di Antonio “Boka”
Il mio interesse (e la scoperta) verso il fenomeno del “dumbing down” risale a più di una decina di anni fa. Ero in un supermercato “Tesco” nella interminabile isola delle patatine fritte (credetemi, generalmente almeno una decina di metri lineari). La mia attenzione fu attratta da una confezione della Walker (marchio dominante) con la foto di una sola patatina, nettamente diversa dalle altre che mostravano la più o meno solita cascata di oro giallo e croccante. Nel maneggiare la confezione noto un asterisco vicino all’immagine. Cerco la nota esplicativa e leggo: “not actual size” (dimensione non reale). Tralascio di descrivere risata e conseguente pensiero sull’irreversibile processo di “decrescita infelice” dei cervelli degli isolani. Pensavo si trattasse di un episodio isolato, prodotto da qualche esperto di marketing finito in precedenza in bancarotta in seguito ad azioni legali di massa per aver promesso chissà cosa. Qualche settimana dopo compriamo una confezione di tiramisù (curiosità senza grosse aspettative). Mosso da dubbi (più che leciti) sugli ingredienti, tipo schiuma da barba usata al posto del mascarpone, sollevo la confezione per leggere l’etichetta e leggo: “Do not turn upside down” (non capovolgere). In compenso non c’era la scritta: “leggere le istruzioni sul fondo prima di consumare”. A questo punto comincia l’investigazione sistematica. Una breve rassegna.
- Ferro per stirare i capelli: avvertenza a scelta, “solo per uso esterno”, ”attenzione può bruciare gli occhi”,
- Asciugacapelli: “non usare mentre si dorme”;
- Tavoletta di cioccolata in forma di cd: “non inserire in nessun tipo di apparecchiatura elettronica”;
- Bagno pubblico, avviso sopra la tazza: “attenzione acqua riciclata, non potabile”;
- Parastinchi per ciclisti: “attenzione questi parastinchi non proteggono altre parti del corpo;
- Schermo parasole per auto in sosta: “non guidare con lo schermo piazzato sul parabrezza;
- Avviso su aiuola abbellita con sassi: “mangiare sassi potrebbe indurre la rottura dei denti;
- Cartolina di auguri prestampata “Felice Primo Compleanno”: “non adatta a bambini di età inferiore a 36 mesi”;
- Specchietto per motociclista montato sul casco con scritta: “ricorda che gli oggetti riflessi sullo specchio sono dietro di te”;
- Passeggino pieghevole: “attenzione, rimuovere il bimbo prima di piegare”;
- Confezione di pillole per dolori premestruali: “attenzione, non usare in presenza di problemi alla prostata;
- Sciroppo per la tosse per bambini:” non guidare o usare macchinari dopo l’ingestione. Può causare sonnolenza”.
Mi fermo qui, ma l’elenco è piuttosto lungo ed ogni giorno ne inventano una nuova.
Torno serio.
Il dumbing down prima che fosse coniato il termine è stato studiato abbondandemente negli USA sotto la categoria “anti-intellettualismo” (se qualcuno trova già adesso analogie con i professoroni ed i gufi siete prevenuti anche se avete ragione).
Una delle descrizioni più accurate di questo fenomeno è stata scritta da Asimov: “C’è un culto dell’ignoranza negli USA e c’è sempre stato. Una sorta di convinzione strisciante che si è fatta spazio nella nostra vita politica e culturale alimentata dalla nozione mistificatrice che democrazia significhi che la mia ignoranza ha lo stesso valore della tua conoscenza”.
Questo molto prima che ci fossero i “social media” in cui ognuno si sente titolato non ad esprimere la propria opinione ma il proprio giudizio (pretendere la comprensione della differenza tra i due termini significherebbe l’assenza del fenomeno del “dumbing down”).
Una conseguenza di questa situazione in cui chiunque comprende, esprime e propone soluzioni su qualsivoglia materia, estremamente utile per la “politica” (meglio, per coloro che detengono il potere) è che acquisire “conoscenza” non sia una cosa utile di per sé fino ad arrivare all’aberrazione di considerare le persone genericamente “di cultura” come quelle di cui essere sospettosi e quasi sempre con secondi fini.
Anche qui potremmo trovare qualche somiglianza, ma, lasciamo stare.
Siamo passati (parlando degli USA, ma anche qui da noi c’è poca differenza, abbondano i tecnici ma guai a chiamare qualcuno intellettuale o professore) dalla Casa Bianca di John Kennedy (senza nessuna intenzione di alimentare un mito ma solo di descrivere un clima) stracolma dei migliori intellettuali dell’epoca alla Casa Bianca di Bush ed il suo “folks” (la “gente”).
Da notare, a questo punto, a proposito delle “avvertenze” sopra citate che la perversione di questo processo consiste nel fatto che gli autori delle “note esplicative” pensano di facilitare la vita a degli “stupidi” senza rendersi conto che loro sono il prodotto primario di quella stupidità.
La trasformazione della scuola, motivata dall’urgenza di mettere i giovani in grado di trovare lavoro (curiosa catena causale come se la scuola fosse la causa della disoccupazione e non un altro dei modi delle imprese di scaricare i loro costi sulla società, ma questo è possibile proprio grazie alla scomparsa totale del pensiero critico dall’insegnamento) è stata una delle prime, profonde trasformazioni operate da quello che è un progetto partito da lontano. Non a caso le prime vittime nell’insegnamento sono state le materie “inutili” storia, geografia, filosofia e le scienze ridotte a manuali di tecniche risolutive (che poi non si sappia come definire un problema è cosa che riguarda solo le ristrette élites). A questo mutamento corrisponde la crescita di un’orda, di branchi sempre più ampi di comportamenti sempre più uniformi alimentati dal proliferare di programmi televisivi tutti uguali e sempre più ammantati dalla parola “realtà”. Così le parole d’ordine del neoliberalismo, del non siamo tutti uguali, l’esaltazione delle differenze, il merito, la competizione, la libertà di scelta producono esattamente il loro contrario: lo stampo in serie di macchinette per il consumo a cui l’unica libertà di scelta è la proposta di marchi diversi che fanno capo tutti allo stesso produttore.
Una osservazione “triviale” che mi capita di fare ma che comunque rende bene il cambio di percezione del “pubblico” rispetto agli “intellettuali” è il passaggio da “come parla bene!” (sottintendeva, “non ho capito niente per cui doveva essere qualcosa di importante”) a “quello sì che parla chiaro!” (che sottintende “deve dire per forza delle cose vere giacchè le avrei dette anch’io allo stesso modo”). Quello che non è cambiato è comunque la separazione tra lo spazio delle cose su cui si pensa di poter incidere e quello delle cose al di fuori del proprio raggio d’azione (per cui si delegava a chi ne aveva le competenze). L’unica differenza è che adesso le cose al di fuori della nostra portata non ci interessano poiché le soluzioni proposte sono le stesse a cui avremmo pensato noi per cui, grazie tante, c’è chi se ne occupa e gli siamo anche grati.
In questo processo, va ricordato, le responsabilità del ceto negletto e vituperato, gli intellettuali, sono, però, enormi. In un lento e quasi invisibile processo, tutti si sono ritirati da attività di impegno diretto, per mancanza di coraggio o convinzioni, poco importa. Adesso la trasformazione è profonda e non sarà facile recuperare.
Non ha contribuito a rendere più semplice la situazione la “professionalizzazione” degli intellettuali. Il proliferare delle discipline, delle specializzazioni è la situazione speculare delle operazioni plurimarca a base del marketing delle multinazionali. Vogliamo ad esempio parlare della Filosofia (per mantenerci sulla più astratta delle professioni intellettuali)? Sono certo che Hegel alla domanda: “lei che di professione fa il filosofo….” avrebbe, nella migliore delle ipotesi, sgranato gli occhi. Si producono centinaia di studi critici, revisioni, comparazioni, colate laviche di articoli per riviste specializzate per giustificare cattedre, promozioni e posti al calduccio nelle aule universitarie. Credo che la lista degli insegnamenti di Filosofia con qualche specificazione a seguire sia abbastanza lunga. Per non parlare delle specializzazioni su periodi storici sempre più brevi o definiti geograficamente. Per molto tempo la Filosofia si è dispiegata come una sorta di continuum (generalizzo lo so) di pensieri che si confrontavano con chi li aveva preceduti come se si volesse trovare “la chiave” o “la spiegazione”, oggi è più probabile che la ricerca sia incentrata su come passare da straordinario ad ordinario (tralasciamo i ricercatori). In tutto questo gli studenti, sono come la sabbia nelle mutande di cui parlava Heiner, anzi gli studenti sono le mutande che impediscono il grido ingenuo: “Il professore è nudo!”. Gli studenti da fine diventano mezzi (di sostentamento per i cattedratici).
Lamentarsi delle trasformazioni e convincere il “pubblico” a riprendere l’impegno nella sfera pubblica è un pò come convincere qualcuno, prima di un viaggio a mare, che non è importante saper nuotare e poi gridargli: “buttati a mare se vuoi salvarti”. Di certo se fossi io il destinatario di quel grido vorrei avere la soddisfazione di calargli un calcio nei denti sussurrando “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
PS Nota a memoria per una possibile ricerca: Riscrivere Weber come “Il lavoro intellettuale come mestiere”.