Coalizione Sociale

Il gran rifiuto (di Landini)

Maurizio Landini e Pippo Civati

di crvenazvezda76

Landini non è un politico. L’ho ripetuto più volte. Questo può essere un pregio o un difetto, e dipende sostanzialmente dai punti di vista e da cosa si voglia da lui.

In molti lo vorrebbero a capo di un soggetto politico che restituisca dignità alla sinistra italiana, estinta ormai da molti anni. Landini è un ottimo sindacalista, ma non è un politico. A mio modesto parere, infatti, non ne ha le doti e (non me ne voglia, peraltro sovente lui stesso lo ammette) neppure la preparazione. Certamente, però, non è né uno sprovveduto né uno stupido. Ancor meno è votato all’autolesionismo.

Tanti, in questo blog e non solo, gli rimproverano di non aver appoggiato i referendum proposti da Civati e il suo nuovo soggetto politico, ‘Possibile’. In sintesi, l’accusa è questa: “Civati ha proposto dei quesiti attinenti ai cavalli di battaglia della ‘Coalizione Sociale’: perché allora Landini non ha aderito e partecipato alla raccolta firme?”.

Ho cercato di spiegare alcune delle ragioni all’indomani del mancato raggiungimento del quorum referendario. Ragioni che sembrano non essere state sufficienti ed esaustive, a leggere le frecciatine lanciate a Landini in questi giorni.

Come ho detto a suo tempo, Civati è un politico. Fa il politico di professione, da anni e ad alto livello. Lui e il suo nuovo movimento possono permettersi una sconfitta, se così può definirsi, ma a mio parere quella sui referendum non lo è stata, dal momento che è servita a dare a ‘Possibile’ una visibilità che non aveva e a creare una base su cui poter dare seguito al suo progetto. Landini, invece, fa il sindacalista, e per di più in uno dei periodi storici peggiori per il sindacato. Lui, o meglio, il sindacato, non può permettersi una sconfitta. Mi spiego: il sindacato non può permettersi di rischiare in un’impresa concepita in pochi giorni da un politico che sino all’altro ieri militava nel partito che ha proposto e approvato quelle riforme che il referendum intendeva abrogare. Già questo dato per me è sufficiente a giustificare Landini e la Fiom, se mai ci fosse bisogno di giustificazioni.

Ma qui nasce un altro problema: Landini e la Fiom rappresentano solo una parte di quella ‘Coalizione Sociale’ che Civati avrebbe voluto al suo fianco nella campagna referendaria. Davvero qualcuno pensa che sarebbe bastato uno schiocco di dita del leader dei metalmeccanici per indurre, così e dall’oggi al domani, ciò e chi sta dietro e dentro Coalizione Sociale a schierarsi? Vi garantisco che non è così semplice. A riprova, domandate a chi, ai tempi di l’Altra Europa per Tsipras, chiese a Landini una qualche forma di endorsement.

Qualcuno obietterà: “Allora perché oggi Landini dal palco di Roma ha lanciato la proposta di una raccolta firme per un referendum sul Jobs Act e sulla riforma del mercato del lavoro?”. Risposta: “Appunto. Si propone un referendum mirato a influire sulle riforme, sbagliate, che incideranno sul mondo del lavoro”.

Vedete, io penso che, se davvero si vuole contrastare con qualche risultato la deriva neoliberista intrapresa da Renzi e i suoi, in un contesto politico che non vede protagonista alcuna forza di opposizione (a sinistra), con un programma che su quei temi e quei valori di sinistra basi il proprio agire, lanciare una proposta referendaria con otto quesiti su temi diversi non è e non può essere la strada giusta. Non può esserlo, se questa battaglia si inizia senza adeguata preparazione, senza una campagna di informazione e sensibilizzazione che crei un’opinione pubblica attorno a quei temi. Non basta, infatti, raggiungere il numero di firme necessario: il referendum bisogna vincerlo, se si vuole incidere.

E in questo momento l’opinione pubblica su quei temi, o su molti di quei temi, ha le visioni più disparate. Sì, su lavoro, ambiente, scuola, riforme, non tutti la vedono come noi. Anche nella cosiddetta ‘Sinistra’ esistono varie correnti di pensiero, vuoi per la scarsa informazione, vuoi per effetto delle politiche e della comunicazione politica degli ultimi anni. Tutto ciò in un Paese che non si può certo dire ‘di Sinistra’, e che ha dimostrato più volte di essere disponibile a compromessi non proprio edificanti e di fottersene dei buoni principi in cambio di qualche beneficio immediato.

Molti giudicano dei privilegiati coloro che godevano dell’articolo 18 rispetto a chi non ha questa tutela o un contratto stabile; i docenti sono per lo più considerati come una casta di fannulloni da rimettere in riga anche grazie a un preside-padrone; nelle trivellazioni si vedono possibilità di sviluppo e benessere; nella riforma elettorale, per come è stata concepita dal governo, uno strumento di stabilità e certezza.

Questi sono i motivi per cui non si può imbastire – dall’oggi al domani – un referendum su temi così diversi, pur legati fra loro e parte di un unico disegno, senza adeguata preparazione e senza una strategia per il dopo. Perché non basta più dire NO, ma si deve anche offrire un’alternativa credibile.

E Civati lo è?

 

Tutti in piazza!

“Not in my name”, sabato a Roma manifestazione dei musulmani contro il terrorismo

L’appuntamento nazionale alle 15 in piazza Santi Apostoli per rispondere alla strage di Parigi.

da Repubblica.it, 19 novembre 2015

Dell’iniziativa si discute oggi anche a Palazzo Reale a Milano, nell’ambito del forum “Libertà religiosa, educazione, sicurezza e sviluppo”, a cui aderiscono decine di autorità religiose ebraiche, cristiane e musulmane, istituzionali ed accademiche. E la Coreis (Comunità religiosa islamica) ha lanciato un appello affinché alla mobilitazione del 21 aderiscano tutti i musulmani, italiani, marocchini, pakistani, senegalesi, turchi, presenti nel nostro Paese. “Noi musulmani – si legge nella nota – condanniamo con forza la recente strage di Parigi, esprimendo il più profondo sentimento di vicinanza al popolo francese e a tutti i familiari delle vittime così barbaramente uccise. Intendiamo perciò lanciare un appello che sappia indicare una solida svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato italiano di cui siamo e ci riteniamo parte integrante. Invitiamo quindi tutte le musulmane e i musulmani ad una mobilitazione che, isolando ogni pur minima forma di radicalismo, protegga in particolare le giovani generazioni dalle conseguenze di una predicazione di odio e violenza in nome della religione”. “Questo cancro – proseguono – offende e tradisce il messaggio autentico dell’Islam, una fede che viviamo e interpretiamo quale via di dialogo e convivenza pacifica, insieme a tutti i nostri concittadini senza alcuna distinzione di credo; questa pericolosa deriva violenta rappresenta oggi il pericolo più feroce per il comune futuro nella nostra società”. I promotori dell’iniziativa invitano quindi “tutte le musulmane e i musulmani, tutte le associazioni religiose e laiche, tutti i cittadini italiani alla manifestazione nazionale”.

Ad annunciare la sua partecipazione la Confederazione islamica italiana (Cii): “Ci saremo per ribadire il nostro no categorico a qualsiasi forma di violenza, aggressione e terrorismo – si legge nella nota a firma del segretario Abdullah Cozzolino – e per dimostrare la nostra vicinanza al popolo francese e porgere le nostre condoglianze ai familiari delle vittime e per evitare che si faccia di tutta un’erba un fascio accusando per i fatti accaduti a Parigi un’intera comunità musulmana costituita da un miliardo e mezzo di persone”. La Confederazione islamica ha aggiunto che “noi siamo musulmani pacifici convinti della necessità di trovare un’unità per fronteggiare questa aggressione che lede noi musulmani e di mostrare in questo modo il nostro senso di cittadinanza e di partecipazione per la costruzione di una vita futura pacifica e di convivenza”. La Cii parteciperà alla manifestazione di Roma con tutte le proprie federazioni regionali perché “vogliamo testimoniare davanti alla società civile e alle istituzioni che quanto è accaduto non è ‘in mio nome'”.

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Landini: “Sabato in piazza contro il terrorismo”

Fiom. Non solo contratto e legge di stabilità. Dopo i fatti di Parigi i metalmeccanici Cgil allargano il significato della manifestazione del 21.

di An. Sci. – ilmanifesto.info, 17 novembre 2015

La Fiom ha confermato la propria manifestazione per il contratto il prossimo sabato, ma visti i fatti tragici avvenuti in Francia ha allargato il tema alla lotta contro il terrorismo. Lo ha spiegato ieri il segretario generale dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini, davanti a una assemblea di delegati riunita a Milano: «Condanniamo in modo totale quello che è avvenuto a Parigi», ha detto. «Lo dobbiamo fare con tutti — aggiunge Landini -, compresi i musulmani, per affermare che bisogna mettere in campo una mobilitazione generale per la lotta contro il terrorismo, contro la guerra e per la pace».

La manifestazione di sabato Unions! Per giuste cause, indetta dall’assemblea nazionale dei metalmeccanici Fiom, fin dalla sua proclamazione ha indicato un percorso più vasto rispetto a quello strettamente sindacale: insieme alle tute blu sfilerà infatti la Coalizione sociale, con studenti, lavoratori autonomi, associazioni, per dire no alla Legge di stabilità targata Renzi e chiedere equità fiscale, un abbassamento dell’età di pensione, investimenti pubblici a sostegno della crescita.

La piazza sarà ancora più folta, e ricca, c’è da scommetterci, perché è la prima occasione offerta agli italiani (se si eccettuano le manifestazioni immediatamente successive agli attentati di Parigi) per offrire solidarietà ai nostri cugini d’Oltralpe e chiedere con forza un impegno per politiche di pace.

Parlando ai suoi, dal palco dell’assemblea di Milano, Landini è tornato a criticare il governo: «Sta cancellando leggi senza discutere con nessuno e senza avere il consenso dei cittadini — ha detto — Dobbiamo porci il problema di cancellare le leggi sbagliate e, al contrario del governo, mettere i cittadini nella condizioni di potersi esprimere e partecipare».

Chiaro il riferimento al referendum che la Cgil intende richiedere per abrogare le parti peggiori del Jobs Act, proposta che verrà sottoposta al voto dei lavoratori tra gennaio e febbraio prossimo, dopo che in dicembre verrà presentato il nuovo Statuto dei lavoratori: «Non è mai successo nella storia del Paese che un sindacato valutasse la possibilità di essere promotore di un referendum abrogativo — ha notato Landini — Deve diventare una battaglia non solo del sindacato, ma di tutti, in modo che ci sia uno statuto per tutte le forme di lavoro, quello dipendente, quello subalterno e quello autonomo».

Quanto al contratto, il segretario Fiom ha spiegato che «il tavolo unitario» che si aprirà il prossimo 4 dicembre con le imprese «è una novità», anche se «le prime dichiarazioni di Federmeccanica non rendono facile» questa soluzione. «C’è la volontà di cercare un accordo», ma «la situazione è molto difficile», ha aggiunto. «Abbiamo alle spalle un accordo separato e non c’è un accordo interconfederale di riferimento».

Tra le richieste della Fiom «il diritto alla formazione, la riforma dell’inquadramento, l’applicazione dell’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio». Su quest’ultimo punto, Landini spiega che «applicarlo significa impedire accordi separati». «Sia il contratto nazionale sia la contrattazione aziendale devono vivere e non possono essere uno sostitutivo dell’altra».

Un’ultima battuta Landini la fa sul papa: «Certo che gli darei la tessera Fiom — ha detto — ma lui non l’accetterebbe. A ragione, perché è il papa di tutti». E se Bergoglio non si iscrive ai metalmeccanici, Landini non prenderà la tessera di Sinistra italiana: «Il sindacato è indipendente e autonomo, non ha forze politiche di riferimento. Abbiamo le nostre proposte e ci interessa discuterle con tutti».

Case del Mutuo Soccorso

segnalato da n.c.60

Casa del Mutuo soccorso, prove di Coalizione Sociale

di Salvatore Cannavò – ilfattoquotidiano.it, 15 giugno 2015

Cosa può fare la Coalizione sociale? Una prima risposta a questa domanda, che ha attraversato buona parte dell’assemblea nazionale del 6 e 7 giugno a Roma, è stata data domenica 14 giugno alla festa della Fiom milanese che si è tenuta nella fabbrica recuperata della Rimaflow a Trezzano sul Naviglio: Case del Mutuo soccorso. E così, al termine di un dibattito che ha visto la partecipazione di circa 500 persone, Maurizio Landini ha avuto l’onore di tagliare il nastro della prima Casa del Mutuo soccorso nata in una fabbrica dismessa e recuperata e interna al progetto della Coalizione sociale.

La Rimaflow è ormai un’esperienza simbolo di cui si occupa anche il presidente boliviano Evo Morales che la scorsa settimana ha cambiato la propria agenda milanese per incontrare gli operai Rimaflow, discutere della loro situazione e farsi regalare anche il loro celebre “Rimoncello”, il limoncello fatto in fabbrica.

Gli operai, tra l’altro, proprio dopo aver resistito per oltre due anni e aver individuato una nuova attività produttiva in grado di dare loro un lavoro e di ripristinare un’attività produttiva negli spazi abbandonati dalla vecchia Maflow – scappata via dall’Italia in fretta e furia e portandosi dietro anche i macchinari – sono finiti sotto un violento, e improvviso, attacco da parte del Comune (Pd) che, in sintonia con Unicredit – proprietaria dell’area – potrebbe aver individuato nuove attività nell’area e vede malvolentieri l’attivismo sociale dello spazio occupato. Il 28 maggio, quando in Prefettura si è tenuto l’incontro decisivo tra municipio, proprietà e Rimaflow, per firmare l’accordo definitivo di gestione della fabbrica (anche grazie al supporto di Libera) il Comune ha scelto di non presentarsi.

La proposta della Casa del Mutuo soccorso è stata illustrata a Landini e alla Fiom milanese – che ha tenuto la sua festa provinciale proprio dentro i capannoni riempitisi fino a tarda sera – dalla Rimaflow riprendendo un articolo poco noto dello Statuto dei lavoratori, l’articolo 11, secondo il quale “le attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell’azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori”. Con questa norma si sono costituiti i Cral aziendali diventati nel tempo dei dopo-lavori svuotati di contenuto ma la loro origine risale, spiegano a Rimaflow, alle Società Operaie di Mutuo Soccorso.

Da qui la Casa del mutuo soccorso, aderente alla Federazione Italiana del Tempo Libero, con l’obiettivo di “rimettere nelle mani dei lavoratori e delle lavoratrici gli strumenti pratici di organizzazione della solidarietà”.

Tra le attività progettate ci sarà lo Spazio Fuori Mercato, una logistica per mettere direttamente in collegamento i piccoli produttori agricoli e i consumatori, tramite il ruolo dei Gruppi di acquisto solidale. La cucina popolare in fabbrica con i locali già ampiamente preparati e ristrutturati, salute e assistenza per chi ne ha bisogno (dentista sociale, assistenza psicologica), scuola popolare, libri usati, culture nelle sue varie forme ma anche prestiti in denaro (anche tramite la banca ore del lavoro), recupero di stabili sequestrati alla mafia e ogni altra attività utile sul territorio.

La proposta è stata salutata molto positivamente da Maurizio Landini che, assieme a Evo Morales, Giuseppe De Marzo di Libera, Paolo Rossi (presente alla festa della Rimaflow per lo spettacolo conclusivo) ha firmato l’appello di solidarietà alla fabbrica ipotizzando anche forme ulteriori di iniziativa come “mettere in discussione i nostri conti correnti alla Unicredit, in fondo è l’unico linguaggio che capiscono”.

Landini nel suo intervento, che ha concluso la serata della Fiom, ha ribadito i punti della Coalizione che più gli stanno a cuore: non sarà un partito, farà politica, punta a unire ciò che il capitalismo divide e rappresenta una possibilità per far ripartire le lotte e conquistare, da capo, i diritti che sono stati cancellati. L’auspicio è quello che si costruiscano coalizioni sociali territoriali in cui non si guarda ai propri interlocutori per quello che sono ma per cosa vogliono fare e dove vogliono andare. “Io ho avuto la fortuna di lavorare grazie a diritti conquistati da quelli prima di me”, ha concluso Landini, “per questo mi sono chiesto: cosa lascio a chi c’è dopo? Dobbiamo avere il coraggio di provarci: peggio di così non può andare”.

La Casa del Mutuo soccorso è stata una prima risposta concreta alle domande poste dalla Coalizione sociale nello spirito del “primo movimento operaio” evocato all’assemblea nazionale del Frentani da Stefano Rodotà. Nel suo intervento il professore già candidato alla Presidenza della Repubblica aveva ricordato il canto delle mondine che diceva: Sebben che siamo donne, paura non abbiamo, abbiam delle belle buone lingue, e in lega ci mettiamo“. In lega, cioè in coalizione, recuperando l’intuizione originaria del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici: il mutuo soccorso.

La nuova coalizione

segnalato da crvenazvezda76

di Massimo Franchi – ilmanifesto.info, 9 giugno 2015

Movimenti. I 1.087 partecipanti erano in gran parte giovani e solo per il 40 per cento lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Dalla due giorni dei Frentani si esce con tante idee e proposte. Dal reddito di dignità all’occupazione delle case sfitte. Ora la sfida è declinare e lanciare le campagne sul territorio.

Due giorni per cominciare una sfida. Senza sapere ancora se e come funzionerà. Della Coalizione sociale si può dire tutto tranne che sia una cosa già vista.

Stampa e media hanno cercato di paragonarla ad esempi lontanissimi fra di loro. Si va dalla Leopolda di Renzi ad un Social club di vetero comunisti attempati. Modelli così diversi e opposti tradiscono la difficoltà degli osservatori — tutt’altro che disinteressati — nel comprendere un nuovo modo di fare politica. Come tale non richiudibile in modelli passati o già visti.

Se, finalmente, Maurizio Landini sembra essere riuscito nell’impresa titanica di far capire a tutti che non si tratta di un partito, la difficoltà a comprenderne obiettivi e pratiche accomuna chiunque ne abbia commentato lo svolgimento, in primis i politici che tentano di denigrarla. Perché «facciamo paura», sostiene il segretario della Fiom.

Più difficile è invece capire e giudicare cosa sia realmente la Coalizione sociale. Della due giorni al centro congresso Frentani di Roma si è usciti con grande entusiasmo e voglia di mettersi al lavoro sul territorio. Sentimenti che però non hanno sciolto i dubbi e le perplessità di buona parte degli stessi partecipanti.

Gli organizzatori si ritengono comunque «più che soddisfatti». «Per numero di partecipanti, per qualità degli interventi e delle proposte uscite e per la stessa modalità dello stare insieme non potevamo attenderci di meglio», fanno sapere, chiedendo l’anonimato proprio per dare un senso di unicità e non di appartenenza alle singole organizzazioni che hanno aderito. E sottolineando l’età media assai bassa degli intervenuti — tramite la scheda fatta compilare ad ogni partecipante — e il fatto che solo il 40 per cento era un lavoratore a tempo indeterminato, percentuale che sconfessa chi si aspettava una maggioranza di delegati Fiom. «Su 1.087 partecipanti molti quotidiani hanno citato solo Scalzone e Piperno, che fra l’altro non hanno parlato. È come cercare un ago in un pagliaio, siamo lusignati da tanta ricerca ma avremmo preferito un ascolto vero della discussione e delle proposte», rispondo gli organizzatori.

La praticità richiesta da chi gestiva i quattro gruppi ora dovrà essere trasferita nelle città di provenienza — se ne contano 80 — dei partecipanti. Il rischio — che molti paventano — che a livello di territorio chi è meglio organizzato (Fiom, Arci o centri sociali) monopolizzi i temi e le pratiche è rispedita al mittente. «La Coalizione — ragionano gli organizzatori — non è soltanto una rete di allenze fra organizzazioni, se fosse così sarebbe una cosa vecchia e già vista. I veri protagonisti della Coalizione sociale dovranno essere coloro che non sono riusciti a venire a Roma ma che ci hanno contattato per poter partecipare». Per questo viene data grande importanza alla piattaforma sul sito coa​li​zione​-sociale​.it che sarà implementata a breve per mettere in rete tutti coloro che vorranno partecipare.

La richiesta di «coraggio» lanciata tra le ovazioni da parte di Stefano Rodotà è l’altra caratteristica che contraddistinguerà la Coalizione sociale. E le campagne e le proposte che sono state lanciate lo confermano. Reddito di dignità, riduzione dell’orario di lavoro, occupazioni, beni e spazi comuni, rigenerazione delle fabbriche e delle periferie sono i temi su cui impegnarsi da subito sul territorio. «Sul reddito di dignità si parte dalla proposta portata avanti da Libera e dalla campagna “Miseria Ladra”: puntare ad una forma non caritatevole che permetta però ad ogni individuo di rifiutare il ricatto di dover rinunciare a diritti in cambio di un lavoro». Ma — ci tengono a sottolineare — non c’è una gerarchia di campagne e il reddito di dignità non la più importante.

Per questo anche l’appuntamento lanciato da Landini per «un primo maggio dei diritti da tenere in autunno con una grande manifestazione nazionale» non si esaurirà nella sola richiesta dell’introduzione del reddito di dignità o cittadinanza, la cui proposta peraltro non è ancora stata formalizzata.

Assieme a questa vengono citate la battaglia sull’impatto climatico, sulla riconversione e autorecupero delle fabbriche e degli spazi pubblici, all’allargamento della mobilitazione contro la Buona scuola all’Università, al tema della formazione permanente e della cultura.

Un programma politico. Che la Coalizione sociale lotterà per portare al centro del dibattito e del confronto con tutte le forze politiche. «Non solo a sinistra». Landini dixit.

Il capitale sociale di Landini

segnalato da crvenazvezda76

LANDINI È GIÀ COALIZZATO

di Massimo Franchi – ilmanifesto.info, 7 giugno 2015

Sinistra. In un migliaio raccolgono la sfida del segretario della Fiom. Per riconquistare i diritti cancellati si parte dal basso. Lanciando campagne su reddito di dignità, beni, saperi e spazi comuni. Nel giorno del battesimo della Coalizione sociale il suo ideatore decide di ascoltare e prendere appunti. Parlerà oggi tirando le fila del lungo dibattito.

Ascolta in disparte, prende appunti, passa da un gruppo di lavoro all’altro. Nel giorno in cui la sua pro­po­sta prende forma e sostanza, Mau­ri­zio Lan­dini fa da spet­ta­tore. Solo qual­che rispo­sta a mar­gine ai gior­na­li­sti che ancora una volta gli chie­dono se «la coa­li­zione sociale sarà un par­tito». «Non so più come dirlo. Sto stu­diando il cinese e la prossima volta lo dirò in cinese», è la rispo­sta quasi stiz­zita.

Par­lerà oggi, tirando le fila di una due giorni che dovrà ini­ziare ad «unire tutto quello che è stato diviso e rimet­tere al cen­tro della discus­sione tutto quello che è stato can­cel­lato: diritti, un’idea diversa di svi­luppo e soste­ni­bi­lità ambientale, riqua­li­fi­ca­zione e rige­ne­ra­zione delle città, sia dal punto di vista eco­no­mico che morale».

I tempi e i modi sono allo stesso tempo lun­ghi e com­plessi. «Par­liamo alle per­sone, non ai par­titi e saranno le persone a deci­dere cosa fare, se il nostro pro­getto li può inte­res­sare. Se uno all’inizio di un per­corso sa già come va a finire vuol dire che si è messo d’accordo prima e noi non ci siamo messi d’accordo pro­prio con nes­suno. I pro­blemi sono grandi — con­clude Lan­dini — e noi non pen­siamo a una cosa che li risolve in quat­tro e quattr’otto».

Una lunga gior­nata di «poli­tica con la P maiu­scola», dun­que. Una gior­nata comin­ciata con tre inter­venti «cap­pello» — di Filippo Mira­glia dell’Arci, della costi­tu­zio­na­li­sta Carla Car­las­sarre, di Cor­rado Oddi dei Forum per l’Acqua pubblica — e la prima divi­sione in gruppi di lavoro. Di sotto, nella sala prin­ci­pale, si parla di “Unions” e diritti del lavoro, di sopra nella sala più pic­cola di “Rige­ne­rare la Città”. Nel pome­rig­gio invece nella sala grande l’argomento è “Economia, poli­ti­che indu­striali, cam­bia­menti cli­ma­tici», men­tre in quella pic­cola tocca a “Saperi e conoscenza”.

«Quat­tro temi deci­sivi per cam­biare la nostra con­di­zione di vita», si sin­te­tizza dal palco. Cin­que minuti a testa e l’accorato appello — eluso in qual­che caso — «a non rac­con­tare solo la pro­pria espe­rienza, ma a fare pro­po­ste concrete», come ricorda Michele De Palma, respon­sa­bile Auto della Fiom e coor­di­na­tore del gruppo Unions che «parte dalla con­sta­ta­zione che la crisi divide, mette in com­pe­ti­zione e sot­to­pone al ricatto le per­sone che per vivere devono lavorare».

Accanto al palco o ai tavoli di chi gesti­sce i gruppi ven­gono messi dei pan­nelli blu sui quali attac­care post-it gialli con le pro­prie pro­po­ste. In un clima da uni­ver­sità inglese all’inizio c’è ritro­sia. Il primo corag­gioso verga un pro­gramma poli­tico strin­gato ma assai impe­gna­tivo: «Lotte e mutua­li­smo per costruire nuovi diritti. Red­dito e sala­rio per tutti». Poi la cosa prende piede e i bigliet­tini ini­ziano a non bastare per i gra­fo­mani, costretti ad attac­carne anche tre assieme pur di non disper­dere le loro idee.

Si va per le lun­ghe. Biso­gna con­tin­gen­tare i tempi per per­met­tere agli altri due gruppi tema­tici di poter avere un tempo decente di discus­sione. Una sin­tesi di 50 inter­venti — come quelli con­tati nel caso di Unions — diventa compli­cata. La fa il gio­vane Fede­rico che sot­to­li­nea «i punti comuni a gran parte degli inter­venti: il salto del nesso tra indi­vi­duale e col­let­tivo, la scor­cia­toia del prin­ci­pio del capo che è il renzismo».

Ma sono le pro­po­ste a farla da padrone: «Cam­pa­gne per unire e legare gene­rale e par­ti­co­lare con al cen­tro l’efficacia: il fatto che il Jobs act sia un inno all’illegalità in cui il “tutele cre­scenti” è una scusa per pre­ca­riz­zare e pagare meno tutti; un sala­rio minimo non assi­sten­ziale ma come bat­ta­glia di libertà su cui fare cam­pa­gna sul ter­ri­to­rio quest’estate e un momento comune e nazio­nale in autunno; la bat­ta­glia sala­riale e quella dei migranti come ver­tenza di carat­tere euro­peo con l’idea di un sala­rio minimo con­ti­nen­tale per evi­tare il dum­ping sociale». A fianco alle proposte «c’è il metodo: nuove forme di sin­da­ca­liz­za­zione, soli­da­rietà alla Gre­cia di Tsi­pras e la demo­cra­zia come vin­colo su tutte le decisioni».

Forse ancora più inte­res­sante il dibat­tito uscito dal gruppo “Rige­ne­rare le città”. Ame­deo del cen­tro sociale romano La Strada rias­sume le pro­po­ste «sulla rige­ne­ra­zione urbana» lan­ciando una «cam­pa­gna nazio­nale sul tema del patrimo­nio pub­blico, della gestione dei beni e degli spazi comuni e una piat­ta­forma digi­tale per met­tere assieme le esperienze».

Da “Saperi e cono­scenza” invece arriva l’appello ad allar­gare («a uni­ver­sità, diritto allo stu­dio, for­ma­zione permanente, accesso alla cul­tura», sin­te­tizza Ric­cardo della Rete della Cono­scenza) e ren­dere tra­sver­sale il grande suc­cesso della mobi­li­ta­zione con­tro la Buona scuola. Sui “Cam­bia­menti cli­ma­tici” infine si punta a bloc­care lo Sblocca Ita­lia, a filiere pro­dut­tive non inten­sive e all’autogestione di sta­bi­li­menti in crisi legan­doli al territorio.

Oggi si riparte con la ple­na­ria. E con l’intervento di Ste­fano Rodotà (ieri a Genova a RepI­dee, ma non con Renzi). Ver­ranno letti i report dei quat­tro gruppi e poi si cer­cherà di tro­vare una sin­tesi. Con tutta pro­ba­bi­lità la farà Maurizio Lan­dini. E ai suoi avrà il van­tag­gio di non dover par­lare in cinese. Qua nes­suno vuole fare un par­tito. Solo (buona) poli­tica dal basso.

Qualche consiglio per Maurizio

Segnalato da barbarasiberiana

COME DEVE FARE LANDINI PER RAPPRESENTARCI TUTTI

Di Emanuele Ferragina – left.it, 13/04/2015

È presto per capire quali siano le reali possibilità di successo della coalizione sociale lanciata da Maurizio Landini. Tuttavia è interessante che si proponga di costruire una “nuova” forza sociale senza la pretesa di parlare di partiti politici. In quest’articolo voglio soffermarmi su quali possano essere gli ingredienti vincenti in un progetto così ambizioso, mettendo in relazione l’idea di maggioranza invisibile (che ho recentemente proposto con Alessandro Arrigoni in La maggioranza invisibile, Rizzoli) e la coalizione sociale.

Il primo punto per capire quanta strada possa fare la coalizione sociale è meramente politico

Rompere con il sindacato fordista e inattuale rappresentato da Susanna Camusso, con il Pd asservito alle politiche di austerità, e con i partitini che ancora popolano la “galassia sinistra” del Paese, è un passo ineludibile per permettere alla maggioranza invisibile di essere rappresentata nel campo politico e sociale: solo quando si riuscirà a superare una visione sconfitta, settaria e residuale della sinistra, si potrà compiere l’impresa titanica di ragionare secondo schemi nuovi, avvicinando i soggetti che la compongono.

Secondo. Perché l’idea di coalizione sociale prenda piede, serve ricreare “un contesto narrativo” in cui le varie componenti della maggioranza invisibile (descritte da Alessandro Arrigoni nelle pagine precedenti) possano ritrovarsi e riconoscersi. È ironico che sia proprio Landini a proporre questo passaggio, vista la sua lunga militanza sindacale e il suo genuino lavorismo. Ma, forse, proprio questo paradosso può aiutarci a comprendere il lungo percorso di gestazione che la maggioranza invisibile dovrà intraprendere per diventare una forza politica capace di cambiare il Paese. La maggioranza invisibile, così come tutte le classi sociali in via di definizione, è un’araba fenice. Dalle ceneri degli artigiani sconfitti dall’avvento della rivoluzione industriale nacque e si sviluppò l’idea di working class, qualche decennio più tardi, dagli atelier di Sheffield alle fabbriche di Birmingham e Manchester. Oggi come allora, dalle ceneri della classe operaia italiana in via di estinzione, potrebbe prendere piede un movimento nuovo capace di andare oltre le basi sociali e politiche della vecchia sinistra.

Terzo. Comprendere le ragioni che stanno alla base del suo silenzio

Per azionare la coalizione sociale bisognerà comprendere le ragioni che stanno alla base del suo silenzio e della sua relazione problematica con le vecchie strutture della rappresentanza politica e sindacale. I fattori esterni provengono dalla grande trasformazione che ha coinvolto tutto il mondo occidentale, dal neoliberismo selettivo alla creazione di un’Europa senza solidarietà sociale, dall’assenza di un welfare universale al requiem della socialdemocrazia. Tuttavia, gli ostacoli peggiori che si parano di fronte alla coalizione sociale, che moltiplicano la capacità di veto di super-garantiti e neoliberisti, sono interni alla maggioranza invisibile stessa e la rendono cieca: la mancanza di fiducia nelle proprie capacità, causata da anni di discriminazioni e fallimenti; e una conseguente visione dello Stato, considerato come un’astrazione o come una macchina incomprensibile al servizio dei più potenti.

A causa di questi fattori, la maggioranza invisibile è sottorappresentata nello spazio sociale e di conseguenza stenta a organizzarsi. Nonostante ciò, la Storia ci insegna che la presenza in simili spazi può essere costruita nel tempo. Ed è proprio questo sentimento che dovrebbe animare chiunque voglia ricostruire una nuova coalizione sociale. Possiamo dimenticare i Levellers britannici, il biennio rosso, lo Statuto dei lavoratori, i tanti movimenti popolari che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, dai Fasci siciliani all’occupazione delle terre e delle fabbriche.

Possiamo relegare questi eventi in vecchi libri nascosti su scaffali senza nome, abbandonarli in preda alla polvere, destinarli all’oblio delle cantine senza posarvi lo sguardo sopra per anni e anni. Possiamo scordare simili eventi del passato, ma arriva sempre il momento in cui tornano attuali: quando le contraddizioni della società giungono a maturare, servono da esempio per una nuova azione sociale e politica.

Ci sono elementi, che vanno ben al di là della buona volontà di Landini. Consci della Storia e degli ostacoli che ci si parano davanti, dobbiamo ribaltare il tavolo della discussione. Ci sono elementi, che vanno ben al di là della buona volontà di Landini, che mi portano a confidare nella possibilità di reazione della maggioranza invisibile: la strutturazione del campo sociale, con la crescita numerica della stessa maggioranza invisibile rispetto a neoliberisti e super-garantiti; e l’impoverimento progressivo dell’elettore mediano.

È una situazione inedita, in cui quest’elettore, decisivo, era parte della middle class, con la sua visione del mondo moderata e un reddito sufficiente a garantire uno standard di vita confortevole. Oggi non è più così. L’elettore mediano/moderato è sempre meno middle class e sempre più parte della maggioranza invisibile, danneggiato dall’assenza di politiche sociali universali. Anch’egli dovrebbe quindi, nel lungo periodo (con la progressiva erosione del suo livello di risparmio), volgersi verso la richiesta di una più equa distribuzione della ricchezza.

Dobbiamo lasciarci alle spalle il lavorismo, e con esso una narrazione negativa e residuale della maggioranza invisibile

Da questo punto di vista, azionare una nuova coalizione sociale significa lavorare dall’interno: la severità dei fattori esterni è stata troppo spesso usata come alibi per non guardarsi dentro, in definitiva per non agire. Sono invece soprattutto i fattori interni a provocare la cecità della maggioranza invisibile. Per analizzarli correttamente, bisogna distaccarsi dal dogma lavorista della vecchia sinistra che ci impedisce di vedere come le caratteristiche della maggioranza invisibile siano radicalmente diverse da quelle della working class fordista. Il dogma lavorista è una zavorra, che tiene ancorata la riflessione sulle riforme sociali a un mondo che non esiste più: la grande trasformazione ha fatto saltare il banco, mandando in soffitta, nei Paesi occidentali, l’organizzazione produttiva fordista e, con essa, la società di massa industriale.

Oggi attaccarsi a quel mondo è funzionale solo a difendere i privilegi dei supergarantiti, a trasformare partiti e organizzazioni sociali “di sinistra” in agenti della conservazione. Per questa ragione, dobbiamo lasciarci alle spalle il lavorismo, e con esso una narrazione negativa e residuale della maggioranza invisibile – ovvero la sua esistenza come semplice riflesso delle trasformazioni sociali – per abbracciare e diffondere, invece, una visione positiva e attiva del suo emergere, del suo essere corpo sociale in potenza. È questa la grande sfida che si para davanti alla coalizione sociale. Se avremmo intelligenza, cuore e polmoni per correre in una nuova direzione, distaccandoci dalla zavorra del passato, il futuro forse, non è poi così cupo.

Vado a fare coalizione

Essere Sinistra

Images From A Coal Wholesaler As Modi Seeks To End 40 Year Gover

di Massimo RIBAUDO

Ancora sento nelle orecchie il ronzio delle fantasie e delle speranze degli oppositori di Matteo Renzi. Poveracci, li capivo. Avevano perso non solo un congresso, ma una scalata aziendale a suon di azioni comprate al mercato delle vacche, e, come si dice a Roma:”nun ce volevano sta“. Così si inventavano narrazioni personali autoassolutorie completamente svincolate dal benché minimo senso della realtà.

“Vedrai che Renzi cade”, “Adesso la bolla si sgonfia”: lo stesso Fabrizio Barca parlò a proposito del governo Renzi – credendo ad una falsa telefonata di Vendola – di operazione avventurista e sconclusionata, senza strategia. Si sbagliava di grosso.

Infatti Renzi è ancora lì, con la sua aria di “dopo di me, il diluvio“, e ha spaccato Forza Italia, inglobato Scelta Civica e molti del Nuovo Centro Destra oramai avrebbero voglia solo di entrare nel PD. Cosa che, a livello locale, stanno…

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Come nasce la Coalizione Sociale

Segnalato da barbarasiberiana

Di Alessandro Giglioli – “Piovono Rane”, 20/03/2015

«La vera scommessa è ricostruire un progetto e un disegno su come cambiare il Paese. Qui, in termini politici, oggi c’è un vuoto. Bisogna uscire da un’idea minoritaria, dalla convinzione che basti mandare in Parlamento una testimonianza di qualche interesse o valore. Il punto è che la sinistra dev’essere un soggetto che mette insieme persone con un’idea di trasformazione».

Sono alcune delle parole che Maurizio Landini mi ha detto circa un anno fa, quando ancora non si parlava del suo possibile ingresso in politica, Renzi era da pochi mesi a Palazzo Chigi e il Jobs Act era ancora oggetto sconosciuto. Come si vede, l’idea che si sta concretizzando in questi giorni frullava già da un po’, nella testa del leader Fiom.

Il fatto è che Landini è di quelli che quando parlano con un giornalista inizia un po’ svogliato, quasi gli toccasse ripetere sempre le stesse cose a un alunno un po’ zuccone; se poi però con le domande si riesce a svegliare il suo interesse, a mostrargli che non sei in cerca di un titolo a effetto su Renzi o la Camusso, ti guarda un secondo da dietro gli occhiali e poi inizia a parlare che non lo fermi più.

Quel giorno, l’idea di un libro sulla diaspora della sinistra evidentemente un po’ lo incuriosiva, e il diesel è partito. Sul “vuoto di rappresentanza”, soprattutto: «Quest’anno abbiamo mandato un questionario a tutti gli operai della Fiom, per capire meglio chi sono. I risultati sono impressionanti: primo, solo una piccola minoranza è iscritta a uno di quelli che si definiscono partiti di sinistra; secondo, anche il modo in cui votano è frantumato in modo estremo, dalla Lega al Movimento 5 Stelle. Insomma, in fabbrica stanno con noi perché vedono che rappresentiamo bene i loro interessi, ma in politica non trovano le stesse risposte. E, per chiarezza, non sono i lavoratori a essere schizofrenici: sono i partiti di sinistra che evidentemente non sanno più creare fiducia. E allora gli operai alle urne non scelgono in base ai loro interessi, che sentono ugualmente non rappresentati, ma in base ad altro: magari all’emotività, alla simpatia, al miraggio di pagare meno tasse o al desiderio di mandare tutti a casa».

Di qui l’obiettivo, diceva: «Tentare di recuperare un’egemonia culturale e di pensiero su principi come l’eguaglianza, la redistribuzione, la solidarietà, la giustizia sociale. Bisogna partire da lì, dall’elaborazione di un modello sociale alternativo a quello che c’è oggi. Ad esempio, io non credo che nella costruzione della sinistra di domani sia utile creare un soggetto che si ponga semplicemente “a sinistra del Pd”, altrimenti si ricasca nella testimonianza e nel minoritarismo: l’obiettivo da porsi semmai è puntare a creare l’epicentro di un nuovo disegno sociale, non una costola del centrosinistra attuale».

Pertanto, aggiungeva, i passaggi sono tre: «Primo, la costruzione di un progetto, di una visione generale di cambiamento, di un disegno verso cui tendere; sembra banale, ma oggi manca. Secondo, la partecipazione democratica e il coinvolgimento delle persone: se si ha la sensazione di non poter incidere veramente nel proprio partito, è già finita. Terzo, la coerenza dei comportamenti: non è pensabile che le persone di sinistra si identifichino in un partito se vedono che i suoi leader e i suoi apparati non fanno le cose che dicono, cioè si riservano dei privilegi e degli status che oggi non sono più accettati da nessuno. Se vuoi rappresentare le persone, devi vivere come fanno le persone. È proprio la condizione di base, per un rapporto di fiducia».

Oggi, un anno dopo, questi virgolettati possono forse aiutare a chiarirci un po’ le idee su Maurizio Landini e magari perfino sul percorso che può avere in mente.

Intanto, certo, «fare politica», che non vuol dire necessariamente fare un partito, almeno non subito. Si fa politica infatti in mille modi, nel tessuto sociale di un paese, con battaglie locali e nazionali. Non è stato fare politica il referendum sull’acqua pubblica del 2011, che pure non aveva alcun collegamento con i partiti in Parlamento? Non hanno fatto politica i Social Forum nel primo decennio di questo secolo? Non sarebbe politica una campagna accanto a Emergency per tagliare le spese militare o la sanità pubblica? Non è stata politica la miriade di iniziative mutualistiche e sociali implementata da Syriza molto prima di diventare governo, quando dava aiuto legale agli sfrattati o mandava autobus con medici e apparecchi sanitari nei centri in cui il governo aveva chiuso gli ospedali?

Poi, più avanti – se si crea un rapporto concreto e positivo tra un soggetto organizzato e una vasta fascia di popolazione – si può pensare a una sua rappresentanza nelle istituzioni. Ma non prima, che le case non si costruiscono dal tetto. Del resto le società di mutuo soccorso e le camere del Lavoro (prime esperienze italiane di “coalizione sociale”, sul finire dell’Ottocento) nascono prima non solo del Pci, ma perfino del Partito socialista di Turati.

Non so se Landini ha in mente di svolgere in prima persona un’eventuale futura rappresentanza: può darsi che altri emergano in questa funzione, proprio dall’esperienza precedente nella politica non partitica; di certo tuttavia il leader Fiom intende avere un ruolo in questa fase di tessitura e di «elaborazione di un modello sociale alternativo a quello che c’è oggi», con lo scopo di «creare un soggetto maggioritario e che non si ponga semplicemente “a sinistra del Pd”», per tornare alle sue parole.

Nell’agire di Landini pesano parecchio, è evidente, anche le ultime fallimentari esperienze tentate proprio a sinistra del Pd: la lista capeggiata da Bertinotti nel 2008 (sotto il 4 per cento), quella messa in piedi da Ingroia due anni fa (appena sopra il 2) ma anche L’Altra Europa per Tsipras che nel maggio scorso ha superato di un soffio lo sbarramento per dissolversi subito dopo nelle consuete risse. Tutte queste vicende raccontano di addizioni di sigle che hanno sempre assommato le loro debolezze (e nei primi due casi, i loro leader) senza costruire alcuna vera sintonia con il Paese, o almeno con alcune delle sue fasce più numerose.

In questo senso, il pensiero che sottende il ragionare del leader Fiom è facilmente rintracciabile nelle parole di Stefano Rodotà, il primo che ho sentito usare l’espressione “coalizione sociale”, nel medesimo periodo. Si parlava della lista Tsipras, appunto, di cui Rodotà pure era stato elettore ma senza nascondersene i limiti: «I miei dubbi sono relativi alla ripetizione delle semplificazioni che ci sono state sia con la Sinistra Arcobaleno nel 2008 sia con Rivoluzione Civile nel 2013: la convinzione cioè che basti mettere insieme un po’ di pezzi per arrivare al risultato. Il percorso di una coalizione sociale non si può improvvisare se si vuole che abbia un respiro ampio, che fondi una nuova cultura dei principi. Bisogna avere un po’ di pazienza e un po’ di programmazione per ripartire, dopo la terra bruciata che era stata fatta per tanti anni. Ci sono dei modelli, in questo senso: come l’esperienza di Emergency, quella di don Ciotti con Libera, quella della stessa Fiom. Che sono di successo perché hanno lavorato su un lungo lavoro di radicamento sociale».

Come si vede, anche i soggetti indicati da Rodotà un anno fa sono esattamente gli stessi che hanno partecipato alla prima riunione della Cosa che Landini sta cercando di mettere in piedi, il 14 marzo scorso.

Dove e quando andrà questo percorso, tuttavia, credo che non lo sappia nemmeno Landini. Intendo dire: sarebbe sbagliato pensare che nella testa sua e dei suoi ci sia una strategia precisa e con una tempistica stabilita per radicare il progetto e poi di lì fare un partito. È molto più probabile che il segretario Fiom – pur sperando in un progetto sul lungo termine maggioritario – preferisca sul breve “camminare domandando”, come recita un famoso slogan zapatista. Il che vuol dire ascoltare, conoscere, leggere continuamente la realtà nelle sue trasformazioni, per poi decidere in viaggio se è cosa fattibile o no anche la rappresentanza, insomma “il partito” – quale che ne sia la sua forma.

Ovviamente nella politica di palazzo, a sinistra, c’è chi caldeggia già questo passaggio – per farne parte – o al contrario lo teme, perché ha paura di esserne escluso e quindi di perdere la sua attuale (pur minuscola) rendita di posizione. Nella sua prima riunione, come noto, Landini li ha lasciati tutti fuori dalla porta.

Non so se è stato un errore o no. So però che anche questo è il contrario di tutto quello che è stato fino a ieri – che ha portato al nulla: quindi ogni nuova pratica difficilmente può fare peggio.

È MOVIMENTO SOLO SE SI MUOVE

segnalato da Ciarli P.

Esclusiva, Casarini da Francoforte: “Landini guardi a Blockupy per un’Italia contro i potenti”

di Andrea De Angelis – intelligonews.it, 18 marzo 2015

IntelligoNews ha intercettato Luca Casarini, storico esponente dei movimenti di sinistra italiani e già candidato con la Lista Tsipras alle ultime europee, in strada a Francoforte, durante la protesta dei movimenti nel giorno dell’inaugurazione dei nuovi uffici della Bce…

Casarini, perché in questo momento sta manifestando a Francoforte?

«C’è una situazione di grande protesta da questa mattina alle sei. Oggi è il giorno dell’inaugurazione della Bce e migliaia di persone stanno manifestando per sottolineare l’assurdità di grandi festeggiamenti nei confronti di un’Europa in cui aumenta la povertà dal punto di vista sociale».

Si parla di una decina di feriti e di una città messa a ferro e fuoco…

«Ci sono state barricate, vari tentativi di bloccare gli ingressi della Bce e naturalmente la polizia era presente e ha fatto cariche oltre ad utilizzare gli idranti».

Dove si trova adesso?

«Sono in un blocco di oltre duecento italiani che sono stati fermati e adesso vengono presi ad uno ad uno dai reparti di polizia per l’identificazione».

Ci sono delle delegazioni con lei?

«Sì, c’è sia quella dei parlamentari europei de L’Altra Europa con Eleonora Forenza, che quella dei parlamentari di Sinistra Ecologia e Libertà con Fratoianni e Zaccagnini. Di certo oggi non si potrà dire che l’Europa è un luogo pacificato in cui i potenti possono fare le loro grandi feste di apertura di palazzi e le persone non protestano».

In rete si vedono filmati di ragazzi mascherati. C’è divisione tra i gruppi?

«Non c’è nessun tipo di divisione tra le persone, ci sono tanti modi diversi e creativi di fare blocchi e la protesta è molto dura perché fatta in un luogo in cui teoricamente oggi non doveva esserci nulla se non le sfilate di macchine blindate dei vari potenti della finanza e delle banche. C’è tensione perché la gente vuole protestare, ma nessuna divisione tra parti».

Tutto sommato mi sembra di capire che la situazione è comunque sotto controllo, non c’è il rischio di una escalation?

«Sì, l’obiettivo politico di questa protesta è stato pienamente raggiunto, ovvero quello di chiedere con forza un’Europa democratica dove la questione aperta dalla Grecia diventi una questione politica per tutti i governi europei. Ridiscutere insieme che tipo di Europa vogliamo. Adesso bisogna evitare l’escalation da parte della polizia e su questo credo sia importante anche il ruolo dei media».

Venendo alla coalizione sociale di Landini, oggi a Francoforte è presente anche la Fiom?

«Sì, ci sono dei pullman di persone della Fiom che manifestano. Ci sono reti sociali, studenti, precari, insomma tutta la coalizione sociale europea, Blockupy, che ha realizzato questo evento. Anche questa in Europa è già una coalizione sociale».

Dunque la coalizione sociale in Italia guarda anche a questo modello?

«Spero e penso di sì, credo che sia il modo giusto di affrontare il tema di come organizzarci per cambiare la storia di un’Europa fatta fino ad ora di povertà sempre più grandi da una parte e ricchezze di pochi dall’altra».

Eppure su molti giornali si scrive che i movimenti identitari in Italia non hanno mai funzionato, quasi preannunciando un flop di Landini. Come risponde?

«Non credo che Landini intenda la coalizione sociale come movimento identitario, ma che ponga il problema di mettere insieme ciò che l’austerity divide. Oggi purtroppo la crisi, la miseria e la povertà tendono a costruire guerre tra poveri piuttosto che prendersela con i veri potenti. Oggi si vedrà chi sta con i potenti e chi invece con le persone che vogliono riprendersi in mano il proprio destino».

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«È movimento solo se si muove. Se sta fermo, potrebbe trattarsi di fermento, ma il fermento è quasi sempre cattiva digestione». Ciarli P.

 

 

 

La Coalizione è servita

segnalato da crvenazvezda76

LANDINI, LA COALIZIONE E’ SERVITA

di Antonio Sciotto – ilmanifesto.info, 14/03/2015

Fiom. «Non siamo un partito, ma siamo qui per unire tutti quelli che il governo ha diviso». Il leader delle tute blu Cgil presenta il suo nuovo soggetto. All’incontro con movimenti e associazioni, ma senza politici né stampa, c’erano anche studenti, avvocati e partite Iva. Con i distinguo di Libera e l’attacco frontale da parte del Pd.

E così è nata: non in piazza, o con uno sciopero, ma con una discussione a porte chiuse. Lontano dalla stampa, «dal clamore dei media», come aveva precisato qualche giorno fa la stessa Fiom, invitando i soggetti della costituenda Coalizione sociale. E mostrando una certa allergia sia nei confronti dei politici che dei giornalisti.

Un netto distacco dall’“apparato” — in altri ambienti si direbbe la “casta” — che il segretario dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini, ha voluto rimarcare, proprio perché l’intento di questo nuovo soggetto è quello di riappropriarsi della politica: fin dalla base, dai movimenti e dalle associazioni, e ovviamente dai luoghi di lavoro. «Perché la politica non è una proprietà privata», come ha evidenziato nella famosa frase scritta in grassetto nella sua lettera di convocazione agli alleati.

Per l’ennesima volta Landini, aprendo i lavori poco dopo le 10,30 nella sala riunioni della Fiom nazionale a Roma, ha ripetuto che «la coalizione sociale non vuole essere un partito e non vuole fare un partito». Anzi, come ha spiegato il costituzionalista Gianni Ferrara uscendo durante una pausa, ha detto che «chi pensa che siamo qui per fare un partito se ne vada a casa».

Questo non vuol dire che la Coalizione sociale non faccia politica, anzi: la fa nel senso più nobile del termine, e Landini cita l’articolo 2 della Costituzione, quello che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Unirsi, «coalizzarsi», è quindi un diritto e anche un dovere.

Unirsi, «unire quel che il governo ha diviso»: per questo, ripete Landini, «serve superare le divisioni, il frazionamento, le solitudini collettive e individuali e coalizzarsi insieme». È questo, «lo spirito innovativo» su cui si fonderà la nuova coalizione sociale, «indipendente e autonoma», puntualizza ancora, ribadendo i concetti che aveva scritto nella sua lettera: per poter affermare una «visione nuova del lavoro, della cittadinanza, del welfare e della società».

Nel corso dei diversi interventi si traccia un possibile percorso, da fare insieme: con Libera, Arci, Emergency, ma anche Legambiente, Libertà e giustizia, il gruppo Abele. E ancora, la possibilità di coinvolgere le associazioni di freelance e partite Iva, come gli avvocati di Mga, i farmacisti, i dottorandi di ricerca. Chiaro che Landini vuole andare oltre il sindacalismo metalmeccanico di stampo classico, per coinvolgere i nuovi lavoratori, anche quelli che non si riconoscono come dipendenti.

Per tracciare un nuovo «Statuto dei lavoratori», a partire dall’elaborazione della stessa Cgil, ma non solo, e anche andare a un «referendum»: per «cancellare quello che delle leggi attuali non ci piace, come il Jobs Act». E per fare questo, «bisogna creare consenso, diffondere e coltivare una cultura dei diritti», e «lo possiamo fare solo se stiamo nelle fabbriche ma anche fuori». Dove serve la solidarietà: «Perché sempre più persone si avvicinano al sindacato dicendo che non arrivano alla fine del mese, e allora a queste persone noi dobbiamo dare risposte».

Non a caso la saldatura con i gruppi cattolici, e con associazioni come Emergency che assicurano l’assistenza sanitaria a poveri e immigrati. E poi i recenti riferimenti, tra il serio e il faceto, a papa Francesco. Allargare oltre il consueto steccato della sinistra, abbandonare i vecchi partiti che hanno perso, polverizzati da Renzi, Grillo, e Salvini. Bisogna dare un messaggio di «nuovo», al di là dei contenuti più solidi, e questo Landini lo sa bene.

Anche se ieri è arrivata una prima puntualizzazione di Libera, che ha spiegato che sì, partecipa e collabora, ma che non entra in nessuna coalizione sociale: «Libera non partecipa a nessuna coalizione sociale», ha fatto sapere l’associazione di Luigi Ciotti in una nota. Libera specifica di aver soltanto raccolto l’invito a «incontrarsi per affrontare singole questioni di comune interesse». «Nel manifesto conclusivo di Contromafie, gli Stati generali dell’antimafia svolti a Roma nell’ottobre 2014 abbiamo indicato con chiarezza i dieci punti su cui siamo impegnati, come rete che raccoglie oltre 1.600 associazioni».

Lo scontro con i democrat

Come si può immaginare le peggiori stoccate sono venute dal Pd. Non solo l’entourage renziano, che ha parlato solo in serata: «Si conferma che l’opposizione di questi mesi era più politica che sindacale», dice il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini.

Ma i più acidi sono quelli dell’area riformista del Pd, che vedono togliersi potenziale terreno sotto i piedi, mentre vorrebbero essere loro, pur in preda a un eterno amletismo, a interpretare la sinistra a sinistra del Pd (vedi i brillanti risultati sul Jobs Act). E così Roberto Speranza dice che «la parola scissione non esiste, non fa parte del vocabolario Pd», e che «la solu­zione non può essere una nuova sinistra antagonista che nasce dalle urla televisive di Landini, ma avere più sinistra nel Pd e nella nostra azione di governo». Molti aspettano fiduciosi.

Gli risponde Landini, che si dice «più attento ai contenuti che ai decibel»: «Il partito di maggioranza, non tutti — aggiunge — ha votato la cancellazione dello Statuto dei lavoratori. Ma il partito, questo governo, non hanno mai avuto un mandato del popolo su un tale programma».

Porte aperte alla coalizione sociale dal Prc di Paolo Ferrero («Ottima notizia») e da Sel di Nichi Vendola: «È una necessità».

L’appuntamento sabato prossimo a Bologna per la manifestazione di Libera, e poi sabato 28 a Roma, in Piazza del Popolo.