P. IVA

Cara Cgil, ti presento gli operai

segnalato da Barbara G.

Cara Cgil, ti presento gli operai

di Piergiorgio Paterlini – paterlini.blogautore.espresso.repubblica.it, 20/10/2015

Francesca Lupo per Le Nuvole

Mi chiamo Francesca, ho 37 anni e sono una libera professionista iscritta all’Ordine degli Architetti di Firenze.

All’ingresso nella professione, mi sono appassionata alle attività di Iva Sei Partita, mirate a portare all’attenzione pubblica il problema delle false partite Iva negli studi di architettura e ingegneria. Io non ero una falsa partita Iva, ero e sono una partita Iva povera, ma la questione mi toccava. Per giustizia sociale, e per solidarietà.

Partecipare alla Consulta delle Professioni durante questi anni ha significato confrontarmi con gli altri autonomi, dagli archivisti agli avvocati ai traduttori, e scoprire che sotto l’apparente frammentazione delle carriere, delle competenze, delle Casse, degli Albi e delle tassazioni, avevamo problemi molto simili. Avevo un bagaglio di diffidenza verso il sindacato: quasi tutti i miei colleghi erano stati respinti sulla soglia della Camera del Lavoro perché erano autonomi. E quelli che venivano accolti li si compativa e assisteva come se fossero precari.

Però qualche pioniere c’era anche lì dentro. Col tempo ho avuto sempre più chiaro che con l’aiuto delle competenze del sindacato potevamo tutti avere un altro raggio d’azione rispetto a quello delle associazioni di base. Mi era anche abbastanza chiaro che il sindacato aveva bisogno di noi, se non voleva perdere il contatto col mondo del lavoro contemporaneo.

Ma è tempo vi dica di cosa stiamo parlando. Di quante Francesche ci sono.

I professionisti come me si definiscono anche autonomi cognitivi, per distinguerli da commercianti e artigiani. Sono circa 3 milioni e mezzo fra iscritti a Ordini e non. Contribuiscono al Pil per circa il 18%. I redditi medi dei titolari di partita Iva individuale oscillano fra i 15mila e i 18mila euro all’anno. Un reddito di 18mila euro lordi non può essere in alcun modo un mezzo di sostentamento, non dà riconoscimento professionale né dignità. Manca un proporzionamento della fiscalità: il mio lavoro mi deve fruttare letteralmente meno di 5mila euro o più di 70mila per garantirmi un reddito netto appena decente. Niente vie di mezzo. Eppure la media, abbiamo detto, è 18mila euro. Il regime agevolato – almeno fino a oggi –  si può applicare solo in casi limitati e per i primi anni di attività: è strutturalmente inadeguato alla crisi dei nostri redditi. È così che tanti di noi chiudono la partita Iva, e rinunciano all’alta formazione acquisita cambiando lavoro. O peggio rinunciano alla permanenza in Italia ed emigrano. Di nuovo: cittadinanza negata.

Non c’è bisogno di specificare che non è per pigrizia che guadagniamo poco, o per indisponibilità a rimboccarci le maniche: siamo già flessibili al massimo. E non c’è più bisogno di specificare che l’evasione fiscale non basta a spiegare queste cifre, del tutto realistiche. L’evasione non è giustificabile, mai. Ma non è giustificabile nemmeno la presunzione di colpevolezza che continua a essere il criterio alla base delle nostre imposte. Non sanno se evadiamo, ma lo presumono, e ci trattano di conseguenza. Fra contributi e tasse paghiamo oltre il 50% del fatturato. E dobbiamo sostenere da soli formazione, organizzazione del lavoro, assicurazioni obbligatorie, strutture, strumenti, tempi morti, investimenti.

La Costituzione dice che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. Ma la mia esperienza negli anni mi dice che di due fatture emesse, una resta non pagata. Un cliente su due non mi paga e sa che può permetterselo. Dovrei fargli causa. Ma la mia fattura tipo è di circa 1.000 euro. Rinunciare a 1.000 euro ogni 2.000 che mi sono meritata mi costa sempre meno che incaricare un avvocato di difendere i miei diritti. Quel pezzo di Costituzione, purtroppo, non è per me. Questa non è cittadinanza.

I nostri contributi li paghiamo noi. Le nostre Casse professionali ci impongono dei versamenti minimi annui non commisurati ai nostri redditi ma a cifre 5 o 6 volte superiori. Alcune Casse invece ci impongono un’aliquota contributiva unica che taglia le gambe ai piccoli redditi, senza darci granché in cambio. Non pagare i contributi causa l’interdizione a esercitare in proprio. E se si è studiato tanti anni per una professione e si perde l’abilitazione la soluzione è emigrare o andare a lavorare per un altro professionista.

Come ci siamo ridotti a questo? Io penso che ciò accade perché tutto il sistema degli autonomi è fondato sull’assenza di diritti. In tempi di vacche grasse, il riposo, la malattia e la maternità avevano la parvenza di privilegi e chi poteva se li è comprati accantonando grandi fatturati. Ma se te li devi comprare, semplicemente, non sono diritti.

C’è una cosa che mi turba del Jobs Act: il diritto al lavoro è stato messo in vendita. Mi turba la cosa in sé, ma soprattutto mi turba pensare che la nostra assenza di diritti sia stata usata contro chi li aveva, per farli apparire dei privilegi. Di questo passo un giorno qualcuno potrà dire: “gli autonomi hanno sempre fatto senza una vera indennità di malattia. Allora potete farcela tutti”. Invece i nostri diritti di persone e lavoratori sono gli stessi e vanno salvaguardati con strumenti adatti al nostro lavoro, in modo da proteggere anche quelli altrui. Non voglio essere usata né per dimostrare che c’è gente che sopravvive senza welfare, né per far sembrare “privilegi” i diritti degli altri.

Con la crisi e il prosciugarsi delle risorse si sono svelate le brutture “sommerse” – il vero sommerso è (anche) questo – del sistema. Non ci basta auspicare il ritorno dei grandi redditi e fingere che non sia successo niente: vanno sanate le storture, vanno estesi e garantiti i diritti agli individui. A prescindere dalla loro forma lavorativa.

Noi più di tutti abbiamo un bisogno vitale di rappresentanza, ma il sindacato ha bisogno di imparare a rappresentarci. Non fosse altro che per superare una delle tante guerre fra poveri che noi, però, non vogliamo combattere.

Coalizione 27 febbraio: #OperazioneTrasparenza

segnalato da n.c.60

È ora di alzare la testa, è giunto il momento di agire! Il 24 aprile dalle ore 9:30 ci incontreremo sotto la sede centrale dell’INPS, all’Eur, per raccontare le nostre storie ed incrociare le nostre lotte. Sarà lo Speakers’ Corner di tutt* coloro che si battono per una previdenza equa, una fiscalità sostenibile, un welfare universale. 

Cosa chiederemo il 24 aprile:

* correttivi solidaristici al sistema contributivo;

* sblocco immediato dei pagamenti della DIS-COLL;

* sblocco immediato per le indennità dei tirocinanti iscritti al programma Garanzia giovani;

* rivalutazione del montante contributivo, realisticamente conveniente, almeno parametrata al rendimento dei titoli di Stato;

* una “pensione minima di cittadinanza” indipendente dal montante contributivo accumulato;

* un’aliquota della gestione separata effettivamente sostenibile; non solo il blocco degli aumenti previsto dalla riforma Fornero, ma l’avvio di un piano di riduzione sui parametri europei;

* estensione universale del welfare (malattia, maternità, ammortizzatori sociali) e reddito di base.

Queste sono solo alcune delle nostre richieste. Le altre le scriverete voi che leggete e che, con tutti noi, darete vita alla mobilitazione del 24 aprile. Scrivete e inviateci (carovanadeidiritti@gmail.com) entro sabato 18 aprile le rivendicazioni da aggiungere: saranno inserite nella lettera aperta che invieremo al presidente Tito Boeri, chiedendogli di essere ricevuti il 24 aprile stesso.

Coalizione 27 febbraio

#OperazioneTrasparenza #27F #incrociamolelotte

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Per saperne di più su Coalizione 27 febbraio

«Caro Tito Boeri, il nostro welfare è iniquo. L’Inps cambi per partite Iva e precari»

di  –  il manifesto.info, 18 marzo 2015

Un'immagine dallo speakers' corner del 27 febbraio a Roma
Un’immagine dallo spea­kers’ cor­ner del 27 feb­braio a Roma

Nasce la “Coa­li­zione 27 feb­braio” tra lavoratori auto­nomi, pro­fes­sio­ni­sti e precari. Il 24 aprile manife­sterà alla sede cen­trale dell’Inps a Roma e invierà una lettera al pre­si­dente Tito Boeri per chie­dere equità fiscale e pre­vi­den­ziale. Nei pros­simi mesi una “Caro­vana dei diritti” toc­cherà tutte le casse pre­vi­den­ziali degli ordini professionali.

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Oltre a quella di Lan­dini, c’è almeno un’altra coa­li­zione sociale in campo. Si chiama «Coa­li­zione 27 feb­braio» e rac­co­glie la soli­da­rietà intra-professionale tra cate­go­rie come gli avvo­cati (Mga) e i difen­sori di uffi­cio (Adu), i free­lance di Acta, i para­far­ma­ci­sti Fnpi, gli archi­vi­sti di Archim, gli archi­tetti di Iva sei par­tita, il Comi­tato pro­fes­sioni tec­ni­che (Inge­gneri e archi­tetti), i geo­me­tri «Geo­mo­bi­li­tati», Assoar­ching, il Comi­tato per l’Equità fiscale, Inar­cassa Inso­ste­ni­bile e No Cassa Edile. Ci sono gli stu­denti della Rete della Cono­scenza; Stampa Romana, il sin­da­cato dei gior­na­li­sti del Lazio; la coa­li­zione dello «scio­pero sociale», una rete che rac­co­glie atti­vi­sti e cen­tri sociali. Espe­rienze ete­ro­ge­nee che for­mano una coa­li­zione ine­dita nella sto­ria del lavoro indi­pen­dente in Ita­lia: quella tra auto­nomi e pre­cari. Una plu­ra­lità di voci che si sente rap­pre­sen­tata da una parola di uso ormai comune. Tra loro si rico­no­scono in qua­lità di attori di una «soli­da­rietà inter-categoriale e interprofessionale», «uno stru­mento deci­sivo per risol­vere pro­blemi comuni». Una «caro­vana dei diritti» organizzerà ini­zia­tive davanti alle rispet­tive Casse pre­vi­den­ziali per chie­dere equità sociale e un «nuovo mutualismo».

Il nome della coa­li­zione que­sti auto­nomi e pre­cari lo hanno preso dalla data, il 27 feb­braio, del primo spea­kers’ corner indetto a Roma dalla Mobi­li­ta­zione gene­rale degli avvo­cati (Mga) con­tro l’iniquità fiscale e pre­vi­den­ziale della Cassa Forense Nazio­nale. Insieme, il pros­simo 24 aprile, mani­fe­ste­ranno sotto la sede cen­trale dell’Inps all’Eur a Roma. Scri­ve­ranno una let­tera aperta, e un incon­tro, al neo-presidente Tito Boeri chie­dendo una pre­vi­denza equa, una fisca­lità soste­ni­bile e un wel­fare uni­ver­sale. Tra le riven­di­ca­zioni c’è quella della riforma dell’aliquota della gestione sepa­rata dell’Inps al 24% per auto­nomi e free­lance; il diritto alla malat­tia, alla mater­nità e un red­dito di base per tutti; una «pen­sione minima di cit­ta­di­nanza» indi­pen­dente dal mon­tante con­tri­bu­tivo accu­mu­lato e lo sblocco delle inden­nità dei tiro­ci­nanti della «Garan­zia gio­vani». «L’Inps è il sim­bolo delle stor­ture del sistema contri­bu­tivo che ha fatto sal­tare ogni logica soli­da­ri­stica tra le gene­ra­zioni, i lavori e le pro­fes­sioni, come si può vedere anche nelle sin­gole casse pro­fes­sio­nali che impon­gono mini­mali con­tri­bu­tivi inac­ces­si­bili per decine di migliaia di auto­nomi ordi­ni­sti. Per que­sto ci vuole una riforma soli­dale e mutua­li­stica della pre­vi­denza, insieme a un taglio delle super-pensioni e un’imposta pro­gres­siva sui patri­moni» sostiene Fran­ce­sco Rapa­relli delle Camere del lavoro auto­nomo e pre­ca­rio di Roma (Clap).

Una dele­ga­zione della coa­li­zione 27 feb­braio ha par­te­ci­pato sabato scorso all’incontro sulla coa­li­zione sociale proposta da Mau­ri­zio Lan­dini. «L’apertura della Fiom è molto inte­res­sante – con­ti­nua Rapa­relli – È fon­da­men­tale che il lavoro auto­nomo e il pre­ca­riato siano il cen­tro e non la peri­fe­ria delle coa­li­zioni. Par­liamo di mondi diversi che non hanno biso­gno di sem­pli­fi­ca­zioni rap­pre­sen­ta­tive, ma di pra­ti­che poli­ti­che che rispet­tino il loro plu­ra­li­smo irridu­ci­bile». All’incontro con la Fiom c’era anche Davide Gul­lotta, pre­si­dente dei para­far­ma­ci­sti ita­liani: «Coa­li­zione sociale mi piace per­ché rompe gli stec­cati tra ope­raio e par­tita Iva, tra classe ope­raia e ceto medio. Mi sem­bra rispecchiare l’immagine di cit­ta­dini che si ritro­vano davanti ad uno Stato che è diven­tato nemico di chi vuole lavorare e fare la pro­pria pro­fes­sione». Gul­lotta vive in Sici­lia. «Qui noi non abbiamo fab­bri­che, i gio­vani vivono con con­tratti ati­pici o con la par­tita Iva, svol­gono lavori molto diversi dal posto fisso o da un impiego al mini­stero». Quanto ai parafarmaci­sti si scon­trano con una realtà nota a chi ha inve­stito sui saperi, o sul pro­prio lavoro. «Siamo gli unici pro­fes­sio­ni­sti iscritti ad un ordine che non pos­sono eser­ci­tare libe­ra­mente la pro­pria pro­fes­sione. Le farmacie sono ere­di­ta­rie o acces­si­bili solo ai grandi capi­tali. Una situa­zione che anti­cipa quello che sta acca­dendo ad altri professioni­sti. Oggi è il censo a deter­mi­nare chi può lavo­rare in Italia».

«Tra le pro­fes­sioni e il pre­ca­riato le bat­ta­glie sono le stesse – sostiene Angelo Restaino, pre­si­dente degli Archi­vi­sti in movi­mento — Per il momento siamo gli unici pro­fes­sio­ni­sti dei beni cul­tu­rali, vor­remmo che ci seguis­sero anche gli altri. Le coa­li­zioni esi­stono già: c’è la nostra, poi lo “scio­pero sociale”, adesso quella di Lan­dini. Altre forse ver­ranno. Si tratta ora di capire quali ele­menti pro­gram­ma­tici pos­sono garan­tire una coo­pe­ra­zione e una con­ver­genza tra ciò che è già attivo».