Maurizio Landini e Pippo Civati
di crvenazvezda76
Landini non è un politico. L’ho ripetuto più volte. Questo può essere un pregio o un difetto, e dipende sostanzialmente dai punti di vista e da cosa si voglia da lui.
In molti lo vorrebbero a capo di un soggetto politico che restituisca dignità alla sinistra italiana, estinta ormai da molti anni. Landini è un ottimo sindacalista, ma non è un politico. A mio modesto parere, infatti, non ne ha le doti e (non me ne voglia, peraltro sovente lui stesso lo ammette) neppure la preparazione. Certamente, però, non è né uno sprovveduto né uno stupido. Ancor meno è votato all’autolesionismo.
Tanti, in questo blog e non solo, gli rimproverano di non aver appoggiato i referendum proposti da Civati e il suo nuovo soggetto politico, ‘Possibile’. In sintesi, l’accusa è questa: “Civati ha proposto dei quesiti attinenti ai cavalli di battaglia della ‘Coalizione Sociale’: perché allora Landini non ha aderito e partecipato alla raccolta firme?”.
Ho cercato di spiegare alcune delle ragioni all’indomani del mancato raggiungimento del quorum referendario. Ragioni che sembrano non essere state sufficienti ed esaustive, a leggere le frecciatine lanciate a Landini in questi giorni.
Come ho detto a suo tempo, Civati è un politico. Fa il politico di professione, da anni e ad alto livello. Lui e il suo nuovo movimento possono permettersi una sconfitta, se così può definirsi, ma a mio parere quella sui referendum non lo è stata, dal momento che è servita a dare a ‘Possibile’ una visibilità che non aveva e a creare una base su cui poter dare seguito al suo progetto. Landini, invece, fa il sindacalista, e per di più in uno dei periodi storici peggiori per il sindacato. Lui, o meglio, il sindacato, non può permettersi una sconfitta. Mi spiego: il sindacato non può permettersi di rischiare in un’impresa concepita in pochi giorni da un politico che sino all’altro ieri militava nel partito che ha proposto e approvato quelle riforme che il referendum intendeva abrogare. Già questo dato per me è sufficiente a giustificare Landini e la Fiom, se mai ci fosse bisogno di giustificazioni.
Ma qui nasce un altro problema: Landini e la Fiom rappresentano solo una parte di quella ‘Coalizione Sociale’ che Civati avrebbe voluto al suo fianco nella campagna referendaria. Davvero qualcuno pensa che sarebbe bastato uno schiocco di dita del leader dei metalmeccanici per indurre, così e dall’oggi al domani, ciò e chi sta dietro e dentro Coalizione Sociale a schierarsi? Vi garantisco che non è così semplice. A riprova, domandate a chi, ai tempi di l’Altra Europa per Tsipras, chiese a Landini una qualche forma di endorsement.
Qualcuno obietterà: “Allora perché oggi Landini dal palco di Roma ha lanciato la proposta di una raccolta firme per un referendum sul Jobs Act e sulla riforma del mercato del lavoro?”. Risposta: “Appunto. Si propone un referendum mirato a influire sulle riforme, sbagliate, che incideranno sul mondo del lavoro”.
Vedete, io penso che, se davvero si vuole contrastare con qualche risultato la deriva neoliberista intrapresa da Renzi e i suoi, in un contesto politico che non vede protagonista alcuna forza di opposizione (a sinistra), con un programma che su quei temi e quei valori di sinistra basi il proprio agire, lanciare una proposta referendaria con otto quesiti su temi diversi non è e non può essere la strada giusta. Non può esserlo, se questa battaglia si inizia senza adeguata preparazione, senza una campagna di informazione e sensibilizzazione che crei un’opinione pubblica attorno a quei temi. Non basta, infatti, raggiungere il numero di firme necessario: il referendum bisogna vincerlo, se si vuole incidere.
E in questo momento l’opinione pubblica su quei temi, o su molti di quei temi, ha le visioni più disparate. Sì, su lavoro, ambiente, scuola, riforme, non tutti la vedono come noi. Anche nella cosiddetta ‘Sinistra’ esistono varie correnti di pensiero, vuoi per la scarsa informazione, vuoi per effetto delle politiche e della comunicazione politica degli ultimi anni. Tutto ciò in un Paese che non si può certo dire ‘di Sinistra’, e che ha dimostrato più volte di essere disponibile a compromessi non proprio edificanti e di fottersene dei buoni principi in cambio di qualche beneficio immediato.
Molti giudicano dei privilegiati coloro che godevano dell’articolo 18 rispetto a chi non ha questa tutela o un contratto stabile; i docenti sono per lo più considerati come una casta di fannulloni da rimettere in riga anche grazie a un preside-padrone; nelle trivellazioni si vedono possibilità di sviluppo e benessere; nella riforma elettorale, per come è stata concepita dal governo, uno strumento di stabilità e certezza.
Questi sono i motivi per cui non si può imbastire – dall’oggi al domani – un referendum su temi così diversi, pur legati fra loro e parte di un unico disegno, senza adeguata preparazione e senza una strategia per il dopo. Perché non basta più dire NO, ma si deve anche offrire un’alternativa credibile.
E Civati lo è?