Month: luglio 2014

Perché Gaza è sola

segnalato da crvenazvezda76

PERCHE’ GAZA E’ SOLA

Luciana Castellina – Il Manifesto 30/07/2014

Il silenzio del movimento pacifista e l’ipocrisia dei media embedded.

Non voglio parlare nel merito di quanto sta accadendo a Gaza. Non ne voglio scrivere perché provo troppo dolore a dover per l’ennesima volta emettere grida di indignazione, né ho voglia di ridurmi ad auspicare da anima buona il dialogo fra le due parti, esercizio cui si dedicano le belle penne del nostro paese. Come si trattasse di due monelli litigiosi cui noi civilizzati dobbiamo insegnare le buone maniere. Per non dire di chi addirittura invoca le ragioni di Israele, così vilmente attaccata — poveretta — dai terroristi. ( I palestinesi non sono mai «militari» come gli israeliani, loro sono sempre e comunque terroristi, gli altri mai).

Ieri ho sentito a radio Tre, che ricordavo meglio delle altre emittenti, una trasmissione cui partecipavano commentatori davvero indecenti, un giornalista (Meucci o Meotti, non ricordo) che conteggiava le vittime palestinesi: che mascalzonata le menzogne degli anti istraeliani, tutti dimentichi dell’Olocausto – protestava. Perchè non è vero che i civili morti ammazzati siano due terzi, tutt’al più un terzo.

E poi il «Foglio» che promuove una manifestazione di solidarietà con le vere vittime: gli israeliani, per l’appunto.

Si può non essere d’accordo con la linea politica di Hamas – e io lo sono — ma chi la critica dovrebbe poi spiegare perché allora né Netanyahu, né alcuno dei suoi predecessori, si sia accordato con l’Olp ( e anzi abbia sempre insidiato ogni tentativo di intesa fra Hamas e Abu Mazen, per mandarla per aria). E però io mi domando: se fossi nata in un campo profughi della Palestina, dopo quasi settant’anni di soprusi, di mortificazioni, di violazione di diritti umani e delle decisioni dell’Onu, dopo decine di accordi regolarmente infranti dall’avanzare dei coloni, a fronte della pretesa di rendere la Palestina tutt’al più un bantustan a macchia di leopardo dove milioni di coloro che vi sono nati non possono tornare, i tanti cui sono state rubate le case dove avevano per secoli vissuto le loro famiglie, dopo tutto questo: che cosa penserei e farei? Io temo che avrei finito per diventare terrorista.

Non perché questa sia una strada giusta e vincente ma perché è così insopportabile ormai la condizione dei palestinesi; così macroscopicamente inaccettabile l’ingiustizia storica di cui sono vittime; così filistea la giustificazione di Israele che si lamenta di essere colpita quando ha fatto di tutto per suscitare odio; così palesemente ipocrita un Occidente (ma ormai anche l’oriente) pronto a mandare ovunque bombardieri e droni e reggimenti con la pretesa di sostenere le decisioni delle Nazioni Unite, e che però mai, dico mai, dal 1948 ad oggi, ha pensato di inviare sia pure una bicicletta per imporre ad Israele di ubbidire alle tante risoluzioni votate nel Palazzo di Vetro che i suoi governi, di destra o di sinistra, hanno regolarmente irriso.

Ma non è di questo che voglio scrivere, so che i lettori di questo giornale non devono essere convinti. Ho preso la penna solo per il bisogno di una riflessione collettiva sul perché, in protesta con quanto accade a Gaza, sono scesi in piazza a Parigi e a Londra, cosa fra l’altro relativamente nuova nelle dimensioni in cui è accaduto, e nel nostro paese non si è andati oltre qualche presidio e volenterose piccole manifestazioni locali, per fortuna Milano, un impegno più rilevante degli altri.

Cosa è accaduto in Italia che su questo problema è stata sempre in prima linea, riuscendo a mobilitare centinaia di migliaia di persone? È forse proprio per questo, perché siamo costretti a verificare che quei cortei, arrivati persino attorno alle mura di Gerusalemme (ricordate le «donne in nero»?) non sono serviti a far avanzare un processo di pace, a rendere giustizia? Per sfiducia, rinuncia? Perché noi — il più forte movimento pacifista d’Europa – non siamo riusciti ad evitare le guerre ormai diventate perenni, a far prevalere l’idea che i patti si fanno con l’avversario e non con l’alleato perché l’obiettivo non è prevalere ma intendersi? O perché – piuttosto — non c’è più nel nostro paese uno schieramento politico sufficientemente ampio dotato dell’autorevolezza necessaria ad una mobilitazione adeguata? O perché c’è un governo che è stato votato da tanti che nelle manifestazioni del passato erano al nostro fianco e che però non è stato capace di dire una parola, una sola parola di denuncia in questa tragica circostanza? Un silenzio agghiacciante da parte del ragazzo Renzi che pure ci tiene a far vedere che lui, a differenza dei vecchi politici, è umano e naturale? Privo di emozioni, di capacità di indignazione, almeno quel tanto per farsi sfuggire una frase, un moto di commozione per quei bambini di Gaza massacrati, nei suoi tanti accattivanti virtuali colloqui con il pubblico? È perché non prova niente, o perché pensa che le sorti dell’Italia e del mondo dipendano dal fatto che la muta Mogherini assurga al posto di ministro degli esteri dell’Unione Europea? E se sì, per far che?

Di questo vorrei parlassimo. Io non ho risposte. E non perché pensi che in Italia non c’è più niente da fare. Io non sono, come invece molti altri, così pessimista sul nostro paese. E anzi mi arrabbio quando, dall’estero, sento dire: «O diomio l’Italia come è finita», e poi si parla solo di quello che fa il governo e non ci si accorge che c’è ancora nel nostro paese una politicizzazione diffusa, un grande dinamismo nell’iniziativa locale, nell’associazionismo, nel volontariato.

Negli ultimi giorni sono stata a Otranto, al campeggio della «Rete della conoscenza» (gli studenti medi e universitari di sinistra). Tanti bravi ragazzi, nemmeno abbronzati sebbene ai bordi di una spiaggia, perché impegnati tutto il giorno in gruppi di lavoro, alle prese con i problemi della scuola, ma per nulla corporativi, aperti alle cose dell’umanità, ma certo privi di punti di riferimento politici generali, senza avere alle spalle analisi e progetti sul e per il mondo, come era per la mia generazione, e perciò vittime inevitabili della frammentazione. Poi ho partecipato a Villa Literno alla bellissima celebrazione del venticinquesimo anniversario della morte di Jerry Maslo, organizzata dall’Arci, che da quando, nel 1989, il giovane sudafricano, anche lui schiavo nei campi del pomodoro, fu assassinato ha via via sviluppato un’iniziativa costante, di supplenza si potrebbe dire, rispetto a quanto avrebbero dovuto fare le istituzioni: villaggi di solidarietà nei luoghi di maggior sfruttamento, volontariato faticoso per dare ai giovani neri magrebini e subsahariani, poi provenienti dall’est, l’appoggio umano sociale e politico necessario.

Parlo di queste due cose perchè sono quelle che ho visto negli ultimi giorni coi miei occhi, ma potrei aggiungere tante altre esperienze, fra queste certamente quanto ha costruito la lista Tsipras, che ha reso stabile, attraverso i comitati elettorali che non si sono sciolti dopo il voto, una inedita militanza politica diffusa sul territorio.

E allora perché non riusciamo a dare a tutto quello che pure c’è capacità di incidere, di contare?

Certo, molte delle risposte le conosciamo: la crescente irrilevanza della politica, il declino dei partiti, eccetera eccetera. Non ho scritto perché ho ricette, e nemmeno perché non conosca già tante delle risposte. Ho scritto solo per condividere la frustrazione dell’impotenza, per non abituarsi alla rassegnazione, per aiutarci l’un l’altro «a cercare ancora».

Hanno ucciso l’Unità. L’Unità è viva

I liquidatori di Nuova iniziativa editoriale spa in liquidazione, società editrice de l’Unità, a seguito dell’assemblea dei soci tenutasi in data odierna comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni a far data dal 1 agosto 2014. 

Emanuele D’Innella
Franco Carlo Papa

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La prima pagina de l’Unità (30 Luglio 2014)

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La prima pagina de l’Unità (31 Luglio 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL COMUNICATO DEL CDR: “FINE DELLA CORSA” 

Fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l’Unità. I lavoratori sono rimasti soli a difendere una testata storica. Gli azionisti non hanno trovato l’intesa su diversi percorsi che avrebbero comunque salvato il giornale, e che i due liquidatori avevano chiesto di approvare. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio la sopravvivenza di una voce libera e autorevole dell’editoria italiana, oltre che un’ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi del settore dell’informazione.

Nonostante tutto i dipendenti de l’Unità non si sentono soli. Anzi. Appena si è diffusa la notizia molti lettori ci hanno espresso la loro solidarietà, e questo per i giornalisti è un fatto molto importante. Il senso di comunità che questa redazione ha sempre mantenuto è emerso anche in questa occasione, come tutte le altre dolorose occasioni che purtroppo hanno accompagnato la vita del giornale negli ultimi anni. Il cdr rivendica di aver mantenuta alta la bandiera del giornale, anche quando il suo destino sembrava impantanarsi nelle sabbie mobili di una gestione scellerata, che ha aperto le porte del capitale ad azionisti incompatibili con la storia del giornale. Proprio quegli azionisti che ieri hanno contribuito ad affossare la testata. Non abbiamo perso la nostra bussola neanche quando tra le diverse offerte per rilevare la testata è spuntata quella dell’onorevole Santanchè. Anche a lei abbiamo detto: no, grazie. Sapevamo che altre ipotesi erano percorribili, e anche che il Pd si stava occupando della vicenda. Lo sapevamo e lo speravamo. Evidentemente ci siamo sbagliati. E a pagare oggi siamo innanzitutto noi.

I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti. Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi è un giorno di lutto per la comunità dell’Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere, a chiedere a chi ci promette un futuro di darci certezze oggi. Di assicurare solidità patrimoniale. E a chi promette invece sostegno politico, diciamo che oggi è tardi per esprimere solidarietà. Chi in questi giorni visiterà le nostre feste, non troverà il giornale. Ci sembra inaccettabile.


IL COMUNICATO DELLA FNSI: VICINI AI COLLEGHI
La notizia che non avremmo voluto ricevere è purtroppo arrivata: l’Unità dal primo agosto sospende le pubblicazioni e tutti i lavoratori – giornalisti, amministrativi e poligrafici – saranno posti in Cassa integrazione a zero ore. I collaboratori perderanno il lavoro. Una svolta drammatica, purtroppo temuta e quasi annunciata in questi mesi di continui rinvii e di rimpallo di responsabilità tra azienda e politica. Ora t utti gli sforzi debbono essere posti nello sforzo per tentare il ritorno in edicola e per salvaguardare i diritti dei lavoratori dipendenti, che da tre mesi non ricevono gli stipendi, e dei collaboratori. Il Sindacato nazionale dei giornalisti, assieme al le Associazioni regionali, esprime solidarietà a tutti i lavoratori del giornale e conferma che intende affiancare i colleghi de l’Unità nelle azioni che si renderanno nece ssarie per tutelarne i diritti.
Giovanni Rossi, Presidente FNSI

Il sito è curato da Cesare Buquicchio, Maddalena Loy, Cinzia Zambrano, Maristella Iervasi, Chiara Affronte, Stefano Miliani, Francesco Sangermano, Ella Baffoni.

Leggi anche:

Fate girare la voce: questo non è l’ultimo numero

Anche il sito Spi-Cgil in bianco per l’Unità

La vicenda de l’Unità e l’editoria. Lo specchio del Paese in crisi

Così si strozza la democrazia

La costituzionalista Lorenza Carlassare: «Contingentare la discussione è contro la Carta. Decisione tipica dei sistemi autoritari»

segnalato da crvenazvezda76

 da il Manifesto (25/07/2014) – di Carlo Lania

Pro­fes­so­ressa Lorenza Car­las­sare, da costi­tu­zio­na­li­sta come giu­dica la deci­sione di con­tin­gen­tare i tempi della discus­sione sulla riforma?

È una deci­sione con­tra­ria alla Costi­tu­zione. Non mi era mai venuto in mente che nella revi­sione di una legge costi­tu­zio­nale si potesse agire in que­sto modo. Stroz­zare un dibat­tito su una riforma che deve essere votata con una mag­gio­ranza ele­vata pro­prio per­ché sia ragio­nata e con­di­visa. Mi sem­bra una cosa inau­dita. Soprat­tutto con­si­de­rando che risulta impli­ci­ta­mente escluso dalla stessa Costituzione, che pre­vede appunto mag­gio­ranze molto ele­vate, due distinte deli­bere per ogni Camera con uno scopo pre­ciso: garantire che la riforma venga medi­tata, discussa e appro­vata da una mag­gio­ranza larga, non da una mag­gio­ranza arti­fi­ciale che forza gli altri, una mino­ranza pre­fab­bri­cata che vuole imporre la sua volontà. Il disprezzo del dis­senso e la volontà di sof­fo­carlo è pro­pria dei sistemi auto­ri­tari. Non è lo spi­rito della Costituzione.

Il pro­blema forse è all’origine: ci tro­viamo di fronte a una riforma costi­tu­zio­nale che non nasce dal Par­la­mento, ma viene det­tata dal governo.

Anche que­sta è un’anomalia. Pur­troppo negli ultimi anni ne abbiamo viste tan­tis­sime. Il governo si è impa­dro­nito di tutte le fun­zioni del Par­la­mento e lo ha esau­to­rato. Della fun­zione legi­sla­tiva si è impa­dro­nito total­mente facendo solo decreti legge, e ora s’impossessa anche della revi­sione costi­tu­zio­nale. Tutto quello a cui stiamo assi­stendo negli ultimi tempi lascia sgomenti.

Vede dei rischi in que­sto modo di pro­ce­dere da parte di governo e maggioranza?

Da tanto tempo vedo rischi, per­ché que­sta for­za­tura deriva dal fatto che non si vuole accet­tare il dia­logo, che si vedono gli emendamenti e le pro­po­ste degli altri come un impac­cio, un osta­colo, dei sassi sui binari da rimuo­vere, come ha detto Renzi. Ma gli argo­menti degli altri non sono da rimuo­vere, sono da con­si­de­rare ed even­tual­mente da con­fu­tare con argo­menti ido­nei, altri­menti che demo­cra­zia è? Oltre tutto si tratta di una riforma che fa parte di un pro­gramma più ampio di cui non sap­piamo nulla.

Si rife­ri­sce al patto del Nazareno?

Que­sto patto Berlusconi-Renzi, che poi è Berlusconi-Verdini-Renzi, che cosa signi­fica? È un patto fra sog­getti dei quali uno non aveva e non ha fun­zioni poli­ti­che isti­tu­zio­nali di alcun genere; ha per­duto anche il titolo di sena­tore. Allora la domanda è: cosa c’è in que­sto patto? Un patto tra due par­titi si può anche ammet­tere se è tra­spa­rente, ma un accordo segreto di cui ogni tanto tra­pe­lano alcune noti­zie, ma del quale si esige che sia asso­lu­ta­mente rispet­tato alla let­tera, no. Mi chiedo ancora: siamo in un Paese demo­cra­tico o no?

Però il mini­stro Boschi di fronte alle accuse di auto­ri­ta­ri­smo risponde che si tratta di allucinazioni.

Penso che il mini­stro Boschi, della cui buona fede non dubito, non abbia nes­suna idea di cosa è la demo­cra­zia e soprat­tutto che cosa è la “demo­cra­zia costi­tu­zio­nale”, che non vuol dire domi­nio della mag­gio­ranza. Quello che offende è la men­zo­gna, con­ti­nua­mente ripe­tuta, che chi pro­pone modi­fi­che non voglia le riforme: tutti vogliono la riforma del bica­me­ra­li­smo attuale! Ma molti non vogliono la solu­zione impo­sta. Per­ché il governo non vuole il Senato elet­tivo come negli Stati Uniti, con un numero ristretto di sena­tori eletti dai cit­ta­dini delle diverse regioni? Per­ché no?

Lei che rispo­sta si dà?

Si vuol togliere la parola al popolo. Quanto sta acca­dendo va messo insieme alla legge elet­to­rale con l’8% di sbar­ra­mento; si vuole chiu­dere la bocca alle mino­ranze, e non solo a mino­ranze esi­gue: la soglia dell’8% non è certo leg­gera. Si vuole fare una Camera interamente domi­nata dai due par­titi dell’accordo, due par­titi che poi sono pra­ti­ca­mente uno per­ché lavo­rano insieme, in stretto accordo, quindi siamo arri­vati al par­tito unico.

O magari al par­tito nazio­nale di cui parla Renzi.

Una cosa che mi fa venire i bri­vidi. La demo­cra­zia costi­tu­zio­nale è neces­sa­ria­mente plu­ra­li­sta, per­ché gioca anche sull’articolazione poli­tica del sistema e del Par­la­mento, sulla pos­si­bi­lità di un dia­logo e di un dis­senso. Qui invece si parla di par­tito nazio­nale. Credo che per qual­cuno si tratti di scarsa cono­scenza e di scarsa dime­sti­chezza con il costi­tu­zio­na­li­smo, per qual­cun altro pur­troppo no.

In que­sto rien­tra anche la deci­sione di innal­zare da 500 a 800 mila le firme neces­sa­rie per pro­porre un refe­ren­dum abrogativo? 

Siamo sem­pre nella stessa logica di ridu­zione del peso del popolo, che evi­den­te­mente dà fasti­dio e biso­gna taci­tarlo. La gente chiede lavoro, è pre­oc­cu­pata per la chiu­sura delle fab­bri­che e i gover­nanti si impun­tano esclu­si­va­mente su que­ste cose. La riforma costituzio­nale serve cer­ta­mente al fine di poter eser­ci­tare il potere con le mani libere, senza gli impacci della demo­cra­zia costituzionale. Però c’è anche un’altra ragione di fondo, ed è che la riforma è un bello schermo per nascon­dere il fatto che sugli altri piani non si fa niente. L’economia è andata più a rotoli che mai, finora si è fatto solo un gran par­lare, un chiac­chie­rare arro­gante e asso­lu­ta­mente inutile.

Però sei­mila emen­da­menti sono tanti. L’opposizione non sta esagerando?

L’opposizione non ha altre armi per­ché il dia­logo la mag­gio­ranza non lo vuole, ha detto subito che “chi ci sta, ci sta”. E gli altri, eviden­te­mente, se “non ci stanno” a votare ciò che il governo vuole “se ne faranno una ragione”! In tale situa­zione chi vor­rebbe una riforma diversa non può fare altro che ren­dere fati­coso il per­corso per indurre la mag­gio­ranza a riflet­tere su quello che fa e, per non veder fal­lire tutto, ad accet­tare qual­che modi­fica. Ripeto ancora ciò che più volte ho detto: se vogliono fare un Senato con i rappresen­tanti delle regioni e degli enti locali non eletti dal popolo, lo fac­ciano pure, però non pos­sono attri­buire a quest’organo fun­zioni costi­tu­zio­nali. Non pos­sono dar­gli la pos­si­bi­lità di legi­fe­rare al mas­simo livello. A un simile Senato, fatto da per­sone che non ci rap­pre­sen­tano, domi­nate dai capi par­tito, si vuole invece asse­gnare il potere di revi­sione costi­tu­zio­nale, di par­te­ci­pare all’elezione del pre­si­dente della Repub­blica e di altri alti organi costi­tu­zio­nali. È assurdo. Faces­sero allora un Senato che è espres­sione delle autono­mie con fun­zioni limi­tate alle neces­sità di rac­cordo con le auto­no­mie locali. Altri­menti, se gli si vogliono attri­buire fun­zioni costi­tu­zio­nali, deve essere elet­tivo. Ma, se non è pos­si­bile discu­tere di que­sto e di altri punti signi­fi­ca­tivi, allora non resta altro da fare che pro­porre emen­da­menti a raffica.

Qualcosa non torna…

di barbarasiberiana (feat. Marco, che ci ha girato tempo fa una info sul DDL1345 )

Sul blog del forum “Salviamo il paesaggio” compare questo articolo.

IL CONSIGLIO DI STATO RICONOSCE IL PAESAGGIO COME BENE PRIMARIO ASSOLUTO, PREVALENTE RISPETTO A QUALUNQUE ALTRO INTERESSE

Il Consiglio di Stato si è pronunciato in una serie di sentenze affermando che il paesaggio è bene primario e assoluto. La sua tutela dovrebbe essere prevalente su ogni altro interesse, pubblico e privato.

Il Consiglio di Stato si è pronunciato in tema di paesaggio: il supremo Organo di giustizia amministrativa italiana ha ribadito (Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222) che il paesaggio – nel nostro Ordinamento – è bene primario e assoluto. La tutela del paesaggio è quindi prevalente su qualsiasi altro interesse giuridicamente rilevante, sia di carattere pubblico che privato.

Dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 16 giugno 2014

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2222, del 29 aprile 2014

Beni Ambientali. Il paesaggio rappresenta un bene primario e assoluto prevalente rispetto a qualunque altro interesse.

Come è noto, sotto il profilo costituzionale l’art. 9 Cost. introduce la tutela del “paesaggio” tra le disposizioni fondamentali. Il concetto non va però limitato al significato meramente estetico di “bellezza naturale” ma deve essere considerato come bene “primario” ed “assoluto”, in quanto abbraccia l’insieme “dei valori inerenti il territorio” concernenti l’ambiente, l’eco-sistema ed i beni culturali che devono essere tutelati nel loro complesso, e non solamente nei singoli elementi che la compongono. Il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e, quindi, deve essere anteposto alle esigenze urbanistico-edilizie. Il piano paesaggistico costituisce una valutazione ex ante della tipologia e dell’incidenza qualitativa degli interventi ammissibili in funzione conservativa degli ambiti reputati meritevoli di tutela per cui i relativi precetti devono essere orientati nel senso di assicurare la tutela del paesaggio per assicurare la conservazione di quei valori che fondano l’identità stessa della nazione.

 Ottima notizia. Dovrebbe essere un motivo in più per portare avanti battaglie quali quella contro il consumo di suolo.

Però…

…come si concilia questo con quanto abbiamo riportato QUI?

E come si concilia con il disegno di legge 1345 in discussione al Senato (fra i firmatari anche Realacci), che secondo molte associazioni ambientaliste sembra strutturato apposta per rendere praticamente inattuabili le norme penali in termini di reati ambientali?

Si veda ad esempio l’articolo apparso su “Il Fatto Quotidiano” del 26/04/2014

REATI AMBIENTALI, LA LEGGE CHE FA SALTARE I PROCESSI. E LA GRANDE INDUSTRIA RINGRAZIA

Porto Tolle, Tirreno Power, Ilva: per magistrati ed esperti di diritto il testo in discussione al Senato sembra scritto appositamente per limitare le indagini e mettere a rischio procedimenti in corso. Il Pd si divide. Realacci parla di “eccesso di critica dei magistrati”, Casson bolla il testo come un “regalo alle lobby”

Chi inquina paga, ma solo se ha violato disposizioni amministrative, se il danno è irreversibile e la sua riparazione è “particolarmente onerosa” per lo Stato. In altre parole, chi inquina rischia di non pagare affatto. E’ all’ultimo giro di boa il testo unificato che introduce nel codice penale i delitti contro l’ambiente. Nelle intenzioni dovrebbe rendere dura la vita a chi infierisce su natura, paesaggio e salute pubblica. Ma il testo, per come è scritto, rischia invece di diventare un lasciapassare anche per le violazioni più gravi e di mettere a rischio anche le indagini e i processi penali già in corso, a partire da quelli sui disastri da inquinamento ambientale provocati dalle centrali termoelettriche di Savona e Rovigo. E anche nell’eventuale processo contro i vertici Ilva, la nuova norma, grazie al parametro dell’irreversibilità, potrebbe trasformarsi in un regalo ai Riva. A lanciare l’allarme sono magistrati ed esperti di diritto dell’ambiente che sperano ancora di sensibilizzare Palazzo Madama dove, in vista dell’approvazione, si ripropone anche lo scontro ideologico tra la destra sensibile alle ragioni dell’industria e la sinistra ambientalista, nonché un ruvido confronto tra le diverse anime di quest’ultima.

Licenziato alla Camera e ora all’esame delle commissioni Ambiente e Giustizia del Senato, il disegno di legge 1345 introduce delitti in materia ambientale, prima puniti solo con contravvenzioni, ad eccezione del traffico illecito di rifiuti (2007) e della “combustione illecita” del decreto Terra dei Fuochi (2014). Viene inoltre introdotto all’articolo 452 ter il “disastro ambientale”, punito con pene da 5 a 15 anni. Mano pesante, dunque, se non fosse che la norma è scritta con tanti e tali paletti da renderne impossibile l’applicazione, almeno ai casi davvero rilevanti. E lo dicono gli stessi magistrati che devono utilizzarlo. Il nuovo testo qualifica infatti il “disastro” come “alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema” quando quasi mai, per fortuna, il danno ambientale si rivela tale. In alternativa come un evento dannoso il cui ripristino è “particolarmente oneroso” e conseguibile solo con “provvedimenti eccezionali”. Ma il degrado ambientale potrebbe verificarsi anche se ripristinabile con mezzi ordinari. L’estensione della compromissione e del numero delle persone offese cozzano poi con la possibilità che il disastro possa consumarsi in zone poco abitate e non per forza estese.

Il disegno di legge sposta poi in avanti la soglia di punibilità configurando il disastro come reato di evento e non più di pericolo concreto, come è invece il “disastro innominato” (l’art. 434 del codice penale, comma primo), la norma finora applicata dalla giurisprudenza al disastro ambientale. Sinora era stato possibile punire chi commetteva “fatti diretti a causare un disastro”, quando vi era stato il pericolo concreto per la pubblica incolumità, anche senza che il disastro avvenisse perché non sempre il disastro è una nave che perde petrolio, un incendio o un’esplosione che producono evidenza immediata del danno. A volte, come nel caso dell’inquinamento da combustibili fossili e delle microparticelle come l’amianto, il disastro può restare “invisibile” a lungo prima che emergano i segnali della compromissione dell’ambiente e della salute della collettività. Segnali che, a volte, solo le correlazioni della scienza medica e dei periti riescono a individuare tra una certa fonte inquinante e il pericolo concreto di aumento di patologie e degrado ambientale in una certa area. Sempre che i magistrati abbiano potuto disporre le indagini penali.

Il procuratore generale di Civitavecchia Gianfranco Amendola, storico “pretore verde”, sottolinea la terza grave lacuna. “Deriva dalla evidentissima volontà del nuovo testo di collegare i nuovi delitti alle violazioni precedenti”. Il reato può essere contestato solo nelle ipotesi in cui sia prevista una “violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale, o comunque abusivamente, cagiona un disastro ambientale”. Come se fosse lecito, altrimenti, provocare enormi danni all’ambiente. “Fare addirittura dipendere la punibilità di un fatto gravissimo dall’osservanza o meno delle pessime, carenti e complicate norme regolamentari ed amministrative esistenti significa subordinare la tutela di beni costituzionalmente garantiti a precetti amministrativi spesso solo formali o a norme tecniche che, spesso, sembrano formulate apposta per essere inapplicabili”.

(…)

Il resto dell’articolo QUI.

Ecofuturo

segnalato da transiberiana9 & barbarasiberiana

ECOFUTURO, IL FESTIVAL DELL’ECOLOGIA CHE VUOL CAMBIARE IL MONDO

Dal 26 luglio al 2 agosto, la rassegna della Libera Comunità di Alcatraz a Gubbio. Dalle stampanti 3D alla riduzione dell’80% dei costi dell’illuminazione pubblica: seminari, laboratori e dibattiti all’insegna della conservazione delle risorse naturali e di un futuro migliore.

Riduzione dell’80 per cento dei costi dell’illuminazione pubblica, utilizzo sempre più diffuso delle stampanti 3D, aumento di produzione del 15% per il fotovoltaico, nuovi strumenti di lavoro ergonomici. Sono solo alcune delle proposte di Ecofuturo, festival di ecologia e ambiente organizzato dallo scrittore, attore e fumettista Jacopo Fo e che avrà luogo dal 26 luglio al 2 agosto presso la comunità della “Libera Comunità di Alcatraz” a Gubbio (Perugia).

Un festival che ha già raccolto il sostegno di decine di associazioni, aziende e ricercatori indipendenti, con la partecipazione di Wwf, Legambiente, Acqua Pubblica e Politecnico di Milano. L’evento, che avrà molti ospiti come Marco Boschini dei “Comuni Virtuosi” e Laura Puppato (Pd), sarà inoltre seguito da varie tv come Europa7, oltre a una rete di emittenti web e satellitari più piccole.

“Non è mordi e fuggi”. “Da questo evento scaturirà un’ondata di rinnovamento spinta dal basso impegnata a costruire macchine e sistemi per un futuro migliore”, si legge nella carta degli intenti di “Ecofuturo”. “Ad esempio, una parte del festival sarà dedicata alle strategie che hanno funzionato portando alcuni comuni a tagliare il 50% e più della bolletta energetica. Lo stessa logica la proporremo al mondo dell’autocostruzione e delle stampanti in 3D, agli appassionati di auto e moto elettriche (convertire è possibile!), a chi vuole creare reti di turismo sostenibile e a chi lavora nel settore delle fonti rinnovabili (presenteremo nuovi sistemi fotovoltaici!)”. Inoltre, sottolineano gli organizzatori, “non sarà un festival ‘mordi e fuggi’ e tutti i materiali prodotti resteranno on line sul portale dedicato e verranno via via sviluppati sulla nuova serie di Ecotecno.tv, rivista cartacea e digitale”.

Risparmio energetico. “Sarà un grande evento”, dichiara a Repubblica.it il patron Jacopo Fo, “per l’occasione presenteremo oggetti avveniristici che diventeranno presto una realtà importante, dalle zappe ergonomiche a nuovi sistemi per aumentare del 15% la produzione degli impianti fotovoltaici esistenti grazie a nuovi tipi di “inverter” (l’apparato per convertire la corrente continua prodotta da modulo fotovoltaico in corrente alternata da immettere direttamente nella rete elettrica, ndr) che assorbono la produzione di energia anche quando non si supera la soglia determinata per far attivare l’impianto”. “In pratica”, spiega Fo, “a differenza di quanto accade nel fotovoltaico o anche nell’eolico, non serve più una determinata quantità di vento per innescare la pala e dunque la produzione di energia. Così non verrà sprecato un solo watt di energia”.

“Costi ridotti dell’80%”. L’energia è un tema cruciale del festival Ecofuturo, alla sua prima edizione (qui il programma completo). “Sfruttando al massimo l’energia pulita possiamo risparmiare oltre l’80 per cento dei costi della bolletta energetica pubblica. E non è un’utopia”, spiega Fo. “Nel 2005 a Padova, quando c’era il sindaco Zanonato (Partito Democratico), abbiamo promosso la sostituzione di tutto il sistema di illuminazione stradale e di riscaldamento delle strutture municipali, ottenendo un risparmio di 1,5 milioni di euro all’anno, e allora non c’erano neanche le Led. Lo stesso siamo riusciti a fare in Emilia Romagna, risparmiando con il ‘Progetto Bagnacavallo’ – realizzato da Regione e da Legambiente – oltre il 10 per cento del consumo idrico, questo grazie a un kit di riduttori di flusso dell’acqua”.

Il futuro delle stampanti 3D. Ma non finisce qui. Tra i numerosissimi eventi, seminari, laboratori e dibattiti, ecco una nuova linea di forbici per la potatura, aggeggi per strappare le radici, lampadine Led migliorate, inediti sistemi di ripulitura delle spiagge, germogliatori domestici. E soprattutto le stampanti 3D, che oramai sono capaci di produrre sempre più materiali e oggetti: al centro c’è il Wasp Project, società all’avanguardia nelle stampanti in tre dimensioni. Su questo tempo “è come parlare dei cellulari nel 1988”, spiega Fo. “Nel giro di un anno si è arrivati a produrre con questi aggeggi una quantita di materiali immensa, come orecchini d’oro, resine, ceramiche, per non parlare della loro utilità (anche per il risparmio) nella prototipazione”.

Lo sfuttamento dei batteri. “L’energia pulita crea moltissimi posti di lavoro”, spiega Fo, “e già oggi in certi momenti dell’anno costituisce il 50 per cento della produzione totale in Italia”. “L’ecologia ha così tanti nuovi territori da sfruttare”, aggiunge il patron del festival Ecofuturo, “come lo sfruttamento dei batteri. Ad Alcatraz abbiamo creato un sistema che riscalda piscina e casa fino a 35 gradi centigradi sfruttando la fermentazione del legno. E poi durante il festival avremo anche un laboratorio con i prodotti migliori per l’igiene personale, spesso sconosciuti o sottovalutati ai più: bicarbonato come deodorante, uno speciale mix di aceto e limone come detersivo, oppure detergenti intimi femminili che, paradossalmente, sono i migliori shampoo in commercio. Ma in pochi lo sanno”. L’obiettivo prioritario del festival, fanno sapere gli organizzatori, è quello di stimolare le start-up dell’energia verde: “Niente maghi ma esperti”, dice Fo, “bisogna promuovere gente che ha progetti innovativi”.

Fedeli alla linea

IL PD SCEGLIE L’ANTIGAY PATRIZIA TOIA IN EUROPA – E ALLORA PERCHÉ NON RIPRENDERE LA BINETTI?

La capodelegazione democratica all’Europarlamento sarà la lombarda, nota per le sue posizioni contro le nozze gay. E, vista la scelta, il partito dovrebbe spiegare perché non riapre le porte a Paola Binetti. Grillini: “Sarebbe troppo integralista anche per la Merkel”. 

da l’Espresso (24/07/2014) – di Tommaso Cerno

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Patrizia Toia

Rottamiamo un po’ di diritti civili. E #cambiamoverso, eurodeputati del Pd, chiedendo scusa a Paola Binetti, che da domani dovrà riavere aperte le porte del partito democratico! L’elezione di Patrizia Toia – teodem, 64 anni, tre legislature a Strasburgo, autrice di lettere manifesto contro le unioni gay, di botta e risposta con le associazioni che invocano l’adeguamento della legislazione italiana a quella d’Europa – proprio alla guida della delegazione italiana del Pd in Europa si spiega solo in un modo: l’Italia si dev’essere resa conto di essere rimasta l’unico paese dell’Unione – quella europea – a non avere ancora una legge sulle Unioni – quelle civili – né sull’omofobia e, per non essere quindi tacciata di ipocrisia, per rendere evidente la sua essenza ai partner, ha scelto di farsi rappresentare da chi quelle leggi non vuole votare né adottare.

Ma allora, ci si domanda, perché non chiedere all’originale, Paola Binetti, di tornare sui suoi passi e rientrare a pieno titolo nel Pd? Perché affidarsi a una copia? Domanda che resterà, temiamo, senza risposta. Perché – dopo avere di fatto silurato la candidatura di Simona Bonafé, la più votata d’Italia, per ragioni di “screzi” con il giglio magico renziano – peggio della scelta del nome, c’è stata la litania di spiegazioni, argomentazioni, arringhe, post, tweet, forniti dai civatiani per spiegare il gesto di improvvisa unità con Matteo, nel nome dell’omofobia. A partire da Daniele Viotti, gay dichiarato, che s’è spinto in sittanta elucubrazione: «Abbiamo dato il nostro voto a una persona con cui non siamo d’accordo su praticamente nulla», scrive su Facebook. Frase che, nel Pd italiano, ripetono in molti renziani di ritorno, da qualche tempo. Aggiunge: «Patrizia Toia avrà un ruolo diverso, di coordinamento nell’organizzazione interna della nostra delegazione». Davvero? Strano, visto che quel ruolo, occupato da Nicola Zingaretti e da David Sassoli, è sempre stato invece un ruolo al alto tasso politico, come ogni ruolo di rappresentanza. A maggior ragione nel momento in cui i diritti civili sono il tema caldo dell’agenda politica d’autunno.

Eppure, a pensarci bene, hanno ragione loro. In effetti, se il sottosegretario renziano Ivan Scalfarotto, gay dichiarato pure lui, è riuscito nell’intento di stendere una legge contro l’omofobia che, emendata come è stata emendata, cambiata come è stata cambiata, manomessa come è stata manomessa, in pratica è diventata una legge che acconsente (quindi istiga) alla violenza contro gli omosessuali, c’è da chiedersi che male possa fare – in effetti – Patrizia Toia, se non rappresentare la quota rosa di omofobia necessaria per non dire, poi, che come succedeva prima, tutti i ruoli più importanti spettavano agli uomini.

A pensarci bene, l’omofobia alla guida di una delegazione ha poi un’altra valenza: affermare con i fatti che non c’è all’orizzonte alcuna svolta autoritaria. Quando si tratta di diritti, nel Pd, il pensiero non è affatto unico. C’è sempre un omofobo pronto al salto.

“Non è una buona notizia per il movimento lgbt e per i diritti civili. La nostra infatti si è sempre opposta sia in Italia che in Europa a qualsiasi provvedimento a favore delle persone lgbt inseguendo il familismo ultratradizionalista di origine Teodem”, spiega Franco Grillini, leader storico di Movimento Gay Italiani ed ex deputato Ds, che rifiutò di iscriversi al Pd per la presenza nel partito proprio di Paola Binetti, “Il gruppo Pd al Parlamento Europeo è il più numeroso dopo quello di Angela Merkel ma appartiene in teoria al Pse che dovrebbe essere laico e socialista. È davvero bizzarro che un personaggio cattolico integralista che sarebbe persino troppo a destra anche per buona parte del Ppe sia designato a capo del principale partito del socialismo europeo. Evidentemente la coerenza non sta più di casa nemmeno”. Se n’è accorta addirittura l’Arcigay, che sembrava essersi anestetizzata dopo che Francesca Pascale ha chiesto e ottenuto la tessera e, in cambio, ha spostato la rotta del centrodestra berlusconiano verso il porto dei diritti civili. Dice Flavio Romani, presidente nazionale: «Senza nulla togliere all’esperienza e alle competenze dell’onorevole Toia, balza all’occhio la nomina in un ruolo rappresentativo di un’esponente che dalla sua delegazione, durante la votazione della Relazione Estrela sul diritto delle donne all’interruzione di gravidanza, si smarcò clamorosamente, autodefinendosi minoranza», racconta il portale Gay.it. «La domanda – chiede Romani -, allora, è duplice: quanto l’onorevole Toia è davvero rappresentativa del gruppo dei democratici che oggi siede in Parlamento? E di conseguenza: le posizioni che Toia esprime sono da considerarsi da oggi “maggioritarie” all’interno della delegazione dei democratici, al punto da poter condizionare la sintesi politica su temi quali l’interruzione di gravidanza o le unioni tra persone dello stesso sesso?».

Dissento, presidente Romani, la domanda è triplice: perché non ridiamo la tessera honoris causa alla compagna Paola Binetti, così ingiustamente cacciata dal partito?

Qui la posizione dei civatiani.

La marcia dei senatori

RIFORME, TAGLIOLA SU INTERVENTI AULA. VOTO L’8 AGOSTO. OPPOSIZIONI IN CORTEO AL COLLE

I capigruppo di Palazzo Madama hanno approvato il contingentamento dei tempi per il via libera del testo entro la pausa estiva. Contestazioni in Aula. Sono oltre 7mila gli emendamenti presentati: nel primo giorno di voto ne sono stati votati solo tre. Il ministro Boschi: “Faremo referendum comunque. Ultima parola ai cittadini. No alibi”.

 da il fattoquotidiano.it (24/07/2014)

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Tagliola sugli interventi, voto entro l’8 agosto e referendum sulla riforma del Senato. Il governo va avanti per la sua strada e continua a dettare i tempi nonostante le proteste. “Ultima parola ai cittadini. No alibi”, scrive su Twitter il ministro per le riforme Maria Elena Boschi. Rilancia il messaggio anche Matteo Renzi che, al corriere.it dice: “Piaccia o non piaccia faremo le riforme”. Le opposizioni (M5S, Sel e Lega Nord) rispondono con lo scontro, formano un corteo con un centinaio di deputati e senatori e raggiungono il Quirinale per chiedere di essere ricevuti al Colle. Beppe Grillo su Twitter li sostiene: “Il governo sta uccidendo la democrazia”. Intanto in un’Aula semivuota si discute il dl competitività.

La protesta arriva dopo una mattina di tensioni in Senato. Seduta sospesa per riunione dei capigruppo, incontro delle opposizioni e poi tentativi di trattative. I lavori ricominciano nel pomeriggio tra le polemiche. Il capogruppo del Pd Luigi Zanda: “Non avremmo voluto arrivare a questo punto. Ma con 6mila emendamenti voluti da Sel non è possibile discutere. Questo è un attacco alla democrazia”. Contestazioni dai senatori 5 Stelle mentre i colleghi a Montecitorio abbandonano l’Aula: “Faremo le barricate per la democrazia”. La Lega Nord annuncia che andrà da Napolitano: “Subito dopo il voto”, dice il capogruppo Centinaio, “i senatori del Carroccio usciranno e andranno dal Presidente della Repubblica, perché il presidente del Consiglio Renzi non rappresenta più nessuno”.

Il governo spera nell’approvazione già entro l’8 agosto, ma il contingentamento dei tempi potrebbe non bastare. Secondo i calcoli serviranno 115 ore di discussione per arrivare al voto finale. La “tagliola” è uno strumento che può essere utilizzato per limitare i tempi di intervento in Aula: ad ogni gruppo viene concesso un tot di ore di parola e al termine si procede con il voto. È regolamentata in Senato con l’articolo 55 ed è utilizzabile anche nel caso di una riforma costituzionale. Diversa invece la modalità della “ghigliottina”: in quel caso viene scelto un giorno per l’approvazione del testo (solitamente un decreto) a prescindere dagli interventi. Un altro strumento, già accettato da Grasso nelle scorse ore, è quello del “canguro”: ovvero gli emendamenti simili vengono accorpati e discussi insieme.

Corteo dei partiti di minoranza al Quirinale

I deputati del M5S hanno abbandonato la Camera e si sono diretti verso il Quirinale in segno di protesta nei confronti del processo avviato dal governo sulle riforme costituzionali. “Siamo usciti dall’Aula. Con i senatori #M5S ci stiamo dirigendo verso il #Quirinale”, ha scritto su twitter Roberto Fico (M5S), presidente della commissione Vigilanza Rai. Così anche, tra gli altri, il deputato Federico D’Incà: “Stiamo andando al Quirinale per parlare con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Riportiamo la democrazia in questo Paese”. Poco dopo i capigruppo di Sel, M5S e Lega Nord sono stati ricevuti dal segretario generale Marra che ha detto riferirà delle preoccupazioni dei partiti di minoranza al Capo dello Stato. Grillo su Twitter ha sostenuto i suoi con messaggi di solidarietà.

Calderoli (Lega Nord): “Schiaffo al Parlamento. Non ce la faremo comunque”

Polemico il senatore Calderoli sulla decisione di mettere la tagliola: “Io credo”, ha detto in Aula, “che se si deve fare una cosa la si deve fare bene e con sale in zucca. Così facendo, non lo stiamo facendo. È un momento buio perché si è voluto imporre un contingentamento quando sappiamo perfettamente che le riforme le prenderemo in mano martedì mattina, e prima ci sono due decreti. Su cui verrà messa la fiducia. Perché non si è voluto aspettare lunedì per rispondere alla richiesta delle opposizioni, e si è voluto contingentare oggi? Per dare uno schiaffo al Parlamento?”, ha detto il vicepresidente di Palazzo Madama, relatore del ddl Riforme della Lega Nord. “Stiamo dando un’immagine di squallore. Mi amareggia che con questa volontà di maggioranza e opposizione, la riforma non la si farà. A fronte di 5mila votazioni, anche se ci diamo un minuto per ogni votazione, l’8 di agosto la riforma non la approviamo, per una questione matematica. Qualcuno vuol mettere due litri d’acqua in una bottiglia da un litro”.

Zanda (Pd) interviene tra le contestazioni: “Tagliola colpa dei 6mila emendamenti Sel”

“Io non volevo arrivare al contingentamento. Ma non potevamo permettere che arrivassimo a questa situazione. Noi volevamo discutere sulla costituzione. I 6mila emendamenti di Sel non lo permettono”, ha commentato il capogruppo Pd Luigi Zanda. “Non possiamo fare le riforme essendo seppelliti di emendamenti e di voti segreti. Ho fatto sei appelli per cercare una soluzione condivisa, chiedendo di ridurre le richieste di modifica e per poter discutere di Costituzione. Li hanno mantenuti fino alla fine. Io non volevo arrivare al contingentamento e non dovevamo arrivarci”. Durante l’intervento di Zanda, il presidente Pietro Grasso ha richiamato all’ordine diversi senatori e invitato il questore Laura Bottici a far calmare i suoi colleghi del Movimento 5 stelle. “Io sono qui per garantire il diritto a parlare in aula”, ha detto Grasso.

Divina (Lega Nord) strappa le pagine della Costituzione

“Questa riforma, questo calendario, questa imposizione sul contingentamento è un insulto alla Costituzione”. Lo ha detto il vicepresidente dei senatori leghisti, Sergio Divina mentre parlava il proprio capogruppo Gianmarco Centinaio che protestava per la “violazione della Costituzione” rappresentata dal contingentamento dei tempi sul ddl riforme. Divina, che era vicino a Centinaio, ha iniziato a strappare le pagine della Costituzione imprecando e urlando contro il governo e contro la maggioranza: “State violentando la Costituzione”. Il comportamento del senatore Divina è stato ripreso dal presidente del Senato Pietro Grasso, che lo ha richiamato all’ordine.

Grasso annuncia contingentamento dei tempi in Aula

Il presidente Grasso ha detto che i tempi complessivi ammonteranno a 115 ore. Di questi 8 saranno riservati per la presidenza e i relatori, 80 per le votazioni e 20 ripartiti tra i gruppo. Al Pd spetteranno 4 ore e 24 minuti, a Fi 2 ore e 50, a M5s 2 ore e 15, a Ncd 2 ore, al Gruppo Misto (a cui appartengono Sel e gli ex M5s) 1 ora e 45, a Scelta civica e a Pi 1 ora e 13. Inoltre 5 ore complessive saranno riservati a quanti parlano in dissenso dal proprio gruppo, anche in questo caso ripartiti in base alla consistenza dei gruppi: 1 ora al Pd, 40 minuti a Fi, 34 minuti a M5s, 30 minuti a Ncd, 26 al Gruppo Misto.

 Vendola: “Riforme non possono essere ridotte a una puntata di Masterchef”

Critico anche Nichi Vendola, che solo nelle scorse ore, dopo l’incontro con Napolitano, aveva aperto a qualche mediazione: “Parlare di tagliola sulle riforme costituzionali è inimmaginabile. Spero che si tratti di uno scherzo, spero che non provino neanche a pensarla una cosa del genere, perché veramente questo ha una puzza insopportabile”. E poi aggiunge: “Noi abbiamo il diritto di interloquire quando si tratta di riforme costituzionali, che non possono essere ridotte al rango di una puntata di Masterchef dove ci sono alcuni secondi per cucinare la ricetta del cambiamento. La Costituzione è la legge fondamentale che tiene in piedi una società e quindi, abbia pazienza il ministro Boschi, impari un po’ il rispetto nei confronti delle istituzioni e del Paese”.

 Ultimatum Pd: “O contingentamento dei tempi oppure ritiro emendamenti”

In mattinata la richiesta di contingentamento dei tempi è stata avanzata da Luigi Zanda, mentre in contemporanea Maria Elena Boschi ha parlato della necessità di un cambio di passo dell’opposizione: “Ci vuole un ritiro sostanzioso degli emendamenti. Così non si può discutere, è un ricatto”. Fuori dalla stanza hanno presidiato l’incontro circa 20 senatori del Movimento 5 Stelle: “Non potranno zittire le voci di dissenso. Siamo qui per fare pressione”. L’ultimatum lo ha dato Maurizio Sacconi di Ncd: “O vengono ridotti entro il nove agosto o viene utilizzato l’articolo 55 del regolamento che regola i tempi di discussione. In ogni caso la maggioranza è determinata a ottenere il voto sul ddl prima della pausa estiva”. La riunione dei capigruppo è stata così sospesa per un’ora per permettere ai partiti di minoranza di incontrarsi (Sel, Lega, M5S e anche qualche dissidente di Pd e Forza Italia tra cui Minzolini) e valutare come comportarsi con una strategia comune. “Andremo in conferenza”, dice Loredana Depretis di Sel, “con delle proposte comuni che abbiamo scritto in un foglio. Il governo ci dicesse per iscritto cosa ne pensa. I punti sono: elezione diretta, equilibrio con la Camera e referendum. Su questi punti siamo tutti d’accordo”. La linea comune sarebbe quella di verificare se l’esecutivo ‘apre’ a emendamenti qualificanti oppure se insiste con una tempistica giudicata a tappe forzate. In quel caso, si dicono pronti ad “una guerra” senza esclusione di colpi.

Ieri, nella prima giornata di votazione delle modifiche, sono state discusse (e bocciate) solo tre modifiche e il Partito democratico si è duramente scontrato con la seconda carica dello Stato che non ha escluso il voto segreto su alcuni punti. Intanto il ministro Boschi esclude un rinvio a settembre del disegno di legge. “Il governo è sempre disponibile a migliorare il testo, ma non a stravolgerlo. Andiamo avanti. Non è serio fare ostruzionismo in questo modo, ne va della dignità anche di questa istituzione”. E poi aggiunge: “Non abbiamo mai detto che il ddl era intoccabile, ma il testo della commissione è equilibrato”.

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Veleggiata per i diritti umani

segnalato da barbarasiberiana

Gli attivisti e le attiviste del Campo Amnesty a Lampedusa saranno a Cala Pisana per la mobilitazione in favore dei diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo.

L’iniziativa prevede una veleggiata con i ragazzi della scuola nautica della Lega Navale Italiana Sezione di Lampedusa e Linosa allo scopo di sensibilizzare i cittadini e i leader europei sul ruolo dell’Europa in materia di libertà, sicurezza e giustizia nell’ambito dell’immigrazione e della richiesta d’asilo.

“L’Europa ha perso qualcosa di profondamente prezioso: la sua capacità di dimostrare umanità. Mentre interi gruppi familiari provenienti dalla Siria e molti altri rifugiati originari da paesi come Eritrea e Somalia annegano perché non hanno alternative, il silenzio dell’Europa è assordante. La mancanza d’azione dei leader dell’Ue è una vergogna per l’Europa intera. Oggi abbiamo più rifugiati di qualunque altro periodo successivo alla Seconda guerra mondiale ma la risposta europea è quella di girare le spalle a questa crisi.” (Carmen Dupont-Amnesty International)

Gli stati europei devono offrire ai rifugiati canali sicuri e legali di accesso alla protezione.

Con la campagna SOS Europe Amnesty International chiede la rottura di questo silenzio.

Firma la petizione: http://appelli.amnesty.it/sos-europ…

Evento facebook: https://www.facebook.com/events/1445849919019627/

Pagina dedicata all’evento: http://www.amnesty.it/Lampedusa-25-luglio-prima-veleggiata-per-i-diritti-umani

Leggi il blog dei campi: http://campi.amnesty.it/2014/