schengen

Il matrimonio è quasi uguale per tutti

Segnalato da Barbara G.

(Il titolo originale è leggermente fuorviante, oltre che un tanticchia “ambiguo”, ma si tratta comunque di un passo estremamente significativo)

Unione europea, sentenza storica: il matrimonio egualitario è valido in tutti gli stati membri

gaypost.it, 05/06/2018

Con una sentenza storica, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha di fatto riconosciuto i matrimoni tra persone dello stesso sesso sulla base delle regole sulla libera circolazione delle persone nei paesi UE. Lo riferisce l’agenzia di stampa Agi.

Il caso di un cittadino romeno e uno statunitense

Esprimendosi sul caso di un cittadino romeno sposato con un americano, i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che la nozione di “coniuge” comprende i coniugi dello stesso sesso. Il trattato di Schengen, infatti, stabilisce che i cittadini dell’Unione Europea hanno il diritto di circolare liberamente negli stati che aderiscono e, con loro, anche i familiari. Questo vale anche se non sono cittadini di uno Stato membro dell’Ue.

Uno Stato Ue non può impedire il soggiorno al coniuge

Secondo la Corte Ue, anche se gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione. Non possono, cioè, rifiutare di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, che non è cittadino Ue, il diritto di soggiorno sul proprio territorio.

Sentenza storica

La Romania, dunque, dovrà concedere al cittadino statunitense il diritto di soggiorno sul proprio territorio perché sposato con un romeno. Ma al di là del caso specifico, la sentenza ha un valore che tutti definiscono storico. Di fatto, riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso al pari di quello tra persone eterosessuali per tutti i paesi dell’Unione.

Focolaio belga

Segnalato da Barbara G.

Perché il Belgio è il focolaio del jihadismo europeo

Il bar Les béguines nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, il 17 novembre 2015. Il locale era di proprietà di Brahim Abdeslam, uno dei responsabili degli attentati di Parigi

di Marie-Béatrice Baudet (*) – internazionale.it, 23/03/2016

Cercare di capire il motivo per cui il Belgio è oggi uno dei focolai del terrorismo in Europa significa esaminare diversi pezzi di un puzzle.

Il primo pezzo ha per simbolo la Grande moschea del parco del Cinquantenario, costruita nel cuore di Bruxelles, segno della forte influenza dell’Arabia Saudita, che l’ha finanziata alla fine degli anni sessanta, e della sua versione radicale e conservatrice dell’islam. Un terreno fertile per l’ideologia jihadista. Negli anni novanta lo sceicco francosiriano Bassam Ayachi ha tessuto una solida rete fondamentalista nel quartiere di Molenbeek-Saint-Jean, a lungo indisturbato dalle autorità federali belghe.

Questa “svolta salafita” dell’islam belga non si è limitata a Bruxelles. Ha riguardato anche altre città, come per esempio Anversa, dove è nata nel marzo del 2010 l’organizzazione Sharia4Belgium. Fouad Belkacem, il suo leader oggi in prigione, predicava all’epoca l’instaurazione della sharia nel paese e invocava la pena di morte per gli omosessuali. Il gruppuscolo salafita estremista riuscirà poi a estendere la sua influenza nelle Fiandre, in città come Mechelen e Vilvoorde, da dove molti giovani partiranno per combattere, a partire dal 2012, prima in Iraq e poi in Siria. Oggi dieci città in tutto il territorio belga sono considerate ad alto rischio dal governo federale e beneficiano di programmi di finanziamento per la lotta contro la radicalizzazione dei giovani.

Il secondo pezzo del puzzle potrebbe essere una “I”, come incrocio. Il Belgio infatti presenta molti vantaggi per un’organizzazione terroristica. Geograficamente si trova al centro dello spazio Schengen, dove è consentita la libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. Anche se i controlli alle frontiere sono stati rafforzati, è ancora abbastanza facile raggiungere la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Germania, dove per esempio l’aeroporto di Düsseldorf offre molti voli economici per la Turchia, permettendo così di arrivare in Siria.

Il mercato illegale delle armi e la burocrazia

Il Belgio è anche uno snodo importante del traffico d’armi. Alla fine degli anni novanta, dopo le guerre nei Balcani e nel Caucaso, la mafia albanese e cecena si sono stabilite in diverse città del Belgio e hanno creato dei canali clandestini di approvvigionamento. È il caso di Charleroi, in Vallonia, dove Amedy Coulibaly, autore dell’attacco a un supermercato kosher di Parigi nel gennaio del 2015, si sarebbe procurato le armi. Tutte queste reti della criminalità organizzata sono utili ai gruppi jihadisti.

Il terzo pezzo del puzzle si potrebbe chiamare “particolarità politiche” del Belgio. Il paese è un rompicapo amministrativo e poliziesco che provoca numerose rivalità linguistiche e regionali. Bruxelles è costituita da 19 comuni, dove ogni sindaco ha poteri di polizia. La capitale belga è ugualmente divisa in sei zone di competenza della polizia federale. Per anni questo groviglio amministrativo ha impedito lo scambio di informazioni e ha ritardato diverse inchieste. Ancora oggi alcuni sindaci delle città belghe dicono di non conoscere precisamente la lista dei giovani a rischio di radicalizzazione residenti nel loro territorio e sottoposti a sorveglianza dalle autorità federali.

Infine, come in altri paesi europei, bisogna aggiungere un ultimo pezzo che riguarda le politiche di integrazione condotte nel paese. I reclutatori dei giovani che vogliono partire per la Siria approfittano del sentimento di frustrazione e di discriminazione provato da molti giovani e promettono ai futuri combattenti di passare dalla condizione di “essere uno zero a quelle di essere un eroe”. Una famiglia di origine marocchina su due è povera in Belgio. E i giovane di origine magrebina e turca hanno tra il 20 e il 30 per cento in meno di probabilità di trovare un lavoro rispetto a quelli di origine differente. Il gruppo Stato islamico sfrutta questo contesto economico.

Cornuti e mazziati

di Ian Traynor a Bruxelles e Helena Smith ad Atene

the guardian – 27 gennaio 2016
La Grecia ha reagito con rabbia dopo aver ricevuto dall’UE un ultimatum di tre mesi, scadenza ultima per evitare di essere sospesa dall’area Schengen a causa dei suoi presunti fallimenti nel controllare la crisi migratoria del continente.

La Commissione europea ha detto mercoledì scorso (27 gennaio, n.d.r.) che Atene non stava rispettando gli obblighi derivanti dalle norme che disciplinano l’area Schengen.

“La Grecia è sotto pressione”, ha detto Valdis Dombrovskis, uno dei vicepresidenti della Commissione. “La Grecia ha trascurato gravemente i suoi obblighi … ci sono gravi carenze nello svolgimento del controllo delle frontiere esterne che devono essere superate.”

La Grecia è stata la principale porta di accesso verso l’Europa attraverso la Turchia per più di un milione di persone nel corso dell’anno passato, la maggior parte delle quali provenienti dal Medio Oriente. Il flusso mostra pochi segni di cedimento, con più di 35.000 persone che hanno fatto la breve ma pericolosa traversata dalla Turchia verso le isole greche nel solo mese di gennaio 2016.

I tedeschi, così come molti altri paesi dell’UE che accolgono un gran numero di migranti, sono da tempo furiosi con i Greci che farebbero semplicemente passare i nuovi arrivati ​​senza registrazione e controlli d’identità e li avvierebbero sulla rotta dei Balcani verso Austria e Germania.

Ma Atene ha risposto con fermezza alle critiche, incolpando invece la Turchia di non rispettare l’accordo che ha stretto con l’Unione europea a novembre. Descrivendo la minaccia di isolare la Grecia come non costruttiva, il governo greco ha sostenuto che la bozza di rapporto di valutazione si riferisce ad un momento in cui la situazione sul terreno era diversa da quella prevalente due mesi e mezzo dopo.

“La Grecia si è superata al fine di mantenere i suoi obblighi”, ha detto la portavoce del governo Olga Gerovasili, insistendo sul fatto che non era colpa della Grecia se la Turchia non era riuscita a stroncare le bande di contrabbandieri e arginare il flusso di rifugiati. “Ci aspettiamo che tutti gli altri facciano lo stesso.”

I governi dell’UE hanno chiarito lunedì scorso che ci sarebbe bisogno di un’azione senza precedenti contro la Grecia se non dovesse riuscire ad iniziare a giocare secondo le regole di Schengen. Gli avvisi venuti mercoledì dalla Commissione confermano esattamente questo. Dombrovskis ha detto che una missione segreta UE in Grecia nel mese di novembre aveva concluso che Atene stava violando le norme di Schengen su più fronti.

“Non c’è un’efficace identificazione e registrazione dei migranti irregolari”, ha detto Dombrovskis. “Le impronte digitali non vengono inserite sistematicamente nel sistema, i documenti di viaggio non vengono sistematicamente sottoposti al controllo di autenticità o verificati nei database di sicurezza cruciali.”

La mossa senza precedenti di sanzionare la Grecia, coniugata con l’azione dei governi nazionali per estendere e prolungare i controlli alle frontiere nazionali per un massimo di due anni, sono un colpo potenzialmente fatale al regime di Schengen, che è stato in vigore per più di 20 anni ed è generalmente visto come uno dei successi più grandi e popolari dell’UE.

La crisi dei rifugiati e il terrorismo jihadista in Europa hanno messo il sistema sotto pressione e potrebbero far cadere governi nell’UE. Trovatasi sulla prima linea del flusso migratorio – 850.000 immigrati hanno attraversato la Grecia l’anno scorso – Atene è furiosa per essere stata identificata come capro espiatorio per il resto dell’UE e teme l’impatto dell’isolamento.

Il ministero degli Esteri greco ha pubblicato mercoledì le sue statistiche che mostrano che il 90% dei nuovi arrivati ​​l’anno scorso provenivano da Siria, Iraq e Afghanistan. Di questi la maggior parte sarebbe qualificata per lo status di rifugiato. Per contro, la commissione ha affermato questa settimana che il 60% di coloro che entrano nell’UE attualmente sono “migranti economici”, non in fuga da guerre e non bisognosi di protezione e che quindi dovrebbero essere deportati.

Un portavoce del ministro della migrazione ha detto al Guardian che, nonostante le condizioni climatiche e il mare freddo e agitato, a gennaio sono arrivati in Grecia circa 3.000 rifugiati al giorno.

“In questo stesso periodo la Turchia ha accettato di riprenderne 123”, ha dichiarato Kyriakos Mandouvalos, ammettendo che, mentre la reazione locale su diverse isole aveva ritardato la costruzione di hot spot per registrare i profughi, questi saranno completati entro la fine di febbraio. “Ci sono stati un sacco di problemi tecnici e politici da risolvere, ma dagli ultimi 10 giorni del mese di febbraio cinque hot spot apriranno a Lesbo, Leros, Chios, Samos e Kos.”

L’avvertimento da parte della commissione è arrivato sotto forma di una bozza di relazione sull’efficienza della Grecia, bozza che deve ancora essere approvata da una maggioranza qualificata dei governi dell’UE. La Commissione dovrebbe quindi dare ad Atene tre mesi per prendere “misure correttive” per salvaguardare il suo posto nel sistema Schengen. Allo stesso tempo, i governi dell’Unione europea, con il sostegno della Commissione, agiscono per aumentare i controlli alle frontiere della Macedonia con la Grecia settentrionale, mossa che potrebbe vedere decine di migliaia di profughi intrappolati in Grecia.

In base a sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, i paesi dell’UE non sono autorizzati a rimandare i richiedenti asilo verso la Grecia, perché le condizioni dei rifugiati lì sono considerate troppo misere. Ma impedire che entrino in Macedonia per poi dirigersi verso nord, annullerebbe il problema di rispedirli indietro in Grecia.

fonte: http://www.theguardian.com/world/2016/jan/27/greece-warned-control-borders-schengen-european-commission