manifestazione

Via Crucis

segnalato da Barbara G.

Israele spara sulla marcia palestinese: 15 morti a Gaza

Striscia di Gaza. Uomini, donne e bambini per il ritorno e il Giorno della terra: i cecchini israeliani aprono il fuoco su 20mila persone al confine. Oltre mille i feriti

di Michele Giorgio – ilmanifesto.it, 31/03/2018

Il video che gira su twitter mostra un ragazzo mentre corre ad aiutare un amico con ‎in mano un vecchio pneumatico da dare alle fiamme. Ad certo punto il ragazzo, ‎avrà forse 14 anni, cade, colpito da un tiro di precisione partito dalle postazioni ‎israeliane. Poi ci diranno che è stato “solo” ferito. Una sorte ben peggiore è toccata ‎ad altri 15 palestinesi di Gaza rimasti uccisi ieri in quello che non si può che ‎definire il tiro al piccione praticato per ore dai cecchini dell’esercito israeliano. ‎Una strage. I feriti sono stati un migliaio (1.500 anche 1.800 secondo altre fonti): ‎centinaia intossicati dai gas lacrimogeni, gli altri sono stati colpiti da proiettili veri ‎o ricoperti di gomma. È stato il bilancio di vittime a Gaza più alto in una sola ‎giornata dall’offensiva israeliana “Margine Protettivo” del 2014. ‎Gli ospedali già ‎in ginocchio da mesi hanno dovuto affrontare questa nuova emergenza con pochi ‎mezzi a disposizione. Hanno dovuto lanciare un appello a donare il sangue perché ‎quello disponibile non bastava ad aiutare i tanti colpiti alle gambe, all’addome, al ‎torace. ‎«I nostri ospedali da mesi non hanno più alcuni farmaci importanti, ‎lavorano in condizioni molto precarie e oggi (ieri) stanno lavorando in una doppia ‎emergenza, quella ordinaria e quella causata dal fuoco israeliano sul confine», ci ‎diceva Aziz Kahlout, un giornalista.

‎ Gli ordini dei comandi militari israeliani e del ministro della difesa Avigdor ‎Lieberman erano tassativi: aprire il fuoco con munizioni vere su chiunque si fosse ‎spinto fino a pochi metri dalle barriere di confine. E così è andata. Per giorni le ‎autorità di governo e i vertici delle forze armate hanno descritto la Grande Marcia ‎del Ritorno come un piano del movimento islamico Hamas per invadere le ‎comunità ebraiche e i kibbutz a ridosso della Striscia di Gaza e per occupare ‎porzioni del sud di Israele. Per questo erano stati fatti affluire intorno a Gaza ‎rinforzi di truppe, carri armati, blindati, pezzi di artiglieria e un centinaio di ‎tiratori scelti. ‎

‎ Pur considerando il ruolo da protagonista svolto da Hamas, che sicuramente ‎ieri ha dimostrato la sua capacità di mobilitare la popolazione, la Grande Marcia ‎del Ritorno non è stata solo una idea del movimento islamista. Tutte le formazioni ‎politiche palestinesi vi hanno preso parte, laiche, di sinistra e religiose. Anche ‎Fatah, il partito del presidente dell’Anp Abu Mazen che ieri ha proclamato il lutto ‎nazionale. E in ogni caso lungo il confine sono andati 20mila di civili disarmati, ‎famiglie intere, giovani, anziani, bambini e non dei guerriglieri ben addestrati. ‎Senza dubbio alcune centinaia si sono spinti fin sotto i reticolati, vicino alle ‎torrette militari, ma erano dei civili, spesso solo dei ragazzi. Israele ha denunciato ‎lanci di pietre e di molotov, ha parlato di ‎«manifestazioni di massa volte a coprire ‎attacchi terroristici» ma l’unico attacco armato vero e proprio è stato quello – ‎ripreso anche in un video diffuso dall’esercito – di due militanti del Jihad giunti ‎sulle barriere di confine dove hanno sparato contro le postazioni israeliane prima ‎di essere uccisi da una cannonata.‎

‎ La Grande Marcia del Ritorno sulla fascia orientale di Gaza e in Cisgiordania è ‎coincisa con il “Yom al-Ard”, il “Giorno della Terra”. Ogni 30 marzo i palestinesi ‎ricordano le sei vittime del fuoco della polizia contro i manifestanti che in Galilea ‎si opponevano all’esproprio di altre terre arabe per costruire comunità ebraiche nel ‎nord di Israele. I suoi promotori, che hanno preparato cinque campi di tende lungo ‎il confine tra Gaza e Israele – simili a quelle in cui vivono i profughi di guerra -, ‎intendono portarla avanti nelle prossime settimane, fino al 15 maggio quando ‎Israele celebrerà i suoi 70 anni e i palestinesi commemoreranno la Nakba, la ‎catastrofe della perdita della terra e dell’esilio per centinaia di migliaia di profughi. ‎Naturalmente l’obiettivo è anche quello di dire con forza che la gente di Gaza non ‎sopporta più il blocco attuato da Israele ed Egitto e vuole vivere libera. Asmaa al ‎Katari, una studentessa universitaria, ha spiegato ieri di aver partecipato alla ‎marcia e che si unirà alle prossime proteste ‎«perché la vita è difficile a Gaza e non ‎abbiamo nulla da perdere‎». Ghanem Abdelal, 50 anni, spera che la protesta ‎‎«porterà a una svolta, a un miglioramento della nostra vita a Gaza‎».‎

Per Israele invece la Marcia è solo un piano di Hamas per compiere atti di ‎terrorismo. La risposta perciò è stata durissima. Il primo a morire è stato, ieri ‎all’alba, un contadino che, andando nel suo campo, si era avvicinato troppo al ‎confine. Poi la mattanza: due-tre, poi sei-sette, 10-12 morti. A fine giornata 15. E ‎il bilancio purtroppo potrebbe salire. Alcuni dei feriti sono gravissimi.‎

Comune ‘defascistizzato’

segnalato da Barbara G.

2 giugno. Cavarzere, Comune ‘defascistizzato’. La sfida di Elisa: “Basta morbidezza, alziamo la guardia”.

Dimensione Mendez

“Qui siamo in Italia. E in Italia esiste una Costituzione repubblicana che vieta ‘la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista’. Esistono principi e leggi di difesa della democrazia, di argine contro le discriminazioni razziali, etniche, religiose o sessuali. Attorno a questi argini però si assiste ad un costante cedimento. Ormai il livello di guardia è sempre più basso: c’è una indifferenza, una assuefazione, un tacere quotidiano, anche di fronte alle manifestazioni più becere, fasciste e xenofobe. Questo ‘essere morbidi’, in nome di una calma piatta che è finta perché favorisce un rabbioso degrado della democrazia, non può appartenere alle istituzioni. Ed è per questo che ho voluto alzare nuovamente questa guardia, almeno nel pezzo d’Italia in cui vivo”.

Cavarzere, Italia. Parafrasando, da qualche giorno questo è diventato uno dei Comuni più ‘defascistizzati’ d’Italia. Sicuramente “in controtendenza rispetto al volemose bene” che tende ad archiviare tutto, dai saluti romani…

View original post 1.238 altre parole

Fermo e foglio di via per Lorenzo Baldino giornalista e candidato a Como

A quanto pare, non è più possibile manifestare.

[Arci - Giornalismo partecipato]

Una brutta storia, una vergogna per le istituzioni, la conferma dell’involuzione autoritaria dovuta  a norme liberticide e la sensazione che invece di occuparsi della sicurezza di ciascuno di noi le forze dell’ordine debbano occuparsi di perseguire proprio le persone sulle quali la convivenza civile, la democrazia, le libertà costituzionalmente garantite si fondano. Il fermo per 5 ore di Lorenzo Baldino, studente, giornalista de Il turpiloquio, tra i fondatori e candidato della lista di cittadinanza attiva La prossima Como, ed il  foglio di via che gli è stato consegnato per espellerlo da Villa San Giovanni sono un pessimo segnale.  C’è assoluta necessità di ristabilire la legalità attaccata da norme ingiuste e da interpretazioni da stato di polizia. Nel seguito il testo integrale del racconto di Lorenzo Baldino della vicenda di cui è stato vittima.  Leggi il foglio di via. [Foto di copertina in bianco e nero Gin Angri]

View original post 720 altre parole

#prorogagraduatoria

segnalato da transiberiana9

Concorsi pubblici, Zerocalcare disegna la locandina per la manifestazione degli idonei in scadenza: #prorogagraduatoria

Martedì 15 novembre i movimenti che riuniscono i vincitori non ancora assunti e gli idonei alle selezioni pubbliche si troveranno davanti al ministero della Pubblica Amministrazione per chiedere provvedimenti al governo. Le loro istanze racchiuse in una disegno del celebre fumettista

di Luisiana Gaita – ilfattoquotidiano.it, 14/11/2016

La battaglia degli idonei (e dei vincitori) ai concorsi pubblici continua in piazza. Con una manifestazione organizzata per domani, 15 novembre, davanti il Ministero della Pubblica amministrazione, in Piazza Vidoni. Ad accompagnare il comunicato con il quale il Comitato nazionale XXVII ottobre ha annunciato il giorno del corteo, anche una locandina speciale, firmata dal fumettista Zerocalcare, nella quale gli idonei che manifestano con gli striscioni sono ritratti come zombie.

D’altronde anche alcuni di loro, che hanno raccontato storie, rabbia e speranze a ilfattoquotidiano.it, si vedono un po’ così, con le loro vite ‘congelate’. In bilico tra la vita che hanno sognato per anni e quella a cui i loro sacrifici non hanno ancora condotto. “Siamo molto felici che Zerocalcare abbia voluto realizzare questa locandina, che rappresenta la nostra lotta, ma anche la rabbia e le delusioni comuni a un popolo di 150mila persone” ha detto Alessio Mercanti, presidente del Comitato nazionale XXVII ottobre.

GLI IDONEI IN PIAZZA – Sotto la sede del Ministero, la manifestazione avrà inizio alle 10. “I vincitori e gli idonei di concorsi pubblici non assunti torneranno a far sentire la loro voce” si legge nel comunicato stampa. La vicenda è ormai nota. Il 31 dicembre scadrà la maggior parte delle graduatorie di concorsi pubblici attualmente vigenti. Migliaia di giovani meritevoli rischiano di vedere vanificati anni di sacrifici al fine di mettere le loro competenze al servizio dell’intero Paese. “La loro unica colpa? Quella di aver rispettato il percorso di accesso alla pubblica amministrazione previsto dall’articolo 97 della nostra Costituzione” spiega Mercanti. In piazza si chiederà che venga prevista la proroga di tutte le graduatorie attualmente vigenti. Un primo passo, cui dovrà necessariamente seguire un confronto. “Chiediamo, infatti – continua Mercanti – che si attivi quanto prima un tavolo tecnico dove poter affrontare, assieme al Governo, la questione di un graduale assorbimento delle graduatorie attraverso meccanismi che siano il più possibile condivisi e con regole certe”. Il messaggio è chiaro: “Tra tirocinanti, precari, vincitori e idonei c’è un mondo che gravita attorno alle pubbliche amministrazioni, non vogliamo farci la guerra tra noi, piuttosto creare una posizione unitaria”. Anche sulla proroga, però, ci sono diversi dubbi. “Serve almeno fino a dicembre 2018 – conclude il presidente del comitato – considerando che sono stati persi due anni per il blocco del turn over”. Un’altra perplessità riguarda i beneficiari. “Il nostro timore è che il governo possa prevedere la proroga solo delle graduatorie dove sono rimasti vincitori non assunti, escludendo quelle dove i vincitori sono stati assunti e gli idonei (o parte di essi) no. Sarebbe un grave errore”.

L’APPELLO DEL MUNVIC – Diverse le perplessità anche per il presidente del Munvic (Movimento unico nazionale vincitori idonei e concorsisti) che, insieme allo studio legale Leone/Fell e Associati ha presentato un esposto alla Commissione europea. Valeria Mancini, presidente del Movimento, ricorda, ad esempio, che a ottobre il movimento ha incontrato alcuni esponenti del Governo, che si erano detti “intenzionati a far passare la proroga di tutte le graduatorie ancora valide, già in Legge di stabilità”. D’altronde a ottobre, alla richiesta del presidente dell’AnciAntonio Decaro di prorogare la validità delle graduatorie il ministro Marianna Madia ha risposto: “Ritengo che, prima della fine dell’anno, sia possibile perfezionare l’adozione di un provvedimento normativo che disponga la proroga di tutte le graduatorie in scadenza al prossimo 31 dicembre”. Il Munvic sottolinea che non c’è alcun riferimento a quelle “in scadenza durante l’anno 2017”. Di più: “Nei verbali pubblicati sul sito della Camera dei Deputati sono riportate alcune preoccupanti dichiarazioni in riferimento agli emendamenti di proroga depositati e discussi in I Commissione Affari Costituzionali”. Tra le altre quelle della deputata Pd, Sesa Amici, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. “La sottosegretaria Sesa Amici – si legge nel verbale -, ricordato che il tema in questione è già stato affrontato nell’ambito della recente riforma della pubblica amministrazione, giudica inopportuno prevedere una proroga generale delle graduatorie, che prescinda da una specifica ricognizione del fabbisogno delle amministrazioni in relazione a ciascuna pianta organica. Rileva, inoltre, che un eccessivo prolungamento dell’efficacia delle graduatorie, a favore degli idonei, potrebbe compromettere l’accesso alla pubblica amministrazione tramite nuovi concorsi”. A questo punto il Munvic chiede chiarezza sulla posizione del Governo: “Sollecitiamo – dichiara Valeria Mancini – una presa di posizione pubblica da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi”.

Tante piazze per l’uguaglianza

segnalato da Barbara G.

svegliatitalia

UNIONI CIVILI, ASSOCIAZIONI LGBT COMPATTE: “TANTE PIAZZE PER RACCONTARE L’UGUAGLIANZA”
Il 23 gennaio mobilitazione nazionale in numerose città italiane. Dal 26 gennaio presidio nei pressi del Senato.
8 gennaio 2016 – Non una ma tante piazze in tutta Italia per dare forza al traguardo dell’uguaglianza: in vista della discussione al Senato del ddl sulle unioni civili, le associazioni lgbt (Arcigay, ArciLesbica, Agedo, Famiglie Arcobaleno, Mit) si preparano a mettere in campo una mobilitazione capillare nelle principali piazze del Paese. Inoltre, nei giorni caldi della discussione a Palazzo Madama, cioè dal prossimo 26 gennaio, è previsto un presidio in piazza delle Cinque Lune, nei pressi del Senato, per testimoniare l’attenzione e l’apprensione per il dibattito in corso. “Non rispondiamo alla provocazione di chi in queste ore cerca di organizzare il solito schema delle piazze contrapposte: noi ci rivolgiamo al Paese intero”, mettono in chiaro i portavoce delle associazioni. “Abbiamo individuato il prossimo 23 gennaio come giornata di mobilitazione nazionale: stiamo lavorando sui territori, coinvolgendo sia le forze della società civile sia il mondo associativo delle realtà lgbt, per costruire le reti necessarie per far esprimere a gran voce la domanda di diritti e di uguaglianza che in questo Paese da troppo tempo rimane inascoltata. Non parleremo di una legge, bensì di un valore, cioè dell’uguaglianza di tutti e tutte, e del diritto di vivere in uno Stato laico. Staremo assieme alle famiglie, a tutte le famiglie. Assieme alle persone”. Attraverso le manifestazioni sarà rivolto il seguente appello a Governo e Parlamento:
“L’Italia è uno dei pochi paesi europei che non prevede nessun riconoscimento giuridico per le coppie dello stesso sesso. Le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali non godono delle stesse opportunità degli altri cittadini italiani pur pagando le tasse come tutti. Una discriminazione insopportabile, priva di giustificazioni.
Il desiderio di ogni genitore è che i propri figli possano crescere in un Paese in cui tutti abbiano gli stessi diritti e i medesimi doveri.
Chiediamo al Governo e al Parlamento di guardare in faccia la realtà, di legiferare al più presto per fare in modo che non ci siano più discriminazioni e di approvare leggi che riconoscano la piena dignità e i pieni diritti alle persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, cittadini e cittadine di questo Paese.
La reciproca assistenza in caso di malattia, la possibilità di decidere per il partner in caso di ricovero o di intervento sanitario urgente, il diritto di ereditare i beni del partner, la possibilità di subentrare nei contratti, la reversibilità della pensione, la condivisione degli obblighi e dei diritti del nucleo familiare, il pieno riconoscimento dei diritti per i bambini figli di due mamme o di due papà, sono solo alcuni dei diritti attualmente negati.
Questioni semplici e pratiche che incidono sulla vita di milioni di persone.
Noi siamo sicuri di una cosa: gli italiani e le italiane vogliono l’uguaglianza di tutte e di tutti.”

L’elenco delle piazze QUI e QUI.

L’evento fb QUI.

Charlie

segnalato da barbarasiberiana

Samuel Bregolin – qcodemag.it, 11/01/2015

Cosa succede oggi a Parigi? È difficile dirlo con esattezza. Doveva essere una manifestazione quella di oggi, una manifestazione repubblicana contro il terrorismo, è diventata praticamente un’occupazione cittadina.

Non c’è spazio, non c’è abbastanza spazio per far entrare tutti, il luogo di ritrovo previsto era Place de la République, ma la maggior parte dei manifestanti non è neppure riuscita a raggiungerla e chi è arrivato tra i primi probabilmente non riuscirà a tornare a casa prima di questa notte.

Non c’è spazio, dalla Gare du Nord fino a Nation passano chilometri di boulevard, quei boulevard parigini larghi, ampi, a più corsie per le macchine: oggi non c’è spazio neppure per uno spillo. Alle 14h, un’ora prima dell’appuntamento, Place de la République è già irraggiungibile. Alle 15h già non ci si muove più. Se doveva essere una risposta della Francia repubblicana contro il terrorismo e contro le strumentalizzazione dell’estrema destra è stata una risposta chiara e precisa, e soprattutto numerosa.

Sventolano bandiere di tutti i colori, oggi per strada ci sono migliaia di Charlie. Là davanti, davanti a tutti c’è il presidente Hollande, assieme ad Angela Merkel, Cameron, Netanyahu accanto al primo ministro palestinese. Una scena storica. Con loro c’è anche il nostro Matteo Renzi. Dietro di loro alla rinfusa altri capi di stato e i ministri del governo francese.

La politica sta davanti, troppo avanti, quasi un’altra manifestazione piuttosto che un apripista. Qui nei boulevard non c’è più spazio. Tutti cominciano a estrarre gli I-phone, collegamento diretto con BFMTV, sono le telecamere che raccontano e spiegano quello che succede. “Ma quanti siamo!”, “Sono partiti”, la notizia fa il giro delle strade, sembra che la prima fila di ministri abbia cominciato a muoversi. Qui invece continuiamo a essere immobili. I ragazzi si arrampicano sulle fermate degli autobus, sulle impalcature di un palazzo in ristrutturazione. Gli applausi e i canti arrivano a ondate, come la ola allo stadio, li senti arrivare da Place de la Republique e rapidi avvicinarsi fino a quando ti ritrovi ad applaudire, pochi secondi dopo stanno già applaudendo alla Gare du Nord.

Le immagini nel frattempo fanno già il giro del mondo e in tempo reale passano dalle telecamere della televisione francese ai satelliti per ritornare ai tablet e agli I-phone che ora molti armeggiano per capire cosa sta succedendo. L’AFP dice che ci sono più di un milione di persone, ma a giudicare da Avenue Magenta ce ne devono essere almeno tre volte tanto. La copertura mediatica è al massimo, sembra di essere alla finale dei mondiali di calcio, nel frattempo il primo piano di François Hollande e Angela Merkel che marciano compatti fa il giro della rete.

Quello che sta succedendo a Parigi probabilmente lo sa solo chi sta seguendo BFMTV o l’AFP in diretta, qui dalla strada la sola certezza è che c’è veramente un sacco di gente. Il popolo francese ha saputo dimostrare ancora una volta che quando è necessario, che quando serve sa scendere in piazza e manifestare. Non urlano i francesi, non ce n’è bisogno, i numeri e la presenza popolare di massa bastano alla grande per far passare chiaro un messaggio fondamentale: la Francia crede nella Repubblica, condanna il terrorismo e il razzismo. Dimostrando che si vuole scendere in piazza serve ancora a qualcosa. E che quando serve: si fa! Punto e basta.

Dopo gli applausi, quando ormai è chiaro a tutti che Place de la République oggi non riusciremo a vederla qualcuno comincia a cantare la Marsigliese, l’inno della repubblica. Chissà cosa ne avrebbero pensato i disegnatori di Charlie Hebdo morti nell’attentato di mercoledì che nella Repubblica credevano a con la quale spesso litigavano. Ma ormai la faccenda è andata ben oltre i confini dei 17 morti, è diventata faccenda di stato. Questione pubblica.

Al di là delle telecamere, di internet, della stampa e dell’incredibile copertura mediatica di questi giorni i francesi hanno aperto un immenso dibattito pubblico, che da tre giorni a questa parte può essere ascoltato ovunque: dal macellaio, alla fermata dell’autobus, in covoiturage, dal fruttivendolo o al bar. Ovunque in Francia non si parla d’altro: “Adesso cosa succederà?” passato l’effetto choc della prima ora, sorpassato il trauma di aver scoperto che i conflitti possono arrivare fino a Parigi, cuore dell’Europa. Riscoperta finalmente l’importanza della libertà di stampa, almeno per qualche giorno e nonostante Charlie Hebdo lo leggessero tutto sommato in pochi. Adesso la domanda sulla quale i francesi si interrogano è una sola: quale sarà il prossimo evolversi della situazione? Ci saranno altri attentati?, gli elettori si riverseranno alle prossime elezioni a votare l’estrema destra di Marine Le Pen? Entreremo in una nuova guerra? Le risposte non arriveranno certo oggi, e neanche nei prossimi giorni. Perché l’eredità coloniale la Francia se la porta dietro fin dalla guerra in Algeria. Perché i conflitti etnici latenti e la balcanizzazione dell’Esagono crescono da tempo, è arrivato il momento di fare delle scelte, dietro alla Francia tutto l’Occidente aspetta con ansia. Perché François Hollande, che da quando è all’Eliseo non ha avuto molta fortuna, oggi ha imbroccato la frase giusta: “Parigi oggi è la capitale del mondo”.

Una cosa è sicura, siamo passati a un nuovo livello di questo conflitto latente tra l’Occidente e il Medio Oriente, da mercoledì qualcosa è cambiato. Gli americani dopo l’11 settembre entrarono in guerra, la Francia non è gli Stati Uniti, ma qualcosa dovrà pur fare. L’hanno imposto oggi milioni di cittadini, riempiendo i boulevard e schiacciandosi uno contro l’altro per tutto il giorno, mettono pressione a Hollande e al suo governo. Dimostrando ancora una volta che il popolo francese è sovrano, antifascista e repubblicano. E che quando serve: si fa!

Questo articolo è dedicato alle 2000 persone uccise a Boko Haram in Nigeria giovedì scorso, che oscurati dall’attentato di Parigi hanno avuto una copertura mediatica quasi nulla. Questo articolo è dedicato anche agli appassionati e sinceri lettori di Charlie Hebdo, che l’hanno acquistato per anni e che continueranno a credere nella stampa indipendente, anche quando i riflettori della République saranno puntati altrove.

Lavoro, Dignità, Uguaglianza

25-ottobre-580x292

 

IL PROBLEMA DEL PAESE È IL LAVORO.

PER CREARE LAVORO OCCORRE:

Cambiare la politica economica

Attuare investimenti pubblici e privati

Diverso lavoro ma stessi diritti/- contratti +stabili/tutele universali per crisi e disoccupazione

contro la crisi estendere la solidarietà

 

QUI alcune utili informazioni sulla manifestazione nazionale.