Raggi

Chi ha paura di Raffaele Marra

segnalato da Barbara G.

Le inchieste dell’Espresso hanno fatto luce sul sindaco-ombra di Roma. Ma ci sono ancora molti segreti da svelare. Come quelli che hanno permesso a Virginia Raggi di scalare il M5S della Capitale

di Emiliano Fittipaldi – espresso.repubblica.it, 26/12/2016

Come in un domino la caduta agli inferi di Raffaele Marra rischia di far saltare una testa dopo l’altra. Al Comune di Roma. Nel Movimento 5 Stelle. Tra gli imprenditori romani con cui il braccio destro di Virginia Raggi faceva affari d’oro. All’Enasarco, dove la moglie dell’ex finanziere ha comprato la casa con lo sconto. Persino a Malta, dove gli inquirenti hanno individuato la sua seconda casa e dove forse si nasconde il tesoro di Raffaele e i suoi fratelli.  L’inchiesta giornalistica dell’Espresso iniziata a settembre ha infatti portato all’arresto di un dirigente che non era solo il «vero sindaco della città», come molti lo chiamavano in Campidoglio. Era anche il centro di reti e affari poco chiari, e dominus di manovre politiche che adesso rischiano di travolgere non solo la Raggi. Ma pure chi, tra i grillini, ha permesso l’ascesa dell’ex praticante dello studio Previti, e di coloro che l’hanno protetta strenuamente in questi primi difficili mesi da sindaca.

Andiamo con ordine. La domanda da un milione di euro che si stanno facendo tutti, compresi i magistrati della procura di Roma, è una soltanto: perché Virginia si è legata a triplo filo con Raffaele Marra, immolandosi per lui anche dopo gli articoli che scoperchiarono gli incredibili affari immobiliari tra il suo braccio destro e l’imprenditore della Casta Sergio Scarpellini?

Finora nessuno nei 5Stelle ha dato una risposta. Né il primo cittadino della Capitale, che non parla con i giornalisti se non attraverso post su Facebook e conferenze stampa senza domande, né i big del Movimento. Le ipotesi sul campo sono tante. L’ex capo dell’avvocatura del Campidoglio Rodolfo Murra ha detto ai pm di «aver sempre pensato che alla base» del rapporto tra Marra e il duo composto dalla sindaca e dal suo oggi non più vice Daniele Frongia potesse esserci «un ricatto». Non ha specificato quale. È un fatto che l’ex capo di gabinetto Carla Raineri abbia scritto in un esposto che l’allora suo vice Marra, quando capì che lei avrebbe chiesto di allontanarlo dagli uffici dello staff della Raggi, le urlò in faccia: «Non mi farò cacciare senza reagire, se parlo io qualcuno tremerà». Marra ha solo millantato segreti inconfessabili o li ha davvero usati per far fuori Raineri e l’ex assessore al Bilancio Claudio Minenna?

Altri invece sostengono che Marra fosse «imprescindibile» perché l’unico nel cosiddetto “raggio magico” «in grado di scrivere un atto amministrativo». Qualcuno, nei Cinque Stelle, fa risalire il patto di ferro tra Raggi e Marra al 2014, quando l’ex superdirigente assunto in Comune da Gianni Alemanno (lo fece suo delegato al dipartimento delle Politiche abitative e poi direttore dello stesso ufficio e di quello della Casa) era ormai finito in un cantuccio dopo l’arrivo della giunta Marino. Capo di un ufficio dedicato alle Partecipazioni e poi spostato agli ininfluenti rapporti con le associazioni dei consumatori, è certo che Marra stringe amicizia prima con Frongia (pare lo abbia addirittura aiutato a scrivere alcuni capitoli del libro “E io pago” sui conti di Roma) poi con Virginia. Presentandosi a loro come il Virgilio che li avrebbe guidati nei complessi e oscuri meandri del Comune di Roma.

All’inizio del 2016 il sodalizio è ormai indissolubile. Al terzetto si aggiunge Salvatore Romeo, un funzionario di medio livello che lavorava come secondo di Marra e che diventerà segretario politico della sindaca. Il quinto uomo, finora rimasto laterale alle cronache, si chiama Gianluca Viggiano. L’ombra di Marra, ex finanziere come lui, che lo ha seguito silenzioso nella scalata al Campidoglio, da ufficio a ufficio: oggi è ancora capo delle risorse umane. Un ruolo molto delicato, anche perché Viggiano ha preso il posto di Laura Benente, la dirigente cacciata perché osò negare a Marra l’autorizzazione di una trasferta a Bruxelles (pagata dal Comune).

L’amico di Scarpellini e di Franco Panzironi («è una brava persona», ha detto a novembre Marra parlando dell’ex ad di Ama ora imputato per mafia Capitale) ha però puntato su un cavallo che non sembra quello vincente: alle “comunarie” organizzate dalla Casaleggio Associati per scegliere il candidato sindaco per il Movimento, l’uomo da battere è infatti Marcello De Vito, che ha fatto il capogruppo dei grillini in consiglio comunale per due anni. Tra fine 2015 e inizio 2016, però, il vento cambia improvvisamente direzione, girando a poppa della barca su cui sono saliti i “quattro amici al bar”, come si autodefiniscono Marra, Romeo, Frongia e Virginia in un gruppo privato su WhatsApp. Non grazie a un colpo di fortuna. Ma perché Raggi e Frongia vengono in possesso di un dossier fasullo contro De Vito che di fatto ne affosserà la candidatura.

Dentro ci sono accuse gravi. Soprattutto una: l’attuale sindaco e il suo ex vice Frongia, davanti a consiglieri comunali e alcuni parlamentari grillini da loro convocati come Alessandro Di Battista, “processano” il collega, reo – questo il sospetto – di aver compiuto un abuso d’ufficio. «De Vito ha fatto un accesso agli atti per conto di un privato cittadino», attaccano. Sventolando un parere legale (non lo faranno vedere mai) e spiegando che la segnalazione del presunto abuso era arrivata dall’Ufficio condoni del dipartimento Urbanistica.

Per settimane De Vito viene messo sulla graticola a causa del dossier costruito da mani abili. Tutti gli iscritti che possono votare sulla piattaforma ne vengono messi a conoscenza. Nonostante sostenga la sua innocenza, la sua candidatura inevitabilmente si indebolisce, mentre quella della Raggi si consolida. Quando De Vito riuscirà a dimostrare che le accuse sono completamente fasulle (ogni consigliere comunale è abilitato a compiere accessi agli atti, in cerca di eventuali illeciti), è ormai troppo tardi: la macchina del fango ha funzionato, e lui prende pochi voti. La Raggi (che incamererà al secondo turno anche i voti di Frongia) lo sbaraglia e vince le comunarie. È febbraio. I sondaggi danno qualsiasi candidato di Grillo come sicuro nuovo sindaco di Roma. Raggi, Frongia, Romeo e Marra possono festeggiare.

È un fatto che Alessandro Di Battista conoscesse la storia di quell’incartamento contro De Vito: era presente a una delle riunioni a porte chiuse. Ed è certo che anche Luigi Di Maio abbia difeso Raggi nonostante le inchieste della stampa: mentre gli “ortodossi” del movimento come Roberto Fico, Paola Taverna, Carla Ruocco e soprattutto Roberta Lombardi cercavano di convincere Grillo e Davide Casaleggio dei pericoli che avrebbero creato Virginia e i suoi pretoriani (non dimentichiamo l’indagata ed ex assessore all’Ambiente Paola Muraro) all’intero movimento, Di Maio e Di Battista la difendevano a spada tratta. In ogni modo. «Ora traballano. Politicamente sono deboli come non mai: se Marra parlasse e inchiodasse definitivamente la sindaca alle sue responsabilità politiche, dovranno fare non uno, ma due passi indietro», spiega un deputato che crede che sarebbe stato molto meglio, per il futuro del Movimento, togliere subito il simbolo alla Raggi.

Il domino, però, può far cadere altre tessere. La procura vuole infatti indagare a 360 gradi. Sicura che sia Marra sia Scarpellini abbiano molto da nascondere, e poco da perdere. Nel mirino c’è la storia della nomina e del contratto di Salvatore Romeo, che si è messo in aspettativa ed è stato riassunto dalla Raggi con uno stipendio triplicato. E fonti giudiziarie spiegano che potrebbero essere analizzati anche i finanziamenti privati della campagna elettorale: la Raggi ha raccolto 225mila euro di contributi, in gran parte attraverso donazioni inferiori ai cinquemila euro. L’Espresso ha chiesto al M5S la lista dei nomi, ma senza successo: per la legge non è obbligatorio, sotto quella soglia, rivelarli al pubblico, e così sono rimasti finora sconosciuti. Probabilmente non ci sarà nulla di rilevante (notiamo come lo studio legale Sammarco si è attivato per favorire la raccolta fondi per la candidata), ma da chi fa lezioni un giorno sì e l’altro pure sulla necessità di trasparenza totale da parte dei partiti (vedi gli attacchi per le cene elettorali del Pd pagate da Salvatore Buzzi e sui soldi della fondazione di Renzi) ci si aspetterebbe maggiore coerenza.

Non sappiamo, invece, se i magistrati vorranno approfondire altre vicende intrecciate alla carriera e ai business di Marra. L’acquisto della casa dell’Enasarco da parte della moglie Chiara Perico, di certo, è sospetto: non solo perché comprata con due assegni di Scarpellini, ma anche perché nel 2008 – quando la Fondazione controllata dal ministero del Lavoro decide di vendere i suoi immobili – la Perico non era ancora inquilina dell’appartamento: cambierà residenza solo un anno dopo, a fine 2009. Come mai i dirigenti dell’Enasarco, invece di vendere quell’appartamento a prezzo di mercato, hanno permesso alla moglie di Marra prima di entrare in affitto e poi di comprare una casa da 160 metri quadri a 370 mila euro con il 40 per cento di sconto?

Non solo. I magistrati, grazie all’analisi dei conti correnti di Marra, vogliono indagare anche sulla compravendita di barche attraverso società maltesi, e poi su alcune vincite al Lotto. «Marra è stato beneficiario di alcuni assegni bancari per una somma complessiva di 30 mila euro emessi da agenzie partner della società di scommesse Snai a fronte di presunte vincite», scrive la Uif antiriciclaggio di Bankitalia. Le società sono la Ippica Talenti (per circa 21 mila euro) la Ge.Pe per 1.168 euro e la Laurentina Srl per 7 mila e 446 euro. È una fortuna sfacciata al gioco, quella di Marra, o c’è qualcos’altro dietro?

Non sappiamo nemmeno se la procura di Roma approfondirà la vicenda dei contratti da milioni di euro sottoscritti da Marra a favore di Fabrizio Amore, un imprenditore oggi indagato in una delle inchieste su mafia Capitale. Un costruttore che nel dicembre del 2008 e nel luglio del 2009 grazie a convenzioni a trattativa diretta firmate da Marra in persona, allora capo del dipartimento delle Politiche abitative, riuscì a mettere a segno un colpo da maestro: affittare al comune capitolino prima un palazzo a via Giacomini poi 96 appartamenti di medio taglio in periferia a un costo medio per abitazione di 2.256 euro al mese, il prezzo di una casa da 150 metri quadri in centro. Finora i contratti (firmati da società italiane controllate da fiduciarie del Lussemburgo) hanno fruttato ad Amore circa 17 milioni di euro.

È certo, invece, che a Malta sono già in tanti a tremare. I magistrati hanno fatto una rogatoria internazionale per scoprire se dietro conti e società maltesi che compaiono nelle carte di Bankitalia su Raffaele si nascondano altri illeciti. L’isola è la seconda casa di Raffaele. Non solo perché la moglie si è trasferita lì con i figli nel 2015 (ancora ignoti i motivi, i due sono ancora sposati e lui andava sull’isola quasi ogni weekend), ma perché il fratello di Raffaele, Catello, a Malta ha creato negli anni un piccolo impero economico. Anche lui ex finanziere implicato a fine anni ’90 in un’inchiesta su concorsi truccati per entrare nella Gdf (riuscì a cavarsela con la prescrizione dei reati), il fratello maggiore di Raffaele si trasferì sull’isola dopo la disavventura diventando “governatore” di una strana organizzazione chiamata “Corrispondenti diplomatici”.

Abbiamo parlato con un ex adepto del gruppo, che ci ha spiegato che l’organismo gestisce un sacco di soldi: per affiliarsi bisogna sborsare da 7.500 euro a 10.000 (i conti correnti sono della Bank of Valletta e un c/c postale italiano di cui l’Espresso ha il numero), la divisa con mostrine costa sui mille euro, mentre le placche di metallo (tipo corpo diplomatico) da attaccare sull’auto sono gratuite. Catello, Raffaele e Renato (il terzo Marra promosso di recente al dipartimento del turismo del comune di Roma, anche la sua nomina è sotto la lente d’ingrandimento) sono legatissimi, e spesso Raffaele è ospite degli eventi dei “Corrispondenti”. Non solo. Nell’isola esiste un anche un “Sovranordine di san giuovanni di geruslemnme” che fa il verso ai Cavalieri di Malta. È gestito da Catello, che si mostra spesso vestito a festa in ville da mille e una notte, tra belle donne (molte le foto con la show girl Ramona Badescu) e uomini in ghingheri.

C’è una terza associazione gestita da Catello, Italy for Malta, di cui risultano agit prop anche personaggi come Angelo Grillo, casertano e titolare di aziende operanti nel settore della pulizia di ospedali e uffici pubblici e della raccolta dei rifiuti, dal 2013 considerato dai pm vicino al clan Belforte, poi ristretto al 41bis e nel 2016 condannato per un omicidio di camorra.

Catello a Malta è proprietario anche di un ristorante (il Parthenope di San Julian, stessa località dove si è trasferita la Perico) e di un altra società che vende mozzarelle di bufala: si chiama La Bufala Ltd, di cui lui stesso era direttore fino al 2016. Un’azienda passata in un anno da un capitale sociale di 1200 euro a quasi 360 mila euro. Non solo: da controlli documentali risulta che il fratello maggiore di Raffaele sia il manager di una società, la Summer Sensation Limited, controllata da un trust (la Elise Trustees Limited), di cui i soci sono però schermati.
Sui business di Catello non tramonta mai il sole: alla Camera di Commercio di Miami risulta numero uno della misteriosa “Nosky”, una spa di import-export, insieme al figlio Manuel Marra e a Mario Russo. Ora il governo maltese sembra voler collaborare con le autorità italiane: è probabile che l’analisi dei conti correnti riservi altre sorprese. E che lo tsunami partito dalle nostre inchieste su Marra possa investire non solo Roma, ma anche a latitudini più lontane.

The Day After

Le ragazze 5 Stelle travolgono le fragili barriere del Pd

Con le vittorie di Roma e Torino, il M5S diventa partito di massa, radicato nelle periferie, mentre il partito dell’uomo solo al comando salva Milano con Beppe Sala, ma esce ridimensionato. L’assedio a Palazzo Chigi comincia da qui.

di Marco Damilano – espresso.repubblica.it, 20 giugno 2016

Le ragazze 5 Stelle travolgono le fragili barriere del Pd
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Seggio n.931 Morena, Raggi 79,1 Giachetti 20,8. Seggio numero 1166 Raggi 80,6 Giachetti 19,3… Nella notte quando arrivano i seggi della periferia di Roma la vittoria di Virginia Raggi assume le proporzioni della valanga, un’ondata che travolge le fragili barriere del Pd, in un clamoroso rovesciamento delle parti. Il Movimento 5 Stelle nato sulla Rete e intorno al blog di Beppe Grillo diventa partito di massa, radicato nelle borgate e nelle cinture intorno al raccordo anulare, mentre il Pd erede del glorioso Pci e di un pezzo di Democrazia cristiana svanisce, evapora, si trasforma in un partito virtuale, un partito che non c’è. Negli stessi minuti, a Torino, l’addio alla lunga stagione di governo del centrosinistra modello Castellani-Chiamparino-Fassino è segnato dal discorso di investitura del neo-sindaco di M5S Chiara Appendino: parole di ringraziamento per il sindaco uscente, la città che è un patrimonio da tutelare e da restituire a chi verrà dopo… Il volto moderato di una rivoluzione.

L’Onda di Roma e di Torino ha il volto di due donne, due ragazze cresciute negli anni Ottanta-Novanta, nel vuoto della politica. Ha le caratteristiche dei grandi sconvolgimenti che partono nella politica italiana delle città. Il 1975, con le giunte rosse e l’avanzata del Pci di Enrico Berlinguer. Il 1993, la prima elezione diretta dei sindaci che spazzò via dalle grandi città il pentapartito egemone, prima del voto nazionale. E il 2011 dei sindaci arancioni che segnò la fine del berlusconismo a Milano e a Napoli.

Oggi resistono gli eredi di quelle stagioni: Luigi De Magistris a Napoli, Beppe Sala a Milano che nelle ultime settimane è apparso e forse ha vinto come l’erede di Giuliano Pisapia più che come esponente del partito della Nazione di Renzi, a Cagliari Massimo Zedda che neppure è del Pd, sembra piuttosto antico Ulivo. A Bologna resiste il sindaco Merola, ma è il nome sbagliato, espressione della sinistra appenninica, chiusa nei suoi recinti geografici e ideologici, quella che Renzi si proponeva di spazzare via.

La discontinuità va da un’altra parte. A Torino ha il volto della Appendino. A Roma la prima donna sindaco da Romolo e Remo, nella stanza che fu dei sindaci democristiani con i loro soprannomi fantastici, Salvatore Rebecchini, Amerigo Petrucci (il Gattone), Clelio Darida (la Volpe argentata), Nicola Signorello (Pennacchione), fa venire le vertigini pensare che da domani in quelle stanze ci sarà una ragazza sconosciuta che in pochi mesi ha conquistato percentuali che stagionati professionisti della politica non hanno mai visto neppure con il binocolo. La terza discontinuità: esattamente quaranta anni fa, il 21 giugno 1976, il Pci conquisto il Campidoglio dopo l’eterna stagione dei sindaci Dc.

La seconda nel 1993, quando a Roma nacquero i due schieramenti che avrebbero dominato la politica nazionale per venti anni. Il centrodestra, con la dichiarazione di voto di Silvio Berlusconi per Gianfranco Fini. E il centrosinistra modello Roma, di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, da cui anni dopo germogliò il Pd. Ora tocca alla Raggi. Da Roma parte una sfida nazionale che ha caratteristiche opposte a quelle renziane. L’uomo solo al comando di Palazzo Chigi dovrà confrontarsi con una giovane donna che non comanda in solitudine ma che rappresenta un popolo, quello che l’ha spinta alla guida di Roma sulle macerie di mafia capitale e delle dimissioni di Ignazio Marino.

Il Pd di Renzi esce ridimensionato. Ricacciato nei suoi vizi d’origine. L’arroganza di capi e capetti, vecchi e giovani. L’assenza di classe dirigente. Il voltafaccia dell’antico radicamento sociale che non viene ricompensato dall’arrivo di nuovi ceti sociali e di nuovi elettori: vedi la chiusura di campagna elettorale del Pd romano, al ponte della Musica del Flaminio, come simbolo di un partito dell’Auditorium, lontano dalle periferie e dai mali e dalla vita quotidiana dei cittadini. L’incertezza ideologica. L’improvvisa debolezza del leader. La vulnerabilità di Renzi alla vigilia del referendum su cui si gioca tutto.

Non è un’alternativa il centrodestra, che perde con il volto moderato di Parisi e con quello estremista della Lega di Matteo Salvini a Bologna. Anche perché l’elettorato del centrodestra vota con relativa facilità i candidati di M5S, mentre lo stesso non avviene a parti invertite. E l’Onda del Movimento rompe gli argini anche a Carbonia e nei comuni attorno alla Capitale: Genzano, Nettuno, Marino, Anguillara. E in 19 comuni su 20 dove era al ballottaggio.

«Di solito non leggo i manifesti: camminando per le strade mi si abbuiano come dentro un tunnel. E non avrei visto questo del Partito comunista, se un amico non me lo avesse indicato: “Decidi/lotta/governa/col Pci/diventa comunista”. I due verbi – lottare, governare – sono graficamente separati ma aspirano, evidentemente, alla fusione, all’unione, all’univocità. Nascerà il verbo lottagovernare? Dopo la non sfiducia, il lottagovernare. Siamo ai neonevrologismi», scrisse Leonardo Sciascia dopo le vittorie del Pci nelle città negli anni Settanta. Un esperimento carico di speranze che non bastò a spingere il partito di Berlinguer alla conquista del governo nazionale. Tocca ora al Movimento 5 Stelle dimostrare di saper governare. Oggi le città, domani Roma. L’assedio a Palazzo Chigi comincia da qui.