prima guerra mondiale

La Gran Vera

di Barbara G.

Spesso ci dimentichiamo che quando i primi fanti varcavano il Piave mormorante, una parte di quella che poi sarebbe diventata l’Italia in guerra c’era già dall’anno precedente. Trentino e Alto Adige, essendo parte del Regno Austro-Ungarico, avevano già visto strappare da case, famiglie, campi e stalle i loro giovani, spediti in massa verso il fronte galiziano. In pochi sono tornati per difendere quelle che erano, a tutti gli effetti, le loro terre, quando anche l’Italia è entrata in guerra.

Per questo in Trentino-Alto Adige le iniziative in commemorazione del centenario della Prima Guerra Mondiale sono iniziati l’anno scorso, con rievocazioni e mostre. Una di queste si intitola “La Gran Vera” (Grande Guerra in ladino), a Moena (Val di Fassa). E’ stata inaugurata l’estate scorsa e resterà aperta fino al 13/09/2015, salvo eventuali proroghe. Racconta la guerra principalmente con riferimento al vissuto delle popolazioni locali, a ciò che è successo nell’area dolomitica e in particolare nelle valli di Fiemme e Fassa, con fotografie, documenti, ricostruzioni, testimonianze in audio e video di reduci del fronte. Il tutto inserito nel più ampio quadro degli eventi che hanno sconvolto l’Europa.

La mostra è divisa in quattro aree tematiche:

  1. Galizia 1914: gli eventi bellici rivissuti con foto e con le rappresentazioni dei pittori di guerra, i “Kriegsmaler”;
  2. La trincea: ricostruzioni di trincee, camminamenti, postazioni con materiali d’epoca e reperti rinvenuti principalmente sulle montagne della zona, testimonianze audio.
  3. Dolomiti 1915: la guerra di trincea in alta montagna, le postazioni austriache e italiane e gli eventi che si sono succeduti, le condizioni di vita dei soldati fra freddo, valanghe, privazioni e assalti suicidi. Uniformi e materiale vario, dalle pipe decorate alle schede di rilievo aereo delle postazioni nemiche. La guerra vista dalla parte della popolazione (tessere annonarie e altro).
  4. Guerra alla guerra: le foto, molto crude, di Friedrich Ernst, anarchico tedesco che nel 1924 decise di mostrare al mondo la vera faccia della guerra, con le sue foto scattate sul fronte e ai reduci mutilati.

Oltre alla mostra, per chi ama camminare nella zona sono presenti numerose testimonianze della Grande Guerra, dalle trincee in prossimità del Passo San Pellegrino (raggiungibili con pochi minuti di cammino) alle postazioni di alta montagna sulle catene di Bocche, Costabella-Monzoni, Porta Vescovo (alcune delle quali richiedono l’attrezzatura da ferrata), al Museo della grande guerra sulla Marmolada.

La mostra

A Moena, val di Fassa (TN) fino al 13/09/2015, Cinema Teatro Navalge

Orari apertura: 10.00 – 12.30 e 16.00 – 19.00

Per info

Link alla pagina dedicata sul sito della Val di Fassa, alla brochure della mostra, e alla pagina facebook dedicata

Il libro “Guerra alla guerra” di Friedrich Ernst

Il papa ripudia la guerra, ma la cerimonia è militarizzata

Redipuglia. Le parole pacifiste stridono con il contesto. La ministra Pinotti gli dona un altare da campo

segnalato da crvenazvezda76

da ilmanifesto.info (13/09/2014) —  di Luca Kocci

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C’è una sequenza che rende chiara l’ambivalenza della visita del papa al sacra­rio mili­tare di Redi­pu­glia, ieri, nel cen­te­na­rio dell’inizio della prima guerra mon­diale. Durante l’omelia Fran­ce­sco ripete che «la guerra è una fol­lia», facendo risuo­nare le parole di Gio­vanni XXIII nella Pacem in ter­ris: «Alienum a ratione», “roba da matti”. Pochi minuti dopo, durante l’offertorio, la mini­stra della Difesa Roberta Pinotti con­se­gna a Ber­go­glio un altare da guerra usato dai cap­pel­lani mili­tari durante il con­flitto, l’oggetto che più di tutti rap­pre­senta la legit­ti­ma­zione reli­giosa del con­flitto — una messa in trin­cea e poi via all’assalto del nemico — gra­zie al ruolo dei preti-soldato, inviati al fronte su richie­sta del gene­rale Cadorna che aveva bisogno di chi soste­nesse spi­ri­tual­mente i sol­dati, con­tri­buendo così a man­te­nere salda l’obbedienza e la disci­plina della truppa.

È tutta qui la con­trad­di­zione tra le parole paci­fi­ste del papa e il con­te­sto di una cerimo­nia fortemente mili­ta­riz­zata dalla gestione dell’ordinariato castrense — su 10mila fedeli par­te­ci­panti, 7.500 erano mili­tari -, non­ché l’ossimoro di una Chiesa mili­tare, il cui capo, l’arcivescovo Mar­cianò, che cele­bra la messa con Ber­go­glio, è anche gene­rale di corpo d’armata, e i cui preti sono incardinati con i gradi (e lo stipen­dio pagato dallo Stato) nelle Forze armate.

Atter­rato di buon mat­tino all’aeroporto di Ron­chi dei Legio­nari, accolto dalla ministra Pinotti e dalla pre­si­dente della Regione Friuli Vene­zia Giu­lia Ser­rac­chiani, Fran­ce­sco si reca al cimi­tero austro-ungarico di Fogliano, dove sono sepolti 15mila sol­dati (oltre 12mila senza nome). Una breve pre­ghiera, poi il tra­sfe­ri­mento a Redipu­glia, nel sacra­rio voluto da Mus­so­lini per esal­tare e fascistizzare la memo­ria della prima guerra mon­diale e inau­gu­rato il 18 set­tem­bre 1938, giorno della proclama­zione, a Trie­ste, delle leggi razziali.

«La guerra è una fol­lia», esor­di­sce Ber­go­glio. «Men­tre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chia­mati a col­la­bo­rare alla sua opera, la guerra distrugge, anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra è folle, il suo piano di svi­luppo è la distru­zione». Le cause dei con­flitti secondo il papa: «Cupi­di­gia, intol­le­ranza, ambi­zione al potere», «spesso giu­sti­fi­cati da un’ideologia». E se non c’è l’ideologia, «c’è la rispo­sta di Caino: a me che importa? Sono forse io il custode di mio fra­tello?». L’espressione si può tra­durre con il motto fasci­sta «Me ne frego», per riequi­li­brare l’ossessivo «Pre­sente» fatto scol­pire sui 22 gra­doni del sacra­rio che ospita oltre 100mila morti (60mila ignoti) per­ché il regime mussoliniano si appro­priasse dei caduti della guerra, tra­sfor­man­doli in «mar­tiri fasci­sti». Ber­go­glio ripete quello che già aveva detto ad ago­sto sull’aereo tor­nando da Seoul: anche oggi «si può par­lare di una terza guerra mon­diale com­bat­tuta “a pezzi”, con crimini, mas­sa­cri, distru­zioni». Tutto ciò è pos­si­bile, pro­se­gue, per­ché «ci sono inte­ressi, piani geo­po­li­tici, avi­dità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sem­bra essere tanto importante. E que­sti pia­ni­fi­ca­tori del ter­rore, que­sti orga­niz­za­tori dello scon­tro, come pure gli impren­di­tori delle armi, hanno scritto nel cuore: a me che importa?».

Al ter­mine viene letta una pre­ghiera per le vit­time di tutte le guerre, e Ber­go­glio con­se­gna ai vescovi pre­senti — fra cui i car­di­nali di Vienna e di Zaga­bria Schön­born e Boza­nic — una lam­pada rea­liz­zata dai fran­ce­scani di Assisi e ali­men­tata con l’olio di Libera da accen­dere nelle loro diocesi durante le com­me­mo­ra­zioni della guerra. Nes­suna parola per gli obiet­tori e i diser­tori, veri eroi della guerra, come chie­deva un gruppo di preti del Nor­dest. Uno di loro, Andrea Bel­la­vite, commenta: «Ome­lia forte nei toni, un po’ meno nei con­te­nuti, troppo gene­rici. Il papa ha denunciato la guerra e il mer­cato delle armi. Forse però avrebbe potuto dire qual­cosa anche a chi quelle armi le usa, i sol­dati, visto che erano pre­senti alla messa, e porre qual­che inter­ro­ga­tivo sul senso delle Forze armate».