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La sentenza del Tar e l’arroganza della politica

segnalato da Barbara G.

Tomaso Montanari, Musei, la sentenza del Tar e l’arroganza della politica

emergenzacultura.org, 25/05/2017

Vorrei ringraziare sinceramente Dario Franceschini, Matteo Renzi e Andrea Orlando. Le loro dichiarazioni di oggi mi hanno ringiovanito, riportandomi come per incanto all’Italia di vent’anni fa. Quando un pugnace Silvio Berlusconi attaccava frontalmente ogni giudice che gli desse torto, minacciando sfracelli e facendo rivoltare nella tomba il povero Montesquieu, che aveva ben spiegato perché il potere giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo dovessero stare ben divisi.

 E ora siamo daccapo. Il Tar del Lazio boccia impietosamente la “riforma” dei musei di Franceschini? Renzi tuona su facebook: “Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar!”.
 Gli fa eco l’alternativa, cioè Orlando: “I Tar andrebbero cambiati“. E Franceschini si scaglia
contro i giudici:
“Sono preoccupato per la figura che l’Italia fa nel resto del mondo, e per le conseguenze pratiche perché da oggi alcuni musei sono senza direttore”.
 Ma possibile che nessuno di costoro senta invece il bisogno di scusarsi? Di dimostrare un po’ di umiltà, invece di sfoderare una simile arroganza?

Il punto è molto semplice: una legge (non fascista: novellata nel 2001) dice che i posti della dirigenza pubblica sono riservati a chi ha la cittadinanza italiana. Si potrà discutere sulla sua bontà. Io non la trovo insensata: dai dirigenti dipendono molti posti di lavoro, sistemi complessi. In molti casi ci sono in gioco settori strategici. Ed è così in tutti i paesi. Franceschini grida che la National Gallery è diretta da un italiano: ma si dimentica di dire che quell’italiano è cittadino britannico.

 E in ogni caso: se a un ministro una legge non piace, può chiedere al Parlamento di cambiarla. E Franceschini aveva i numeri per farlo. Se invece firma un atto che la aggira o peggio la vìola, può capitare che un giudice amministrativo annulli quell’atto. È la democrazia, bellezza! E io me ne sento garantito.

Non sarà il caso di cominciare a dire che non basta fare le cose, ma bisogna anche farle bene? La riforma Madia è stata massacrata dal Consiglio di Stato e dalla Corte Costituzionale, la riforma costituzionale è stata respinta dal popolo italiano: ma non sarebbe stato meglio farle bene, quelle riforme, invece che gridare contro chi ha dovuto constatarne il fallimento? Non è che la figuraccia dell’Italia l’ha causata un ministro incompetente circondato da incapaci?

E poi c’è un punto di merito. Il Tar dice che i colloqui per selezionare i direttori sono stati troppo frettolosi, e sono stati celebrati a porte chiuse. E che dunque i diritti dei concorrenti non sono stati rispettati. Se è vero è una cosa grave. E io so che è vero.

Quel concorso è stato condotto malissimo, ai limiti della farsa, per la stessa ragione per cui Franceschini non ha cambiato la legge: per la maledetta fretta mediatica di poter dire che aveva fatto qualcosa.

La commissione ha avuto (nella migliore delle ipotesi) nove minuti per leggere e valutare ogni curriculum e quindici minuti (questo è un dato ufficiale) per il colloquio che ha deciso la sorte degli Uffizi, o di Capodimonte.

Un elemento di comparazione: per scegliere l’ex direttore della Galleria Estense Davide Gasparotto come curatore della collezione di dipinti, il Getty Museum di Los Angeles ha ritenuto necessari un’intervista preliminare di 2 ore, un colloquio privato col direttore di 2 ore, due visite di tre giorni durante le quali il candidato ha trascorso molto tempo col direttore e il vicedirettore, e poi un lungo colloquio col presidente dei Trustee.

E in questo caso era un direttore di museo che diventava curatore di sezione: mentre noi abbiamo fatto il contrario (abbiamo preso direttori che in quasi tutti i casi non erano mai stati tali, ma al massimo conservatori di sezioni di musei secondari) in un quarto d’ora. La commissione contava solo due tecnici (un archeologo e uno storico dell’arte, entrambi professionalmente non italiani), accanto a una manager museale, a un rappresentante diretto del ministro stesso (l’autore materiale della riforma e consigliere giuridico principale del ministro) e a un presidente non proprio terzo rispetto alle volontà ministeriali (perché contestualmente confermato alla guida della Biennale di Venezia con una deroga alla legislazione vigente decisa dal governo).

Franceschini si trincera dietro i dati dell’affluenza ai musei: che però non dipendono certo dalla sua riforma (o pensiamo che gli australiani vadano gli Uffizi per la riforma Franceschini?), ma dalla congiuntura internazionale legata al terrorismo che vede crollare il turismo in Francia e nel Mediterraneo, e lo spinge nel nostro Paese, ritenuto più sicuro.

E poi: siamo sicuri che i musei di misurino solo con i numeri? A Brera moltissime tavole del Rinascimento hanno subito gravi danni a causa della noncuranza del nuovo direttore. Palazzo Pitti è diventato una cava di opere di pregio concesse in prestito per ragioni politiche, e un set da addii al celibato privati di lusso. Al Palazzo Ducale di Mantova si fa la fiera del mobile. E da nessuna parte si fa più ricerca, cioè non si produce più conoscenza. I musei assomigliano ormai a luna park pregiati: e a rimetterci sono i cittadini comuni, che non hanno molte altre occasioni di crescere culturalmente.

Il prossimo ministro per i Beni culturali dovrà smontare la “riforma” Franceschini pietra per pietra, errore per errore. Questa sentenza del Tar può essere un buon inizio.

Cultura e diritto (sindacale)

Cultura, servizio pubblico essenziale.

di Tomaso Montanari – articolo9.blogautore.repubblica.it, 18 settembre 2015

Il Colosseo chiude per assemblea sindacale (ma per due ore e mezzo!), e il ministro per i Beni culturali sbotta, e annuncia che oggi chiederà al Consiglio dei Ministri di includere la fruizione dei Beni culturali tra i servizi essenziali.

Prima considerazione: l’assemblea è regolare, ed era regolarmente annunciata. Perché il ministro non ha organizzato fin da ieri una efficace campagna di comunicazione?

Seconda, più importante, considerazione: l’accesso alla cultura è davvero un servizio pubblico essenziale. Ma non è negato dalle assemblee sindacali, è negato dalla politica suicida ed eversiva dei governi della Repubblica che hanno indscriminatamente tagliato i fondi (Berlusconi li dimezzò nel 2008, e dopo nessuno ha mai rimediato) e il personale (proprio Franceschini e Renzi hanno appena ridotto di un terzo le piante organiche del Mibact). D’altra parte, l’assemblea sindacale verte proprio su questo: con gli organici ridotti così, non si riesce più ad andare avanti.

Accanto alle foto del cartello del Colosseo chiuso per assemblea, bisogna leggere questi due cartelli (cliccateci sopra, per ingrandirli).

FirenzeCopia di Roma

Uno l’ho fotografato io qualche giorno fa sulla porta della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (la più importante d’Italia), l’altro me l’ha mandato lo storico dell’arte Matteo Borchia, e sta ora sulla porta dell’Archivio di Stato di Roma.

In entrambi si dice ufficialmente che l’accesso alla cultura è negato per alto tradimento del superiore minsitero: perché, cioè, Franceschini non assume e non dà fondi. Siamo ridotti a far funzionare le istituzioni pubbliche fondamentali della cultura attraverso il volontariato.

Allora: benissimo dichiarare la cultura un servizio essenziale. Ma bisogna sapere che un simile provvedimento metterebbe ipso facto sul banco degli imputati non i sindacati, ma il governo e il ministro in carica.

Se è l’annuncio di una conversione, evviva. Se invece è il solito storytelling, abbiamo già dato.

Leggi anche

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/18/colosseo-l-assemblea-sindacale-era-stata-chiesta-e-autorizzata-per-tempo-ecco-cosa-non-ha-funzionato/2047121/

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Torre Eiffel, Louvre, National Gallery: anche nel resto del mondo gli scioperi fanno chiudere i musei

di Laura Eduati – huffingtonpost.it, 18 settembre 2015

Ora sembra essere una peculiarità tutta italiana quella dei musei e dei siti archeologici chiusi per assemblea sindacale o per sciopero. Ma non è così.

Soltanto nell’ultimo anno, per fare un esempio, la National Gallery di Londra – uno dei musei più importanti al mondo e la seconda meta d’arte più visitata della Gran Bretagna con circa 6 milioni di ingressi l’anno – ha chiuso totalmente o parzialmente ai visitatori ben 50 volte. Nei mesi scorsi, invece, a chiudere è stato uno dei monumenti più famosi del pianeta: la Torre Eiffel.

E ancora, in questa ultima decade o poco più, a scioperare sono stati i dipendenti del Louvre, dell’Alhambra, del National Museum of Scotland e così via, non sempre con un preavviso come invece è accaduto il 18 settembre a Roma, con l’assemblea sindacale che ha fermato le visite per qualche ora al Colosseo, ai Fori Imperiali, al museo Palatino e in altri siti archeologici della Capitale.

National Gallery. I dipendenti protestano ormai da mesi – invano – contro la privatizzazione del museo e la trasformazione del luogo d’arte in una sorta di spazio culturale dove l’obiettivo non è più – sostengono i sindacati – ammirare quadri e statue, bensì bighellonare e prendere un caffé al bar. L’ultimo giorno di sciopero, dopo 70 giorni di agitazione sindacale che hanno impedito ai turisti di visitare oltre il 60% delle stanze e delle opere d’arte, risale al 9 settembre.

Torre Eiffel. Il 9 aprile i dipendenti del monumento parigino che stacca circa 7 milioni di biglietti l’anno hanno aderito a uno sciopero generale e dunque nessun turista ha potuto visitare la Torre.

Ecco il cartello destinato a spiegare le ragioni dello sciopero: ai visitatori che avevano prenotato viene consigliato di riempire un modulo per il rimborso.

Louvre. Il museo più importante della Francia, e uno dei gioielli del mondo, nel 1999 rimase chiuso una settimana di seguito per uno sciopero a oltranza che aveva coinvolto anche il famosissimo Musée d’Orsay: a causa di quell’agitazione sindacale non poterono entrare 100mila turisti- il 70% dei quali stranieri – con una perdita enorme di guadagno.

Oggi il Louvre di quando in quando chiude i portoni a causa dello sciopero del personale. E senza troppo preavviso, come è accaduto l’11 aprile del 2013 per la protesta dei vigilantes che, come i colleghi in servizio alla Torre Eiffel, devono vedersela con vere e proprie bande di minorenni dediti al borseggio.

Il 9 aprile di quest’anno, invece, anche i dipendenti del Louvre hanno aderito allo sciopero per il quale era rimasta chiusa la Torre Eiffel:

Nel 2012 uno sciopero degli addetti alle pulizie: