sfiducia

Diritti, diritto e dovere

di Barbara G.

Quanto vale una vita?

Abbiamo tutti lo stesso diritto a vivere in pace, in salute, ad avere cibo e vestiti? A poter studiare, o esprimere la propria opinione? Ad avere una casa, un lavoro o un pezzetto di terra da cui ricavare ciò che serve per vivere? A poter rimanere nella propria casa senza rischiare di morire sotto qualche bombardamento?

Secondo la nostra Costituzione si, perché questi diritti li contempla tutti, e prevede anche che chi non possa goderne nel suo Paese abbia diritto a chiedere asilo. “Diritto” è la parola chiave. Non si tratta di un “favore” concesso in uno slancio di benevolenza, ma di un diritto che spetta alla persona. Ma anche i trattati internazionali prevedono che una persona privata dei suoi diritti inviolabili possa chiedere asilo. E vige l’obbligo di soccorrere chi in mare è in difficoltà, e il porto in chi si deve accompagnare il naufrago non è necessariamente il più vicino, deve essere considerato “porto sicuro”. Vige pure il principio di “non respingimento” di chi fugge da situazioni di pericolo.

In un paese “normale”, questi principi non dovrebbero essere nemmeno messi in discussione. Invece succede, in Italia ma non solo.

Che si fa?

A parte dare la colpa a quel cattivone di Salvini, senza considerare che a questo Matteo un altro Matteo, per interposto Minniti, ha preparato la strada (l’unica cosa che ha asfaltato veramente)… concretamente, qualcuno sta facendo qualcosa?

Quello che vedo io è che mentre Salvini usa l’arma migranti come un manganello (!!!) per far fuori l’opposizione, chi in teoria dovrebbe opporsi usa l’arma Salvini come uno stuzzicadenti per (tentare di) ricompattare la propria area e far fuori la maggioranza, facendo leva su chi ha votato M5S “per protesta”, ma questa roba qui, proprio così, non la voleva. Sistema delirante e, secondo me, controproducente, visto che prima d’ora non hanno fatto una mazza per smontare le bufale che venivano diffuse ad arte, non si sono mai degnati di ristabilire un minimo senso della realtà parlando di numeri veri, di sistemi che funzionano e che non funzionano, valorizzando i primi e disincentivando i secondi. E nessuno ha mosso un dito quando il Ministero ha fatto sparire i dati ufficiali relativi alle persone inserite nel circuito di accoglienza dal sito ufficiale. Nessuno tranne i soliti gufi rompicoglioni, che non contano un cazzo ma di colpo diventano responsabili di aver fatto perdere il csx alle elezioni.

Ricapitoliamo…come se ne esce da questo casino, che è contemporaneamente culturale e politico, e se non agisci sul piano culturale difficilmente riesci a sovvertire il piano politico? E se non agisci sul piano politico, come puoi avere a cascata ricadute sul piano culturale? E al prossimo giro elettorale pensi che ti si filerà qualcuno, visto che sono vent’anni che il cosiddetto centrosinistra non muove un dito, sperando sia l’avversario politico a suicidarsi?

Sul tema culturale credo che ognuno debba metterci del suo, anche se è deprimente, se ti viene il latte alle ginocchia, se ti vien voglia di prendere a legnate il vicino di casa, o il collega, per le cazzate che ti viene a dire. E con “culturale” non voglio assolutamente dire che esiste una verità assoluta e la sinistra ne è detentrice… ma che oggi si tirino ancora in ballo i 35€ al giorno ai migranti, che si parli di invasione quando la maggior parte dei profughi rimane nei paesi limitrofi da cui scappa, e in Italia il rapporto richiedenti asilo/abitanti è inferiore al 3/1000, e che ci sia una sedicente giornalista che, pagata da CasaPound, diffonde panzane clamorose su twitter e la gente ci casca… no, ‘ste cose non si possono stare a sentire. Provate a chiedere a chi sostiene queste cose se sa quanti sono i richiedenti asilo e gli stranieri presenti sul territorio… non lo sa nessuno.

E sul piano politico?

In quanto cittadini, non passiamo tollerare che chi ci rappresenta in parlamento o al governo agisca in totale sprezzo della Costituzione, della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, delle convenzioni che regolano il soccorso in mare. Abbiamo una classe dirigente che considera le leggi dei cavilli burocratici, delle scocciature da “superare”, e quasi nessuno che fa notare che una società si regge su valori, e che questi “tecnicismi normativi” li dovrebbero rispecchiare, oltre ad essere espressione di un istintivo rispetto per il prossimo. Chi sta in Parlamento la possibilità di agire sul serio ce l’ha, ma si nasconde dietro ai calcoli di opportunità, tuona a parole ma in realtà va a pescare nei metodi tipici della destra, per poi stupirsi se la destra vera dilaga.

Un esempio? Eccone uno fresco di giornata. Riporto cosa ha scritto oggi Laforgia

Votazione, al Senato, del provvedimento sulla cessione delle motovedette italiane alla Guardia Costiera libica. Misura annunciata da #Salvini settimane fa e che si muove in continuità con le politiche, scellerate, sull’immigrazione degli ultimi governi. I tre puntini rossi alla sinistra sono quelli di LeU (la capogruppo era assente giustificata). L’altro puntino rosso è quello di Emma Bonino. L’immagine fa impressione. È la foto di un Parlamento. Voglio pensare che non sia la foto di un intero Paese.

Senato, 25/07/2018. Votazione su cessione motovedette alla guardia costiera libica. I pallini rossi sono tre senatori di LeU ed Emma Bonino

Ecco, forse è il caso di mettere davanti i nostri “dipendenti in Parlamento” alle loro responsabilità. Hanno il dovere di agire attuando la Costituzione, e chi non lo fa non è degno di ricoprire un ruolo istituzionale, non può avere la fiducia dei cittadini, anche se è stato votato alle elezioni, e la fiducia dei cittadini, in una democrazia rappresentativa è data dalla fiducia in Parlamento.

Va chiesta la sfiducia individuale per Salvini. Non è degno del ruolo che gli è stato assegnato, ed è necessario che chi può fare qualcosa prenda l’iniziativa. Ed è per questo che è stata lanciata on line una iniziativa di sensibilizzazione indirizzata ai parlamentari,  affinché votino una mozione di sfiducia individuale nei confronti di Matteo Salvini. Il Ministro degli Interni sta infatti tenendo un comportamento inqualificabile e totalmente al di fuori dei suoi poteri e dei principi sopra citati.

La petizione, lanciata alcuni giorni fa con primi firmatari Beatrice Brignone (Segretaria di Possibile), Pippo Civati e Andrea Maestri, Luca Pastorino (deputato eletto nelle liste di LeU) e Elly Schlein (europarlamentare, relatrice dei Socialisti e Demoncratici per la riforma del Regolamento di Dublino), ha superato in breve tempo le 100000 firme, e mentre scrivevo queste righe ha superato le 148400. Oltre centoquarantottomila persone che, con la loro firma, vogliono che i parlamentari agiscano per chiedere il rispetto della Costituzione e del Diritto internazionale, senza nascondersi dietro presunti calcoli di convenienza politica.

La politica vera non è sui social, non si può fare con change org.

Vero, ma la rete consente ai messaggi di bypassare i “blocchi” esistenti nel sistema dei media, e la notizia di questa iniziativa nei giorni scorsi è diventata virale (altrimenti non sarebbero stati raggiunti questi numeri), e ha sollevato discussioni accese. E se o destrorsi si incazzano, vuol dire che si è visto giusto. Faccio inoltre notare che questa iniziativa ha avuto il merito di far emergere le contraddizioni di molti nell’area di centrosinistra, ovvero ha cominciato a fare un po’ di chiarezza, dividendo i “si ma non conviene” da chi la vede come una questione di principio, e non nel senso di “puntiglio” ma in quello del “principi” morali e politici. E ha avvicinato le anime della sinistra più dei vari tentativi di fusione a freddo, da Brancaccio a LeU. Era da tempo che non vedevo persone con differenti sfumature di rosso pensarla allo stesso modo su un aspetto così importante.

La mozione da presentare in parlamento è in fase di preparazione, ed ogni firma può aumentare la forza, la pressione da esercitare sui Parlamentari perché, finalmente, ricomincino ad agire sulla base dei valori che si propongono di incarnare.

Alex Langer, che era uomo di pace e “costruttore di ponti”, nel suo messaggio di addio ha scritto “continuate in ciò che era giusto”. Ecco, la classe politica italiana deve ricominciare ad agire in funzione di ciò che considera giusto, e non con la logica da marketing da due soldi, finalizzato a pescare nel bacino di voti del rivale più a destra.

La petizione è disponibile al seguente link

Gradimento e sfiducia

Tiene il gradimento per Gentiloni. Un italiano su 3: migranti il problema

Popolarità dei leader: Salvini al 31%. Renzi al 26, Berlusconi al 24, Grillo al 21. Sulla crisi, il 52% si dichiara molto preoccupato e il 38% che il peggio debba ancora venire.

di Nando Pagnoncelli – corriere.it, 29 luglio 2017

Il peso dell’economia

Gli italiani non sembrano dare molto credito ai segnali di crescita del Pil, corroborati dalla revisione in rialzo delle stime di quest’anno. Solamente il 13% esprime un giudizio positivo sull’economia del Paese e, a dispetto dei dati oggettivi, si registra una contrazione del 6% rispetto al luglio dello scorso anno. La crisi continua a preoccupare la stragrande maggioranza dei cittadini: il 52% si dichiara molto preoccupato e il 38% pensa che il peggio debba ancora arrivare; solo il 20% ritiene che ce la siamo lasciati alle spalle. Un italiano su due (48%) non prevede che la sua situazione personale o famigliare migliorerà nei prossimi sei mesi e tra gli altri prevalgono i pessimisti (il 27% si aspetta un peggioramento) sugli ottimisti (fermi al 19%).

Le preoccupazioni: lavoro e migranti

Il problema più urgente da risolvere è rappresentato dall’occupazione, menzionata spontaneamente dal 78% degli intervistati. A seguire, in netta crescita, l’immigrazione e la presenza degli stranieri: nel 2014 questo tema si attestava al 3%, oggi raggiunge il 35% delle citazioni. A distanza di un anno aumenta la percentuale di italiani convinti che il Paese stia andando nella direzione sbagliata (dal 59% nel 2016 al 71 oggi).

Le ragioni del pessimismo

Il clima fosco va ricondotto a diversi aspetti, dalle attese comprensibilmente elevate (dopo quasi un decennio di crisi) che portano a sminuire i segnali positivi degli ultimi mesi, al confronto con gli altri Paesi, allo scarso impatto percepito sulla vita quotidiana dei miglioramenti degli indicatori economici nazionali.

Il giudizio su Gentiloni

In questo scenario le valutazioni positive espresse sul governo e sul presidente Gentiloni si mantengono stabili, attestandosi al 39%, mentre la maggioranza si esprime negativamente sia sull’operato dell’esecutivo (52%) sia su quello del premier (50%). Come di consueto le opinioni sono in larga misura guidate dall’orientamento politico, anche se una quota non trascurabile di elettori dei partiti dell’opposizione esprime un giudizio positivo su Gentiloni: il 26% tra i pentastellati, il 29% tra i leghisti e il 32% tra quelli di Forza Italia. Tra costoro lo scontro politico sembra più con il Pd e il segretario che con l’esecutivo e il presidente.

Salvini il più apprezzato

I giudizi sull’operato dei leader sono tutti di segno negativo. Salvini è il più apprezzato (31%, in crescita dopo le Comunali di giugno), seguito da Renzi, Di Maio e Meloni (tutti al 26%), quindi Berlusconi (24%), Pisapia (23%), Grillo (21%) e Bersani (12%).

Ministri, Minniti al primo posto

Da ultimo, l’indice di gradimento dei ministri, calcolato escludendo coloro che non conoscono il ministro o non si esprimono: i più apprezzati risultano Minniti, con un indice pari a 36, Padoan (35) Franceschini (32) e Delrio (32), tutti in flessione rispetto alla rilevazione di aprile. In crescita si registrano Calenda (+5) e Orlando (+4) e in misura meno marcata Alfano e Poletti (+2). Ma i giudizi possono variare in relazione alla notorietà dei singoli ministri, alla conoscenza del loro operato, all’importanza attribuita al dicastero che guidano.

La sfiducia

In conclusione, prevale l’attitudine a guardare al bicchiere mezzo vuoto e tutto ciò si riverbera sul rapporto con la politica e i leader: «It’s the economy, stupid», ammoniva Bill Clinton 25 anni fa. Chiunque vinca alle prossime elezioni sarà chiamato a effettuare una robusta iniezione di fiducia a un paese disilluso e sempre più scettico.

Sinistra di lotta e di governo

Portogallo, fine della macelleria sociale, sinistra pronte a governare

Portogallo. L’esecutivo di destra di Coelho, il meno longevo della storia della democrazia portoghese, è già caduto. Bocciati i diktat di Bruxelles. A Lisbona per la prima volta un’alleanza frentista, di sinistra, anti austerity, potrebbe diventare realtà.

di Goffredo Adinolfi – ilmanifesto.info, 11 novembre 2015

Dopo due giorni di discussione alle 17.05 di ieri pomeriggio al parlamento portoghese inizia la votazione della mozione di sfiducia delle sinistre contro il governo Passos Coelho. Prova di quorum, il dispositivo elettronico sugli scranni non funziona! L’esecutivo meno longevo della storia della democrazia conquista qualche secondo di vita. Si procede così al ben più lento voto manuale. Conteggio, maggioranza! Alle 17 e 17 la mozione è approvata, nessuna defezione, 123 deputati contro 107, governo sfiduciato! Le destre, ora, salvo sorprese provenienti dal palazzo di Belém (presidenza della repubblica), dopo una legislatura all’insegna della macelleria sociale, dovranno tornare all’opposizione.

Passati 40 anni di conventio ad excludendum si è infine «rotto un tabù e si è abbattuto un muro» dice Antonio Costa nel suo intervento all’Assembleia da Repubblica durante il dibattito per l’approvazione della mozione di sfiducia. Passo dopo passo, con grande pazienza, tenacia, coraggio e determinazione il percorso di una alleanza frentista sembra stia per diventare realtà.

Le sinistre, unite per la prima volta, hanno gridato un assordante «no» a Pedro Passos Coelho, uno dei simboli più visibili della politica austeritaria europea e che, nella sua variante lusitana, ha mostrato una intransigenza non inferiore a quella del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble.

Dopo settimane di incertezze la lunga discussione alla camera dei deputati di ieri è stata certamente catartica. Nel principale organo rappresentativo della sovranità popolare, dopo contrattazioni avvenute in modo perlopiù discreto, si sono messe in chiaro le ragioni che hanno portato all’intesa quattro forze politiche — Partido Socialista (Ps), Partido Comunista Português (Pcp), Bloco de Esquerda (Be) e Partido Ecologista os Verdes (Pev) — che sono state, restano e resteranno molto differenti tra di loro. Convergenze parallele di una sinistra — soggiunge Costa — orgogliosamente plurale.

Il segretario Ps affronta a viso aperto una delle maggiori critiche che arrivano da chi si è battuto affinché una maggioranza alternativa a quella della Coligação non fosse costruita: «Essere contro la Nato, l’Euro e le politiche energetiche non implica che non si possa trovare un terreno comune di mediazione.

Un accordo che parte dal presupposto di come sia ora necessario voltare definitivamente pagina al radicalismo ideologico che ha animato la coalizione di destra e inauguri un nuovo ciclo politico che ridia speranza e un futuro di fiducia». È finita l’èra del «cinismo di classe — dice Jeroninmo de Sousa segretario generale del Partido Comunista Português — per cui si finge di parlare in nome del paese per poi occuparsi degli interessi di una piccola minoranza».

Questa destra non solo ha applicato pedissequamente il memorandum con la Troika, ma lo ha reinterpretato in una chiave tanto estensiva da non lasciare nessun settore escluso da una rimodulazione dei rapporti tra lo stato e il cittadino. I bilanci, dice Catarina Martins, sono stati soltanto la punta di un iceberg, perché è il contratto sociale stesso ad essere stato alterato.

Ed é per questo, continua la portavoce del Be, che oggi la destra è isolata nel parlamento, perché in questi anni essa è stata isolata nel paese.
Ultimo a pronunciarsi, prima della votazione finale, è un Passos Coelho che sembra riemergere da un passato ormai superato. Minoritario all’Assembleia, nominato nonostante fosse chiaro che le sinistre, maggioritarie, intendevano farsi governo, si considera purtuttavia vittima, vittima di un parlamento che non gli vuole riconoscere una vittoria mai ottenuta.

Ora il lato orientale e quello occidentale del continente sembrano incamminarsi verso una strada di rifiuto pragmatico ma deciso delle politiche iperliberiste.

Un governo di sinistra anti-austerità — afferma Panos Trigazis membro del comitato centrale di Syriza in una dichiarazione inviata all’agenzia Lusa — rappresenta un sostegno indispensabile agli sforzi portati avanti da Atene a livello europeo.

È inoltre un contributo essenziale per la creazione di una base programmatica anti-austerità e rafforza l’aspettativa di sviluppi simili nella vicina Spagna alle prossime elezioni del 20 dicembre.

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Portogallo, c’è un programma di sinistra

Portogallo. Pronta mozione di sfiducia contro il governo di Pedro Passos Coelho.

di Goffredo Adinolfi – ilmanifesto.info, 10 novembre 2015

Dopo più di un mese dalle elezioni l’accordo tra socialisti, Bloco de Esquerda (Be) e Partido Comunista (Pcp) è stato finalmente concluso. Durante lo scorso fine settimana le segreterie dei tre partiti hanno ratificato in via definitiva il documento programmatico che dà il via libera ad Antonio Costa per formare un governo appoggiato dalle sinistre.

Il testo prevede la cancellazione di fatto di grande parte delle riforme austeritarie di questi ultimi anni. Scorrendo le 138 pagine si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un vero e proprio percorso di smantellamento di quanto fatto a partire dal 2009–2010 quando, a causa della tempesta scatenatasi sui debiti sovrani, il premier socialista José Socrates è stato costretto a firmare con la Troika — Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione — un piano di contenimento draconiano del bilancio dello stato e di svalutazione salariale.

Al primo punto dell’intesa misure volte ad «aumentare il reddito delle famiglie per rilanciare l’economia». Nel corso del 2016, se Costa sarà nominato primo ministro, verranno annullati per intero i tagli degli stipendi della funzione pubblica e il salario minimo verrà portato da 505 a 600 Euro entro il 2019 (ovvero una crescita di quasi il 20% che riguarderà circa 500 mila persone). Agli aumenti diretti occorre poi aggiungere quelli indiretti che comunque incidono in modo sostanziale sul potere d’acquisto. I contributi previdenziali verranno ridotti del 4% e compensati da un investimento maggiore da parte della Segurança Social (Inps). Sono inoltre previste una serie di riforme atte a combattere l’uso ingiustificato del lavoro autonomo, per favorire l’occupazione e ridurre i livelli di precarietà. Infine verranno reintrodotti i giorni festivi aboliti nel 2011 che passeranno da 9 a 13.

Riguardo all’Europa — una delle tematiche più controverse visto il presunto antieuropeismo di comunisti e blocchisti — ci si trova di fronte a una sorta di paradosso. Dal documento concordato sembrerebbe infatti emergere la volontà di portare ulteriormente in avanti il processo di integrazione e, soprattutto, di democratizzazione dei processi di decision-making (ri)dando maggiore centralità, in quanto principale organo rappresentativo della sovranità popolare, al parlamento. Intanto ieri pomeriggio è iniziato il dibattito all’Assembleia da Republica che si concluderà oggi con l’approvazione della mozione di sfiducia contro il governo guidato da Pedro Passos Coelho. A questo punto il capo dello stato Aníbal Cavaco Silva dovrà decidere quale cammino intende seguire: se dare luce verde ad un esecutivo frentista, mantenere un governo di gestione o addirittura promuovere un governo di iniziativa presidenziale.

Al momento le polemiche riguardo le denunce di «colpo di stato» lanciate dal Telegraph qualche settimana fa e che tanta eco hanno avuto nei media internazionali, sembrano essersi sopite. Anche il potente ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha mostrato tranquillità dicendosi convinto che il Portogallo proseguirà comunque sulla strada della crescita.

Sia come sia da questa sera inizierà un percorso del tutto inedito e quindi ancora molto incerto nella recente storia portoghese e che, ne siamo certi, avrà un impatto non solo interno ma anche sulla Spagna (si voterà il prossimo 20 dicembre) e sull’intero continente (basti pensare al peso giocato dal centro-destra portoghese in sede di eurogruppo). Anche se il compromesso storico lusitano è stato perlopiù accettato le prossime giornate si prospettano delicate perché, come sottolinea Catarina Martins portavoce del Bloco, le pressioni «da parte dell’Europa dell’austerità saranno gigantesche, così come gigantesche saranno le pressioni da parte di quel potere finanziario che in questi anni ha lucrato con la svendita del nostro paese».