Manuale di sopravvivenza per le nuove generazioni

Introduzione

(di Nammgiuseppe)

Cari bambini,
la prima cosa che è indispensabile sappiate è che quando qualcuno vi chiama “cari bambini” dovete assolutamente portare il sedere a stretto contatto con la superficie artificiale più solida e ampia che troverete nelle vicinanze e dovete mettervi a strillare a squarciagola: “Aiuto, aiuto! Il pedofilo!”.
Forse alcuni di voi non sanno che cosa sia un pedofilo ma uno degli scopi di questo libro è, appunto, spiegarvelo e lo faremo con tutta la delicatezza cui avete diritto, cioè nessuna. Un pedofilo è uno che vuole usarvi per il suo piacere. Il suo piacere non sono solo le “cose brutte” su cui, nella vostra santa curiosità, vi sarete già scambiati le notizie e le opinioni più esatte e, alle volte, più fantasiose e che, con la malsana disapprovazione degli adulti, avrete già indagato sperimentalmente tra di voi. Il piacere del Grande Pedofilo è usarvi in modi che la vostra fantasia non è ancora in grado di immaginare. Non ne avete colpa. Nemmeno gran parte degli adulti si rende conto di essere pedofilizzata. Sarà vostro compito spiegarglielo, una volta che lo avrete capito e, se non potrete liberarli, almeno non diventate come loro.
Dunque, siamo d’accordo: quando qualcuno si rivolge a voi chiamandovi “cari bambini” strillate e paratevi le chiappe.
No, non adesso, accidenti!
Colpa mia, mi sono spiegato male. Non ho detto quando leggete “cari bambini”. In quel caso siate comunque molto, mooolti diffidenti. Siete in pericolo, ma sarete in grado di difendervi grazie alle nostre istruzioni.
Dunque, leggendo questo libro, siate diffidenti, ma non occorre che vi addossiate a una parete strillando. Anche perché in quel caso qualcuno dei grandi accorrerà, vi toglierà di mano questo manuale e molto probabilmente denuncerà noi autori alla polizia. Noi finiremo in prigione. Anche voi. Ma noi sapremo di esserci. Voi crederete di essere liberi.
E’ tutto chiaro, adesso? Diffidate delle parole, di qualsiasi parola, anche di quelle che leggete qui e strillate quando parole come “cari bambini” o, peggio, “bravi bambini” vi sono rivolte di persona da qualche adulto, in particolare in privato ma anche in pubblico. Fatelo. A prescindere. E’ per la vostra sopravvivenza. Anche, forse, per quel che resta della nostra. Certamente per quella dell’umanità.
Quando qualcuno comincia a parlarvi chiamandovi “cari bambini” o, peggio, “bravi bambini” state pur certi che:
– vi sta dicendo una bugia: voi non siete per nulla ‘cari’. Magari lo diventerete. Ma la natura vi ha fatto pestiferi curiosi golosi rompiscatole disobbedienti; agli adulti non piace. Non vi considerano “cari”. Cercano di farvi diventare “cari”, cioè tranquilli, non curiosi, educati, obbedienti, disciplinati (soprattutto disciplinati).
– dopo avervi chiamato “cari bambini” quel qualcuno vi chiederà di accettare delle idee o di fare delle cose; quasi sempre si tratterà di una fregatura. Diffidate.
Ad esempio la maestra o il maestro vi diranno un giorno: “Cari bambini, domani viene in visita il signor preside (oppure il signor parroco o, magari, il presidente del consiglio). Adesso prepariamo una bella canzoncina per dargli il benvenuto. Fate i bravi.”
Sapete cosa dovete fare: natiche al muro e strillare con quanto fiato avete in gola: “Aiuto, aiuto! Il pedofilo!” A prescindere.
Naturalmente sarete sgridati e puniti. Rassegnatevi. È una lotta dura. Sarete sgridati e puniti per tutta la vita se non cominciate da subito a difendervi e a cambiare il mondo. Alcuni vi diranno che non è vero. Se il vostro papà e la vostra mamma sono delle “brave persone” nessuno le sgrida e le punisce, vero? No. Le “brave persone” sono già state punite da piccole e si sono arrese allora. Sono “brave” perché fanno ben poco di quello che vorrebbero. Provate a chiedere a papà e mamma: “Cosa ti sarebbe piaciuto fare nella vita?” Forse ve lo diranno e quasi sempre sarà qualcosa di diverso da quello che fanno. Chiedete allora “Perché non hai fatto quello che ti sarebbe piaciuto?” Vi risponderanno, più o meno, che “non si può, nella vita ci sono dei doveri, come sarebbe il mondo se tutti facessero quello che vogliono?”.
Già. Come sarebbe? In questo libro cercheremo di mostrarvi come sarebbe. Come potrebbe essere. Come potrà essere se lo vorrete e se sarete capaci di lottare perché sia così. Noi, è brutto confessarvelo ma vogliamo essere sinceri, abbiamo fallito perché in troppi siamo diventati dei “cari bambini”, dei “bravi bambini”. E lo siamo rimasti. Come voi, non eravamo “cari” e “bravi” per nascita. Hanno cominciato a ficcarci quell’idea in testa fin dall’asilo e così “cari” e “bravi” lo siamo diventati. La stiamo ancora pagando cara. Non fate lo stesso nostro errore.

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Capitolo I

Grammatica per innocenti 

(di Antonio “Boka”)

Cari bambini…
bravi! Tutti a ridosso del primo muro o intenti a stringere le chiappette. Vedo che non avete saltato l’introduzione il che ci fa sperare che forse, almeno per voi, qualche speranza di salvare il posteriore e la vostra mente ci sara’ (per il momento non fate caso alle indicazioni topografiche, sappiamo che la mente e il posteriore sono dislocate in posti diversi ma molti degli adulti delle passate generazioni hanno spesso dato via la prima per salvare il secondo e si sono ritrovati a pensare con esso lasciando la mente nella merda.
Voglio parlarvi del “piedofilo”. Non non e’ un errore, come vorranno farvi credere. Si tratta di un pericolo molto piu’ insidioso del pedofilo. Infatti il piedofilo e’ colui il quale vi mette lo sgambetto ogni qualvolta, per timore del pedofilo, correte a ridosso di una superficie per salvare la vostra intelligenza.
Mi direte cosa c’entra adesso l’intelligenza? Avevamo capito che il pedofilo palpa e forse peggio. No, cari bambini, il pedofilo vi spolpa della curiosita’, dell’ allegrezza, della mancanza assoluta di senso del dovere, del vostro sano egoismo e anche dell’insana cattiveria che vi fa mentire allegramente annuendo ai consilgi degli adulti.
Cosa credete? Non vi voglio stupidi ed innocenti come il pedofilo.
Ma torniamo al piedofilo.
Il piedofilo lavora in combutta con lo spolpatore stroncando la vostra corsa per la messa in sicurezza. Entra a gamba tesa e voi, in un sol colpo, giu’ per terra. Non solo non siete riusciti a guadagnare la salvezza ma siete anche doloranti e distratti dal dolore (ricordate questo punto, useranno il dolore per rendervi obbedienti) accetterete il conforto ed il consiglio.
Vi diranno: “vedi non correre, accetta la mano che ti guida, impara a fidarti di chi vuole solo il tuo…”, scusate, “bene”.
Insomma bambini non cari, ma spero “infami e crudeli come se non ci fosse un domani”, quando correte per mettervi al riparo, invece di guardare per aria, le nuvole ed il cielo come abbiamo fatto noi, guardate per bene davanti a voi e se appare la gamba del piedofilo, quello e’ il momento. Dategli un calcio negli stinchi, spezzatela quella gamba e se siete bravi calciatori, assestatene un altro di calcio, nei coglioni. In questo modo imparerete il senso della frase: “con viva e vibrante soddisfazione”…

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Capitolo II

Che cos’è il mondo?

(di Nammgiuseppe)

Cari bambini (ormai ci siamo capiti a proposito di quel “cari”, speriamo),
“Che cos’è il mondo?” è una di quelle questioni che i grandi chiamano “filosofiche” e la filosofia, dicono, non è roba per bambini.
Diciamoci le cose come stanno: la filosofia non è nient’altro che la curiosità di sapere come funzionano i giocattoli. Oggi voi vivete in un mondo in cui i giocattoli non sono così facili da smontare, ma quando eravamo piccoli noi, a costo di romperli, i giocattoli riuscivamo a vedere com’erano fatti dentro. Naturalmente il problema era che, una volta rotti, era difficile riuscire ad aggiustarli. Cosicché vedevamo com’erano fatti dentro, ma quel sapere era disastroso perché non potevamo più giocarci. Ora, non tutti siamo stati così. Alcuni procedevano con metodo: smontavano il giocattolo, capivano come funzionava, lo rimontavano senza che smettesse di funzionare e i più in gamba riuscivano anche, con pezzi di giocattoli diversi, a fabbricare giocattoli nuovi. Quel che si dice il genio! Beh, la filosofia non è, in pratica, molto più di questo. E anche la scienza (che poi, in origine, era una parte della filosofia).
Ora, il mondo non è nient’altro che il Grande Giocattolo con un mucchio di roba da smontare e rimontare, combinando disastri o anche producendo cose nuove, utili e divertenti. L’istruzione, che sarebbe quello che i maestri e le maestre vi insegnano nella vostra scuola, è il catalogo di tutti gli esperimenti falliti e di quelli riusciti. Ma siccome gli esperimenti sono ancora in corso e il Grande Giocattolo è davvero tanto grande, non si può dire che il catalogo sia completo e neanche che gli esperimenti falliti siano falliti definitivamente e che quelli riusciti siano riusciti una volta per tutte. E’ roba provvisoria, rassegnatevi, anche se di molte cose si può essere parecchio sicuri: che l’acqua bollente scotta, per dire, e che il cibo fa passare la fame anche se non tutto il cibo la fa passare in modo ugualmente piacevole. E, c’è anche da dire, non tutti i cataloghi sono uguali e ugualmente utili.
Ma questo non ci dice ancora cos’è, esattamente, il Grande Giocattolo, anche se ci dice molto di come funziona, o non funziona, e anche se, per dircelo, deve trasformarci tutti in dei piccoli mostriciattoli.
Sì, diciamocelo chiaro e togliamoci il pensiero: voi bambini siete dei mostriciattoli, sulla buona via per diventare dei mostri e lo siete perché avete imparato a parlare (e la maggior parte di voi, ormai, anche a leggere, scrivere e far di conto).
E’ praticamente certo che ciò vi ha fatto dimenticare (anche se, sapendolo o no, ne coltiverete la nostalgia per tutta la vita) che siete nati e cresciuti per un po’ sapendo esattamente che cos’era il Grande Giocattolo: era roba da leccare, toccare, vedere, sentire, annusare. Il grande equivoco era che pensavate che fosse tutto parte di voi stessi: cioè la mamma era una parte di voi così come era una parte di voi l’alluce di un piede, solo che l’alluce del piede era più facile da ciucciare che non il capezzolo della mamma, per ciucciare il quale poteva essere necessario a volte strillare parecchio a lungo perché quella parte del “vostro” corpo rispondesse al vostro volere e arrivasse a tiro di labbra. Avete superato quell’equivoco e la cosa era, diremmo, necessaria e inevitabile, ma facendo i vostri bravi progressi nella comprensione della differenza tra “io” e tutto il resto avete imparato, oltre a ciò, i nomi delle cose e delle azioni e siete penetrati in un territorio ad altissimo rischio che è quello che, sempre per capirci, chiameremo il mondo delle idee. Avete cominciato a diventare “istruiti” e, disgraziatamente, già con un piedino in galera.
Non è che tutto sia avvenuto così bruscamente. All’inizio i nomi delle cose e delle azioni, il linguaggio, erano per voi soltanto una maniera più sofisticata per comunicare quello che prima comunicavate con strilli o risatine, e il linguaggio è stato per un po’ un giocattolo nuovo, divertente e intrigante. Ma senza che ve ne rendeste conto le parole hanno cominciato a impadronirsi di voi e sono diventate vere e proprie cose, anch’esse da toccare, vedere, sentire, annusare, leccare (vi sembrerà strana quest’idea di leccare una parola; ci ritorneremo, non ci stiamo ancora occupando della pubblicità).
Molti tra noi hanno totalmente dimenticato le cose e vivono in un mondo fatto solo di parole. Dunque per loro la risposta alla domanda “che cos’è il mondo” è semplicemente: “il mondo è ciò che le parole mi dicono che il mondo è; posso agire solo nella misura in cui le parole me lo permettono”. Per altri la risposta alla stessa domanda è: “il mondo è tutto ciò che posso toccare, vedere, sentire, annusare, leccare; le parole servono per poter arrivare a toccare, vedere, sentire, annusare, leccare”.
Non è che tutte le persone si identifichino perfettamente in una delle due categorie; c’è una quantità di combinazioni possibili. Qui abbiamo semplicemente una bussola; le direzioni sono infinite, i punti cardinali (nord, sud, est ed ovest) sono solo quattro. E poi, qui siamo già passati a parlare non più del mondo, bensì degli uomini e dei loro rapporti con il mondo e tra di loro. Cominceremo a parlarne nel prossimo capitolo. E continueremo a parlarne fino alla fine del libro perché, essendo questo un manuale di sopravvivenza, il più grande pericolo, ma anche il più grande alleato, dell’uomo è l’uomo stesso.

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Capitolo III

Dalla Fine per principio

(di Antonio “Boka”)

Cari bambini… e che diamine, capisco l’entusiasmo, ma tre calci in uno sono un po’ troppo (e tu, sì, dico a te, non ho parlato di morsi, molla il polpaccio o torno bambino sul serio e ti arrotolo il pisello a cravatta anticipandoti il capitolo sul nodo gordiano).
Dicevo, cari bambini (guardate che adesso meno….) c’è un’alta probabilità che diventiate adulti, specialmente se non farete buon uso del nostro manuale, per cui onde evitare cause per danni (eh sì!, una volta diventati adulti imparerete a ricavare profitto dai danni mentre il profitto continuerà a fare danni) ovverossia per avervi inflitto un capitolo d’arrivo nei punti di partenza converrà fare alcune precisazioni mentre faticosamente tenteremo di ristabilire da dove cominciare.
Vi abbiamo parlato del mondo, di filosofia e soprattutto di leccare, annusare, toccare e per buona misura aggiungiamoci masticare e sputare.
Sputare. Sul Mondo. Ma anche su tutti quelli che vi dicono cosa fare e soprattutto su “COME” farlo. Lo sputo è una parte essenziale della Filosofia. Anzi della Filosofia della Scienza (del resto ve lo avevamo detto che la Scienza era parte della Filosofia). Una regola fondamentale per comprendere la realtà è proprio quella dello sputo. Se questo si attacca ben bene sul vostro bersaglio potete essere sicuri che esiste (da grandi tenteranno di confondervi facendolo passare per un caposaldo del pensiero e lo chiameranno “Principio di falsificazione”). Non credetegli, uno sputo è uno sputo persino sulla faccia nascosta della Luna e se non vi credono ditegli di provare. Non lo potranno fare ed a quel punto, impiastricciateli perché i vostri critici saranno dei futuri creduloni ed appassionati di Talk-Show e Telegiornali.
Oh! Capisco. Non sapete cosa siano. Meglio. Saranno parte dei prossimi capitoli.
Abbiamo poi parlato di parole ma non di cose. A dire il vero lo abbiamo fatto ma le cose ce le siamo lasciate scappare dalle mani e mentre tentavamo di fare cappi di parole per riprenderci le cose ci siamo distratti e dai cappi siamo passati agli inghippi e poi agli inchiappi ed in mancanza di un muro abbiamo trovato la scusa dell’autoesame della prostata come ultima difesa ma poi abbiamo realizzato che c’è poca gioia a giocare all’autopedofilo anche se oggi va per la maggiore come pratica tra gli adulti provenienti dall’allevamento “cari bambini” (ti ho detto di stare fermo, e che diamine!).
Insomma divago e, per di più, con una mano sola mi riesce un po’ difficile realizzare il braccio, avambraccio e gomito che, da adulto rinselvatichito, volevo indirizzare ad uno dei vostri coetanei che si accingeva a cogliere il baricentro basso di quelli che una volta erano i miei pensieri.
Insomma, le parole e le cose. Anzi, il Mondo e Lo Sputo. Non abbiate timore di estendere la conoscenza del mondo ne’ di aumentare il raggio di azione delle vostre sputazzate. Tanto, prima della crisi della Finanza, da qualche parte, si sapeva già che le sputacchiere non danno accesso al credito. per cui non risparmiatevi. Esercitate senza pietà il vostro diritto allo sputo (fermo, maledetto post-infante, non adesso e non con me) per evitare, poi, più in là, di ridurvi ad uno sputo d’uomo senza dignità.

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Capitolo IV

Profumo e puzzette

(di Antonio “Boka”)

Bambini… (Tie’! Vi aspettavate “cari” ed eravate pronti, ma, vi avevo avvisato, un adulto rinselvatichito è molto più pericoloso di bambini allo “stato selvaggio”. A proposito, serve un fazzoletto?), in questo capitolo ci occuperemo di un argomento, come dire?, “persistente”, che si presenterà spesso in occasioni sociali e di coppia (essere almeno in due è un requisito minimo, se siete da soli potrete, senza problemi inalare e compiacervi, nonché acquisire le necessarie competenze per la matrice input-output, no, non quella di Leontief – come dici? non sai di cosa parlo?, credi a me, nemmeno quelli che lo credono lo sanno).
In ogni caso, veniamo all’argomento del capitolo. Parlo delle puzzette. Sì, quelle che vi scappano con gioioso fragore o silenti e quasi mortali. Nonostante vi possa sembrare strano, la libertà puzza. Ebbene sì, vi diranno, prima o poi che essere liberi significa fare quel che si vuole (in realtà vi chiederanno di lasciare ad altri la libertà di fare quel che vogliono di voi). Vi chiederanno di realizzare subito quel che volete per impedirvi di desiderare e pensare a quel che realmente volete. Vi insegneranno a prendere dove viene dato ed a dare dove viene preteso ed a dare un calcio nel sedere, cari bambini (no, non a me, cretino), a chi è caduto o sta per cadere.
Vi parleranno di profumi ed a voi sembreranno disgustosi e freddi mentre le puzzette sanno di caldo e poi… puzzano. Già, perché le puzzette puzzano e i profumi odorano? E perché delle prime dovreste avere vergogna ed i secondi esibirli (se così si può dire) per mostrare di essere civili e ben educati (attenzione! Ben educati è il compimento dei “cari bambini”. Se vi dicono che siete ben educati, probabilmente il lupo cattivo non è nel vostro gruppo di amicizie o forse sì, ma lui si vergogna un po’ ad ammetterlo).
La libertà puzza, non profuma. Quando vi parlano del profumo della libertà ricordatevi che è il modo segreto per chiamarvi cari bambini (e porc…..) o per ricordarvi che, comunque lo siete stati. La libertà puzza. Di sudore, di piedi, della noncuranza con cui al vicino che vi appesta (non per parlare male delle puzze, ma, a volte, quando ci vuole ci vuole) rispondete a puzza, scusate, a tono (meglio tuono?) e altri si uniscono nel gioco con” e questa la senti?”.
La libertà è il bimbo, venuto da al di là del mare, di cui non vogliono farvi riconoscere l’odore (che è come il vostro o forse più pungente o magari, chissà?, dolce) perché lo vogliono già adulto e a voi straniero.
Insomma, il vostro odore e quello degli altri è quello che vi rende diversi, epperò riconoscibili. Che vi rende unici ed allo stesso tempo simili agli altri. Cari bambini, il profumo potrete comprarlo ma così anche altri e non sarete più diversi, ma uguali. Come la corona di un imperatore (chissà forse più in là vi parleremo di storia, di re ed imperatori, di sudditi e schiavi) “la puzza è vostra e guai a chi ve la tocca”.

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Capitolo V

Il mondo delle idee

(di Nammgiuseppe)

Cari bambini e bambine (ops!, le bambine finora non le avevamo citate, ma non è per dimenticanza, è che nella lingua italiana abbiamo i generi, il maschile e il femminile, e questa è una buona cosa quando si vuol essere precisi, ma diventa un limite quando si vuol parlare di questi e di quelle, senza distinzioni; come vi abbiamo già accennato le parole sono fonte, anche, di ogni sorta di seccature).
Dunque, dicevamo,
Cari bambini e bambine
per affrontare l’argomento di questo capitolo cominciamo col precisare che quando qualcuno di voi dice: “Ho una splendida idea. Svuotiamo un contenitore di Attack sulla sedia della maestra” sicuramente si tratta di un’idea e, diremmo, di un’idea simpaticissima, ma non del genere di idea di cui vogliamo parlarvi qui. Questa, come l’idea di rigare la macchina del maestro cattivo o di dar fuoco alla scuola noi la chiameremmo una trovata, una pensata originale, una dimostrazione di brillante ingegno, o roba del genere. Di nuovo il problema delle parole: hanno troppi significati. Il significato della parola “idea” di cui vogliamo parlarvi ci costringe a prendere l’argomento alla lontana e, probabilmente, ad annoiarvi un po’. Abbiate pazienza. Ne vale la pena. [Diffidate! Diffidate!].
Le idee di cui ci occuperemo sono strumenti di progresso o di rimbambimento. Dinamite. Se la sai adoperare rimuovi le montagne. Se le prendi sottogamba perdi la gamba e anche tutto il resto. E una scemata. Se, poi, di dinamite te ne tirano addosso un candelotto c’è tutta una serie di calcoli che devi fare; se riuscirai a prenderlo al volo e rimandarlo al mittente o è meglio che ti butti a pesce dietro il primo riparo nelle vicinanze. E devi calcolare molto in fretta.
Le idee, dunque.
Vi avranno detto che noi siamo fatti di un corpo e di una mente e che il rapporto della mente con il corpo è simile a quello tra un autista e la sua automobile; la mente decide cosa fare e il corpo, nei suoi limiti, lo fa. Non è un’idea sballatissima; basta non strafare. Perché si comincia da lì e poi oltre alla mente vi mettono dentro anche un’anima e cominciate a trovarvi affollati; poi vi dicono che l’anima è immortale e che c’è un Dio che vuole che facciate questo e quello e se non lo fate vi dannate l’anima e finirete nel fuoco eterno, eccetera, eccetera. Non entriamo in questo territorio: vedetevela voi, almeno per il momento. Più avanti forse vi diremo come la pensiamo noi.
Adesso ci occupiamo solo della faccenda dell’autista e dell’automobile.
Quello che è sicuro è che il nostro corpo è una macchina, né più né meno, dotata di sensori (quelli dell’annusa-lecca-tocca-guarda-ascolta), di appendici per muoversi e prendere-dare-manipolare (manipolare è la parte più interessante anche se gli adulti avranno già cominciato a dirvi che certe manipolazioni, le più piacevoli, “non vanno bene”), di un sistema di segnalazioni, prevalentemente la voce, che è del tutto simile al clacson o alla varia fanaleria di un’automobile, solo molto più sofisticato e, infine, di una specie di centralina elettronica che archivia le vostre esperienze e vi permette di ricordare gli esperimenti che avete già fatto in questo o quel campo e di migliorare, o peggiorare, la volta successiva. Come ogni macchina che si rispetti, il vostro corpo ha bisogno di energia, di carburante; nel caso del nostro corpo quel carburante si chiama cibo. Ogni pieno di cibo che fate dura solo per un certo tempo, dopo di che dovete tornare al distributore: se non fate regolarmente rifornimento o il carburante è di qualità cattiva siete nei guai. Siete nei guai anche se non avete di che pagare il pieno. Questa è una faccenda molto, molto importante, di cui parleremo nel capitolo dedicato all’economia. Per il momento, siccome siete bambini, il pieno ve lo pagano i genitori, il che è un buon motivo per utilizzarli con un certo criterio. In certe parti del mondo anche i bambini devono cominciare prestissimo a pagarsi il rifornimento. Succedeva anche da noi non moltissimo tempo addietro. A voi, tutto sommato, va parecchio bene perché tutto quello che dovete fare, fin che siete bambini, è pagarvi la mensa facendo finta di essere bravi. L’importante è che vi ricordiate di far finta. È una situazione temporanea, una questione di convenienza. Più tardi, cresciuti, deciderete quando, come e con chi far finta e quando, come e con chi fare i bravi sul serio.
Risolto, per il momento, il problema del carburante, passiamo a occuparci della centralina elettronica, la nostra mente o cervello, di come nella nostra mente si crea una mappa del mondo e dei nostri rapporti con il mondo sotto forma di idee, nostre o altrui, e di come quella mappa può aiutare a scoprire territori nuovi, interessanti e gradevoli o può far finire in continuazione in un burrone dietro l’altro. .
“Vogliamo venire al punto, che qui ci stiamo a scassare i marroni?”
Eh sì, è questo che vi leggiamo negli occhi, almeno in quelli ancora aperti o non concentrati sugli schermi dei vostri cellulari a scambiare molto più interessanti messaggini con i vostri amichetti e amichette. Bravi! Avete ragione. Tutto quello che si può dire può essere detto con chiarezza, altrimenti è intelligente star zitti. L’ha detto, più o meno, un filosofo; ogni tanto, in effetti, c’è qualcuno che fa onore alla categoria.
Mettiamola così: voi con le cose vere, se vi va e se nessuno si mette di mezzo a impedirvelo, potete avere un rapporto diretto: guarda-tocca-lecca-annusa-ascolta. Ma potete avere anche un rapporto indiretto, ad esempio usando solo uno dei vostri sensi. Il senso che usiamo di più, salvo i ciechi, è la vista e con la vista non fa una grandissima differenza se guardiamo direttamente la cosa vera o ne guardiamo un’immagine allo specchio. Fin che il nostro interesse è soltanto di ricavare le informazioni disponibili guardandola e ragionando sul suo aspetto va tutto bene, ma provate a mangiare una pizza riflessa da uno specchio (quando nessuno vi vede, perché sennò vi prendono per scemi) e verificherete di persona che l’immagine non è la cosa reale. Se poi lo specchio è difettoso, potreste farvi delle idee molto sbagliate sulla cosa reale; succede, ad esempio, con gli specchietti laterali delle automobili (anche se adesso li hanno molto migliorati): uno guarda lo specchietto, non vede nessuno dietro e quindi si butta a fare un sorpasso. Risultato: va a sbattere contro un’auto che gli è quasi a fianco, in quello che chiamano un “punto cieco”, un punto in cui, per tutta una faccenda di ottica, l’immagine non è riflessa sugli occhi dell’automobilista. Se non ci credete, provateci. Anzi no; aspettate di avere la patente. E anche quella volta sarà meglio che non ci proviate. Tanto più che come fareste a provare a vedere se non vedete, visto che non vedete quello che dovreste vedere e che volete vedere se davvero non lo vedete? Beh, avete qui una dimostrazione che anche noi possiamo dirvi cose sceme mettendo insieme parole in una frase che la maestra o il maestro non vi correggerebbe poiché non ci sono errori di grammatica, ma che dovrebbe correggere perché c’è un errore di logica. Ve l’abbiamo già detto e ve lo ripetiamo: state all’erta, diffidate, contestate e interrogate. A prescindere.
Qui il punto, come chiedevate di sapere, è che le parole sono specchi e, se non sono specchi volutamente deformati, hanno i loro limiti e la loro utilità (detto e ripetuto alla nausea, lo sappiamo, ma se riusciremo a farvi entrare nella capoccia almeno questo, non avremo scritto questo libro invano). Provate a dire: “Ho mangiato una buona pizza”. Vi sentite sazi e contenti? Dipende: se l’avete mangiata davvero, sì; se (vi) state raccontando una balla la fame resta.
Però la faccenda è un po’ più complicata di così.
La nostra centralina elettronica è, in sostanza, un archivio di specchi di singole cose (esperienze) reali. Un archivio che si rispetti deve essere minimamente organizzato e dunque, al minimo, avremo una sezione in cui sono immagazzinate tutte le esperienze piacevoli e utili, un’altra in cui ci sono tutte le cose sgradevole e dannose e uno in cui ci sono tutte le cose “chissenefrega”.
Chi è quel pedante che ha tirato fuori la sezione “cose sgradevoli ma utili” e quella “cose piacevoli ma dannose”? Sei già sulla buona strada per diventare un bravo soldatino, caro mio! Comunque non hai del tutto torto. Il fatto è che siamo qui per introdurre concetti generali. Ai particolari avete una vita davanti per dedicarvici.
Proseguendo: accettato, se lo accettate, che abbiamo questo archivio interno ci troviamo nell’imbarazzante situazione di dare un nome alle sue sezioni, cioè di creare uno specchio, non della realtà, bensì di altri specchi. Chiameremo, provvisoriamente, “Bene” (Maiuscolo!) la sezione che contiene tutti gli specchi di cose piacevoli e utili. “Male” la sezione che contiene tutti gli specchi di cose sgradevoli e dannose. La sezione chissenefrega possiamo anche lasciarla senza nome tanto, appunto, chissenefrega.
Ed eccoci arrivati quasi alla fine di questo capitolo: “Bene” e “Male” sono le famose idee che ci interessano e che possono essere aiutare o fregare nella vita. Mettete una cosa buona nell’archivio intitolato “Male” e rinuncerete a un sacco di piaceri e di progressi nella vita. Mettete una cosa cattiva nell’archivio intitolato “Bene” e vi procurerete, e procurerete agli altri, un mucchio di fastidi.
Siccome siete piccoli, gran parte del vostro archivio generale vi è fornito dai grandi. Sono loro a dirvi che questa cosa è “Bene” e quest’altra è “Male”. Se i vostri fornitori grandi sono saggi, e sarebbe una gran botta di culo se aveste contatti solo con questa categoria, nel vostro archivio accoglierete materiale decente. Se i vostri fornitori grandi sono squilibratelli o squilibratoni avete un bel problema.
Tanto per andare sul sicuro, ogni volta che qualcuno dei grandi vi vuol convincere che questa cosa è “Bene” o “Male” la vostra arma di difesa è una sola e semplice parolina: “Perche?” Ripetetela fino alla nausea, pestate i piedi, tirate calci, frignate (funziona anche quello), fino a quando non sarete soddisfatti della spiegazione. Che sarà sempre provvisoria. A prescindere.
Abbiamo semplificato molto, qui. Non vi sarà difficile, tuttavia, arrivare da soli a intuire che il materiale del vostro archivio interiore può essere suddiviso in una quantità di altre sottosezioni, ciascuna con un suo titolo; per esempio, “Libertà”, “Giustizia”, “Autorità”, “Legge”, “Potere” e, sì, anche “Sesso”. Ricordatelo sempre: sono titoli. Non hanno nessun valore in sé; valgono per quel che contengono. Non permettete che contengano troppa merda.

[Box – Capitolo V]

Morire per delle idee – Quell’estremista di Socrate

(di Nammgiuseppe)

Un giorno o l’altro, pressoché inevitabilmente, andrete a sbattere contro la storia di Socrate e della cicuta (che sarebbe un veleno che il tizio si bevve (bevette?) per fare un dispetto ai giudici del suo tempo; non proprio un’idea grandiosa, secondo noi, ma grandiosissima secondo parecchi altri. Giudicherete voi).
Dunque Socrate era un greco vissuto un po’ più di 2.500 anni fa e fu uno dei primi filosofi, almeno dalle parti nostre, un formidabile bevitore e marito di una donnetta bisbetica di nome Santippe. Non sappiamo se Socrate fosse strambotto perché Santippe era bisbetica o se Santippe era bisbetica perché Socrate era strambotto. Comunque Socrate passava la maggior parte del suo tempo a cavillare su questo e quest’altro, anche da ubriaco, invece di preoccuparsi di portare a casa pane e companatico, il che fornisce almeno parecchie attenuanti alla sua signora e comunque le sue faccende domestiche ci interessano meno che niente, salvo per mettere una pulce nell’orecchio a voi bambini e a voi bambine riguardo a chi vi scegliete per compagno o compagna.
Lasciamo stare i particolari, anche perché di Socrate, tanto per cambiare, sappiamo solo quello che ci hanno raccontato altri e dunque non si sa quanto ci si può fidare.
Fatto è che, cavillando cavillando, Socrate ruppe le scatole a un mucchio di gente che contava e così finì che lo accusarono di traviare la gioventù che, seguendo il suo esempio, cominciava a porre un po’ troppe domande, che non è una cosa che piace alla gente che conta e che ama che le cose stiano così come stanno senza star lì troppo spaccare il capello in quattro sul perché, ad esempio, c’è chi conta di più e chi non conta per niente. Socrate fu anche accusato di non riconoscere gli dei della città, tanto caricare la dose. Così le autorità del tempo intentarono un processo a Socrate e lo condannarono a morte (siete avvertiti, se vi scegliete la carriera di criticoni, dei potenti o delle divinità).
Naturalmente si trattava di una sentenza parecchio del cavolo e, a dirla tutta, i giudici l’avevano emessa più che altro per ridere perché Socrate avrebbe potuto sottrarsi alla morte accettando l’esilio e in fondo era questo che interessava alle autorità; che si togliesse dai piedi. Farlo morire era solo l’estrema risorsa, se s’intestardiva a non andarsene. E Socrate s’intestardì.
Gli amici cercarono di farlo ragionare e gli organizzarono una fuga sicura, ma non ci fu nulla da fare. Socrate accettò la condanna ingiusta e bevve il veleno, non senza aver prima sputtanato ben bene i giudici e gli accusatori con un lungo discorso che un giorno vi potrà interessare leggere.
Ora, vi chiederete (se già non vi hanno traviato), perché mai una persona sana di mente deve accettare di lasciarci la pelle quando potrebbe tirare avanti ancora un po’, sia pure in compagnia di una Santippe.
Beh, la risposta è semplice, almeno a quanto ci raccontano: Socrate scelse di morire per coerenza con le proprie idee e bisogna che ci riflettiate già da subito perché nella vita vi capiterà di sicuro e spesso non di morire, si spera, ma di pagare un prezzo per le vostre idee ed è bene stabilire se, e quando, valga la pena di pagarlo.
Per quanto riguarda Socrate vi lasciamo con la curiosità di andarvi a leggere o farvi raccontare per benino quali motivi egli tirò fuori per essere coerente con le sue idee e quali fossero quelle idee. Dovete fare, e farvi, molte, molte domande. In particolare ricordando quello che vi abbiamo detto delle idee (che, in questo caso, sono di solito chiamate ‘ideali’; roba molto più nobile, dicono): si tratta di nomi di una sezione del vostro archivio. Valgono tanto quanto quello che nell’archivio c’è dentro. E valgono tanto più quanto ce le avete messe voi, e non altri, nel vostro archivio; valgono, cioè, innanzitutto se sono idee vostre. Magari ve le hanno proposte altri: è normale. Ma devono essere diventate vostre “al di là di ogni ragionevole dubbio”, come avrete sentito dire in qualche film che si svolge in un tribunale. Le idee dovete sottoporle a un processo molto rigoroso e, diversamente da quello che accade nei tribunali, in caso di “insufficienza di prove” dovete condannarle, tanto per andare sul sicuro.
C’è un’altra questione, spesso trascurata, nella vicenda di Socrate, un piccolo particolare.
Socrate si intestardì a non sottrarsi, anche se poteva, a pagare il prezzo più alto che uno possa pagare per le proprie idee quando aveva settant’anni e una parte del suo ragionamento, nell’accettare la condanna, fu che se per settant’anni aveva goduto dei vantaggi che gli assicuravano le leggi della città sarebbe stato ingiusto sottrarsi agli svantaggi dei difetti di quelle leggi. Ne avete di strada da fare prima di arrivare fin lì e cercate di arrivarci a ogni costo, quanto più da rompiballe vi riesce. Assicuratevi che le “leggi della città” in cui vivete siano davvero vantaggiose per tutti, altrimenti contestatele e fate di tutto per cambiarle. E, soprattutto, se sarete tanto sfigati, una volta arrivati all’età in cui le energie della vostra giovinezza esprimeranno il massimo vigore, da sentirvi dire da qualcuno: “Dovete morire per Dio, la Patria e la Famiglia” o, comunque, “per la Causa”, mandati avanti chi ve lo dice e prendetevi una bella pausa per rifletterci un po’. Un bel po’. Fino a quando non saranno morti, prima, quelli che vi incitano. In fondo, se ci credono tanto in quelle idee, è loro dovere dare il buon esempio, non trovate?

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Capitolo VI

Mi tocco o ti tocco?

(di Antonio “Boka”)

Bambini cari..(?..nessuna reazione?).
Considerata la vostra indecisione, prima di passare all’argomento del capitolo, cerchiamo di capire perché è bastato cambiare l’ordine delle parole per confondervi (e ringraziate i vostri dei – capisco, anche questa parola vi è nuova, ne parleremo – che non abbia voluto approfittarne). Meritereste di essere puniti (questa parola, invece, la conoscete, vero?) con una rilettura obbligatoria del capitolo I.
Vorrei continuare, ma qualcuno dovrebbe provvedere a rigirare il cretino che si è piantato faccia al muro in seguito all’inversione di cari e bambini. No! Non è questa la reazione giusta! In ogni caso, ottimo esempio di futuro adulto… nessun commento? Credete quindi che futuro adulto e adulto futuro siano lo stesso? Vi hanno mai parlato di sostantivi ed aggettivi? Credo di sì. Il trucco sta nello scambiarli mantenendone la posizione.
“No, i “marroni” te li sei rotti al precedente capitolo, quindi fai silenzio, altrimenti ti svito il coccige e ti dimostro che gli unicorni non sono animali di fantasia. Come dici, vorresti essere un narvalo? Smettila di fare lo spiritoso, altrimenti ti uso come capitone a Natale!”
Dicevo, solitamente, nella nostra lingua l’aggettivo segue il sostantivo, per cui se dico: “un cerchio rosso”, voi pensate ad un cerchio di colore rosso e non al rosso in forma di cerchio. Di solito non ci sono ambiguità, a meno che non si tratti di poesia (parleremo anche di questo) per cui potrebbe anche essere bello immaginare i colori come cose reali, ma non fatemi divagare.
Nel caso di futuro adulto è un po’ più complicato, vediamo: dal senso di ciò che scrivevo prima sembra chiaro che ci si riferisse ad un adulto di un tempo futuro, ma potrei anche intendere un “futuro” adulto opposto ad un futuro “bambino” e cioè di un futuro non dominato dal pensiero degli adulti, privi di immaginazione, ma aperto a possibilità, imprevedibile, insomma un futuro che non sia stato già scritto dagli adulti per voi…”cari… miei (tie!, per la seconda volta, e mordo anche quando mi girano).
A questo punto vi sarà abbondantemente chiaro che molti adulti non hanno bisogno di bere per sbronzarsi, perché le parole bastano ed avanzano per rendere il vostro equilibrio (fisico e mentale) instabile.
“Come dici? Ti piace quando ti fanno roteare tenendoti per le mani e poi, quando metti i piedi per terra, ti gira la testa? Scusa? Ah, capisco, è il mondo che gira, la tua testa è ferma. Mettetelo nell’angolo con in testa il cono con la scritta: “- futuro pedante -.” E al primo che dice: “non sarebbe meglio, pedante futuro?” gli assesto un calcio nel posteriore e lo mando a velocità warp 2.
Nell’appendice troverete esempi ed esercizi vari di queste inversioni, il titolo della sezione è “#versocambiato – l’inversione ad U come esempio di moto rettilineo retrogrado accelerato”.
Veniamo, finalmente, al tema del capitolo, bambini cari…”ancora con la faccia al muro? Fornite delle mutande di ferro al ragazzino o ce lo perdiamo prima che perda i denti da latte”.
Dicevo il tema è: “mi tocco o ti tocco”. Si tratta in buona sostanza della tendenza irrefrenabile a ricercare il nostro piacere. Senza scendere o salire in termini tecnici mi riferisco al fatto che toccarci ci fa piacere e non necessariamente in punti chiave. Una carezza a se stessi è piacevole come quella ricevuta dalla mamma, ma quando ci tocchiamo da soli è insuperabile. Sappiamo esattamente dove, quando e cosa ci piace. Ma quasi subito ci sara’ un adulto, genitore, insegnante o, (adesso correte al riparo) peggio, prete, che vi dirà “Smettila di toccarti, maleducato”. Ora, il punto è che, a parte il fatto che non si capisce dove cominci e dove finisca l’educazione, la mala educazione è chiaramente un’invenzione. Certamente avrete visto padri, madri, insegnanti e .., non fatemeli nominare, grattarsi e toccarsi nei posti più imprevedibili in ogni momento. Ma voi, no. A confondervi le idee ancor di più, contribuiscono tutta una serie di regole complesse ed astruse quando il tocco riguarda gli altri. Voi non potete picchiettare sulla spalla del papa’ per attirare l’attenzione, ma il papà può appiopparvi un carico da novanta sulla fragile spalluccia e dirvi: “ti ho detto che dobbiamo andare!” Voi non potete tentare esplorazioni avventurose nei mari ignoti di gonne, pantaloni e magliette, ma dal dottore vi inseriscono di tutto nei posti più impensati, dal cucchiaio in bocca a lucette varie nelle narici e nelle orecchie. Ad un certo punto vi balenerà l’idea che ciò che conta è non essere visti, e comincerete a nascondervi e a nascondere i sentimenti che provate nel toccare e nel farvi toccare. A forza di nascondere, nasconderete anche l’amore, così bene che non riuscirete mai più a trovarlo e lo sostituirete con aggettivi possessivi: “Tu sei mio/a, io sono tuo/a”. Ma se vi avessero lasciato toccarvi, e toccare gli altri, al solo scopo di provare e dare piacere, che poi, nella sua forma più bambina è solo tenerezza (no, deficiente, quando dai uno schiaffo non tocchi, rompi, no, rompi proprio…), probabilmente non saremmo qui a scrivere questo manuale. Del resto, anche dopo uno schiaffo, arrivano le carezze (o a volte anche altri schiaffi), o a volte il contrario. Tutto sta, “dolci pargoli” (fregati ancora una volta, gli adulti sono cattivi, ve lo avevo detto), nel saper riconoscere quel poco di “bene buono” (ricordate l’inizio del capitolo?) che si annida nella melma di “buono bene” che ci circonda.
“Ma sì, assestamelo un calcione nel fondo schiena che me lo merito. Ma, poi, dopo, me la fai una carezza?”.

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Intermezzo I

Dedicato ai genitori

(di Marco)

Quando si presenta soddisfatto e fiero con la nuova Playstation e l’ultima versione di Fifa e te la illustra con la bavina alla bocca… diglielo che sei in un mare di cacca e vorresti che ti cambiasse il pannolone.

Quando monta la pista con otto paraboliche che va dalla cucina passando dal terrazzo scavalcando il divano per tornare dalla camera facendo una galleria nel bagno… diglielo di mollare il telecomando di quella rossa perché se no vince sempre lui.

Quando ti porta il completino della sua squadra del cuore e soddisfatto guarda il futuro numero nove che spaccherà le reti avversarie… diglielo che vuoi fare danza.

Quando lo senti urlare dalla tribuna di spaccare la gamba a quel biondino che ti ha fatto già due tunnel… diglielo che è il tuo compagno di squadra.

Quando senti le grida isteriche e le battute di mano a frequenze che solo la razza canina ne percepisce il suono… diglielo che hai detto solo Ti voglio bene Mamma e hai dovuto fare anche due mesi di prove.

Quando li senti dire che andrai al conservatorio… diglielo che hai solo pigiato do re mi fa sol… dopo mesi di alito pesante del maestro di piano a cui avresti volentieri chiuso le mani nel pianoforte.

Quando li senti dire che sei molto intelligente ma non ti impegni… diglielo che nonostante gli sforzi trovi insormontabile la tabellina del nove.

Quando ti fanno posare per il tuo “book fotografico” … diglielo che vestito così ti senti un deficiente.

Quando festeggeranno il tuo 18 compleanno dicendo quanto è stato difficile tirare su un così bravo ragazzo nel mondo di oggi… diglielo che la tua più grande impresa è stata sopravvivere a loro.. ai tuoi genitori.

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Capitolo VII

Parte prima

I genitori e la famiglia

(di Nammgiuseppe)

Cari e care mini-fetenti (si spera),
avete anche ragione a essere un po’ incazzati/e con noi. Arriviamo un po’ in ritardo. Ci presentiamo a voi come Tizio che dice a Caio “Attento alla cacca!” dopo che Caio l’ha pestata. Sa un po’ di presa per i fondelli. Siete capitati in questo mondo e, per una botta di culo o di sfiga, siete finiti tra le amorevoli braccia di una famiglia sana oppure tra le grinfie adunche di una famiglia che era meglio perderla che trovarla. Siete nati, dicono alcuni studi, naturalmente generosi. Se voi avevate un gelato e un altro bambino no, spontaneamente gli offrivate di dargli una leccata, anche due. Adesso alcuni di voi continuano a farlo, altri no perché hanno paura che la saliva dell’altro gli trasmetta la peste bubbonica. La causa? Due famiglie diverse. Un tempo (pensate un po’, siete ancora nanerottoli e già avete un passato!) che il vostro compagno d’asilo fosse bianco, nero, giallo o di qualsiasi altro colore intermedio non influenzava il vostro desiderio di averci vari tipi di simpatico contatto. Oggi alcuni di voi continuano a essere privi di pregiudizi e altri hanno imparato a scansare e spregiare i “diversi”. La causa? La famiglia.
Almeno fino all’altro ieri eravate creature innocenti, plasmate da chi vi teneva in ostaggio e non avete colpa di quello che sinora hanno fatto di voi. Neanche grandissimi meriti, per la verità. Però adesso avete la possibilità di cominciare a fare delle scelte vostre, di prendervi delle responsabilità riguardo alla vostra vita e a quella degli altri; siete ancora dipendenti dalla famiglia per molte cose, ma potete cominciare a contestare e negoziare. Per potervi dare qualche suggerimento abbiamo dovuto aspettare che imparaste a leggere e scrivere. Mica potevamo venire a parlare a ciascuno di voi a casa vostra. A parte il fatto che voi siete tanti e noi siamo pochi, probabilmente dove c’era più bisogno dei nostri consigli i vostri genitori non ci avrebbero fatto entrare. Per questo siamo arrivati tardi. Ma, se non c’illudiamo, non troppo tardi. Umilmente ci proponiamo di ripulire le vostre scarpette dalla cacca pestata e di darvi qualche dritta su come evitare la prossima.
Dunque: la vostra condizione attuale prevalente, che perdurerà per un bel po’ e per alcuni per sempre, è di essere “figli di”. Che cosa significa questo?
L’aspetto più semplice è quello che chiamano ‘biologico’ che, per non farla lunga, riguarda in quale pancino femminino vi siete sviluppati per poi uscirne e chi abbia messo in quel pancino il semino che ha prodotto il fenomeno. I due che, allegramente e piacevolmente ma anche no, si sono stropicciati tra loro perché voi nasceste sono il vostro papà e la vostra mamma biologici, detti anche ‘naturali’. Il caso più frequente è che i vostri genitori biologici siano quelli che si sono interessati, chi più chi meno e chi con mezzi maggiori e chi con minori, che non moriste di fame, di freddo, che vi hanno fatto il bagnetto e cambiato il pannolino, che vi hanno curato e fatto curare quando vi siete ammalati, che vi hanno coccolato quando i dentini, spuntando, vi facevano un male boia, che vi hanno sculacciato quando vi siete ostinati/e a farla fuor dal vasino e, soprattutto, a offrirla in giro, soprattutto a ospiti di riguardo e, insomma, hanno provveduto a quello che si chiama il vostro allevamento. Non si sarebbero comportati molto diversamente, quanto solo a questo, se avessero dovuto allevare un gatto.
Chi provvede all’allevamento, tuttavia, non sono per forza e sempre i genitori naturali, o almeno entrambi. Capita a volte che il vostro papà biologico, una volta saputo che stavate per venire al mondo, si sia dato a una fuga precipitosa e nessuno è più in grado di ritrovarlo. Questo vi dice quanta paura siete in grado di incutere ai grandi, pur così minuscoli. In quel caso vi ritrovate solo con la mamma; siete figli di madre nubile o, come pare più bello (chissà perché?) dirlo in inglese, figli di madre ‘single’. Capita anche che pure la mamma, una volta che vi ha scodellato, decida di darsi alla latitanza (ne avete fatti scappare addirittura due!) e voi finiti affidati di qua o di là a persone che biologicamente non hanno nulla a che fare con voi, persone che non possono avere figli e che ne desiderano comunque uno. A decidere chi deve, per così dire, ‘prendervi in carico’ è la legge, di cui parleremo più in generale in un altro capitolo. Ci sono anche altri casi, più interessanti ma meno diffusi e che crediamo di poter tralasciare; in ogni caso quello che conta riguardo ai genitori è non sono colpa vostra; ve li ritrovate e dovete, per un po’, conviverci, con i loro pregi e i loro difetti.
Oltre all’aspetto biologico c’è quello che chiamano l’aspetto giuridico. Da qualche parte negli uffici dei grandi ci sono dei libri in cui c’è scritto che voi siete “figli di”. Qualcuno è andato a fare la spia, solitamente il babbo o la mamma, e voi avete acquistato un nome, un cognome e, questo è il bello, tutta una serie di diritti (pochi) e di doveri (molti). Anche i vostri genitori hanno acquistato una serie di diritti (molti) e di doveri (pochi) in conseguenza di questa iscrizione nei registri. Se i vostri genitori non rispettano i vostri diritti la legge interviene (se qualcuno fa la spia). E’ raro e devono averla fatta davvero grossa perché siano presi provvedimenti in vostra difesa. Se voi non rispettate i vostri doveri, fin che siete ancora piccoletti, dovete vedervela solo con i vostri genitori. Se la fate davvero grossa allora può intervenire la legge ma a essere piccoli almeno una cosa c’è di buona: che la legge non vi punisce. Siete considerati incapaci di intendere e di volere, diciamo così. Insomma vi considerano dei tontoloni. La pacchia finisce a quattordici anni ma fino ai diciotto potete ancora cercare di dimostrare che eravate incapaci quando avete fatto la puttanata. Dopo i diciotto anni siete fregati. O rispettate l’ordine costituito (parleremo anche di questo) o sono cazzi vostri. Approfittate dunque del tempo di impunità che vi resta per prepararvi alla dura lotta per affermare il vostro diritto alla felicità e alla realizzazione dei vostri talenti. Mettete alla prova la resistenza degli adulti; imparate quando fare i prepotenti, quando mentire, quando sedurre, quando frignare e, soprattutto, quando disobbedire. Vi sarà molto utile immediatamente e anche più in là, crescendo. Cercate, comunque, di fare tutto questo concedendo agli adulti un po’ di beneficio del dubbio: se mamma o papà vi dicono che non è il caso di infilarvi un cacciavite su per il naso, disobbedire non è la cosa più intelligente che possiate fare.
Nell’ambito dell’aspetto giuridico è previsto, come dovere dei vostri genitori, di darvi un’istruzione. Solitamente questo significa, come avete già costatato, che vi rifilano a qualche maestro o maestra che si occuperanno di insegnarvi alcune cose utili per aver a che fare da pari a pari con il resto del mondo. Non è detto che siano capaci di farlo. Di nuovo è questione di fortuna o di sfiga. Vi abbiamo già accennato alla strategia da usare con questi grandi: chiedete ‘perché?’ fino a quando non si stufano. Se diventano violenti, come a volte succede, o vi sbrodolano spiegazioni non convincenti, battete in ritirata, fate finta di aver capito e prendete nota di aver a che fare con degli scemi o sceme e che quelle informazioni dovrete cercarle altrove. In casi come questi vi imbattete in una materia che non fa parte ufficialmente del programma degli studi ma che è importante come tutto il resto e, molto più di tutto il resto, pericolosa: la disciplina. Tutte le cose che vi chiedono di fare o vi impongono di non fare e che non c’entrano direttamente nulla con le nozioni che si presume dobbiate imparare, fanno parte della disciplina: stare seduti composti, ascoltare l’insegnante senza interromperlo, non farvi i dispetti, aspettare la ricreazione per andare in bagno, non dire le parolacce, non toccarvi e toccare, e una quantità di altre cose che conoscete meglio di noi per esperienza diretta, hanno a che fare con la disciplina. Magari voi la considererete solo una seccatura; in realtà stanno facendo di voi dei piccoli conformisti; il mondo non vede di buon occhio l’originalità e loro non vogliono che il mondo dica che avete avuto cattivi insegnanti. Neanche i vostri genitori vogliono che il mondo dica che avete avuto dei cattivi genitori. Poi scoprirete che il mondo premia di più gli originali e gli indisciplinati e non vi torneranno i conti. È una faccenda che ha a che vedere con la politica. Roba forte, di cui pure vi parleremo. Per il momento gestite la faccenda, a scuola e in famiglia, considerandola in termini di rapporto di forze: quando vi pare di riuscire ad averla vinta non rinunciate ad averla vinta; quando vedete che la partita è persa in partenza, fate finta di adeguarvi. Ma fate attenzione, a far finta troppo e troppo spesso, si finisce per adeguarsi per davvero. Per cui ogni volta che siete costretti ad adeguarvi, appena avete un momento e uno spazio libero fate qualcosa di originale. Tanto per non dimenticare chi siete sul serio.
Un’altra materia che non è compresa nei programmi di studio, ma che è parte integrante dell’istruzione scolastica è la competizione.

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Capitolo VII

Parte seconda

Competizione

(di Nammgiuseppe)

Teneri frugoletti e frugolette (offesi? fate bene),
la competizione è l’insieme di tutte quelle attività in cui due o più persone o gruppi di persone dimostrano la loro abilità nell’ottenere certi risultati. Insomma sono semplicemente delle gare. L’esito di una gara stabilisce chi è più bravo e chi meno, almeno fino alla prossima occasione di confronto. Non si può dire che, in sé, le gare siano una cattiva cosa. Lo diventano. Anche una cosa cattivissima, per l’attività in cui si gareggia e per le conseguenze su quelli che c’è la moda di definire i ‘vincitori’ e i ‘vinti’. Pensate solo alla guerra. È proprio un tipo di gara che andrebbe abolito, ma a quanto pare, anche se siamo su questo pianeta da molti millenni, è uno sport che attira ancora. Soprattutto perché frutta agli organizzatori; agli ‘atleti’ e al pubblico decisamente meno. Ma non buttiamola, ancora, in politica.
Di gare ce n’è un’infinità. Se provate a pensarci non c’è quasi nulla che non possa essere considerato come una gara. In ogni attività c’è chi riesce meglio e chi meno bene. A volte è una questione di impegno, altre volte è un po’ il frutto del caso o di situazioni più o meno favorevoli. È un caso se uno nasce nano o gigante, maschio o femmina; non c’è nessun merito e nessuna colpa in questa condizione di partenza che non si può cambiare più di tanto, anche se sapete che oggi ci sono maschi che diventano femmine e viceversa, e anche in questo non c’è merito o colpa. Un bambino o una bambina nasce in un paese dove c’è l’istruzione obbligatoria e un altro o un’altra nasce in un paese dove si va a lavorare appena si è in grado di reggersi sulle proprie gambe. Alcuni nascono con delle disabilità fisiche. Ha senso creare delle classifiche di persone migliori o peggiori in assoluto? Decisamente no. Ha senso prendere atto che ci sono abilità diverse e cercare di sfruttare quelle utili nel modo migliore a vantaggio di tutti. Essere i più bravi in qualcosa (nessuno è più bravo in tutto) è, o dovrebbe essere, innanzitutto una responsabilità. Se qualcuno sta annegando e voi non sapete nuotare non avete colpa se non vi buttate in acqua a cercare di salvarlo, anche se la cosa è tristissima e ve la ricorderete probabilmente per tutta la vita, facendovene ingiustamente una colpa. Ma se uno è bravo a nuotare e non soccorre chi sta annegando, sarete d’accordo nel definirlo una gran brutta persona; da non prendere a modello. Ora naturalmente vi precipiterete a concludere che se uno è bravo in matematica e non vi fa copiare il compito si sottrae alle sue responsabilità ed è un bruttissima persona. Questo è, in effetti, un problema parecchio interessante ed è anche un esempio di situazioni simili in cui vi ritroverete in altre circostanze della vita, per cui vale la pena di affrontarlo e cercare di risolverlo. E’ la grande questione della solidarietà e dell’egoismo che, ci crediate o no, è quella che divide intere nazioni e, dentro le nazioni, la popolazione intera giù giù fino a quella della vostra città o cittadina e la vostra stessa classe e ve la potete ritrovare anche in famiglia. Tanto per fare un esempio stupidino: perché non dovreste fregare la marmellata a vostro fratello o sorella e dare la colpa a lui o lei di ogni disastro che combinate? Vi dicono che non si fa perché non è giusto; e le vittime saranno del tutto d’accordo. Ma se vi riesce di farla franca, probabilmente lo troverete più che giusto. Se siete più bravi a fregare e a mentire perché non dovreste approfittarne? In fondo è una gara. La famosa competizione. Non siete voi che siete cattivi. E’ vostro fratello o vostra sorella che è tonto o tonta. E pure i vostri genitori.
Beh, bisogna proprio dire che abbiamo messo parecchia carne al fuoco: le gare, le abilità, i più bravi, perché non copiare o far copiare, rubare la marmellata e sottrarsi alle punizioni incolpando qualcun altro. Riusciremo a trovare un modo per trovare qualcosa in comune in questo guazzabuglio e venirne fuori?
Dicevamo, dunque, le gare, la competizione: procuratevi in biblioteca il Guinness dei Primati e ci troverete le gare più strambe, spesso ridicolissime, a volte decisamente autolesionistiche (cioè persone che si fanno male da sole per diventare quelle che al mondo hanno mangiato la quantità maggiore di hamburger in un’ora, per dire). Per il momento lasciamo a voi giudicare quali sono le gare cretine e quali quelle ‘nobili’. Arriveremo, speriamo, a individuare una certa categoria di gare in cui è lecito, anzi doveroso, non rispettare le regole.
A questo fine dividiamo le gare, la competizione, tra quelle scelte e quelle imposte.
In generale la gara scolastica a essere i più bravi in questa o quella materia o almeno decenti in tutte è una gara imposta. Ci siete obbligati, vi piaccia o non vi piaccia. Tuttavia tra le varie materie che vi costringono a studiare ‘per il vostro bene’, ce ne possono essere alcune che vi piacciono particolarmente, per le quale siete ‘portati’, o avete una ‘passione’. E, poco ma sicuro, molte materie utili non fanno parte dell’istruzione che vi è imposta: ad esempio acchiappare un animale, farlo secco e cucinarlo, oppure cucirvi un vestito. Se imparaste anche quello, a cosa servirebbero i centri commerciali? L’istruzione elementare vi dà il minimo per comunicare e apprendere e aver a che fare con il prossimo ad armi pari, almeno in teoria. E, a parte questo, è un’occasione per avere un’idea della vostra ‘vocazione’, di quello che ‘vorrete fare da grandi’.
Se, nel catalogo dell’offerta scolastica, troverete qualcosa che vi piacerà (a parte, speriamo, la ‘buona condotta’) probabilmente vi dedicherete maggiore impegno senza che vi pesi particolarmente e in quel modo sarete classificati i più bravi, o tra i più bravi, in quella materia. Vi ritroverete tra i primi classificati senza aver scelto di partecipare a una gara, anzi senza neppure esservi resi conto che una gara c’era. Se vogliamo pignoleggiare la gara è stata con la materia che ci appassionava; tra il vostro desiderio di saperne sempre di più e le difficoltà che inevitabilmente incontrerete in quello sforzo (e, se siete sfigati, negli insegnanti). Capiterà che alcuni siano classificati bravi in più di una materia; a quel punto saranno classificati anche molto ‘intelligenti’. E qui cominciano già alcuni problemi. Perché, intanto, è una classifica stilata da altri ed è pure una classifica moooolto discutibile. In una gara di corsa potete costatarlo da soli se arrivate primi o ultimi e sarete contenti o scontenti del risultato in misura ragionevole. Nella ‘gara scolastica’ sono altri a stabilire il vostro ordine d’arrivo, prendendo, ad esempio, per ‘intelligenza’ quella che potrebbe essere solo ottima memoria o una speciale abilità nel copiare o nel farvi suggerire o nel darla ad intendere, insomma nel barare. Ed essere classificati primi significa che ci saranno anche altri che saranno classificati ultimi e questo può portarvi i primi a montarsi un tantino troppo la testa e gli ultimi a sentirsi precocemente dei ‘falliti’. E questo avrà conseguenze nei rapporti tra di voi e nei rapporti con la vostra famiglia. Qui le cose si complicano parecchio, perché, ad esempio, potrete avere dei genitori a cui importa poco che voi siate bravi in matematica (tanto ci sono le calcolatrici e i computer) e interesserà loro di più che siate bravi in italiano (perché nella vita saper menare la lingua, ritengono, è una cosa molto più importante). E potranno anche altri tipi di ‘divergenze d’opinioni’ per cui i genitori potranno non assecondare le vostre inclinazioni naturali. (E Dio non voglia che a qualcuno di voi venga in testa di non studiare perché da grande vuol fare, ad esempio, il contadino o la sarta; per quanto serve studiare anche per quello, e forse di più). Naturalmente non tutti i genitori sono fessi, ma a noi interessa più quel caso, perché se avete dei genitori in gamba, questo manuale vi sarà in larga misura inutile.
Per cercare di farla breve, a scuola vi trovare di fronte a un terreno di gioco che vi è imposto. Dipenderà da voi se giocarci o gareggiare. Se deciderete se giocarci potrete dedicarvi alle attività che più vi interessano e sopportare le altre. Se deciderete di gareggiare vorrà dire che avete accettato uno tra i primi e più brutti imbrogli della vostra vita: cioè l’idea che i più bravi a scuola sono quelli che avranno maggior successo nella vita. Intanto è una bugia sfacciatissima. Poi il ‘maggior successo nella vita’ è una questione discutibile; solitamente significa una cosa molto semplice: che dovrete gareggiare fin che camperete e dovrete farlo ‘contro’ gli altri diventando sempre più egoisti, più soli e sempre più costretti a sfruttare altri, che potranno pure mandarvi affancùlo nel momento di maggior bisogno. Questo genere di gara frutta soltanto a chi la organizza. E chi l’ha organizzata sono i vostri padri che l’hanno organizzata in quel modo perché così gliel’avevano organizzata i loro padri e via risalendo all’indietro fino ad Adamo e Eva. Volete essere solo delle repliche o provare a introdurre un po’ di originalità in questo mondo del tubo?
Un’idea è di cominciare da subito a creare una vostra “associazione a delinquere”. Fate copiare chi non ce la fa e aiutatelo a farcela; copiate e fatevi aiutare se non ce la fate. Non c’è miglior insegnante di un coetaneo. Ed è divertente e istruttivo imparare a fottere i grandi, i ‘più forti’. Vi pescheranno di tanto in tanto; fregatevene. Ricordate: legalmente non siete punibili. Un ceffone qua e là non ha mai ucciso nessuno. Rafforza. Se vi tolgono la televisione o i videogiochi, fanno, senza saperlo, il vostro bene. Avete tutto da guadagnare. Impegnatevi in questa congiura; si chiama ‘solidarietà’. È una bella cosa. Molto utile nella vita. C’è un solo avvertimento importante: se da voi vuol copiare qualcuno che potrebbe benissimo farcela da solo, non incoraggiate la sua pigrizia. Chi prova a fare il parassita da piccolo, se non scoraggiato in tempo, potrà diventare un politico di successo domani. Meglio prevenire.

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Capitolo VIII

Rabbia e Capricci

(di Antonio “Boka”)

Cari piedi scalzi (cos’è, pensavate che vi avremmo ridato le scarpe dopo la promessa di ripulirle? Imparerete che senza radici non si perdono solo i denti da latte), è giunto il momento di ritornare su quella disciplina di cui parlavamo sopra (o dietro, dipende dalle inclinazioni – il doppio senso è un’arte, si può sempre cambiare verso). Per disciplina qui si intende non una materia, un soggetto, un mestiere di cui apprendere (anche se di questi tempi più che di apprendere si tratta di appendersi al primo tram perché l’ultimo non parte più) i segreti, i rituali, le magie nella speranza che ci dia di che vivere e (considerati costi di smaltimento delle carcasse in cui i vostri corpi si tramuteranno) e morire.
“Come dici? Non ti è chiaro il significato di morire? Non importa, per questo ci sono le statistiche e gli elenchi, introvabili, delle parole dimenticate, anzi, giacche’ ci siamo, morte”. Del resto è difficile capire qualcosa che c’è quando non c’è. Quindi non crucciatevi.
“Insisti? Allora il tuo è un capriccio? Sbatti i piedi? Urli? Vorresti mordermi? Provaci e anticipo di qualche mese la caduta degli incisivi”.
Vedete, la disciplina è l’insieme delle regole non scritte (non perché non sapete leggerle), aggiornabile ed estendibile a nostro piacimento, di quello che non potete fare, dire, toccare, mangiare e (volesse il cielo, che perfezione!) pensare.
L’insieme dei sentimenti che provate quando vi si impedisce di fare, dire, toccare, mangiare (sul pensare la repressione è più sofisticata, la rimandiamo ad un apposito capitolo) e che si trasforma in reazioni diverse (dalle urla alle lacrime allo sbattere dei pugni sul pavimento o, per i più coraggiosi, contro l’adulto di turno) viene definita dagli adulti come “un capriccio”. Certo, voi vorreste chiamarla rabbia, ma questo vi porterebbe di diritto nel mondo degli adulti e loro (noi) non lo permetteranno mai.
La rabbia, molte volte, ma non sempre, può essere legittima, giustificata e persino trasformarsi in una risorsa utile se incanalata in una direzione, ma gli adulti la chiameranno “capriccio” per ingannare, prima di tutto se stessi, la vostra percezione di possedere dei diritti (altro parolone, ne parleremo in seguito). Seconda porzione di gelato? Un capriccio. Ancora due minuti nel parco? Un capriccio? Smettere di stare incollati al televisore o davanti allo schermo di un computer o di uno smartphone? No, per carità, in quel caso è un vostro diritto. Vogliono che siate liberi di scegliere (del resto, avete piena padronanza del telecomando dalla prima ecografia) o meglio vogliono essere lasciati liberi di non occuparsi di voi.
Potete classificare i genitori sulla base dei loro “capricci” (dette anche incazzature solenni in casi estremi). In genere potete fidarvi dei genitori (o adulti con responsabilità nei vostri confronti) disposti ad incazzarsi e a ingaggiare una battaglia di capricci con voi. Arrabbiati loro, capricciosi voi (o il contrario) in realtà, in quel caso, state vivendo un conflitto di diritti e l’ultima prova per essere certi che l’incazzato alto quanto una montagna che vi sovrasta vi vuole davvero bene e’ che raggiungerà tonalità rosso scuro in volto, ma non vi sfiorerà nemmeno con un dito e alla fine, quando entrambi senza voce vi appoggerete l’uno all’altro, scoprirete che alla fine, quando si siedono per terra non sono poi così alti e a pensarci bene molto più fragili. È probabile, a quel punto, che si raggiunga un compromesso tra le vostre rivendicazioni e i loro timori (ricordate che molti adulti sono dominati dalla paura a cui voi non avete, ancora e per fortuna – si spera -, lasciato molto spazio nella vostra vita).
Siate arrabbiati, capricciosi e senza paura. In particolare non abbiate paura, di tanto in tanto, di chiedere senza urlare e di lasciare un po’ di spazio nel vostro cuore a quel gigante fragile che vi tiene per mano.
“Maledetto, lo sapevo, che non dovevo lasciarmi intenerire! Mi hai fatto pestare proprio quella molliccia mentre mi davi la mano con l’occhio sdolcinato. Vieni qua, che ti strappo il calzino e ti ci soffio il naso!”.

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Capitolo IX

Del Gioco. I quattro cantoni

(di Antonio “Boka”)

Un gioco. Semplice. Antico.

– Cosa vuol dire antico?
– Qualsiasi cosa di cui non avete memoria. Il nonno? No, non e’ antico, infatti lo ricordi, anzi ci sei stato ieri. Come dici? Un contratto di lavoro a tempo indeterminato? Cacciate via quell’ infiltrato che finge di essere un bambino.
– Dico a te. Inutile che fingi di essere un infante per tentare di ricominciare. Dodici ore di Modugno in stereosette, loop continuo: “tu ti lamenti, ma che ti lamenti….”

Scusate l’ interruzione, “Voi” (fregati ancora una volta) e torniamo al nostro gioco. I quattro cantoni sono’ un gioco semplice, basta trovare uno spazio piu’ o meno quadrato o di forma rettangolare ed essere in cinque.

– Si’, ho capito, avevo detto semplice e voi non sapete cosa sia un quadrato od un rettangolo. Adesso ve lo spiego:

– Finitela di fare i furbetti altrimenti vi spiano il posteriore a calci e vi mostro un bel quadrato.
– Come dite? Avete capito? Non ne dubitavo.

Tornando a noi, il gioco e’ semplice, quattro persone (siete bambini, non persone? Dei del cielo e della terra, se mi scappa la pazienza…) si sistemano nei quattro angoli mentre il quinto piu’ o meno al centro o dove preferisce. I bambini negli angoli cominciano a scambiarsi i posti mentre il quinto cerca di occupare l’angolo momentaneamente vuoto durante lo scambio. Se ci riesce, il bambino dis-angolato “va sotto” come si dice in molti giochi, e si ricomincia.

– Come dici? Non si vince niente? E che c’entra? Avevo detto che era un gioco.

– Quanto dura? Finche’ avete voglia.

– A cosa serve? (Sant’ Asdrubale del Peloponneso aiutami tu….). Come sarebbe a dire? Ho detto che e’ un gioco?

– Come si diventa campioni? Non si puo’. Si gioca per stare insieme e ridere, sudare, cadere, tirarsi, spingersi (a proposito spingere e tirare non vale).

– Vi sembra stupido?

– No, non c’è’ sui giochini sul telefonino e non non c’è una versione da tablet.

– Non sapete do ve e come trovare uno spazio?

Questa e’ una questione seria. Al limite vi piacerebbe provare ma non sapete dove.
Cari bambini (sì, vabbe’..) non so cosa dirvi. Vi hanno rubato lo spazio per giocare persino nelle vostre stanze ricolme di giocattoli usati una sola volta, piene di mobili colorati, ergonomici ed a prova di spigolo. Talmente a prova di tutto che sono diventate non a prova di bambino ma private dei bambini. Faranno di tutto per impedirvi di beccarvi una sbucciatura, una distorsione e (lo dico e spero non ci siano genitori apprensivi intorno) qualche fratturina. Niente ingessature ricoperte di firme e messaggi da esibire con malcelato orgoglio come eroi del vostro tempo. In realta’ vi hanno ingessato il cervello, in un’armatura soffice e senza scampo da cui, probabilmente, non uscirete mai. Vi hanno ingessato anche il corpo che non sapete usare per tentare quel salto impossibile, una sfida a cui e’ difficile resistere anche se spesso si finisce per cadere. C’e’ del sangue che scorre nel vostro corpo, e’ caldo, vagamente dolciastro e si raggruma formando delle “scorzette” che non dovreste toccare ma a cui era impossibile resistere. Vi tengono al riparo da tutto cosi’ bene da non lasciarvi nemmeno intravedere da che cosa. Il mondo che avreste dovuto scoprire, anche a costo di qualche dolorino, vi e’ nascosto ma, credetemi, in realta’ gli state dando solo il tempo di preparare un agguato dal quale non avrete scampo.
E i quattro cantoni? Servono a rendervi, agili, veloci, a valutare rischio e decisioni, a perdere piu’ e piu’ volte per provare la gioia di vincere sapendo che non e’ per sempre e che in un attimo ritornerete ad essere quello che “va sotto” ma solo per un momento o forse due e poi di nuovo fino a farvi sentire vivi, a farvi ridere, cosi’ senza motivo, per un attacco riuscito o fallito per poco. E la sera arrivera’ come una ricompensa e non come l’intervallo tra una giornata di noia ed un’ altra uguale a quella appena finita. Imparare ad essere vivi potra’ persino, forse, farvi accettare l’inevitabile arrivo dell’eta’ adulta come il premio per essere stati dei bambini e non come il prolungamento di quella noia che allarga quel piccolo oscuro buco nero a cui non sapete dare un nome ma da cui avete paura di essere ingoiati ed a cui non sapete dare un nome.
Quattro Cantoni, bambini cari (grazie, per essere restati immobili) ma in realta’ potete giocare anche i tre o i due cantoni purche’ abbiate la forza e la voglia di giocare.
Di giocare con il cuore (e delle scarpe solide), farlo battere più forte, così forte che potrete riconoscerne la voce.

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Capitolo X

Pagine bianche

(di Antonio “Boka”)

Pagine lasciate intenzionalmente bianche. Come le vostre menti oggi e domani, nel futuro non troppo lontano. Ma non sarà lo stesso bianco.

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