. Mi pare un altro disegno velleitario. Ci sarà il test delle amministrative, che si annuncia molto difficile: dopo Torino rischiamo di perdere Genova. Servirebbe una discussione approfondita nel partito. Un congresso. E si dovrebbe avere il tempo di votare la proposta di legge per ridurre i parlamentari e abolire la “navetta” tra Camera e Senato».

Lei parlò di cinque mesi per fare la riforma costituzionale. Ne è passato uno e mezzo e non è successo nulla.
«Se il Pd vuole, si può fare. La proposta è depositata al Senato. L’hanno firmata esponenti del Pd e del centrodestra. Crimi dei 5 Stelle e Naccarato di Gal ne hanno presentate due analoghe. Può passare con l’80%, quindi senza bisogno di referendum. E sa perché l’esame non può cominciare? Perché il Pd non ha ancora scelto il nuovo presidente della commissione Affari costituzionali, al posto della Finocchiaro, nominata ministro».

La priorità ormai è la legge elettorale. Qual è il sistema migliore?
«Il ritorno al Mattarellum. Anche perché consentirebbe di ricostruire il centrosinistra a partire dai candidati nei collegi, scelti attraverso le primarie. Non so se ci sarà la forza per farlo, ma, come vede, almeno su questo sono d’accordo con Renzi».

Che fine ha fatto la satira in tivù? E’ scomparsa (a parte Crozza)

di Andrea Scanzi

Triskel182

CrozzaChe fine ha fatto la satira in tivù? E’ scomparsa, tranne Maurizio Crozza e poco altro. Pochissimo altro. E’ una scomparsa pesante, perché la satira – se ispirata e ben fatta – aiuta a tenere alta l’asticella dell’indignazione. Permette di restare vigili. Induce a porsi domande e ti porta a non accettare supinamente tutto quel che decide (cioè impone) il Potere.
Forse perché costantemente stimolata da governanti imbarazzanti, in Italia la satira ha sempre avuto grandi esponenti. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta pensare al dualismo Benigni-Grillo negli anni Ottanta.

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Hanno ucciso i comunisti

(chi sia stato già si sa)

segnalato da Barbara G.

Fabrizio Cicchitto sta con Matteo Renzi: “Sciogliamo Ncd. Lui è andato oltre Craxi e Berlusconi: ha ucciso i comunisti”

Di Alessandro De Angelis – huffingtonpost.it, 19/10/2015

A un certo punto Fabrizio Cicchitto accenna il sorriso di chi la sa lunga: “La via d’uscita sulle unioni civili? Mi sembra che possa essere duplice: nel dibattito in Aula va sviluppato quel lavoro di confronto con l’elaborazione di emendamenti che non è stato fatto in commissione e poi si affermi il voto segreto e la libertà di coscienza, conoscendo la trasversalità delle posizioni sul merito”. Montecitorio, secondo piano. Fabrizio Cicchitto, ex capogruppo del Pdl nel fuoco della guerra frontale con le procure, ora Ncd, è presidente della commissione Esteri della Camera. La sua stanza è murata di libri. Due scatoloni strabordano con le sue due ultime pubblicazioni. La prima è L’uso politico della giustizia (contro le procure che hanno disarcionato Berlusconi), l’altra è La linea rossa (contro l’anomalia dei comunisti italiani): “Mi chiede di Renzi? È riuscito dove Craxi e Berlusconi non riuscirono: ha ucciso i comunisti. Per questo va costruito un nuovo centro alleato con lui”.

Partiamo dalle unioni civili.

Sì, e pure con calma. Perché c’è chi vuol fare di questo tema una sorta di guerra di religione tra una religione ultra-laicista e una religione ultra-cattolica. Mentre invece la questione va affrontata in termini a-ideologici, partendo dal fatto che la nostra società è totalmente cambiata e che quindi accanto ai rapporti e alle unioni etero si è affermata anche una dimensione omosessuale. Ciò premesso in termini assolutamente laici reputo che le due cose vadano nettamente distinte: matrimonio e unione civili, anche per una ragione di fondo. Io francamente reputo assolutamente preferenziale per un bambino e una bambina crescere avendo un padre e una madre, di due sessi diversi: affermazione contestabile ma è il mio pensiero.

E questo è un dato di fatto.

Lei ha fretta, le ho detto calma. Alla luce di questa valutazione generale, reputo che in commissione al Senato si sono scontrati due opposti estremismi. Quello della Cirinnà che è venuta meno al ruolo tipico di mediazione della relatrice – diversamente dalla Finocchiaro sulla legge costituzionale – e quello di alcuni amici dell’Ncd che hanno fatto un ostruzionismo portato all’eccesso impedendo anche una discussione sul merito e quindi la discesa in campo di quegli esponenti del Pd che in modo esplicito dicono che non sono d’accordo con la proposta di legge della Cirinnà.

Va bene, e questo è la situazione confusa che si è determinata. Faccia una proposta.

Io credo che io mio partito la debba porre così: questo tema non sta negli accordi di governo. E però anche qui va evitato l’opposto estremismo di chi dal Pd dice “faremo maggioranze variabili” e di chi dall’Ncd dice “faremo cadere il governo”. La via d’uscita può essere duplice: nel dibattito in Aula va sviluppato quel lavoro di confronto con l’elaborazione di emendamenti che non è stato fatto in commissione e poi si affermi il voto segreto e la libertà di coscienza, conoscendo la trasversalità delle posizioni sul merito.

Vediamo se ho capito bene: la Boschi dice libertà di coscienza. Lei dice sì, ma anche voto segreto.

Ha capito bene, dopo una discussione in Aula diversa da quella che c’è stata in commissione.

Presidente Cicchitto, fin qui le unioni civili. Ma allarghiamo il discorso. Anche su questa storia dice il suo partito sta esplodendo. Quagliariello se ne è andato, accusandovi di essere una stampella di Renzi. Siamo al dunque…

Mi sembra che il momento scelto da qualche amico di chiedere a l’uscita dal governo del nuovo centro destra sia il piu’ sbagliato di tutti. Sulle unioni civili la partita è aperta e rinviata alle idi di gennaio. E ancora di piu’ sulla legge di stabilità si è aperto un confronto nel Pd rispetto al quale non è che l’Ncd può rompere paradossalmente con un governo che fa delle cose contestate da sinistra.

Anche lei pensa che è una legge di stabilità che avrebbe potuto scrivere Berlusconi?

Beh, io non voglio dire che la legge di stabilità è fatta con lo stampino del Berlusconi del ’94, ma insomma… Ha per obiettivo la crescita e realisticamente chi l’ha fatta sa che per rimetterla in modo bisogna rimettere in moto i consumi – anche aumentando la circolazione del contante – e le imprese. La critica giusta è quella di aver tagliato in modo limitato la spesa pubblica, ma si immagini che sarebbe successo se l’avesse tagliata di piu’. Credo dunque che l’ira di Berlusconi sia solo apparentemente contro Renzi, ma in effetti è contro se stesso.

Perché? Si spieghi meglio.

Perché questo governo sta facendo una serie di cose che a lui non sono riuscite. Gliele elenco: la responsabilità civile dei giudici, il jobs act con l’abolizione dell’articolo 18, la detrazione dell’Irap, lo stesso divorzio breve che è un modo per sburocratizzare la vicenda giudiziaria dei coniugi. E poi l’aumento del contante e l’abolizione della tassa sulla prima casa. Per non parlare delle riforme costituzionali e della legge elettorale. E la prego di non eccitare il mio sadismo facendomi citare le frasi entusiaste con le quali Berlusconi e Romani esaltarono la legge elettorale e la legge costituzionale, ma su questo basta leggere il bell’articolo di Mattia Feltri sulla Stampa di qualche giorno fa.

Ma Mediaset, invece, è ancora al governo?

Intelligentemente per Mediaset il patto del Nazareno non è mai finito.

Ricambiata da una riforma della Rai che non apre il mercato ed è innocua per il biscione.

E questo lo ha detto lei…

Presidente, premesso che non amo paragoni perché spesso la storia si presenta spesso prima come tragedia poi come farsa, lei sta dicendo che Renzi sta realizzando ciò per cui Berlusconi è sceso in campo?

Attenzione, nella vita politica italiana dal ‘94 a oggi sono esplose due novità. Una è stata quella di Berlusconi. Il quale dopo la rivoluzione giudiziaria di Mani pulite coprì un vuoto politico sul centro distrutto a cannonate dall’uso politico della giustizia. Per vent’anni Berlusconi ha vinto e perso contro una invincibile armata. Alla fine secondo me va concludendo male il suo ciclo politico ripetendo oggi male ciò che nel ’94 diceva bene e asserragliandosi in una posizione di conservazione di sé stesso. Quando un partito perde 9 milioni di voti e due terzi del suo gruppo dirigente chi lo guida dovrebbe fare una riflessione autocritica, che invece non vedo.

E la seconda novità?

È Renzi, che nasce dallo stallo delle elezioni del 2013 e il sistema impallato da un movimento protestatario. Nello stallo sia Bersani che Letta marcarono il passo rischiando di dar via libera ad una ulteriore crescita dei Cinque Stelle e nella coscienza profonda del Pd riemerse la famosa invettiva di Moretti contro “i dirigenti coi quali non vinceremo mai”. Ed è esplosa la novità Renzi.

Vede una similitudine con Berlusconi?

Stanno su due piani diversi avendo entrambi, in contesti diversi, una grande capacità di comunicazione e di iniziativa politica. Per un paradosso della storia Renzi per salvare il Pd dallo stallo e il sistema istituzionale da una contestazione radicale è riuscito in quello che non riuscì né alla destra né a Bettino Craxi e neanche a Berlusconi: ha ucciso i comunisti.

A proposito di Craxi. Come se lo spiega il fatto che Renzi, trentenne, rottamatore, che si presenta come il nuovo che avanza, quando viene a Roma da Firenze come presidente della Provincia dorme al Raphael?

Conosco la sua perfidia e so come vorrebbe che le rispondessi, ovvero che nell’inconscio del giovane Renzi albergava il desiderio del potere e quindi ne frequentava i simboli, ma penso, banalmente, che è solo un caso. Il Raphael è un ottimo albergo vicino a palazzo Chigi, alla Camera e al Senato. Renzi è così de-ideologico che ha trascurato il precedente storico.

E per lei, ex socialista e ex berlusconiano, cosa rappresenta?

È stato il posto dove Craxi ha vissuto e il segno del livello di inciviltà in cui si arrivò a quei tempi. Ricorderà quando Occhetto convocò una manifestazione a piazza Navona affinché il deflusso si concentrasse al Raphael e avvenisse la lapidazione tramite monetine dell’avversario storico.

Dunque, se questa è la sua analisi, il destino anche del suo partito è l’alleanza con Renzi.

Finora Renzi ha evitato qualunque sistemazione politico-culturale complessiva della sua posizione, però se andiamo al nocciolo di quello che sta facendo diciamo che finalmente si afferma nel Pd una posizione di stampo blairiano che rappresenta il massimo della rottura rispetto alla Ditta. In una situazione di questo tipo, cosa dovrebbe fare il centro che già oggi collabora con Renzi: abbandonare il campo e seguire e Berlusconi in quell’intreccio di populismo lepenista e di familismo nostalgico che oggi caratterizza questo centrodestra? Io dico: il nuovo centro destra deve entrare nell’ordine di idee che il suo nome è cambiato nella sostanza politica e deve cambiare nella forma.

Sta dicendo che Ncd deve cambiare nome?

Sto dicendo non solo che deve cambiare nome perché adesso è l’ora di costruire un nuovo centro. Ma anche che esso deve allargarsi a tutte le forze politiche parlamentari che finora frantumate e divise hanno sostenuto Renzi certamente in condizioni di subalternità. Visto che Renzi è una cosa e il Pd è un’altra non credo che esistano le condizioni che queste forze entrino nel Pd, ma invece devono aggregarsi autonomamente, darsi una veste politica e culturale, avere anche una posizione contrattuale, e quando è necessario conflittuale, e anche con Renzi e col Pd ed esprimere anche un salto di qualità imposto dalla situazione.

Traduco: facciamo “I Moderati” per Renzi. Lo sta dicendo al suo partito, a Verdini a quel che resta di Scelta civica.

Sì, in tempi ragionevoli ma rapidi vanno superate tutte le sigle esistenti e va posto in essere un processo di rifondazione politico e culturale tale da unificare un campo che finora qualcuno, compresi alcuni renziani, ha trattato come “un volgo disperso che nome non ha”.

Dottor Renzi e Mister Berlusconi

Segnalato da Barbara G.

L’attacco a Raitre, il ponte sullo stretto, l’abolizione delle tasse sulla casa, parlamentari che cambiano casacca. Ma la sinistra di piazza, stavolta, tace

Di David Allegranti – linkiesta.it, 03/10/2015

matteoB

Il ponte sullo Stretto, i parlamentari che cambiano casacca, le promesse sull’Imu da togliere, le bordate a RaiTre. Tira un’arietta da primi anni Duemila, quando c’era il Cav. in grande forma e Matteo Renzi non era ancora presidente della Provincia di Firenze. Oggi, nel 2015, Berlusconi è in eterna fase decadente e “the boy” governa il Paese.

Giuliano Ferrara nel suo pamphlet dedicato al “Royal baby” (Rizzoli) sostiene che Renzi è l’erede politico-culturale di Berlusconi e, aggiunge, mica c’è nulla di male ad ammetterlo, anzi: «Ce l’avevo nell’agenda, il royal baby. Altro che il piano di rinascita di Gelli. Di più. Volevo un vendicatore di questi vent’anni. L’ho avuto. Il parto dell’erede ha perpetuato la dinastia o il casato. L’anomalia è salva. No sciagure. No manette. Nessuna restaurazione protocollare. Una qualche felice inconsistenza, con le parole che se ne vanno per l’aria, resta tra noi sovrana. La superficialità sempre al potere. Il burbero e l’ipocrita sono dietro la lavagna: sinistra radicale, teppa antagonista e manettara, intellettuali dei nostri stivali, pedanti, scarpari, padroncini, sbirrame vario, mediocrati socialmente presentabili, tutti in castigo. Ci sia o non ci sia un patto tra quei due, e il patto c’è stato, ne è nato il putto dal puffo, tanto basta».

E dunque: se un tempo c’erano i comunisti da tenere alla porta, oggi ci sono i gufi e i professoroni da rintuzzare, quelli che – secondo la narrazione renziana – spererebbero sempre nel fallimento dell’Italia. C’è dunque continuità nella comunicazione (compresa la scelta del nemico), quella che non è mai piaciuta ai compagni della “ditta” perché, appunto, era roba berlusconiana, quindi un tabù, che Renzi ha rotto. Buona parte del successo del presidente del Consiglio sta nel suo modello comunicativo, mixato a uno stile populista. Non è un giudizio, ma un’analisi avalutativa, per dirla con Max Weber.

«In genere quando si parla di populisti, si parla di soggetti che scavalcano sistematicamente le istituzioni e che mirano a delegittimarle – ha spiegato una volta il politologo Marco Tarchi -. Nel caso di Renzi si può dire che il primo aspetto esiste: in lui è presente la logica dell’uomo del fare, che non vuole avere impicci, che vede nella burocrazia un costante elemento di ostacolo. Sull’altro versante però c’è un’anomalia rispetto al populismo: lui non vuole screditare l’Istituzione anzi la vorrebbe rivalutare cambiandone alcuni caratteri costitutivi». Renzi infatti «ha questa capacità di parlare alla pancia e non solo alla testa del cittadino, lo tratta da tale cercando di frenarlo rispetto all’idea di scavalcare il momento istituzionale, mentre altri populisti – Berlusconi per primo – quasi lo blandiscono e gli dicono che fa bene a scavalcare le istituzioni perché sono di ostacolo».

E se Berlusconi aveva il modello Publitalia dove pescare risorse umane per la costruzione della classe dirigente, Renzi ha eletto la Leopolda, macchina pop e scenografica per costruire consenso, a ufficio di collocamento del renzismo. Si procede per cooptazione e fedeltà al capo, in contraddizione al principio, già affermato da Renzi nel 2013, che «con me vanno avanti quelli bravi, non quelli fedeli». Ma il modello di “uomo solo al comando”, berlusconianamente e renzianamente parlando, non prevede “vice” o un concorso di leadership, perché l’equilibrio dei poteri è super vietato (mica siamo in un MeetUp, eh!).

Non a caso la figura del presidente del Consiglio “primus inter pares” piace poco a entrambi. La riforma costituzionale voluta dal centrodestra e bocciata con referendum dagli italiani nel 2006 prevedeva per l’appunto maggiori poteri per il premier. Tra questi la possibilità di licenziare i ministri, come il sindaco fa con gli assessori. Una pratica parecchio usata dal Renzi amministratore locale, abituato a cambiare collaboratori – al netto dell’inviolabile “giglio magico” – come fossero camicie. In assenza di poteri specifici, Renzi ha dovuto rispolverare il “promoveatur ut amoveatur”, come nel caso di Federica Mogherini, promossa alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri in mancanza di altre possibilità.

Cambia invece, e non di poco, il rapporto con gli intellettuali; o meglio l’atteggiamento che essi hanno nei confronti di Renzi finora. È una domanda che ultimamente ci facciamo spesso. Prendiamo una vicenda recente: ma se Michele Anzaldi, deputato del Pd e membro della Commissione di Vigilanza Rai, quello che ha detto che al Tg3 non si sono accorti «che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier», ecco se Anzaldi fosse stato di Forza Italia, che cosa farebbero i defunti Girotondi? Micromega avrebbe organizzato un paio di convegni, Nanni Moretti sarebbe sceso in piazza, Michele Santoro avrebbe fatto il suo video-editoriale, i giornali di sinistra avrebbero scritto ficcanti corsivi. Ora, non ci piacevano prima quegli appelli, che peraltro hanno contribuito alla sopravvivenza politica di Berlusconi, figurarsi ora. Però è evidente che vent’anni di berlusconismo ci hanno lasciato un’altra simpatica eredità: l’ipocrisia della sinistra intellettuale.