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All you need is hate

segnalato da Barbara G.

Odio, il grande business dei tempi nuovi

di Flavia Perina – stradeonline, 29/06/2016

Lo chiamiamo hate speech e lo immaginiamo come una galassia di bulli da tastiera che invadono la rete di messaggi ansiogeni, invettive, notizie terrorizzanti. Povera gente ossessionata. ‘Un immigrato arrestato ogni quattro minuti’, dice l’hate speech. ‘Prendiamo le armi contro i migranti’. ‘Un milione di immigrati disperati verso l’Europa’. Solo che non è hate speech: è il Daily Express, uno dei più popolari tabloid inglesi, un milione e mezzo di copie vendute e 14 milioni di ‘lettori’ in rete.

Con titoli analoghi escono, da mesi, il Sun (1.800mila copie) e due terzi dei più venduti giornali della Gran Bretagna, un posto dove l’editoria quotidiana è ancora estremamente florida e dove i gruppi editoriali sono colossi della multimedialità (il Sun è di Rupert Murdoch, non di un qualsiasi Paperoga). L’odio, insomma, comecore business dell’industria delle notizie e motore di record di vendita e consultazione online. E l’industria delle notizie che sdogana quotidianamente l’odio, rendendolo sentimento socialmente presentabile, anzi tendenza di costume, “moda” interclassista che mette insieme giovani sbandati delle periferie e alta borghesia nostalgica del passato.

Immaginiamo che cosa sarebbe successo tra i ’70 e gli ’80 se una parte dell’industria editoriale avesse deciso di far soldi legittimando la causa impresentabile del terrorismo, se l’elogio della rivolta armata non si fosse limitato ai samizdat dell’eversione ma fosse diventato la bandiera di quotidiani diffusi in milioni di copie. Avremmo avuto fucilazioni di massa per le strade, forse una guerra civile. Beh, adesso sta succedendo metaforicamente questo.

Anche perché attraverso la rete le parole dell’odio, le notizie dell’odio, raggiungono ogni angolo del villaggio globale, determinando, oltre che buoni affari, anche carriere politiche importanti, in un circolo vizioso che si auto-riproduce: le due star del momento sono Boris Johnson, che nasce come giornalista dell’area conservatrice, e Donald Trump, già icona televisiva e potentissimo testimonial della multinazionale delle telecomunicazioni e dell’energia Acn Inc.

Si è molto riflettuto sui dati “generazionali” del voto inglese, ma assai poco sul dato “scientifico” del business dell’odio e sulla sua ricaduta sociale. Tuttavia, il meccanismo è evidente, anche da noi. Nel corso delle elezioni europee del 2014 l’Enar (European Network against Racism) ha monitorato le dichiarazioni discriminatorie in rete: l’Italia si è distinta per il maggior numero di status d’odio verso migranti, richiedenti asilo, musulmani.

L’aspetto specifico della nostra situazione è che frasi, post e video non provenivano da ignoti “fomentatori” ma da affermazioni di candidati o da loro interventi televisivi. L’odio fa ascolto. L’odio porta voti. Ne sono consapevoli sia i diretti interessati sia i network generalisti, e non è casuale la loro predilezione per personaggi “capaci di tutto”: l’estremismo alza l’audience e porta click – quindi pubblicità – a costo zero, è il grande affare del momento. Al secondo posto di questa triste classifica c’è il Regno Unito. Seguono Lettonia, Repubblica Ceca e Ungheria.

L’odio, sdoganato dalla politica, dalla televisione e dal giornalismo, non è più un sentimento di cui i singoli debbano vergognarsi. L’odio va di moda. Dopo un secolo in cui era additato come atteggiamento antisociale e riprovevole, è diventato un’opinione legittima e addirittura desiderabile. Se i grandi movimenti pacifisti, tra i ’60 e gli ’80, avevano insediato nell’immaginario collettivo l’idea di un mondo libero e senza guerre che emarginasse la violenza e lo scontro tra popoli, il business del rancore ha visto nella crisi globale una colossale opportunità di buoni affari e ha rovesciato il paradigma. All You Need Is Hate.

E i buoni affari sono arrivati a cascata per tutti: i grandi network hanno aperto le porte, i minuscoli editori fai-da-te ci si sono buttati dentro per raccogliere le briciole. Siti come ImolaOggi o Catena Umana.eu o NoCensura possono guadagnare (secondo il Sole 24Ore) tra i mille e i duemila euro al giorno se producono una “bufala” che si diffonde viralmente: considerando che alcune di queste realtà sfornano un titolo ogni quarto d’ora si ha un’idea della consistenza del mercato dell’odio.

Così, dopo l’era soporifera del politically correct, scopriamo il mondo inquietante del politically un-correct: non è il paradiso di libere opinioni e ragionamenti spigolosi ma onesti che ci avevano raccontato, ma un territorio piuttosto oscuro, dove la libera informazione si trasforma in libero linciaggio, e trova remunerazione in questo senza che sia immaginabile una rivincita della razionalità, perché la massa di soldi, interessi, carriere attaccata all’Hate Politics è troppo colossale per essere ricondotta alla ragione.

E dentro ci finiscono, come sempre avviene, sentimenti tutt’altro che disprezzabili: la rabbia dei disoccupati, la frustrazione dei giovani, le paure del ceto medio, la rivolta contro la società delle diseguaglianze, tutto incanalato verso la ricerca di un capro espiatorio – gli immigrati, principalmente – da sgozzare per placare il dio. Salvo accorgersi, poi, come è successo in Inghilterra, che non si è risolto un bel niente.

Cari missionari da tastiera…

Segnalato da Barbara G.

Cari “missionari da tastiera”… Questa è la mia risposta ai commentatori omofobi

Ilmaritodellosposo – huffingtonpost.it, 22/09/2015

Questo dovrebbe essere circa il trentesimo post che scrivo qui sull’Huffington, o meglio per la sezione Gay Voices. In questo spazio che ci hanno concesso, mi sono sempre sentito libero di esprimermi, parlando essenzialmente delle esperienze che una coppia omosessuale, come me e Edu deve affrontare: Coming out, civil partership, adozioni, omogenitorialità, umiliazioni… e poi l’amore, con dinamiche così simili a tante altre storie d’amore sia etero che omo.

In questi mesi, moltissime persone mi hanno scritto in privato per parlarmi un po’ di loro, dei loro disagi e dei loro sogni, trovando in me una persona pronta ad ascoltare e rispondere sempre in maniera leale e diretta. Di fatto scrivere questo blog mi sta rendendo una persona migliore ed è per questo che ringrazio chi concretamente mi ha dato la possibilità di esprimermi, ma sopratutto chi mi legge. Non ringrazio ovviamente tutti quei commentatori che ci insultano e cercano di delegittimare me, Edu, la nostra storia d’amore e tutti quegli omosessuali che – proprio come noi – pretendono diritti e dignità. K.Popper disse una frase che racchiude il vero significato di comunità: “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti”.

Ma cosa spinge questi individui a inveire, snobbare e deridere ogni post che leggono a tematica omosessuale? Ogni foto che vedono di due uomini o di due donne che si scambiano tenerezze e affetto? La risposta affonda radici nella comunicazione web, ed è per questo che ho chiesto delucidazioni al mio amico Federico Simonetti, che si occupa appunto di comunicazione e marketing online e lavora per associazioni culturali, aziende e partiti politici.

Ti posso dire che questo atteggiamento di rabbia e sdegno è fine a se stesso e non è relativo soltanto all’essere bigotti o omofobi. Sono atteggiamenti che per quanto ne so, hanno accompagnato Internet dalle sue origini.

Quando ero un ragazzino e frequentavo i siti web della sinistra antagonista (Indymedia su tutti) già esistevano gli estremisti da tastiera che, anziché essere dei veri e propri ”compagni”, si limitavano a commentare ossessivamente cose ingiuriose, ipotesi di complotto, lunghe invettive molto confuse contro un generico nemico totale. Moralmente, sono gli stessi soggetti che commentano oggi sul tuo blog e che con l’avvento di Fb, si sono evoluti e coordinati in qualcosa di più dannoso e capillare.

Il gioco è facile, molti di loro, si barricano dietro account palesemente fake o blindati, frequentano gruppi Facebook dichiaratamente omofobi o ultracattolici, circondandosi di persone che la pensano come loro, rafforzando e confermando l’idea che siano loro la maggioranza assoluta.

La cosa che dovrebbe farti sorridere, è che in realtà hanno disperatamente bisogno di tutto questo. È anche grazie a post come i tuoi che loro esistono e hanno una identità sociale. I missionari da tastiera (e anche molti rivoluzionari da tastiera, ahimè) non si battono per comprendere il mondo o per avere un mondo a loro immagine. Si battono solo ed esclusivamente animati dalla pulsione di morte, la loro ragione di lotta è l’immobilità, loro sono le zavorre della società civile, che a peso morto animano conflitti sociali, affinché tutto resti conflittualmente immobile.

Se tutte le pagine Fb e i blog a tematiche omosessuali cessassero di esistere, loro inizierebbero una spasmodica ricerca per rimpiazzarvi con qualcun’altro da odiare, un luogo virtuale, dove poter esprimere altre teorie cospirative da avvalorare con ragionamenti sempre più contorti e dogmatici…insomma, qualcos’altro contro cui scagliare i propri commenti.

Di fatto, non c’è un vero e proprio pensiero organico dietro il loro atteggiamento. Più che altro è un insieme di paure, frustrazioni e rabbia… una sorta di ”mischione” dove c’è dentro tutto: omosessualità, pedofilia, nudismo, gli immigrati, il contrabbando di organi, gender,Topolino e Darth Vader.

Il tutto condito dal solito corteo di idee confuse e distorte riguardo la religione, lo Stato e sopratutto i bambini. Nel web, questa patologia, la definiamo ironicamente ”il complesso di Maude Flanders” il personaggio dei Simpson che ripete ossessivamente “I bambini! Chi penserà ai bambini!”. La verità, è che i tuoi post, gli servono non solo per passare il tempo, ma sopratutto per soddisfare il loro delirio narcisistico.

Quindi, cari missionari da tastiera, ringraziatemi e soprattutto ringraziate le tantissime realtà forti e radicate come ad esempio Gay voices, che vi danno la possibilità di restare e confermare quello che (purtroppo) siete. Quindi, appurato che non cambierete mai, ci risentiamo al prossimo post.

Sempre parlando di missionari da tastiera…

Scientology contro internet

Come la chiesa fondata da L. Ron Hubbard è ricorsa al web per rispondere alle accuse del documentario Hbo Going Clear.

(…)

Oggi Going Clear ha una valutazione superiore all’8/10 su Imdb, e le sue rivelazioni su presunti abusi, violenze e pressioni psicologiche ai danni dei membri di Scientology continuano ad attirare molti curiosi. L’organizzazione di Hubbard ha risposto creando ex novo una sezione del sito di Freedom, il magazine che la chiesa pubblica ininterrottamente dal 1968, esplicitamente dedicata al documentario. Ancora più dei toni marcatamente aggressivi usati da Scientology nel rispondere a Gibney e Wright, a saltare agli occhi è il numero di contenuti presenti sulla pagina web: c’è una sequela infinita di video che prendono di mira singolarmente le fonti considerate dal film (dove il regista stesso diventa «Doctor of Propaganda» e Mike Rinder, ex portavoce di Scientology che da anni è fuoriuscito dall’organizzazione, «The Wife Beater», un violento che picchia la moglie), coprendole di discredito sul piano personale; e, sotto la scritta a caratteri cubitali «Read the truth»,  c’è la dozzina di lettere che la chiesa dice di aver mandato a Hbo per chiedere lumi sulle accuse contenute nella pellicola.

Per Scientology occuparsi delle voci negative sul proprio conto non è una novità: l’Office of Special Affairs è un comparto della chiesa istituito negli anni Sessanta che cura le sue relazioni pubbliche, secondo alcuni critici anche trattando il problema delle voci dissidenti. Tory Christman, oggi un’attivista anti-Scientology, sul finire degli anni Novanta ne faceva parte, e ha raccontato al magazine The Kernel come l’avvento di Internet sia stata la vera spina nel fianco del sistema creato da Hubbard: se fino a quel momento le informazioni potevano essere tenute segrete e le gerarchie interne non essere intaccate dalle critiche, la comparsa di un mezzo che faceva dell’apertura e della disintermediazione i suoi punti di forza, per Scientology non poteva che essere una minaccia. Un newsgroup su Usenet dedicato all’organizzazione, alt.religion.scientology, sul finire del 1994 divenne oggetto di interesse da parte degli avvocati della chiesa per la pubblicazione del famigerato mito fondativo di Xenu, la cosmogonia di Hubbard che gli adepti della religione teoricamente sono in grado di scoprire soltanto dopo anni di fedeltà a Scientology (in seguito Xenu è finito addirittura in una puntata di South Park, però).

Oltre al sito Internet, Scientology ha deciso di replicare a Going Clearanche sul terreno dei social network. Su Twitter è comparso l’account@FreedomEthics, la cui attività è limitata al postare assiduamente link ai vari video discreditanti ospitati da Freedom. Su Facebook, dove la pagina ufficiale della chiesa conta oltre 330 mila “mi piace”, si segnala invece Alex Gibney Propagandist, utilizzata con lo stesso fine. Esiste poi un vasto sottobosco di siti web e account votati a sminuire i critici più in prima linea (@WhoIsMikeRinder, su Twitter, e whoispaulhaggis.com sono soltanto due esempi), e tutti sono sintonizzati sugli stessi video di difesa dalla «propaganda» di Gibney, dipinto alternativamente come falsario o come bigotto. Spesso, pare, questi account postano addirittura alla stessa ora.

A febbraio, dopo la presentazione del film, la portavoce di Scientology Karin Pouw ha scritto ai critici cinematografici dei media di mezzo mondo per lamentarsi della pubblicazione di ciò che il suo comunicato stabiliva essere «menzogne sfacciate». Scientology e il suo leader erede di Hubbard, David Miscavige, sono però abituati ad affrontare pochi nemici per volta, una situazione ideale per la strategia votata all’attacco propugnata dal fondatore della setta. Ma un conto è doversi occupare di un pugno di voci discordi, del tutto un altro far cambiare idea a milioni di persone che hanno libero accesso a ogni tipo di informazione reperibile. Come chiosato da un commentatore su una pagina delle fonti consultate per scrivere questo articolo, forse anch’egli conquistato dalla «propaganda» di Wright e Gibney, «Scientology non può denunciare Internet».

What’s on Your Mind

“What’s on Your Mind”, l’abisso tra Facebook e la vita reale

Il cortometraggio What’s on Your Mind di Shaun Higton esplora il confine tra vita vera e aggiornamenti di status su Facebook. E la distanza è enorme: quella che nella realtà è un’esistenza piatta e mediocre, nello specchio deformante del social network diventa una vita felice e ricca di soddisfazioni, capace di attirare l’attenzione e i Like degli amici. Finché il protagonista Scott Thomson non decide di pubblicare uno status che riflette davvero il suo stato d’animo.

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I tecno-maleducati

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MOBILE INCIVILITY, L’INVASIONE DEI TECNO-MALEDUCATI

Ne incontriamo ogni giorno a decine: sui mezzi, in ufficio, per la strada. Sono gli incivili digitali. Uno studio italiano ne ha tracciato l’identikit e le abitudini peggiori. Ecco chi sono e come vivono.

da Repubblica.it (01/09/2014) – di Alessandra Roncato

Li vedi da lontano e, quando li individui, è meglio stargli alla larga. Percorrono a zig zag le strade alla guida delle loro auto. Ai semafori non partono e, prima di svoltare, non mettono la freccia. Perché i loro occhi sono fissi altrove e una delle loro mani è occupata a digitare assiduamente. Sono pericolosi, irritanti e fanno parte di una delle tante categorie degli incivili del mobile, coloro che non smettono di trafficare con il loro smartphone nemmeno al volante. Fanno parte di un esercito numerosissimo e sono equipaggiati con armi letali per i nostri nervi: cellulari, tablet e lettori mp3.

Ora uno studio condotto dal sociologo Saro Trovato, fondatore di Found!, ha tracciato il profilo dei protagonisti della “mobile incivility”, persone che non possono vivere senza i loro dispositivi mobili, che non si fanno problemi a consultare i social network nemmeno durante le riunioni di lavoro, che smanettano sullo smartphone anche durante i pasti o, addirittura, nei momenti di intimità. Persone che abusano della tecnologia in ogni sua forma e in qualsiasi situazione.

1500 persone dai 16 ai 65 anni. Lo studio per individuare le caratteristiche di questa nuova forma di maleducazione, la “mobile incivility” appunto, ha coinvolto 1500 persone circa, uomini e donne di età compresa tra i 16 e i 65 anni. Realizzata con la metodologia WOA (Web Opinion Analysis), la ricerca ha monitorato online i principali social network, blog, forum e community per esaminare quali siano i comportamenti “ipertecnologici” più odiati e dove questi avvengano più frequentemente. I comportamenti che danno maggiormente fastidio? L’utilizzo dello smartphone durante l’orario di lavoro (per il 66% degli interpellati), l’essere costantemente connessi al proprio cellulare (58%) e le suonerie che squillano a volume troppo alto (55%). “Il rischio che questa invasione hi-tech porta con sé”, spiega Saro Trovato, “è quello di perdere di vista le cose più importanti, come le relazioni interpersonali e lo scambio di opinioni, quel confronto faccia a faccia che, con il passare del tempo e con l’intensificarsi dell’evoluzione tecnologica, sta diventando una merce sempre più rara”.

I dieci comportamenti preferiti dai tecno-maleducati

Identikit dell’incivile digitale. “Ah, quei giovani così maleducati”, diranno in tanti riferendosi ai “nativi digitali”, ovvero la generazione dei nati negli Anni 90 e 2000, cresciuta con la tecnologia a portata di mano: computer, internet, cellulari, mp3… Ecco, appunto. Non sono loro i principali incivili dell’era mobile, bensì gli adulti appartenenti alla fascia 35-50 (71%). I giovani dai 18 ai 25 anni arrivano subito dopo (54%) e infine ci sono le persone di età compresa tra i 55 e i 65 anni (34%). La maleducazione di questi ultimi, però, è giustificata dal fatto che, essendo poco pratici di apparecchi hi-tech, spesso sbagliano nell’impostazione del volume dei propri cellulari e lettori multimediali. Non è una sorpresa, invece, che il gentil sesso sia più “mobile-educato” degli uomini. Sono incivili digitali il 34% delle donne contro il 49% dei maschi. I due sessi si differenziano anche per i comportamenti che non tollerano. Le azioni più detestate dagli uomini, infatti, sono l’utilizzo dello smartphone durante l’orario di lavoro e durante le riunioni (66%), lo stare appiccicati al cellulare (58%) e l’invio a ripetizione di messaggi da parte della propria compagna (43%). Le donne invece non sopportano la suoneria ad alto volume in spiaggia o sui mezzi pubblici (73%), chi utilizza il telefono durante i pasti (64%) e gli uomini che controllano costantemente le notizie sportive (57%). Lo studio condotto da Saro Trovato ha individuato anche i luoghi dove più frequentemente sono commessi i “reati” di inciviltà mobile. Al primo posto c’è l’ufficio (56%), dove l’inquinamento acustico è aggravato da musica in cuffia troppo rumorosa e suonerie amplificate. A seguire, i mezzi pubblici (44%), la camera da letto (39%) e la cucina (36%).

Ma non tutto è perduto. Dalla deriva cafona degli appartenenti alla “mobile incivility” ci si può ancora salvare. Secondo gli italiani, basta applicare delle piccole regole di buon comportamento. O almeno, sforzarsi di farlo. Il 52% dei partecipanti allo studio consiglia di non utilizzare il telefono per nessun motivo durante i momenti intimi o le conversazioni. Seconda cosa, suggerita dal 44% delle persone interpellate, è diminuire drasticamente il volume dei propri device. Infine si dovrebbe tagliare nettamente, o perlomeno darsi un limite di tempo, l’utilizzo dei social network. Anche perché è proprio lo smartphone attraverso cui ci si connette a Instagram, Facebook e Twitter l’apparecchio di gran lunga più “disturbante” (78%). Lo seguono, distanziati, il tablet (40%), il Pc (33%) e la tv (28%).

Cinque tribù da conoscere ed evitare. La ricerca di Found! ha individuato cinque categorie di incivili digitali, ognuna con la sua peculiare caratteristica. Ci sono i Social-Addicted, intossicati da Facebook e compagni che passano più della metà della loro giornata a postare e twittare ignorando chi e cosa li circonda. I Disturbatori Seriali, invece, smanettano con il proprio smartphone dappertutto: in strada, in ufficio, nel traffico (sì, sono loro quelli che viaggiano a zig zag…). Poi ci sono gli Audiolesi Immaginari che tengono il volume del proprio device a livelli altissimi e parlano al telefono come se dovessero comunicare con la Luna. Un’altra categoria è quella dei Cyber-Marpioni, uomini e donne di tutte le età che tartassano di messaggi e email le proprie prede online. Infine, gli Asfissianti Self-Made-Pr, persone che invitano tutti i propri contatti a eventi assurdi e li taggano su foto e messaggi promozionali.

Ne incontriamo ogni giorno a decine, di tecno-maleducati. Forse, ora che li conosciamo meglio, possiamo anche imparare a evitarli, ma, soprattutto, a non farci contagiare.