segnalato da Chicco
Una seria politica per i rifugiati è possibile
lavoce.info, 15.11.13 – di Carlo Devillanova e Francesco Fasani
È banale, e per questo ancora più triste, constatare che la tragedia di Lampedusa e i suoi oltre 300 morti evidenziano per l’ennesima volta il fallimento delle politiche di gestione dei flussi migratori verso l’Europa. (1) Più complessa e controversa è l’attribuzione delle responsabilità.
Il 3 ottobre 2013, mentre diventava evidente la misura della catastrofe, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, additava le responsabilità degli scafisti, invocando il presidio delle frontiere per “stroncare il traffico criminale di esseri umani”. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ipotizzava addirittura un disegno divino per attribuire la responsabilità all’Europa: “Spero che la divina provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all’Europa” . (2) Proseguendo con le metafore religiose, e senza voler in alcun modo minimizzare il ruolo di Europa e scafisti in queste morti, sarebbe forse più efficace iniziare a rimuovere le travi che albergano nei nostri occhi, indipendentemente dal fatto che quelle negli occhi degli altri siano pagliuzze, travi o intere foreste.
Se invece passiamo al linguaggio dell’economia, dobbiamo parlare di scelte e incentivi. Su quelle barche che cercano di approdare sulle nostre coste viaggiano sia immigrati “economici” che potenziali rifugiati. I primi vengono in Europa a cercare un lavoro e migliori condizioni di vita, i secondi cercano riparo da persecuzioni personali o da conflitti. In entrambi i casi, si tratta del risultato della sostanziale assenza di plausibili canali di accesso regolare in molti paesi europei e, in particolare, in Italia.
Degli immigrati “economici” si è già detto molto, anche su questo sito. Il punto cruciale è che gli immigrati che si trovano già in Italia senza documenti hanno una probabilità di diventare stranieri legalmente residenti (grazie a sanatorie o a un uso improprio del decreto flussi) assai più elevata di chi resta nel proprio paese di origine ad aspettare la chimera di un ingresso legale. (3) Difficile stupirsi, quindi, se molti di loro decidono di venire in Italia irregolarmente, spesso rischiando la vita.
La situazione è simile – e forse ancora più palese – per i potenziali rifugiati. Anche per loro ci sarebbero due modi per ottenere lo status di rifugiato. Il primo è arrivare fisicamente nel territorio dello stato ospitante e presentare la domanda di persona. Nulla, in teoria, impedisce ai potenziali richiedenti asilo di entrare per via aerea e con un regolare visto turistico. Naturalmente il problema è che i rifugiati, a differenza dei turisti, difficilmente hanno il tempo e la possibilità di ottenere passaporti e visti e, di conseguenza, l’ingresso irregolare rimane l’unica via percorribile, con le tragiche conseguenze che ne possono derivare.
Un secondo canale di ingresso prevede la possibilità di fare domanda di protezione internazionale “a distanza”, ad esempio dai campi profughi spesso allestiti in paesi confinanti con quelli in conflitto, e spostarsi nel paese ospitante solo quando (e se) lo status di rifugiato è stato ottenuto.
Il primo canale di ingresso è notevolmente più pericoloso, dunque sarebbe sufficiente che la probabilità di ottenere lo status di rifugiato attraverso il secondo canale fosse ragionevolmente elevata, per dissuadere gran parte dei profughi dal rischiare la propria vita attraversando il Mediterraneo su una barca. La domanda per passaggi sui barconi si abbasserebbe sensibilmente, con buona pace degli scafisti.
PERCHÉ L’ITALIA IGNORA LA RESETTLEMENT POLICY?
Il fatto che in Italia, come in molti altri paesi europei, sia previsto solo il primo canale di accesso non implica che il secondo resti un’ipotesi puramente teorica. La possibilità di ottenere lo status di rifugiato a “distanza” esiste: si chiama resettlement policy, ed è gestito dall’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati. In sintesi, i paesi ospitanti che partecipano al programma permettono a profughi, che hanno trovato rifugio temporaneo in un paese terzo, di essere riconosciuti come rifugiati e trasferiti nel loro territorio. (4)
Il grafico sotto riporta il numero totale di rifugiati riconosciuti dai principali paesi Ocse nel periodo 2008-2012, distinguendo tra quelli che sono arrivati “autonomamente” (quindi, nella maggioranza dei casi, irregolarmente) e quelli resettled. Per ogni paese, il grafico mostra sia la percentuale corrispondente a ciascun canale di ingresso che i valori assoluti.
La percentuale di asili accordati attraverso programmi di resettlement supera il 50 per cento del totale dei rifugiati accolti in Nuova Zelanda (85 per cento), Usa (72 per cento) e Australia (55 per cento), ed è piuttosto elevata anche in Canada (36 per cento), Finlandia (34 per cento) e Danimarca (27 per cento). Gli Stati Uniti hanno permesso il resettlement nel loro territorio a oltre 260mila rifugiati, seguono l’Australia e il Canada con circa 30mila rifugiati resettled ciascuno. Al contrario, l’Italia si colloca fra i paesi in cui il numero di richiedenti asilo accolti attraverso programmi di resettlement è risibile: 288 rifugiati nel periodo 2008-2012, meno del 0,01 per cento dei circa 35mila rifugiati accolti in totale durante lo stesso periodo. Il motivo è semplice: l’Italia non partecipa, se non occasionalmente, al programma di resettlement dell’Unhcr.
In conclusione, mentre in Italia discutiamo di Europa, scafisti e vaghi progetti di “corridoi umanitari”, molti Stati partecipano attivamente ai programmi dell’Uhnrc, incluso, ad esempio, quello predisposto per l’emergenza siriana, che vede coinvolte sedici nazioni. Perché l’Italia non prende parte a questi programmi? La risposta più ovvia – “se lo facessimo verremmo sommersi di domande di asilo” – ha una conseguenza importante: ammettere che l’Italia, come molti altri paesi europei, utilizza la difficoltà di raggiungere le nostre coste come meccanismo di selezione per limitare le domande, scaricando il costo direttamente sui profughi (e creando il mercato per gli scafisti).
Siamo assolutamente certi che tutti i cittadini e i Governi europei condividano l’obiettivo minimo di evitare in futuro tragedie come quella di Lampedusa. Allora, i nostri governanti dovrebbero riconoscere che queste morti sono anche la conseguenza inevitabile di una precisa scelta (o non-scelta) politica e agire di conseguenza, senza attendere la prossima, annunciata tragedia.
Figura 1 – Rifugiati riconosciuti, per modalità di ingresso (totale 2008-2012)
Nostra elaborazione su dati Unhcr, Population Statistics Reference Database, United Nations High Commissioner for Refugees.
Ringraziamo Matteo de Bellis di Amnesty International (London).
(1) Secondo una stima per difetto, dal 1998 sarebbero circa 20mila le persone morte nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste meridionali dell’Europa (http://fortresseurope.blogspot.co.uk/p/la-strage.html).
(2) Entrambe le citazioni sono prese dal Sole-24Ore del 3 ottobre 2013:http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-10-03/lampedusa-papa-vergogna-mobilitano-123003.shtml
(3) Si veda Fasani et al. (2013) “Immigration Policy and Crime” (http://www.frdb.org/upload/file/Report%201.pdf).
(4) Si veda: http://www.unhcr.org/pages/4a16b1676.html.
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Rifugiati: la tragedia continua
lavoce.info, 21.04.15 – di Maurizio Ambrosini
I numeri delle migrazioni
La nuova tragedia del mare nel canale di Sicilia fa oscillare nuovamente il pendolo dell’opinione pubblica verso l’orrore e la compassione, dopo che con troppa fretta era stata archiviata l’operazione Mare Nostrum, accusata di attrarre nuovi sbarchi sulle nostre coste.
Poche settimane fa, avevano suscitato scalpore i dati diffusi dall’Eurostat: 626mila i richiedenti asilo nell’Unione Europea nel 2014, 191mila in più rispetto al 2013, con un incremento del 41 per cento: un record storico, sottolineavano le agenzie. L’Italia figurava al terzo posto per numero di domande ricevute, con 64.625. L’Eurostat indicava anche una crescita molto consistente dei siriani, passati da 50mila a quasi 123mila. Tutti dati veri, ma comunicati in questo modo, estrapolati dal contesto più ampio e drammatico in cui si collocano, sono tali da suscitare sentimenti di allarme e domande di contenimento.
L’Acnur, l’agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati, ha diffuso a sua volta i numeri relativi ai primi sei mesi del 2014. Ci dicono che il piccolo Libano accoglieva in quel periodo 1,1 milioni di richiedenti asilo, la Turchia quasi 800mila, la Giordania 645mila.
Ciascuno di questi paesi da solo si faceva carico dunque di un numero di persone in cerca di protezione superiore a quello di tutti i 28 paesi dell’Unione Europea messi insieme. E da allora la situazione è molto peggiorata, per loro molto più che per noi. Un altro dato eloquente riguarda il numero di rifugiati accolti per ogni mille abitanti. Qui il Libano raggiungeva quota 257, la Giordania 114, la Turchia scendeva a 11. Il primo paese dell’UE è la piccola Malta con 23, la Svezia è a quota 9. L’Italia, sotto la media europea, si fa carico di 1,1 rifugiati ogni mille abitanti.
QUI l’articolo completo.
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segnalato da barbarasiberiana
limesonline.com, 21.04.2015 – di
COME EVITARE LA PROSSIMA STRAGE DI MIGRANTI NEL MEDITERRANEO
[Carta di Laura Canali da Chi ha paura del califfo]
Accogliere tutti è impossibile e illogico, persegui(ta)re chi fugge da paesi in guerra anche. Ma qualche soluzione c’è, per l’Europa e per l’Africa.