diritti

Femminismo islamico

La sfida delle donne nell’Islam

Al di là dei più triti e fuorvianti luoghi comuni del passato, da tempo si muovono molte cose interessanti nel mondo dell’Islam per quel che riguarda le lotte condotte dalle donne. Come le grandi affermazioni ottenute in Tunisia e Giordania sul piano delle leggi istituzionali. Molta strada è naturalmente ancora da fare: la legge tunisina, per fare un solo esempio, resta discriminatoria in ambito familiare, mentre la Giordania, che ha finalmente abrogato il matrimonio “riparatore” in seguito a uno stupro, è ancora ben lontana dal raggiungere risultati significativi sul piano culturale e su quello dell’impunità delle violenze. Della “jihad delle donne” – una parola che i terroristi hanno trasformato in un qualcosa di terribile, ma “jihad” significa in realtà “sfida personale”, tentativo di superarsi -, a Roma abbiamo parlato a lungo con “Aisha”, una donna somala sunnita che da più di 25 anni vive in Italia e lavora con i migranti.

di Patrizia Larese – comune-info.net, 12 agosto 2017

In Tunisia ed in Giordania, l’estate del 2017 rimarrà un anniversario importante nella storia della difesa dei diritti civili e costituirà una pietra miliare lungo il difficile cammino di impegno e di lotta contro la violenza sulle donne.
Il 27 luglio 2017, dopo un iter parlamentare accidentato e ostacolato da ripetuti rinvii che avevano fatto temere un fallimento, il Parlamento tunisino ha approvato all’unanimità con 146 voti a favore la legge contro la violenza e i maltrattamenti sulle donne e per la parità di genere.
Sono stati emanati 43 articoli divisi in 5 capitoli per fornire misure efficaci per contrastare e punire ogni forma di violenza o sopruso basato sul genere. Il testo ha l’obiettivo di garantire alle donne tunisine rispetto e dignità a partire dall’uguaglianza tra i sessi, prevista dalla Costituzione, anche in ambiente lavorativo. L’attuazione della legge include la prevenzione, la punizione dei colpevoli e la protezione delle vittime. Viene offerta assistenza alle donne che hanno subìto violenza domestica e le stesse possono richiedere un’ordinanza restrittiva contro chi ha abusato di loro senza che sia aperta una procedura penale e senza che le vittime debbano chiedere il divorzio, nel caso in cui si tratti del marito.
La legge persegue le molestie nei confronti delle donne anche negli spazi pubblici, un vero tormento per le vittime, non più tollerabile. La nuova normativa prevede, per la prima volta, un’ammenda pecuniaria per i molestatori. Le pene si sono inasprite anche nei casi di violenza in famiglia e l’età del consenso è salita dai 13 ai 16 anni. È criminalizzato l’impiego di minori come lavoratori domestici e i datori di lavoro che non rispettano la parità salariale tra i sessi saranno soggetti a sanzioni.
Il punto cruciale della legge è l’abrogazione dell’articolo 227 bis del codice penale che concedeva una sorta di “perdono” agli stupratori di una minorenne in caso di matrimonio con la vittima. La nuova norma giuridica contempla invece pene molto severe per gli stupratori a cui non è più data alcuna possibilità di sfuggire alla legge. Questa attenuante, presente anche in codici penali di altri paesi, nel 2012 provocò scandalo e forte dibattito in Marocco, dove un’adolescente di 16 anni, Amina, si suicidò con il veleno per topi dopo che fu data in sposa al suo stupratore, evitandogli il carcere. Due anni dopo, il suo caso obbligò il Parlamento marocchino a cancellare con un nuovo emendamento quell’articolo indegno trasformando Amina in un simbolo per i diritti delle donne marocchine.
Il cambiamento di leggi e pratiche ingiuste sulle donne, purtroppo, vede la luce dopo molte vittime e un grande lavoro della società civile che, nel caso della Tunisia, ha avuto un ruolo primario per la stesura della legge.Tuttavia, non si può affermare che sia stato completato il disegno per una uguaglianza reale di genere, l’uguaglianza in ambito lavorativo di rispetto e dignità esiste ma la questione dell’eredità è ancora ferma. La legge tunisina rimane discriminatoria in ambito familiare dato che solo gli uomini possono essere considerati capofamiglia e nel ricevere un’eredità i membri femminili non hanno diritto a una quota pari a quella dei loro fratelli. Il dibattito è in atto e continua sia in Tunisia sia in Marocco, ma il cambiamento è ancora lontano.
A pochi giorni dalla vittoria delle donne in Tunisia, il 1 agosto 2017, anche la Giordania ha abrogato il matrimonio riparatore a seguito di una violenza di stupro.
“Questo è un giorno da celebrare”, ha detto Salma Nims, segretario generale della Commissione nazionale giordana per le donne. “È un momento storico non solo per la Giordania ma per l’intera regione, il risultato degli sforzi della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani del Paese”.
L’articolo 308 violava apertamente i diritti umani secondo gli attivisti giordani. Questa legge permetteva agli stupratori di non essere perseguiti se avessero sposato le proprie vittime e non avessero divorziato per almeno tre anni.
Nell’ottobre 2016, il re Abdullah II aveva ordinato l’istituzione di una commissione reale di riforma del sistema giudiziario e del codice penale, in vigore nel paese dal 1960. A febbraio 2017, il comitato aveva raccomandato l’abrogazione dell’articolo 308.
“Dopo 57 anni, finalmente abbiamo compiuto un passo importante per la riforma della società e per l’eguaglianza tra i sessi”, ha detto Khaled Ramadan, parlamentare giordano e promotore della nuova legge.
Oggi mandiamo un messaggio a tutti gli stupratori, che i loro crimini non resteranno impuniti”. Quando la nuova normativa entrerà in vigore, la Giordania si unirà a paesi come il Marocco, in cui è stato abolito nel 2014.
Secondo l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, altri paesi in cui sono ancora in vigore tali norme sono: Algeria, Iraq, Kuwait, Libia e Siria, così come è ancora presente nei Territori Occupati Palestinesi. L’Egitto ha già cancellato la norma nel 1999, mentre per il Libano e il Barhein la questione è in corso di dibattimento.

Incontro con “Aisha”, al quartiere Esquilino di Roma

In una torrida mattinata romana, seduta in un bar del quartiere Esquilino, converso amabilmente delle importanti conquiste delle donne tunisine e giordane con Aisha (il nome è di fantasia perché la persona per sua tranquillità preferisce rimanere anonima), una donna somala sunnita sulla cinquantina che da circa 26 anni vive in Italia.
Risponde alle mie domande in un ottimo italiano senza accenti e senza inflessioni dialettali, esprime tutta la sua solidarietà per la vittoria delle sue “sorelle”, pensa che siano due traguardi importanti per la difesa dei diritti delle donne in quei Paesi.
Mi racconta che è arrivata da sola in Italia, non porta il velo ma, dice, non lo indossava neppure quando aveva 20 anni e viveva nella sua Terra, perché la Somalia negli anni ’70 e ’80 era un Paese libero dove le donne, nei loro vestiti tipici con colorati foulard sul capo o grandi scialli, sempre abbinati alla tonalità dell’abito, si muovevano senza costrizioni, pur nella loro dignità di donne musulmane. Mi spiega che lei si sente una moderata e rispettosa dei precetti dell’Islam. È sposata con un italiano che si è convertito alla religione islamica già prima di conoscerla. Suo marito, da giovane, dopo aver viaggiato nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, e, dopo aver conosciuto e studiato le culture di quei Paesi, ha deciso di abbracciare la religione di Mohammad (Maometto).
Aisha lavora nei centri di accoglienza per immigrati, sempre a contatto con persone indigenti e bisognose, ascolta ogni giorno decine di storie di donne musulmane immigrate, offre loro supporto per una più facile integrazione nel nostro Paese. Secondo la sua esperienza, molti stereotipi del mondo islamico, pur rimanendo presenti nei media e nell’opinione comune, sono ormai superati in Italia: la poligamia, per esempio e l’infibulazione. Ha visto che la maggioranza degli uomini musulmani sono convinti della propria monogamia.
La poligamia – mi conferma – storicamente si è rafforzata dopo vari conflitti bellici delle epoche iniziali dell’Islam (anche se c’era già, ovviamente, in tutto il mondo antico) ed era mirata soprattutto per consentire la sopravvivenza delle vedove e dei numerosi orfani che rimanevano privi di sostentamento e che erano destinati ad una sicura esistenza di stenti e di indigenza.
“L’infibulazione – mi spiega Aisha – non ha nulla a che fare con la religione islamica, è una pratica pre-islamica e si presume che provenga dagli Egizi, per questo motivo nel mio Paese veniva chiamata “infibulazione faraonica”. Fortunatamente non si pratica più da circa 25 anni, almeno nei centri più popolati. Era un’usanza che veniva messa in atto più per un equivoco sociale, una sorta di “ulteriore protezione e garanzia” dell’integrità intima delle ragazze, in qualche modo legata ad una prassi derivante dai precetti del Corano. Diverso è il caso della circoncisione dei maschi che è invece molto consigliata.”

foto: Natalia Andújar – WordPress.com

In Somalia nel 1991 è scoppiata una guerra civile (che non si può dire sia cessata del tutto malgrado l’attuale presidente sia stato votato da una grandissima maggioranza di somali) che ha provocato migliaia di morti ed una diaspora enorme. Chi, come Aisha, ha potuto, è fuggito, ora esistono comunità somale in tutto il mondo. “La gente del mio Paese – prosegue – è più praticante rispetto al passato e, in particolare, le donne oggi si coprono di più forse anche a causa della ferocia e delle violenze che sono state costrette a vedere e a subire durante il terribile conflitto e poi perché hanno riscoperto i benefici della fede, della fratellanza, del rispetto della vita, del creato e del suo Creatore.
Dopo l’11 settembre l’Occidente si è arroccato sui propri nazionalismi e vive i musulmani come nemici, non tutto l’Occidente fortunatamente. Ogni donna con il velo, ogni uomo con la barba, sovente, sono visti con sospetto, circospezione, diffidenza e le moschee, spesse volte, sono considerate potenziali luoghi di ritrovo per presunti terroristi.
Molti musulmani, a loro volta, dopo il crollo delle Torri Gemelle sentendosi più emarginati ed esclusi che in passato, hanno riscoperto le loro origini religiose e rafforzato le ritualità sia in moschea sia in comunità.
Il vivere maggiormente la religione è un riconoscimento di fede e di appartenenza.
Quando le chiedo come mai abbia deciso di non portare il velo lei, molto candidamente, mi risponde: “So che come donna musulmana è un mio limite, però, personalmente quando non porto il velo mi sento meno osservata, diciamo che è come se mi mimetizzassi un po’ anche se sono fiera della mia fede. Ora ci sono molte più donne col velo. Comunque indosso il velo come tutte le donne musulmane durante la preghiera e i riti. Il velo – prosegue Aisha – è un segno di dignità nei confronti di noi stesse e argina il narcisismo dell’anima, è un simbolo di modestia e di umiltà nei confronti della comunità e, naturalmente, un’offerta spirituale verso Allah”.
Non solo in Tunisia ed in Giordania le donne stanno compiendo enormi passi avanti sul percorso dell’indipendenza e dell’emancipazione ma, in Occidente, nel mondo musulmano è in atto un grande movimento femminile, il cosiddetto “femminismo islamico” che sta sfidando con grande determinazione i pregiudizi religiosi e culturali tradizionali.
La definizione di “femminismo islamico” sembra un ossimoro eppure esistono già in Europa e negli Stati Uniti donne che guidano la preghiera, imamah, teologhe, storiche, attiviste che combattono quotidianamente la loro personale jihad.
Questo movimento è esaminato con cura nel libro “La jihad delle donne” della giornalista Luciana Capretti (Salerno Editrice) in cui sono riportate numerose interviste di donne musulmane, la maggior parte figlie di seconda generazione, ormai inserite nel Paese che le ha accolte. Queste paladine del nuovo millennio lottano non solo per se stesse ma si impegnano per offrire aiuto ad altre donne musulmane perché possano conquistare una maggiore consapevolezza e determinazione per liberarsi, in molti casi, dal giogo della violenza domestica e da altri soprusi che sono costrette a subire nella vita di tutti i giorni.
“La chiamano la jihad delle donne, perché jihad, che i terroristi hanno trasformato in una parola terribile, simbolo di violenza ed orrore, significa in realtà “sfida personale”, tentativo di superare se stessi”1
Interessante la storia di Amina Wadud una donna di colore afroamericana con i capelli grigi, teologa che oggi insegna alla Starr King School e alla University of California di Berkeley che è diventata la prima imamah riconosciuta dei nostri tempi.

Una manifestazione delle donne giordane per l’abrogazione dell’articolo 308

Era il 18 marzo 2005 quando per la prima volta una donna ha sfidato l’ultimo avamposto di resistenza della supremazia maschile nell’Islam. Ha condotto la salh al-jum’ah, la preghiera del venerdì davanti a una ummah mista di fedeli, una comunità di uomini e donne alla Synod House della Cattedrale St. John the Divine di New York.” Amina, celebre per il suo libro “Qur’an and Women” (Il Corano e le Donne), prima analisi complessiva del Corano sulla base dell’uguaglianza dell’umanità è diventata il simbolo di una nuova corrente di femminismo.
Sherin Khankan, la prima donna Imam della Scandinavia. Di madre finlandese e padre siriano, un anno fa ha inaugurato la “Maryam Mosque”: una moschea femminile a Copenhagen dove, insieme con altre cinque Imam donne, guida la preghiera del venerdì, celebra nozze interreligiose e insegna ai giovani musulmani la via spirituale alla religione di Maometto. Si dichiara una femminista islamica. Ha imparato ad esserlo da suo padre, rifugiato siriano arrivato in Danimarca nei primi anni Settanta. Lui diceva che l’uomo perfetto è una donna. Ė una citazione del poeta sufi Ibn Arabi. Significa che un perfetto musulmano deve, in realtà, cercare di avvicinarsi all’ideale femminile. In una intervista a “Io Donna” del 3 aprile 2017 Sherin ha dichiarato che una delle esigenze emergenti per le giovani musulmane è quella di poter sposare un uomo di un’altra fede religiosa, pur continuando a essere musulmane a tutti gli effetti. L’interpretazione più diffusa della shar’ia permette a un uomo musulmano di sposare qualsiasi donna che abbia una fede monoteista, mentre ciò non è concesso a una donna musulmana, il cui marito può solo essere dello stesso credo religioso. Per una ragazza che cresce, studia e lavora in Europa le probabilità di innamorarsi e voler sposare un cristiano sono elevatissime. Così noi veniamo incontro a questa domanda celebrando nozze tra donne musulmane e uomini di altre fedi religiose, basandoci sul fatto che nel Corano non vi è esplicito divieto di matrimoni interreligiosi per le donne. Molte altre donne stanno seguendo gli insegnamenti di queste “Capitane Coraggiose”, costrette anch’esse ogni giorno a lottare per difendere se stesse ed i loro ideali e principi innovativi da una società e da una mentalità maschilista, ancora ben radicate con i loro usi e costumi.
Le femministe islamiche studiano ed analizzano il Corano con l’intenzione di riportare l’Islam alla sua essenza originaria, fatta di giustizia ed uguaglianza fra uomo e donna.

Note

1 “La jihad delle donne” di Luciana Capretti (Ediz. Salerno 2017) pag. 13.
2 http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-reportage/2017/04/03/sherin-khankan-la-donna-imam-della-scandinavia-sono-una-femminista-islamico/?refresh_ce-cp

Fonti:
1. http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/tunisia/2017/07/27/tunisia-passa-la-legge-contro-la-violenza-sulle-donne_f1df185a-af91-4ddb-9d3f-bd7657b314f2.html
2. http://www.repubblica.it/esteri/2017/07/26/news/tunisia_legge_contro_violenza_donne-171724631/
3. http://www.lastampa.it/2017/07/28/societa/e-sempre-l-8-marzo/in-tunisia-passa-legge-contro-la-violenza-sulle-donne-4fzEQUGlXKQZYVxKsolWlI/pagina.html?lgut=1
4. https://www.hrw.org/news/2017/07/27/tunisia-landmark-step-shield-women-violence
5. https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/27/tunisia-passa-la-legge-contro-la-violenza-ce-vento-di-diritti-per-le-donne/3759085/
6. https://ilmanifesto.it/la-mobilitazione-delle-donne-tunisine-paga-la-legge-e-cambiata/
7. https://www.tpi.it/mondo/africa-e-medio-oriente/giordania/legge-stupro-matrimonio/
8. http://www.ilpost.it/2017/04/24/giordania-articolo-308/
9. https://www.amnesty.it/giordania-finisce-limpunita-gli-stupratori/
10. http://www.treccani.it/enciclopedia/islam-e-condizione-femminile_%28XXI-Secolo%29/
11. http://www.huffingtonpost.it/2016/07/13/velo-islamico-lavoro_n_10958322.html?utm_hp_ref=it-donne-islam
12. http://archivio.panorama.it/mondo/il-mio-iran/L-Islam-e-la-violenza-contro-le-donne-L-ANALISI
13. http://www.giovannidesio.it/articoli/donna%20e%20islam.htm
14. http://www.ingenere.it/finestre/donne-e-islam-una-passeggiata-libreria
15. http://www.lastampa.it/2016/11/23/cultura/opinioni/editoriali/per-i-saggi-del-cairo-il-velo-non-islamico-tjBhDmhFDLbOttB5XFGAAM/pagina.html
16. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/11/velo-nellislam-una-scelta-libera-e-consapevole/526479/
17. http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-reportage/2017/04/03/sherin-khankan-la-donna-imam-della-scandinavia-sono-una-femminista-islamico/?refresh_ce-cp
18. http://27esimaora.corriere.it/articolo/sapete-che-ce-un-femminismo-islamico-rilegge-il-corano-dalla-parte-delle-donne/?refresh_ce-cp
19. https://europa.eu/eyd2015/it/eu-european-parliament/posts/every-girl-and-woman-has-right-education
20. “La jihad delle donne” di Luciana Capretti (Ediz. Salerno 2017);
21. “Le donne nell’Islam” di Sherif Abdel Azim https://islamhouse.com/it/books/191529/

In difesa dei Giusti

In difesa dei giusti, contro lo sterminio

Alle Ong che cercano di sottrarre quei profughi a un destino di sofferenza e morte andrebbe riconosciuto il titolo di “Giusti” come si è fatto per coloro che ai tempi del nazismo si sono adoperati per salvare degli ebrei dallo sterminio. La lotta agli scafisti indetta dal governo italiano e dall’Unione Europea è in realtà una guerra camuffata contro i profughi, contro degli esseri umani braccati. Ed è una guerra che moltiplica il numero e i guadagni di scafisti, autorità libiche corrotte e terroristi: quei viaggi sono l’unica alternativa ai canali di immigrazione legale che l’Europa ha chiuso fingendo di proteggere i propri cittadini.

di Guido Viale – comune-info.net, 12 agosto 2017

Coloro che dalle coste della Libia si imbarcano su un gommone o una carretta del mare sono esseri umani in fuga da un paese dove per mesi o anni sono stati imprigionati in condizioni disumane, violati, comprati e venduti, torturati per estorcere riscatti dalle loro famiglie, aggrediti da scabbia e malattie; e dove hanno rischiato fino all’ultimo istante di venir uccisi.

Molti di loro non hanno mai visto il mare e non hanno idea di che cosa li aspetti, ma sanno benissimo che in quel viaggio stanno rischiando ancora una volta la vita. Chi fugge da un paese del genere avrebbe diritto alla protezione internazionale garantita dalla convenzione di Ginevra, ma solo se è “cittadino” di quel paese. Quei profughi non lo sono; sono arrivati lì da altre terre. Ma fermarli in mare e riportarli in Libia è un vero e proprio respingimento (refoulement, proibito dalla convenzione di Ginevra) di persone perseguitate, anche se materialmente a farlo è la Guardia costiera libica.

Una volta riportati in Libia verranno di nuovo imprigionati in una delle galere da cui sono appena usciti, subiranno le stesse torture, gli stessi ricatti, le stesse violenze, le stesse rapine a cui avevano appena cercato di sfuggire,fino a che non riusciranno a riprendere la via del mare. Alle Ong che cercano di sottrarre quei profughi a un simile destino di sofferenza e morte andrebbe riconosciuto il titolo di “Giusti” come si è fatto per coloro che ai tempi del nazismo si sono adoperati per salvare degli ebrei dallo sterminio.

Invece, ora come allora, vengono trattati come criminali: dai Governi, da molte forze politiche, dalla magistratura, dai media e da una parte crescente dell’opinione pubblica (i social!); sempre più spesso con un linguaggio che tratta le persone salvate e da salvare come ingombri, intrusi, parassiti e invasori da buttare a mare. Non ci si rende più conto che sono esseri umani: disumanizzare le persone come fossero cose o pidocchi è un percorso verso il razzismo e le sue conseguenze più spietate. Come quello che ha preceduto lo sterminio nazista.

Salvataggio in mare foto di Massimo Sestini/Polaris

Nessuno prova a mettersi nei panni di queste persone in fuga, per le quali gli scafisti che li sfruttano in modo cinico e feroce sono speranza di salvezza, l’ultima risorsa per sottrarsi a violenze e soprusi indicibili. La lotta agli scafisti indetta dal governo italiano e dall’Unione Europea è in realtà una guerra camuffata contro i profughi, contro degli esseri umani braccati. Ed è una guerra che moltiplica il numero e i guadagni di scafisti, autorità libiche corrotte e terroristi: unica alternativa ai canali di immigrazione legale che l’Europa ha chiuso fingendo di proteggere i propri cittadini.

Da tempo le imbarcazioni su cui vengono fatti salire i profughi non sono più in grado di raggiungere l’Italia: sono destinate ad affondare con il loro carico. Ma gli scafisti certo non se ne preoccupano: il viaggio è già stato pagato, e se il “carico” viene riportato in Libia, prima o dopo verrà pagato una seconda e una terza volta. In queste condizioni, non c’è bisogno che un gommone si sgonfi o che una carretta imbarchi acqua per renderne obbligatorio il salvataggio, anche in acque libiche: quegli esseri umani violati e derubati sono naufraghi fin dal momento in cui salpano e, se non si vuole farli annegare, vanno salvati appena possibile.

Gran parte di quei salvataggi è affidata alle Ong, perché le navi di Frontex e della marina italiana restano nelle retrovie per evitare di dover intervenire in base alla legge del mare; ma gli esseri umani che vengono raccolti in mare da alcune navi delle Ong devono essere trasbordati al più presto su un mezzo più capiente, più sicuro e più veloce; altrimenti le navi che eseguono il soccorso rischiano di affondare per eccesso di carico, oppure non riescono a raccogliere tutte le persone che sono in mare o, ancora, impiegherebbero giorni e giorni per raggiungere un porto, lasciando scoperto il campo di intervento.

Vietare i trasbordi è un delitto come lo è ingiungere alle Ong di imbarcare agenti armati: farlo impedirebbe alle organizzazioni impegnate in interventi in zone di guerra di respingere pretese analoghe delle parti in conflitto, facendo venir meno la neutralità che permette loro di operare. Né le Ong possono occuparsi delle barche abbandonate, soprattutto in presenza di uomini armati fino ai denti venuti a riprendersele. Solo i mezzi militari di Frontex potrebbero farlo: distruggendo altrettante speranze di chi aspetta ancora di imbarcarsi.

I problemi continuano quando queste persone vengono sbarcate: l’Unione europea appoggia la guerra ai profughi, ma poi se ne lava le mani. Sono problemi dell’Italia; la “selezione” tra sommersi e salvati se la veda lei… I rimpatri, oltre che crudeli e spesso illegali, sono per lo più infattibili e molto costosi. Così, dopo la selezione, quell’umanità dolente si accumula in Italia, divisa tra clandestinità, lavoro nero, prostituzione e criminalità: quanto basta a mettere ko la vita politica e sociale di tutto paese.

Ma cercare di fermare i profughi ai confini settentrionali o a quelli meridionali della Libia accresce solo il numero dei morti. Dobbiamo guardare in avanti, accogliere in tutta Europa come fratelli coloro che cercano da lei la loro salvezza; adoperarci per creare un grande movimento europeo che lavori e lotti per riportare la pace nei loro paesi (non lo faranno certo i governi impegnati in quelle guerre) e perché i profughi che sono tra noi possano farsi promotori della bonifica ambientale e sociale delle loro terre (non lo faranno certo le multinazionali impegnate nel loro saccheggio). L’alternativa è una notte buia che l’Europa ha già conosciuto e in cui sta per ricadere.

L’accordo che non esiste

di Stefano Catone (*), 04/03/2017

Se ne è parlato poco in Italia, eppure è di questi giorni una notizia assolutamente enorme: la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emesso una sentenza con la quale dichiara di non essere competente nel giudicare casi inerenti al cosiddetto (d’ora in poi il “cosiddetto” sarà d’obbligo) accordo tra Unione europea e Turchia, in virtù del fatto che – si legge nel relativo comunicato – «né il Consiglio europeo né alcun’altra istituzione dell’Unione ha deciso di concludere un accordo con il governo turco in merito alla crisi migratoria».

Il procedimento innanzi alla Corte è cominciato su iniziativa di due cittadini pakistani e un cittadino afgano che «si sono recati dalla Turchia in Grecia dove hanno presentato domande d’asilo, nelle quali affermavano che essi, per diverse ragioni, rischiavano di essere perseguitati se fossero ritornati nei loro rispettivi paesi di origine. Tenuto conto della possibilità, in applicazione della “dichiarazione UE-Turchia”, di un rinvio in Turchia in caso di rigetto delle loro domande d’asilo dette persone hanno deciso di proporre ricorsi dinanzi al Tribunale dell’Unione europea al fine di contestare la legittimità della “dichiarazione UE-Turchia”».

Il Tribunale rileva che la dichiarazione congiunta non è stata licenziata in occasione della seduta del Consiglio europeo del 17 marzo 2016, ma dal vertice internazionale che si è tenuto il giorno successivo, quando – si legge nella dichiarazione – «i membri del Consiglio europeo hanno incontrato la controparte turca». L’accordo sarebbe perciò stato fatto dai capi di stato e di governo presenti al vertice, senza un coinvolgimento diretto dell’Unione europea.

E’ come se da un momento all’altro crollasse un enorme castello giuridico e con esso tutte le relative garanzie, dato che l’accordo contiene dei profili molto dubbi rispetto a violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, e ora – molto banalmente – decine di migliaia di persone non saprebbero a chi rivolgersi per vedere rispettati i propri diritti.

E’ comunque il caso di ribadire quanto già detto nella scorsa newsletter: l’articolo 80 della Costituzione recita che «le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica». La gestione dei flussi migratori e dell’asilo è questione politicissima: il parlamento italiano deve esserne investito, ora a maggior ragione.

Scarica il comunicato

(*) Tratto dalla newsletter a promozione e integrazione di “Nessun paese è un’isola”, testo di cui avevamo parlato in questo post.

#FamilyEveryDay

Noi due, mamme per sempre, vi raccontiamo il nostro Family Every Day

di Giuseppina La Delfa, fondatrice ed ex presidente di Famiglie Arcobaleno – huffingtonpost.it, 30 gennaio 2016 

Il nostro #familyday è iniziato alle 7 perché la sveglia di Lisa è suonata come ogni giorno e si è infilata nel bagno per prepararsi. Lei ha 12 anni e mezzo e fa la seconda media. Il sabato è l’unica che esce per andare a scuola. Anche se cerca di non fare rumore, Andrea Giuseppe, il suo fratellino di 3 anni, si è svegliato lo stesso e ha voluto scendere con lei. Raphaelle, come tutte le mattine, si è alzata per preparare la colazione ai suoi figli e fare due chiacchiere con Lisa prima che lei lasci la casa. Io continuavo a sonnecchiare ma sentivo i rumori della cucina. Andrea che vuole il suo solito yogurt greco con lo zucchero di canna e Lisa che esce e torna poco dopo perché ha ancora dimenticato qualcosa. Poi è corsa davanti al cancello ad aspettare il pulmino insieme a Alessia, la sua amica del cuore, che vive a 100 metri da casa. Hanno fatto insieme tutte le scuole fin dalla scuola dell’infanzia. Qui in paese. Siamo fortunate, a Santo Stefano abbiamo tutte le scuole: infanzia, elementari e medie. In ogni classe al massimo sono 15 e sono stati seguiti molto bene e hanno anche avuto parecchi ottimi insegnanti e noi genitori ne siamo ovviamente felici.

Mentre Lisa e Alessia salgono al paese per le loro 5 ore di lezione, Raphaelle ha preparato la pasta di sale, così Andrea ha giocato un bel po’ con gli attrezzi per la plastilina. Sono scesa alle 9. Nel frattempo Andrea è salito due volte per dirmi che mi amava e per darmi un bacetto. È felicissimo: oggi e domani non va a scuola. Da un po’ di tempo ogni mattina è un piccolo dramma, la sua maestra preferita si è rotta un piede e per un mese non è potuta venire. Aspettiamo tutti con ansia che torni la settimana prossima. Ma oggi niente scuola e lui sembra essere in paradiso. Quasi fiero mi ha portato in camera sua e mostrandomi il disordine che in due ore era riuscito a fare, mi dice un po’ fiero e un po’ a disagio “tu as vu ? Quel bordel!” (visto che casino!): non cerco di riprenderlo per la parola volgare in francese, lo dico io, perché lui no!

Dopo la mia colazione insiste perché costruisca con lui una casetta coi lego. Non ho molto voglia, vorrei guardare con l’iPad a che punto stanno quelli dell’Infamily day e spero con tutte le forze che, come l’altra volta, venga giù il diluvio universale. Non ci posso credere! Come è possibile che migliaia di persone si prenderanno la briga di riunirsi per proferire concetti fuori dal tempo e odio verso delle persone che hanno l’unico torto di volersi prendere impegni seri verso le persone che amano?? Ma niente, Andrea insiste e io non posso dire di no. Ecco, siamo per terra nel salotto a costruire la fattoria coi lego. Ricordo che le nostre amiche Costanza e Monia l’avevano regalata a Lisa 10 anni prima. Niente da dire, coi Lego vai sicura. Sono convinta che ci giocheranno anche i figli dei nostri figli.

Devo pensare al pranzo. Oggi preparo filetto di merluzzo con ratatouille. So che i ragazzi ci rovineranno il pranzo se non penso a un’alternativa per loro: passerò la ratatouille e la servirò loro con del riso. Così mangiamo tutti in santa pace. Andrea ora disegna. Preparo il pranzo e Raphaelle contatta i suoi colleghi docenti per preparare i prossimi progetti per l’Università.

Alle 13.10 tornerà Lisa. Andrea correrà alla porta e lei lo abbraccerà dicendo amorevolmente “cucciolo”. Poi ci racconterà le notizie della scuola. Ieri ha preso 8 in matematica ed era super felice e oggi la prof di italiano deve restituire il compito fatto la settimana prima. Ci dirà di Jenny che parla sempre, di tizio che non ha studiato, del prof x che non fa capire nulla, ecc…

Dopo pranzo si metterà al piano per studiare un valzer di Chopin che deve fare sentire martedì pomeriggio alla sua insegnante di piano. È a buon punto e sento quanto è orgogliosa di sé quando ce l’ha fatta, dopo tanti sforzi. Poi i compiti, e dopo ancora verrà Alessia e si metteranno nel salotto per ripetere un balletto per la festa di Carnevale che stanno organizzando per l’8 a casa nostra. Abbiamo invitato tutti gli amici della seconda media. Verranno con un dolce e passeranno il pomeriggio a ballare e cantare col karaoke. Il tema è paillettes e disco. Sono impazziti tutti quanti e si divertono solo a pensarci.

Io e Andrea faremo una passeggiata in campagna. Adora correre. Deve correre. E io mi tengo in forma cercando di seguirlo. Poi guarderà un film per bambini mentre io mi metterò alla mia lezione d’inglese on line. Raphaelle correggerà qualche compito o leggerà.

Alle 19, dopo esserci preparati, andremo a Salerno per cenare con nostri carissimi amici. Invito tutti al Greco: è stato il mio compleanno e come regalo volevo andare a cena fuori per cambiare. Andrea non sta nella pelle: vedrà Francesco e Michele, i suoi zii acquisiti che adora. E Lisa non vede l’ora di ordinare una grigliata gigante. Dopo faremo una lunghissima passeggiata sul lungomare di Salerno ammirando le luci della costiera e godendo di questo tiepido inverno.

Al ritorno, Andrea e Lisa crolleranno in macchina. Dovrò caricarmi il piccolo che fa 17 chili per le scale e perderò un paio di etti per farlo. Lisa brontolando salirà in camera sua e prima di dormire, come sempre da quando parla, chiederà a sua mamma Raphaelle di dirle la frase magica che la tranquillizza, e poi mi prenderà per il collo per dirmi che mi ama. E questa fa passare in un attimo tutte le volte che alza la voce o parla male o fa l’antipatica.

Noi due, le loro mamme per sempre, andremo a dormire, felici di crescere questi due figli adorati e sapendo con chiarezza che siamo davvero fortunate e pregheremo il caso, la vita, il destino che questo non ci venga mai tolto.

E domani sarà un altro giorno. #familyeveryday.

***

di Roberto Saviano, pagina fb

Quando si impedisce all’amore di avere una forma riconosciuta dalla comunità, gli si impedisce il diritto di esistere. Questo oggi è il Family day, una manifestazione contro il diritto di amare che costringe alla clandestinità.

Io mi riconosco in queste parole: “Appartengo alla sparutissima schiera di coloro che credono ancora sia dovere di ogni uomo civile prendere la difesa dello Stato laico contro le ingerenze della Chiesa in Parlamento, nella scuola, nella pubblica amministrazione, e ritengo che quest’obiettivo sia, nel nostro paese, più importante di qualsiasi altro – politico, giuridico o economico – in quanto il suo conseguimento costituirebbe la premessa indispensabile per qualsiasi seria riforma di struttura”.

1960, Ernesto Rossi, intellettuale antifascista.

The american way

Intervista. Il colosso della chimica LyondellBasell mostra i muscoli ai lavoratori e ai rappresentanti sindacali. Ed è allarme diritti. Parla Luca Fiorini, delegato Cgil, cacciato nel pieno della contrattazione: «Si vuole far passare l’idea che decidono tutto i dirigenti e tu non puoi dire la tua»
La mobilitazione per Luca Fiorini alla LyondellBasell di Ferrara

 

di Antonio Sciotto – il manifesto – 8 gennaio 2016

FERRARA – «Io ci vedo un attacco alle persone che lavorano e al sindacato: si vuole far passare l’idea che non puoi dire la tua, che decide tutto l’azienda, e che devi solo ringraziare perché ti pagano a fine mese. Con il sorriso stampato sulle labbra, sempre e comunque». Luca Fiorini è stato licenziato lunedì scorso dalla LyondellBasell, multinazionale della chimica, che a Ferrara ha un importante centro ricerca e produzione con 860 dipendenti.

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Di corporatura esile, parla senza mai alzare la voce, è venuto in bicicletta all’assemblea organizzata in sua difesa nella mensa accanto agli stabilimenti: un aspetto che stona rispetto alla motivazione addotta dalla Basell per metterlo fuori, «violenza sul posto di lavoro». Avrebbe spintonato un dirigente durante una trattativa. 52 anni, due figlie che studiano, da 28 anni Luca lavora per il colosso dei polimeri, ma è anche un pezzo della Cgil ferrarese. Delegato fin dall’assunzione, poi per otto anni segretario della Filctem, quando è tornato in fabbrica è stato l’Rsu eletto con più voti. Colpito lui, possono aver pensato, affondiamo tutti.

Come si è arrivati a licenziare un delegato nel pieno della contrattazione?

Dico innanzitutto che non ho mai visto un comportamento simile, neanche negli anni più cupi della crisi: e da segretario dei chimici ho dovuto gestire situazioni davvero complesse. Tra l’altro non si capisce come mai lo faccia un gruppo che nel mondo l’anno scorso ha fatturato 45 miliardi di dollari, 8 dei quali di guadagno. E che si vanta di essere quello che tra i suoi competitor – dalla Dow alla Basf – distribuisce più utili. L’unico modo in cui posso spiegarmelo è la volontà di applicare il modello nordamericano di azienda, d’altronde la Basell è in mano a fondi Usa: niente sindacato, decidono tutto i dirigenti, e interpretano loro stessi i tuoi bisogni. Tu devi solo ringraziare e sorridere.

Eppure dovreste avere una lunga consuetudine di contrattazione, anche di conoscenza personale con i manager. È cambiato il punto di vista delle aziende?

È cambiata l’idea stessa di contrattazione, chi e come si deve fare. Non si accetta più che il sindacato possa portare un punto di vista sulle scelte tecniche e organizzative di impresa, e che possa rappresentare i dipendenti. Io sono stato licenziato proprio mentre discutevamo, senza riuscire a metterci d’accordo, su una clausola di salvaguardia per gli esuberi: secondo noi il lavoratore deve poter accedere a tutte le posizioni aperte, pur di conservare il posto, mentre la Basell vuole conservarsi la possibilità di concedere o no il ricollocamento a sua discrezione, a seconda che pensi che il profilo dell’addetto in esubero c’entri o no con la nuova eventuale postazione. Proprio per dimostrare, muscolarmente, che il licenziamento deve essere libero, poche settimane prima hanno dato il benservito a due lavoratrici: la nostra protesta li ha obbligati a revocare la misura, e hanno dovuto trovare per loro un posto consono, mentre all’inizio avevano proposto un contratto a termine con una perdita netta di livello. È la dimostrazione che la nostra clausola è sensata, e che si può applicare: ma questa sconfitta deve aver bruciato nel momento in cui chiedevamo di metterla nero su bianco nell’integrativo.

Quindi avete litigato. C’è stata un’aggressione, come contesta l’azienda?

Non c’è stata nessuna aggressione, ma verrà dimostrato nelle sedi competenti. Eravamo da due giorni in trattativa, ci hanno dato degli «inaffidabili» e «irresponsabili», ci hanno accusato di voler far perdere tempo a loro e ai loro avvocati. Mentre noi cercavamo di far passare la clausola che può salvare dei posti di lavoro: a questo punto mi sono alzato, per rispondere che gli irresponsabili sono loro, se licenziano delle persone come hanno fatto con le due lavoratrici. C’è stato un contatto con uno dei capi, l’avrò toccato con una mano, ma lui ha alzato le mani come se lo stesse attaccando chissà chi. Ha la corporatura il doppio della mia, anche volendo non potrei mai fargli perdere l’equilibrio.

Con la Cgil avete deciso di fare causa.

Sì, rivoglio il mio posto di lavoro: sto in un team di ricerca che segue un impianto pilota. Devo tutelare il mio reddito e la mia famiglia, due figlie di 20 e 17 anni che voglio continuare a far studiare. Intendo difendere la mia storia, anche sindacale. Ovviamente faremo causa insieme alla Cgil, sapendo che la battaglia è anche politica, oltre che giudiziaria. Stiamo facendo di tutto per contrastare questo attacco alla libertà: le persone devono poter andare a lavorare serene, senza paura.

fonte: http://ilmanifesto.info/licenziato-allamericana-e-un-attacco-al-sindacato/

approfondimenti:

http://ilmanifesto.info/caso-ultrarappresentativo-ma-la-partita-e-collettiva/

http://ilmanifesto.info/licenziato-perche-ha-violato-il-codice-etico-ma-trattiamo-sullintegrativo/

La rete e la carta

segnalato da domiziasiberiana

Carta dei Diritti in internet, approvata alla Camera la mozione in vista dell’Internet Governance Forum

Il giurista presidente della commissione che l’ha elaborata, Rodotà: “È un grande risultato culturale, politico e simbolico”

di Arturo di Corinto – repubblica.it, 03/11/2015

LA CAMERA dei deputati ha approvato oggi due distinte mozioni per promuovere la Dichiarazione dei diritti in Internet in vista dell’Internet Governance Forum che si terrà in Brasile dal 9 al 13 novembre. Con una votazione nominale, la cosiddetta “mozione Quintarelli” (1031) è passata per 437 voti favorevoli senza nessun contrario, mentre la quasi identica mozione della Lega ne ha ottenuti pochi di meno.

Lo stesso sottosegretario alle telecomunicazioni, Antonello Giacomelli è intervenuto in aula per sostenere la proposta che “impegna il governo ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l’adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei princìpi contenuti nella Dichiarazione adottata il 28 luglio 2015 dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet istituita presso la Camera dei deputati; a promuovere un percorso che porti alla costituzione della comunità italiana per la governance della Rete definendo compiti e obiettivi in una logica multistakeholder”.

La Dichiarazione dei diritti era stata precedentemente approvata il 28 luglio 2015 da una Commissione di studio ad hoc promossa dalla Presidenza della Camera – composta da deputati attivi sui temi dell’innovazione tecnologica, studiosi ed esperti, operatori del settore e rappresentanti di associazioni – dopo una serie di audizioni e una consultazione pubblica durata cinque mesi.

La Commissione di studio della Camera ha inoltre approvato una Dichiarazione congiunta con la Commissione dell’Assemblea nazionale francese in cui si afferma, a livello internazionale, il concetto di internet quale bene comune mondiale.

Nella mozione, sottoscritta da gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione, si definisce Internet come “uno strumento imprescindibile per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale”.

“Un grande risultato”, ha detto Stefano Rodotà a Repubblica.it, “dal punto di vista culturale, per il dibattito pubblico che ne è scaturito, dal punto di vista simbolico, per il luogo che ha promosso questo dibattito, la Camera dei deputati, la casa degli italiani, e dal punto di vista politico perché raggiunto nonostante le diversità”. E in effetti ad ascoltare le dichiarazioni dei parlamentari che si sono succeduti nelle dichiarazioni di voto, i 14 punti della Carta sembrano davvero una sintesi felice delle diverse posizioni dei singoli partiti.

Sintetizza bene queste differenze Giovanni Paglia di Sel che ha dichiarato: “Con questo lavoro è chiaro come un parlamento diviso messo in condizione di lavorare senza la presenza ingombrante del governo può costruire un consenso. Merito del confronto pubblico”.

Il tema più citato è stato evidentemente quello della neutralità della rete, concetto difeso a spada tratta dai deputati Paolo Coppola del Pd e Diego De Lorenzis del Movimento 5 Stelle, al contrario dell’Ncd che ha lasciato intendere una certa inclinazione ad accettare anche una rete a due velocità, per chi può pagarsela e chi no. Secondo il centrista Mario Marazziti invece nella carta, di cui condivide i contenuti, manca un esplicito riferimento alle libertà economiche.

L’articolo 4 “Neutralità della rete”, recita: “Ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone”. E al secondo comma: “Il diritto a un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona”.

Gli altri articoli della Carta invece riguardano il Diritto di accesso, alla conoscenza e all’educazione in rete, alla Tutela dei dati personali, all’autodeterminazione informativa, all’inviolabilità dei domicili informatici, all’anonimato, all’oblio e alla sicurezza in rete.

Per una Europa solidale

segnalato da crvenazvezda76

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LETTERA A TUTTE E TUTTI

IL 20 GIUGNO INSIEME A ROMA E IN TUTTA EUROPA

Cambia la Grecia Cambia l’Europa Italia

PRIMA FIRMATARIA: LUCIANA CASTELLINA.

Con i rifugiati, con i migranti e con la Grecia. Così salviamo la nostra Europa.

Il 20 giugno saremo a Roma con gli immigrati, i profughi, i richiedenti asilo alla manifestazione “Fermiamo la strage subito” promossa da tante organizzazioni e reti sociali.

Per gridare assieme contro la vergogna di chi, già colpevole per storia coloniale antica e recente arroganza militare, progetta adesso di rendere ancora più drammatico il tentativo di chi cerca di salvarsi attraverso il mare dalle guerre e dalla fame che dilaniano i continenti che si affacciano sull’altra sponda mediterranea. Per dire no al folle progetto di bombardare i barconi, così moltiplicando le vittime e destabilizzando ulteriormente le regioni da cui in tanti sono costretti a fuggire.

Noi vorremmo che chiunque avesse il diritto di scegliere dove abitare. Purtroppo sappiamo che moltissimi di coloro che approdano in condizioni disperate sulla nostra terra non scelgono, sono costretti a fuggire. Così come accadde a tanti italiani che abbandonavano la loro terra perché non dava loro la possibilità di sfamare i loro figli.

Oggi il mondo è ancor più in subbuglio che in passato, le disuguaglianze si sono fatte gigantesche, la miseria e i conflitti stanno spingendo in ogni parte del globo popolazioni intere verso una disperata migrazione. L’Europa che si lamenta accoglie in realtà una limitatissima quota di rifugiati rispetto ai milioni accampati nei campi profughi dell’Africa e dell’Asia. Eppure pretenderebbe di non aiutare neppure questa minoranza.

Chiamiamo a manifestare questo 20 di giugno, angosciati per le tragedie recenti del Mediterraneo, per pretendere dall’Europa una riflessione seria sul problema dei migranti, perché prenda atto che questo flusso oggi non è arrestabile e pensare di farlo con misure poliziesche o militari oltreché crudele è insensato. Inutile.

Bisogna piuttosto attrezzarsi a far fronte a questo drammatico e ancora a lungo ineluttabile sconvolgimento del nostro secolo accettando di aprirsi  alla convivenza multietnica e per questo sforzandosi di renderla più civile possibile: distribuendo chi arriva su tutto il territorio europeo, senza deportazioni forzate, concedendo a chi scappa dalle tragedie vie sicure e legali di accesso, corridoi umanitari, asilo e protezione umanitaria, e concedendo ai migranti un permesso di soggiorno che dia loro il tempo di trovare un lavoro, di inserirsi nel tessuto delle nostre società.

L’Unione Europea è nata da un sogno: quello di costruire una comunità unitaria che ci avrebbe preservato dai disastri delle guerre fra i nostri paesi. Come è possibile non capire che pace nella nostra epoca è sentirsi parte dell’umanità intera e ricerca di soluzioni comuni, non certo presumere di difendersi dentro una fortezza di cui si ritraggono i ponti levatoi?

Ma quest’Europa ufficiale, cosa ha più a che fare con quella sperata dagli antifascisti che, confinati dal fascismo a Ventotene, ne disegnarono per primi il modello? Il modo come chi a Bruxelles e a Francoforte, senza controllo democratico, sta affrontando la questione greca è indicativo.

Per questo sentiamo il bisogno di riproporre il problema Grecia, anche in occasione di questa manifestazione sull’immigrazione.

L’Unione Europea è nata sulla pretesa di rappresentare una comunità, sapendo che essa è fatta di paesi assai diversi fra loro, alcuni avanzate e ricche potenze industriali, altri, anche in questo caso per ragioni storiche e non certo per inadeguatezza razziale, invece alle prese con ritardi economici sempre più aggravati da speculazioni di ogni tipo.

Come è possibile continuare a pretendere di essere una entità unitaria e solidale se il solo modo in cui si sanno affrontare le difficoltà del fratello più debole è quello di costringerlo dentro la gabbia di una politica soffocante per tutti, ma mortale per un paese come la Grecia?

Se insistiamo nel riproporre anche in questa occasione il problema Grecia è proprio perché è emblematico di una concezione usuraia dell’europeismo che si manifesta su ogni questione: quella degli immigrati così come quella dei paesi indebitati, così come quella della disoccupazione dilagante e dell’impoverimento.

Manifestiamo anche per riproporre quanto gli esecutivi tecnocratici di Bruxelles hanno via via rifiutato: che il livello di disoccupazione di un paese sia considerato un criterio che richiede riforme urgenti per ridurlo, un elemento da tener in conto almeno altrettanto importante che quelli fissati dal patto di stabilità; che la restituzione del debito possa essere calcolata al netto degli investimenti pubblici per lo sviluppo; che i movimenti di capitale non possano giocare sulle diversità di imposizioni fiscali per spostarsi dove meglio conviene. Per queste cose e tante altre.

Così si salva l’Europa. Che oggi viene invece smantellata da chi già propone – Merkel, Hollande – di crearne due: una piccola e ricca, accanto il cerchione del purgatorio e poi quello dell’inferno, dei reietti.

Saremo dunque in piazza il 20 di giugno per l’Europa, per un’Europa solidale e democratica. Consapevoli che la principale garanzia della democraticità dell’Unione sta nella costruzione di una opinione pubblica comune, di una partecipazione davvero europea alle mobilitazioni intese a raggiungere questi obiettivi .

L’Europa in questi cinquantasette anni di vita è cresciuta male anche perché i popoli europei sono rimasti distanti, frammentati e perciò impotenti. Oggi siamo ottimisti perché questo 20 di giugno saremo invece insieme in tante piazze dell’Unione.

È un primo passo, decisivo.

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La scuola in piazza

 

Proseguono, come già annunciato, le iniziative di mobilitazione dei cinque sindacati rappresentativi della scuola dopo lo sciopero generale del 5 maggio.

FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams promuovono per venerdì 5 giugno “La cultura in piazza”, un’iniziativa a livello territoriale con fiaccolate che avranno luogo contemporaneamente in tutte le principali città italiane.

Cosa chiederanno le piazze italiane? Che il DDL in discussione al senato venga radicalmente cambiato. Perché così com’è peggiora la qualità della scuola pubblica, non risolve il problema del precariato, afferma logiche autoritarie e incostituzionali nella gestione organizzativa delle scuole, mette in discussione diritti e libertà e cancella la contrattazione. In altre parole: realizza tutto meno che una “buona scuola”.

Fai sentire la tua voce e partecipa anche tu

Agrigento, Alessandria, Aosta, Arezzo (e le altre iniziative in Toscana), Benevento, Bologna,CagliariCaltanissetta, Castrovillari, Catanzaro, Chieti, Cosenza, Feltre, Genova, LivornoMacerata, Mantova (e le altre iniziative in Lombardia), Messina, Modena, Napoli, Nuoro, Palermo,Perugia, Ragusa, Ravenna, Roma, San Benedetto del Tronto, Savona, Termoli, Terni, Torino,Udine, Vibo Valentia.

Dichiarazione pubblica – La “Carta di Milano”: sotto le parole…nulla

segnalato da SupermegarompiP-EPPEpiggone

Ora tutto il dibattito su questa Expo rischia di dover ruotare attorno ad un’unica fotografia: da un lato migliaia di persone entusiaste tra gli stand della grande Esposizione, dall’altra le auto bruciate e la città sfregiata. Ma non è così. Restano tutte le ragioni della critica ad Expo. Restano le tante persone che al di là dell’adesione alle manifestazioni continuano a pensare che occorre insistere nella critica e continuare ad avanzare proposte alternative su contenuti precisi.

Occorre ripartire dal grande convegno realizzato il 7 febbraio a Milano, costruendo consensi ampi, parlando a tutte e a tutti, perché il tema “Nutrire il pianeta.. energia per la vita” riguarda ognuno di noi e ben poco ha a che fare con quanto realizzato da questa EXPO.

Noi continueremo questo impegno – anche in previsione del grande convegno internazionale che si svolgerà a Milano venerdì 26 e sabato 27 giugno con la seconda edizione di: “Expo nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali” – affinché diritto all’acqua, diritto al cibo e giustizia sociale non siano solo degli slogan.

Ripartiamo da qui e dalla critica alla “Carta di Milano”

La Carta c’è, è ufficiale. È stata presentata coi toni dei grandi eventi istituzionali che cambiano la Storia. Ma non sarà così.

La Carta di Milano scivolerà nella storia senza incidere alcunché, legittimando ancora il modello agroalimentare che ha prodotto insostenibilità, disastri ambientali e le terribili iniquità che vive il nostro mondo e che la stessa Carta denuncia ma ignorando lo strapotere politico delle multinazionali, che stanno dentro ad Expo e che sottoscrivono la Carta. Il presidente Sala ebbe a dire a suo tempo che in Expo dovevano coniugarsi il diavolo e l’acqua santa: pensiamo intendesse Coca Cola, Monsanto e l’agricoltura familiare e di villaggio, i Gas, il biologico ecc…

Il risultato è che nella Carta si sentono il linguaggio, le difficoltà, le mediazioni e i contributi di tanti docenti, personalità e realtà associative che hanno cercato di migliorarla, ma purtroppo il loro onesto sforzo si è tradotto unicamente in un saccheggio del linguaggio dei movimenti dei contadini e di coloro che si battono per la difesa dell’acqua come bene comune e in favore delle energie alternative al petrolio.

La “Carta di Milano”, presentata come l’eredità che EXPO lascia al mondo, è una grande operazione mediatica, che si limita a dichiarazioni generiche senza andare alle cause e alle responsabilità della situazione attuale. Non una parola sui sussidi che la Commissione Europea regala alle multinazionali europee agroalimentari permettendo loro una concorrenza sleale verso i produttori locali; non una parola sugli accordi commerciali tra l’Europa e l’Africa (gli EPA) che distruggono l’agricoltura africana; né si parla del water e land grabbing; né degli OGM che espropriano dal controllo sui semi i contadini e che condizionano l’agricoltura e l’economia di grandi paesi come il Brasile e l’Argentina; né si accenna alle volontà di privatizzare tutta l’acqua potabile e di monetizzare l’intero patrimonio idrico mondiale, né si fanno i conti con i combustibili fossili e il fraking.

Nella “Carta” si parla di diritto al cibo equo, sano e sostenibile, si accenna persino alla sovranità alimentare, si ricorda che il cibo oggi disponibile sarebbe sufficiente a sfamare in modo corretto tutta la popolazione mondiale, si sprecano parole nate e vissute nella carne dei movimenti, ma poi?

La responsabilità di tutto questo sarebbe solo dei singoli cittadini: dello spreco familiare (che è invece surplus di produzione) che andrebbe orientato verso i poveri e verso le opere caritatevoli, sta nella loro mancanza di educazione ad una corretta alimentazione, al risparmio di cibo e di acqua, ad una vita sana e sportiva.

Le responsabilità pubbliche e private sono ignorate.

Manca la concretizzazione del diritto umano all’acqua potabile come indicato dalla risoluzione dell’ONU del 2010 e mancano gli impegni per impedirne la privatizzazione.

Mancano le misure da intraprendere contro l’iniquità di un mercato e delle sue leggi, che strangolano i contadini del sud ma anche del nord del mondo.

Mancano riferimenti a bloccare gli OGM su cui oggi si gioca concretamente la sovranità alimentare.

Mancano i vincoli altrettanto concreti all’uso dei diserbanti e dei pesticidi che inquinano ormai le acque di tutto il mondo e avvelenano il nostro cibo.

Ne prenda atto Sala da buon cattolico: il diavolo scappa se l’acqua è veramente santa. Ma qui di acqua santa non c’è traccia, mentre i diavoli, sotto mentite spoglie, affollano la nostra vita quotidiana e i padiglioni di EXPO.

Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Piero Basso, Vittorio Bellavite, Franco Calamida, Massimo Gatti, Antonio Lupo, Emilio Molinari, Silvano Piccardi, Paolo Pinardi, Basilio Rizzo, Erica Rodari, Anita Sonego, Guglielmo Spettante, Gianni Tamino, Vincenzo Vasciaveo

Associazione CostituzioneBeniComuni

UNIONS!

Unions!

 Manifestazione nazionale Fiom-Cgil

 Diritti, Democrazia, Lavoro, Giustizia sociale, Legalità, Reddito, Europa.

 Roma, 28 marzo 2015

Piazza Esedra ore 14  | Piazza del Popolo ore 16

EVENTO FACEBOOK

Info: Percorso e Pullman

La conferenza stampa

Testa del corteo e oratori

Sul palco si alterneranno le voci dei lavoratori e la musica de “Il Muro del canto” fino ad arrivare all’intervento conclusivo di Maurizio Landini. A seguire ancora musica per chiudere la manifestazione.