Rivoluzione informatica

Segnalato da barbarasiberiana

I numeri dell’istruzione

ALTRO CHE RIVOLUZIONE INFORMATICA! LE SCUOLE DIGITALI SONO 38 SU 8519

Dal «Libro e tastiera» di Luigi Berlinguer alle tre «I» di Berlusconi, solo slogan a ripetizione

di Gian Antonio Stella – corriere.it, 07/02/2015

Dopo le mirabolanti promesse di un fantastilione di triliardi siamo messi così: le «scuol@2.0» all’altezza delle sfide digitali mondiali sono in Italia 38 su 8.519. Di questo passo, accusa Tuttoscuola, occorreranno «437 anni per digitalizzarle tutte». È una sconfitta epocale. Che la dice lunga sulle indecorose panzane che ci sono state rifilate per anni. Per capire la sproporzione abissale tra le rassicurazioni, gli impegni, i giuramenti del passato e il panorama di oggi è necessario fare un passo indietro. A partire da un’Ansa del 1988 in cui l’allora ministro della Pubblica istruzione Giovanni Galloni già invitava a tener conto della «rivoluzione informatica». Il primo pc esisteva solo da 12 anni, Internet non arrivava a 100 mila utenti e non c’era ancora il «www», ma era già chiaro: il futuro era quello. Tanto che una dozzina d’anni dopo Luigi Berlinguer lanciava uno slogan che, irridendo al «libro e moschetto» del Duce, era: «Libro e tastiera»: «Al momento il rapporto computer-alunni è di uno a cinquanta», garantiva, «vogliamo arrivare a uno a 10». L’ultima finanziaria del governo Amato, fatta nel 2000 per il 2001, confidava di «colmare il divario digitale» che già c’era offrendo ai giovani un «prestito d’onore» che sperava di spingere «600.000 studenti di 60.000 scuole medie superiori» a comprare un pc «di buon livello, al costo di 1.440.000 lire, Iva inclusa». Spiegava infatti: «Solo il 33% dei ragazzi italiani tra 15 e 17 anni possiede e utilizza abitualmente un pc; ben lontano dai livelli della Svezia ad esempio, dove il 75% delle famiglie ha un computer in casa e il 70% naviga in Internet».

L’anno dopo, miracolo! Nel novembre 2001, entusiasta di compiacere Berlusconi che aveva fatto la campagna elettorale sulle tre «I» di Internet, Inglese, Impresa, il ministro Letizia Moratti assicura trionfante: «Gli obiettivi fissati per il 2001 dal piano europeo sulla diffusione delle tecnologie informatiche nella scuola sono stati raggiunti. Quasi tutte le diecimila scuole italiane risultano oggi collegate in Rete: in particolare la totalità delle superiori, il 96% per cento delle medie e il 91% delle elementari». Bum! E non è finita, assicura la maga Letizia: «Per il 2002 il nostro obiettivo è realizzare un collegamento Internet in tutte le classi e la creazione di specifici servizi di supporto informatico alla didattica». Di più ancora: «Entro il 2004 uno studente su due avrà a disposizione un personal computer». Testuale. Ansa.

L’anno dopo, dimentica d’avere già festeggiato il prodigioso collegamento esistente per «quasi tutte», la Moratti annuncia un accordo per portare il web «nell’85% delle scuole entro il 2005» e il debutto della «telescuola, che consentirà agli studenti un contatto continuo con i docenti e darà loro la possibilità di approfondire le conoscenze attingendo dalle fonti in Rete…». E non basta: « Nei prossimi anni prevediamo di collegare a Internet a banda larga il 90% delle scuole, contro l’attuale 18%». Detto fatto, stanzia per il ciclopico impegno delle 10.797 scuole italiane 81 milioni. Pari a un deca per ogni studente. Due toast e una Coca. L’anno dopo, il mago Silvio si spinge ancora più in là: «Introdurremo il computer già dalla prima elementare, non subito. Ma quando i bambini cominceranno a conoscere le lettere e i numeri, già a febbraio potranno giocare con il computer». Per capirci: febbraio 2004. Undici anni fa.

E potremmo andare avanti. Ricordando i numeri dati nel 2005 dal ministro per l’Innovazione Lucio Stanca: «L’85% degli istituti usa Internet e uno studente ogni 10 ha a disposizione un pc» (bum!) e poi «il 68% delle famiglie con figli in età scolare possiede un pc, ponendo l’Italia al 3° posto in Europa» (bum!) e ancora «una famiglia su 5 ha già accesso alla banda larga» (bum!) e via così… Dieci anni più tardi, dopo avere incassato via via altri impegni da Mariastella Gelmini («Un mini pc per tutti gli studenti, al ritmo 1.000 classi al mese») a Francesco Profumo («Da quest’anno tutte le classi delle medie e delle superiori potranno contare su un computer da utilizzare nelle lezioni. Alle classi che ancora non ce l’hanno sarà consegnato nelle prossime settimane») la situazione è quella fotografata dall’ultimo studio Survey Of Schools: Ict in Education. Il quale dice che, in un contesto mondiale dove la velocità media di download (compresi il Niger o il Burkina Faso, per capirci) è di 22,1 megabyte al secondo e noi stiamo novantaseiesimi con 9,22, gli studenti europei che nella loro scuola non hanno la banda larga sono, a seconda dei gradi di studio, tra il 4% e l’8%. Nelle quattro tabelle prese ad esempio per mettere a confronto varie classi delle medie e delle superiori noi siamo sempre (sempre) i peggiori, arrivando al 34%. E parliamo di una banda larga nominale. Spessissimo miserella. Che magari, tra un problema e l’altro, non arriva a 3 mega.

Due ragazzi su tre, dice un sondaggio di Skuola.net, «dichiarano di non avere la connessione wi-fi o comunque di non utilizzarla per la didattica». Peggio: «Uno su 5 utilizza il laboratorio informatico una volta a settimana, uno su 5 una volta al mese». Riccardo Luna, uno dei referenti di Matteo Renzi delle nuove tecnologie, ha raccontato un mese fa dello stupore di Enzo Valente, il direttore del Garr, il consorzio che gestisce la super-rete in fibra ottica della ricerca scientifica in Italia: «Roba seria, fino a mille volte più veloce di quello che avete a casa». Aveva scritto a 260 scuole del Sud offrendo loro la fibra ottica gratis in cambio di un canone annuale di 3.000 euro: «Mi hanno risposto in 40: quaranta! Da non crederci!». Cecità. E mancanza di fondi. Fatto sta che, con solo il 20% delle aule connesse al Web (dati dell’Agenzia digitale diretta da Alessandra Poggiani), lo studio di Glocus (il think tank presieduto da Linda Lanzillotta) ha denunciato che «il 18,5% dei plessi (4.200) non è connesso a Internet, le lavagne interattive multimediali sono appena 69.813 e i tablet per uso individuale nelle classi ancora meno, appena 13.650».

Certo, esistono eccellenze. E come scrive la rivista Tuttoscuola diretta da Giovanni Vinciguerra, le scuole sperimentali dei due progetti «cl@ssi 2.0» e «scuol@2.0» sono ambitissime. Ma sono rare: «Nel 2012-13 erano 416 le cl@ssi 2.0, dotate di minicomputer per tutti gli alunni per interagire con la lezione in tempo reale. Mentre erano solo 14 le scuol@2.0, completamente digitalizzate». Da allora «un lieve incremento si è registrato», ma i numeri sono quelli che dicevamo: «Dopo tre anni dal lancio del progetto, siamo a 38 scuole su 8.519». Li abbiamo, quattro secoli e mezzo, per recuperare i ritardi?

104 comments

  1. A proposito di HSBC, Elisabeth Warren (senatrice democratica) ebbe a dire in un’audizione (pregasi notare le buone letture ciceroniane) al senato:

    “Quanti miliardi di dollari dei signori della droga si devono riciclare e quante leggi si devono violare prima che cominciate a considerare la chiusura di un’istituzione finanziaria come questa?”

  2. Precisazione necessaria su “possedere”. L’acqua del pozzo è tua perchè hai costruito il pozzo, sapevi che c’era l’acqua e ti sei ingegnato per trovarla. Meglio ancora se il pozzo è stato costruito con altri o hai insegnato ad altri a realizzarne il proprio.
    Lo stesso vale per l’insegnamento. Faccio un esempio pratico e personale:
    Per rimediare soldi, tra le altre cose, ho dato lezioni di chitarra (se così si può dire) durante gli anni del liceo e dell’Università e non ho mai insegnato le “posizioni” degli accordi. Ho sempre preferito insegnare il “manico” e la formazione degli accordi lasciando ai “discenti” la libertà e l’onere di ricavarsi le “posizioni”. Ad una quarantina d’anni di distanza, tutti i miei “allievi” suonano ancora e (come me) non conoscono (a memoria) gli accordi di una sola canzone.
    Oppure, come nel caso di ripetizioni di algebra e geometria (per i rimandati) spendere tutto il tempo sui capitoli 1,2 e 3 (mi ripeto) solitamente saltati (ed utilissimi al prof. per mantenere la sua autorità basata sul “sapere”) ma che, una volta digeriti, permettevano di “volare” attraverso i successivi.
    Ancora (solo per addetti ai lavori) ripetizioni di analisi 1 spendendo tempo sui limiti (mentre solitamente si preferisce concentrarsi sulle derivate per lo studio della funzione, (attività meccanica e facilmente “somministrabile) e vai con la sequenza di max/min, punto di flesso e voilà, abbiamo completato il programma (con l’aggiunta di qualche integrale indefinito (purchè sia facilmente identificabile come operazione inversa della derivata.

    1. > suonano ancora e non conoscono gli accordi di una sola canzone.
      Interessante.
      Io ho sempre fatto l’opposto: “impara la canzone altrimenti muori di noia e gli accordi, da morto ti servono poco.”

        1. per “potenzialmente” intendi che le hai cantate/suonate e le hai dimenticate o che nessuna canzone sfugge alle regole della costruzione degli accordi?
          Se è la prima che ho detto, il cervello (e le mani) non sono in grado di memorizzare/eseguire
          più di una trentina di canzoni “contemporaneamente”.
          Per avere la grazia, Leadbelly millantò di conoscere 500 canzoni tradizionali americane… in realtà le stava re-inventando tutte… della cambiava il testo, la faceva sia in minore che in maggiore… etc.

          1. il cervello (e le mani) non sono in grado di memorizzare/eseguire
            più di una trentina di canzoni contemporaneamente.

            sei sicuro? certo, eseguirle contemporaneamente sarà un po’ difficile… ma memorizzare…

                  1. Mi hai fatto ricordare di un mio amico che ai tempi dell’uscita di Hocus Pocus dei Focus mi disse (conosceva solo le triadi): “Cazzo, ho trovato gli accordi ed usano Mi maggiore/minore (non avendo a disposizione il nome #9)”.

                    1. Il nome… appunto. Serve a parlare, non a suonare. “Parlare di musica è come ballare di architettura.” – Frank Zappa

  3. a proposito di “possesso”, il discorso è un po’ grillino, perdonatemi, ma un paio di amici hanno ordinato una piccola stampante 3d (uno è un programmatore, l’altro un grafico) e la cosa mi ha fatto nascere una serie di pensieri.
    non conosco il prezzo delle “cartucce”, ma di base il problema per questo oggetto è il “programma di scrittura” che imposta la stampante. Ma immaginando un sistema “wiki” che mette a disposizione di tutti i programmi per potersi stampare gli oggetti che interessano, cosa accade dell’industria tradizionale ? dai piccoli oggetti fino all’arredamento, piatti, bicchieri, posate, vasi, lampade, sedie, tavoli, telai di biciclette, materassi in lattice, etc

    non è domani, ma dopodomani ?

    ho esagerato ? il grillino che è in me ha preso il sopravvento ?

    1. Amerei avere un governo che si occupa di tutti gli aspetti di questa rivoluzione. Che facesse un piano sensato in cui prendere in considerazione gli effetti economici e non di una cosa simile, che guardasse con interesse ma anche con occhio attento alla qualità di produzione, che provasse ad intuire qual’è l’onda sismica che provocherà e come surfare su quest’onda e non esserne travolto.
      Amerei avere un governo. Punto (cit.)

    2. Hai presente “Arrotino, ombrellaio!” o “Panini, pizzette!”?
      Ci sono già FabLab mobili… arrivano nella piazza della tua città il giorno del mercato, ti metti in coda e ti stampano la tua ‘cazzatina’.
      Ma può essere che domani o dopodomani torni tutto il tempo per re-imparare a farli a mano.
      Chi lo sa?

      1. Io ho ricominciato a farmi i maglioni a mano. Con infinito gusto. Però penso che, se non cambiamo testa, il mondo continuerà a dividersi tra i moltissimi che compreranno cose sempre più scadenti (e il 3D mi suona come l’equivalente dell’e-book, in questo caso: stessa apparenza, qualità finale molto più inconsistente) e pochi che compreranno cose fatte a mano. Da altri.

        1. boh, hai letto dei polmoni di un neonato prematuro “stampati” ed impiantati ?
          non voglio pubblicizzare ad ogni costo, ma ho l’impressione che sia una di quelle cose che “potrebbero” essere una svolta nella concezione del vivere
          con la tendenza a tornare a farsi le cose da soli (fra crisi e new age), questa potrebbe essere una facilitazione non da poco.

          che una cosa positiva della crisi, discutevo domenica con un amico, è stato che ha mostrato come molte “rinunce” in realtà non erano tali.
          Erano un surplus veramente non necessario prima.

          1. boh? Io ho imparato a fare il pane a mano (e la pasta madre)… tra esperimenti e tempo speso è probabile mi costi più che comprarlo in panetteria. il problema è sempre lo stesso: il tempo è tuo o è del denaro?

    3. non ho la minima idea di che caspita possa fare una stampante 3d, ma immagino che se vuoi un tavolo in legno dovrai metterci dentro del legno, in misure più o meno adatte. e dovrai avere un macchinario con dimensioni apposite.
      da un certo punto di vista si tratterebbe di un’evoluzione di quanto esiste già (e in fondo non sono più o meno i meccanismi del pantografo?).
      detto questo, in futuro continueremo ad avere diminuzione di una manodopera specializzata? dell’operaio-artigiano, che in fondo è già scomparso? però tutti ci dicono che in realtà le aziende stanno cercando proprio questi…
      non ho idea.

        1. sicuramente si potrà realizzare anche il tavolo in legno, ma non è questo il punto. non riesco ancora a vedere la differenza strutturale rispetto al presente. certamente è una maggiore automazione e velocità di esecuzione, ma più o meno sono i processi di stampaggio già esistenti.

          1. il fatto è che con uno strumento,di dimensioni limitate, puoi (potresti) fare scarpe, o appunto i piatti, vasi. Una possibilità di fare cose molto diverse al contrario dei sistemi di stampaggio attuali, Uno stampo fa sempre la stessa forma.
            non so, ma ci vedo un potenziale infinito e piuttosto facile da fruire.
            Penso che molto sarà legato ai costi, ma io, al contrario di charlie, la casalinga che si stampa le pentole, ce la vedo

                1. Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
                  Sull’anima gemente in preda a lunghi affanni,
                  E in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
                  Riversa un giorno nero più triste dell notti;

                  Quando la terra cambia in un’umida cella,
                  Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,
                  Sbattendo la sua timida ala contro i muri
                  E picchiando la testa sul fradicio soffitto;

                  Quando la pioggia stende le sue immense strisce
                  Imitando le sbarre di una vasta prigione,
                  E, muto e ripugnante, un popolo di ragni
                  Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;

                  Delle campane a un tratto esplodono con furia
                  Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
                  Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
                  Che si mettano a gemere in maniera ostinata.

                  – E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
                  Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
                  Vinta, piange, e l’Angoscia, dispotica ed atroce,
                  Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera..

          2. Per far qualcosa in legno col £D, devi avere alla fine comunque un tornio, frese, seghe, stampi, flessor, laser, macchine utensili a controllo digitale o CAM ecc. ecc). .altrimenti si può farlo solo con i surrogati del legno(non compensati stratificati, ma materiali compressi, iniettabili, termoplastici o termoindurenti ecc.). Le stampanti 3d ci sono da tempo, l’unica differenza mi pare essere che ora ne vengono commerciliazzate a basso costo (ma anche a basse prestazion, ovviamentei),
            Roba che può servire, in casi parecchio parecchio limitati, a fare un prototipuzzo.
            Mi ricordano molto l’invasione delle videocamere,che avrebbe fatto diventare tutti registi…
            fenomeni che si ripetono: pur essendoci stampanti di qualità e a basso costo anche nel 2D, non è che tutti si son fatti editori: tuttalpiù ricorrono a società che offrono servizi.
            Idem per gli apparecchi fotografici: tutti fanno foto, all punto che diventa difficle capire se sitagram o fb siano qualcosa d idivrso da una sicarica collettiva incontrollata.
            L’utilizzo pratico, a questi livelli, di strumenti per “manifattura” che si spacciano come nuovi, è quasi sempre assai più banale di quello che le mirabolanti notizie (bufale?) prospettano.
            Certo, se poi c’hai una stampante 3D grande come una casa in grado di lavorare a temperature altissime e le adeguate scorte di materiaprima, puoi provare a farti un Boeing 747: malinee così già cisono,si chiamano aziende manifatturiere,
            Non mi risulta che funzioni così, però. se ci sarà innovzione, arà perchè qualcuno fornirà il servizio, ad una altro livelloche il fai da te e a costi più econocii.
            Per il resto come avvenne per la Pornoroid, ,mi aspetto una invasioni di falli di plastica, sul cui uso non mi addentro.
            Del resto, e non a caso, i materiali per modellazione/stampaggio credo si possano ancora oggi distinguere in due categorie: termoplastici e TERMONDURENTI.
            I primi non sono tra i più richiesti, i secondi sì (cialis,viagra ecc.)

      1. vero, ma i vari “wiki”, Linux etc, dimostrano che la disponibilità ad aggirare certi ostacoli è forte su internet e visto che la cosa principale di questi aggeggi è il programma di scrittura per creare l’oggetto…
        io, essendo quel che sono, un po’ ci spero

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