Month: settembre 2015

Cari missionari da tastiera…

Segnalato da Barbara G.

Cari “missionari da tastiera”… Questa è la mia risposta ai commentatori omofobi

Ilmaritodellosposo – huffingtonpost.it, 22/09/2015

Questo dovrebbe essere circa il trentesimo post che scrivo qui sull’Huffington, o meglio per la sezione Gay Voices. In questo spazio che ci hanno concesso, mi sono sempre sentito libero di esprimermi, parlando essenzialmente delle esperienze che una coppia omosessuale, come me e Edu deve affrontare: Coming out, civil partership, adozioni, omogenitorialità, umiliazioni… e poi l’amore, con dinamiche così simili a tante altre storie d’amore sia etero che omo.

In questi mesi, moltissime persone mi hanno scritto in privato per parlarmi un po’ di loro, dei loro disagi e dei loro sogni, trovando in me una persona pronta ad ascoltare e rispondere sempre in maniera leale e diretta. Di fatto scrivere questo blog mi sta rendendo una persona migliore ed è per questo che ringrazio chi concretamente mi ha dato la possibilità di esprimermi, ma sopratutto chi mi legge. Non ringrazio ovviamente tutti quei commentatori che ci insultano e cercano di delegittimare me, Edu, la nostra storia d’amore e tutti quegli omosessuali che – proprio come noi – pretendono diritti e dignità. K.Popper disse una frase che racchiude il vero significato di comunità: “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti”.

Ma cosa spinge questi individui a inveire, snobbare e deridere ogni post che leggono a tematica omosessuale? Ogni foto che vedono di due uomini o di due donne che si scambiano tenerezze e affetto? La risposta affonda radici nella comunicazione web, ed è per questo che ho chiesto delucidazioni al mio amico Federico Simonetti, che si occupa appunto di comunicazione e marketing online e lavora per associazioni culturali, aziende e partiti politici.

Ti posso dire che questo atteggiamento di rabbia e sdegno è fine a se stesso e non è relativo soltanto all’essere bigotti o omofobi. Sono atteggiamenti che per quanto ne so, hanno accompagnato Internet dalle sue origini.

Quando ero un ragazzino e frequentavo i siti web della sinistra antagonista (Indymedia su tutti) già esistevano gli estremisti da tastiera che, anziché essere dei veri e propri ”compagni”, si limitavano a commentare ossessivamente cose ingiuriose, ipotesi di complotto, lunghe invettive molto confuse contro un generico nemico totale. Moralmente, sono gli stessi soggetti che commentano oggi sul tuo blog e che con l’avvento di Fb, si sono evoluti e coordinati in qualcosa di più dannoso e capillare.

Il gioco è facile, molti di loro, si barricano dietro account palesemente fake o blindati, frequentano gruppi Facebook dichiaratamente omofobi o ultracattolici, circondandosi di persone che la pensano come loro, rafforzando e confermando l’idea che siano loro la maggioranza assoluta.

La cosa che dovrebbe farti sorridere, è che in realtà hanno disperatamente bisogno di tutto questo. È anche grazie a post come i tuoi che loro esistono e hanno una identità sociale. I missionari da tastiera (e anche molti rivoluzionari da tastiera, ahimè) non si battono per comprendere il mondo o per avere un mondo a loro immagine. Si battono solo ed esclusivamente animati dalla pulsione di morte, la loro ragione di lotta è l’immobilità, loro sono le zavorre della società civile, che a peso morto animano conflitti sociali, affinché tutto resti conflittualmente immobile.

Se tutte le pagine Fb e i blog a tematiche omosessuali cessassero di esistere, loro inizierebbero una spasmodica ricerca per rimpiazzarvi con qualcun’altro da odiare, un luogo virtuale, dove poter esprimere altre teorie cospirative da avvalorare con ragionamenti sempre più contorti e dogmatici…insomma, qualcos’altro contro cui scagliare i propri commenti.

Di fatto, non c’è un vero e proprio pensiero organico dietro il loro atteggiamento. Più che altro è un insieme di paure, frustrazioni e rabbia… una sorta di ”mischione” dove c’è dentro tutto: omosessualità, pedofilia, nudismo, gli immigrati, il contrabbando di organi, gender,Topolino e Darth Vader.

Il tutto condito dal solito corteo di idee confuse e distorte riguardo la religione, lo Stato e sopratutto i bambini. Nel web, questa patologia, la definiamo ironicamente ”il complesso di Maude Flanders” il personaggio dei Simpson che ripete ossessivamente “I bambini! Chi penserà ai bambini!”. La verità, è che i tuoi post, gli servono non solo per passare il tempo, ma sopratutto per soddisfare il loro delirio narcisistico.

Quindi, cari missionari da tastiera, ringraziatemi e soprattutto ringraziate le tantissime realtà forti e radicate come ad esempio Gay voices, che vi danno la possibilità di restare e confermare quello che (purtroppo) siete. Quindi, appurato che non cambierete mai, ci risentiamo al prossimo post.

Sempre parlando di missionari da tastiera…

Scientology contro internet

Come la chiesa fondata da L. Ron Hubbard è ricorsa al web per rispondere alle accuse del documentario Hbo Going Clear.

(…)

Oggi Going Clear ha una valutazione superiore all’8/10 su Imdb, e le sue rivelazioni su presunti abusi, violenze e pressioni psicologiche ai danni dei membri di Scientology continuano ad attirare molti curiosi. L’organizzazione di Hubbard ha risposto creando ex novo una sezione del sito di Freedom, il magazine che la chiesa pubblica ininterrottamente dal 1968, esplicitamente dedicata al documentario. Ancora più dei toni marcatamente aggressivi usati da Scientology nel rispondere a Gibney e Wright, a saltare agli occhi è il numero di contenuti presenti sulla pagina web: c’è una sequela infinita di video che prendono di mira singolarmente le fonti considerate dal film (dove il regista stesso diventa «Doctor of Propaganda» e Mike Rinder, ex portavoce di Scientology che da anni è fuoriuscito dall’organizzazione, «The Wife Beater», un violento che picchia la moglie), coprendole di discredito sul piano personale; e, sotto la scritta a caratteri cubitali «Read the truth»,  c’è la dozzina di lettere che la chiesa dice di aver mandato a Hbo per chiedere lumi sulle accuse contenute nella pellicola.

Per Scientology occuparsi delle voci negative sul proprio conto non è una novità: l’Office of Special Affairs è un comparto della chiesa istituito negli anni Sessanta che cura le sue relazioni pubbliche, secondo alcuni critici anche trattando il problema delle voci dissidenti. Tory Christman, oggi un’attivista anti-Scientology, sul finire degli anni Novanta ne faceva parte, e ha raccontato al magazine The Kernel come l’avvento di Internet sia stata la vera spina nel fianco del sistema creato da Hubbard: se fino a quel momento le informazioni potevano essere tenute segrete e le gerarchie interne non essere intaccate dalle critiche, la comparsa di un mezzo che faceva dell’apertura e della disintermediazione i suoi punti di forza, per Scientology non poteva che essere una minaccia. Un newsgroup su Usenet dedicato all’organizzazione, alt.religion.scientology, sul finire del 1994 divenne oggetto di interesse da parte degli avvocati della chiesa per la pubblicazione del famigerato mito fondativo di Xenu, la cosmogonia di Hubbard che gli adepti della religione teoricamente sono in grado di scoprire soltanto dopo anni di fedeltà a Scientology (in seguito Xenu è finito addirittura in una puntata di South Park, però).

Oltre al sito Internet, Scientology ha deciso di replicare a Going Clearanche sul terreno dei social network. Su Twitter è comparso l’account@FreedomEthics, la cui attività è limitata al postare assiduamente link ai vari video discreditanti ospitati da Freedom. Su Facebook, dove la pagina ufficiale della chiesa conta oltre 330 mila “mi piace”, si segnala invece Alex Gibney Propagandist, utilizzata con lo stesso fine. Esiste poi un vasto sottobosco di siti web e account votati a sminuire i critici più in prima linea (@WhoIsMikeRinder, su Twitter, e whoispaulhaggis.com sono soltanto due esempi), e tutti sono sintonizzati sugli stessi video di difesa dalla «propaganda» di Gibney, dipinto alternativamente come falsario o come bigotto. Spesso, pare, questi account postano addirittura alla stessa ora.

A febbraio, dopo la presentazione del film, la portavoce di Scientology Karin Pouw ha scritto ai critici cinematografici dei media di mezzo mondo per lamentarsi della pubblicazione di ciò che il suo comunicato stabiliva essere «menzogne sfacciate». Scientology e il suo leader erede di Hubbard, David Miscavige, sono però abituati ad affrontare pochi nemici per volta, una situazione ideale per la strategia votata all’attacco propugnata dal fondatore della setta. Ma un conto è doversi occupare di un pugno di voci discordi, del tutto un altro far cambiare idea a milioni di persone che hanno libero accesso a ogni tipo di informazione reperibile. Come chiosato da un commentatore su una pagina delle fonti consultate per scrivere questo articolo, forse anch’egli conquistato dalla «propaganda» di Wright e Gibney, «Scientology non può denunciare Internet».

#Milano3ottobre

segnalato da Barbara G.

Milano, 3/10/2015, Piazza del Cannone ore 14.00

Appello per una manifestazione nazionale a favore della laicità delle istituzioni e della libertà delle cittadine e dei cittadini italiani.

L’Italia è un paese con un grave difetto di laicità, in cui la nostra libertà di essere, di amare e di decidere, è spesso negata e delegata ad altri.

A settant’anni dalla fine della guerra la Repubblica non ha ancora reso pienamente operanti i principi della Costituzione che proclama l’uguaglianza dei cittadini indipendentemente da ogni loro condizione personale e sociale, e la piena libertà di religione, garantendo finalmente a tutti parità di trattamento e riconoscendo i diritti dei non credenti.

Le spinte integraliste e xenofobe creano un clima nazionale ostile a qualsiasi nuova conquista di civiltà e ci condannano all’arretratezza legislativa sui maggiori temi dello sviluppo civile della contemporaneità.

Le battaglie per i diritti civili, per le libertà di coscienza e di scelta, per i diritti della persona umana, sono il cuore del progresso di un popolo civile e democratico.

La Repubblica, il Paese in cui lavoriamo, paghiamo le tasse e che amiamo, ha l’inderogabile compito, sancito dall’articolo 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ogni tipo che limitino di fatto la libertà e l’uguaglianza di ognuno, impedendone il pieno sviluppo come persona umana. Ma con ciò impedendo anche la piena realizzazione e il personale, irrinunciabile diritto alla ricerca della felicità.

Allargando questo concetto alla dimensione europea, ancor di più ci accorgiamo di quanto noi italiani siamo meno liberi, meno uguali, meno laici e meno felici dei nostri concittadini d’oltralpe.

E’ inconcepibile che le uniche spinte al progresso sociale italiano derivino da sentenze delle più alte Corti di Giustizia, e da reprimende delle istituzioni europee.

Chiediamo con forza e determinazione alla politica e alle istituzioni laiche e repubblicane d’Italia, che si mettano al lavoro da subito per rimuovere una lunga serie di insopportabili ostacoli alla nostra libertà.

Chiediamo:

  • una legge per il matrimonio egualitario;
  • una legge sulla fecondazione assistita;
  • che si legiferi in materia di autodeterminazione del genere ai fini della rettificazione anagrafica;
  • che venga applicata correttamente la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, regolamentando e controllando con efficacia il fenomeno dell’obiezione di coscienza dei medici;
  • che a ciascuno sia riconosciuta la libertà di scegliere in che modo lasciare questa vita;
  • che si approvi presto una efficace legge contro l’omotransfobia;
  • che “senza oneri per lo Stato” diventi una pratica nella gestione dei fondi per la scuola, e non vuote parole scritte nella Costituzione.

Noi siamo cittadine e cittadini italiani, nel pieno dei nostri diritti, ed esigiamo che le nostre vite, le nostre libere scelte, siano rispettate e riconosciute dallo Stato e dalla politica, e non siamo più disposti a tollerare che i nostri diritti vengano negati sulla base di supposti principi dottrinali che vorrebbero imporre a tutti la stessa morale e lo stesso modello di vita.

Per tutto questo, perché laicità significa tolleranza civile, autonomia del temporale dallo spirituale, rispetto dell’altro, pluralismo, difesa delle scelte morali del singolo, vi chiediamo di partecipare sabato 3 ottobre alla nostra manifestazione: una giornata che potete contribuire a rendere storica.

Evento facebook QUI

Come contribuire alle spese di organizzazione dell’evento

I fondi sono necessari per fare fronte alle spese di allestimento del palco, impianto audio e tutto ciò che è connesso all’organizzazione dell’evento.

Il dettaglio dei costi che dovremo sostenere sarà pubblicato online.

Sostienici anche tu con una donazione!

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oppure con bonifico:

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Causale: “Manifestazione Milano3ottobre”

Vittoria senza plebiscito

Elezioni Catalogna, Ciudadanos migliore alternativa al separatismo. Batosta per Podemos e fallimento per Rajoy

Gli indipendentisti conquistano la maggioranza dei seggi, ma non dei voti. Mas potrebbe tornare alla guida della regione, ma con una grande incognita: Baños, a capo del movimento di estrema sinistra della Cup ha già detto che non voterà per lui.

di Silvia Ragusa – ilfattoquotidiano.it, 28 settembre 2015

Status quo. L’indipendentismo vince – un milione novecentomila cittadini catalani hanno scelto le forze separatiste – ma il plebiscito perde: il 53% dei votanti ha preferito dei candidati che vogliono continuare a far parte della Spagna, contro un 47% che aspira a vivere in uno Stato indipendente. Uno scarto di circa 150mila voti con un record storico di affluenza che si attesta al 77,46%. La società catalana oggi perciò si risveglia più divisa di ieri.

Tra gli scenari profilati, le elezioni di domenica hanno disegnato un quadro perfino più complicato: gli indipendentisti, rappresentati dalla lista Junt pel sí (62 scranni raggiunti) e dallaCup (10) ottengono la maggioranza dei seggi (72). Artur Mas potrebbe tornare alla guida della regione, ma con una grande incognita: Antonio Baños, a capo del movimento di estrema sinistra della Cup ha già detto chiaro e tondo che non voterà a favore di Mas. E il leader degli indipendentisti, senza il voto del movimento anticapitalista, non otterrebbe la maggioranza assoluta. Nemmeno se la Cup si astenesse dal voto per la formazione del governo, Junts pel sí avrebbe i numeri per governare: “Se non serve nemmeno questo, direi che il problema è suo” taglia corto Baños a scrutinio inoltrato, parlando proprio di Artur Mas. Le chiavi del Parlamento catalano e dell’indipendentismo stanno insomma tutte in mano alla Cup. Nonostante sia la quinta forza politica, la sua crescita è stata esponenziale: da 3 a 10 scranni, con un 8,2% di preferenze. Junts pel sí ha bisogno di almeno 6 dei suoi deputati per ottenere la vittoria indipendentista.

Le nottata elettorale non ha lesinato altre sorprese: Ciudadanos (Ciutadans per i catalani) la formazione di Albert Rivera, è diventata la principale alternativa al separatismo grazie ai suoi 720mila voti e 25 seggi conquistati. Il partito, che del pensiero di un centrodestra moderato, condito da forte europeismo e liberalismo sociale si fa forza, ottiene 14 seggi in più rispetto al 2012 al grido unisono di “Viva Spagna”, togliendo di fatto quel patriottismo nazionale dalle mani del partito popolare. “Con il risultato di oggi Mas può solo fare una cosa: dimettersi e andare a casa”, ha detto l’unica candidata donna nel panorama catalano Inés Arrimadas.

I numeri del Pp d’altronde sono un fallimento senza precedenti: il partito del premier spagnolo Mariano Rajoy conquista 11 seggi, otto in meno rispetto a 3 anni fa, portando il partito alle cifre da anni Novanta. Secondo gli analisti l’immobilismo e le dure prese di posizioni del governo, durante la campagna elettorale catalana, hanno bruciato voti su voti e consegnato quella parte di preferenze al movimento di Albert Rivera. Reggono i socialisti, che retrocedono di 4 scranni e perdono 15mila voti, ma restano il terzo partito nella composizione del Parlamento catalano, con 12,7% di suffragi. Brutta batosta invece per Podemos. La lista di Catalunya si que es Pot ottiene appena l’8% de voti e 11 seggi. “Questo risultato è stata la conseguenza di uno scenario estremamente polarizzato tra il sì e il no”, ha detto il candidato in Catalogna Lluís Rabell. “Abbiamo la responsabilità dello Stato ma non ha funzionato. In questa campagna ha funzionato tutto il contrario” ha aggiunto Pablo Iglesias.

I risultati insomma lasciano varie porte aperte e molta incertezza.Artur Mas non ha ottenuto quel mandato chiaro cui aspirava, ma per il governo di Madrid non è certo più possibile ignorare o svilire l’indipendentismo che vince seggi e si avvicina al 50% delle preferenze. La Catalogna diventa il cuore della campagna alle prossime elezioni politiche di dicembre. E c’è già chi cavalca l’onda lunga delle esteladas che sventolano a Barcellona. Il partito nazionalista basco ha avvertito che la “Spagna ha un problema in Catalogna e nei Paesi baschi” e ha chiesto un referendum “legale e concordato” sul futuro della “nazione basca”. La dichiarazione arriva proprio durante l’”Alderdi Eguna”, la festa del partito nazionale che si è celebrata domenica, proprio in concomitanza con le elezioni catalane. Né Rajoy né il Partito popolare hanno tempo per soffermarsi sulla nuova sfida lanciata dal Nord del Paese. Tra meno di 90 giorni il futuro politico del governo è in gioco e un cambio al vertice potrebbe rimescolare le carte, anche nelle decisioni future dei catalani.

Leggi anche:

http://ilmanifesto.info/catalunya-junts-per-si-vince-ma-non-basta-10-seggi-per-la-cup-estrema-sinistra/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/28/elezioni-catalogna-la-sconfitta-del-vincitore-artur-mas-il-suo-futuro-nelle-mani-del-movimento-anticapitalista/2073602/

http://ilmanifesto.info/catalogna-e-indipendenza-tutti-i-se-e-i-ma-del-voto/

Eppure

segnalato da n.c.60

*

EPPURE

Per gli incolori

che non hanno canto

neppure il grido,

per chi solo transita

senza nemmeno raccontare il suo respiro,

per i dispersi nelle tane, nei meandri

dove non c’è segno, né nido,

per gli oscurati dal sole altrui,

per la polvere

di cui non si può dire la storia,

per i non nati mai

perché non furono riconosciuti,

per le parole perdute nell’ansia

per gli inni che nessuno canta

essendo solo desiderio spento,

per le grandi solitudini che si affollano

i sentieri persi

gli occhi chiusi

i reclusi nelle carceri d’ombra

per gli innominati,

i semplici deserti:

fiume senza bandiere senza sponde

eppure eterno fiume dell’esistere.

Pietro Ingrao

* da left.it, 27 settembre 2015

 

 

Trucchi Crucchi

Volkswagen, la caduta del mito tedesco che fa scendere Angela Merkel dall’Olimpo

Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente. L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli. La reputazione è un valore aggiunto. Se cade, è un macigno che rischia di far traballare un Paese intero. Tanto più che il caso Vw è solo il più clamoroso di una lunga serie.

di Leonardo Coen – ilfattoquotidiano.it, 25 settembre 2015

Ah, la sublime arte della manipolazione alemanna! Chissà se Der Spiegel sbatterà in copertina un bel piatto di wurstel e crauti mettendo al posto della senape un gustoso modellino di Volkswagen, o se userà il cliché del Barone di Münchausen, il re dei contaballe, mostrandolo a cavalcioni di una Volkswagen, invece della celebre palla di cannone, mentre viene sparato nientepodimeno che sulla Luna. Lo dovrebbe. Almeno per coerenza. Nel luglio del 1997 il settimanale di Amburgo volle dire la sua sull’Italia con la choccante foto del piatto di spaghetti condito da una pistola. Poi toccò alla Spagna, sull’orlo dell’abisso. E la Grecia, povera derelitta. Per anni, gli austeri maestrini tedeschi ci hanno bacchettato a noi europei del Sud spendaccioni e furbastri. Cicale e Maggiolini. Loro onesti, noi furbi. Loro economicamente corretti. Noi sempre al di sopra dei nostri mezzi. Austeritaten über alles! La severità ed intransigenza luterana contro l’ipocrisia cattolica, prima pecchi e poi tanto c’è il perdono, basta una piccola penitenza…

Beh, qualche affinità con le madornali e mirabolanti avventure raccontate dal Barone di Münchausen la Volkswagen che impersonava la granitica certezza del German engineering – mito dell’indiscutibile primato ingegneristico tedesco molto in voga nel pianeta anglosassone – ce l’ha, eccome ce l’ha. Per esempio, ha basato per decenni gran parte delle sue campagne promozionali sulla fiducia e la verità, instaurando una sorta di complicità col consumatore, un legame che coinvolgeva cuore e testa. La Volkswagen “parla chiaro”. Sottinteso: gli altri no. Ci sono spot che oggi stanno spopolando sul web tanto sono ridicoli, rivisti col senno di poi. In uno la protagonista è una distinta e anziana signora che cerca di vendere la sua auto a un giovane, prudentemente accompagnato dal padre per evitare – ovviamente, non si sa mai – qualche brutta sorpresa. I due alla fine la comprano, dopo un intenso scambio di occhiate tipo per un dollaro d’onore con l’anziana donna: “Potete dubitare delle vecchie signore. Ma potete fidarvi di tutte le Golf”. Specie quelle a diesel: non ammorbano l’atmosfera perché noi della Volkswagen siamo i migliori. BlueMotion Polo. Nobody’s perfect, altro slogan per convincere che tuttavia, i prodotti Volkswagen puntano alla perfezione. E alla possibilità che tu ne possa fruire. Senza fatica. Think small. Pensa piccolo per avere grande. La Grande Germania: per la quale l’auto rappresenta il 20 per cento dell’export tedesco e il 14 per cento del Pil. Rappresenta o rappresentava?

Mai come in queste ultime ore Angela Merkel viene descritta così tanto a disagio, angustiata, preoccupata. Al vertice di Bruxelles per l’emergenza rifugiati è apparsa stanca, poco incisiva. Non ha nemmeno replicato alle solite invettive di Viktor Orban che ha detto: “Quello della Merkel è imperialismo morale”. Gli stessi suoi compatrioti cominciano ad essere delusi da lei, un sondaggio del 23 settembre le dava infatti il 49 per cento di popolarità. Il minimo, dall’inizio dell’anno. Lo scandalo – “crepuscolo di un’icona”, titola Le Monde – rimette in causa il modello di cogestione alla tedesca di cui la Vw era l’emblema. La descrivono pallida, non più sicura e determinata come prima. Per forza. Proprio all’apice della sua canonizzazione politica ed etica – pensate alla vicenda migranti, agli estenuanti bracci di ferro con Putin – nel giorno stesso in cui avrebbe dovuto festeggiare il decennale della sua vittoria elettorale (il 18 settembre 2005) che le avrebbe fatto conquistare la carica di Cancelliere del Paese più importante d’Europa, le è arrivata dagli Stati Uniti una bordata che dire devastante è minimizzare. Perché la Volkswagen è più di un grande gruppo industriale, “Volkswagen è la Germania”, ha detto Gitta Connemann, influente deputata Cdu. Lo ha del resto sottolineato Spiegel online: “Non sono i miliardi di multa che minacciano la Volkswagen, bensì il danno d’immagine (…) La giustizia americana segue una linea molto dura per combattere la criminalità economica”. Il vulnus è di proporzioni inaudite (come le avventure del Barone di Münchausen…) che non soltanto colpisce l’azienda di Wolfsburg ma la Germania intera e la sua credibilità planetaria. Piglia di mira la sua spocchia da prima della classe. Da imbrogliona come coloro che disprezzava. Altro che ruolo di “grande accusatore”, come ricorda Angelo Bolaffi. Adesso la Germania della Vw magliara si ritrova sullo stesso banco degli accusati “nello stesso giorno in cui Tsipras ‘il grande accusato’ (e con lui la Grecia) sembra forse esserne uscito. Insieme allo sconcerto per la rivelazione quasi epifanica della Grande Truffa, si cela la gioia maligna di chi ha subito gli strali dei supponenti leader germanici…

Persino la cancelliera è indirettamente coinvolta, come ha accusato il quotidiano Frankurter Rundschau, uno dei pochi giornali tedeschi a non avere circoscritto lo scandalo al mondo dell’industria automobilistica: “Angela Merkel da anni si posiziona come la lobbista in capo dei costruttori tedeschi d’auto. Il suo ministro dei Trasporti brilla per la febbrile attività di questi giorni e ciò avviene da anni, il suo ministero deve sapere che i costruttori imbrogliano sistematicamente sulle informazioni tecniche delle loro auto rispetto ai consumi e alle emissioni. Idem per il ministro-presidente della Bassa Sassonia dove si trova la sede della Vw. Il Land è il secondo azionista del gruppo. Nulla si fa alla Vw senza il suo consenso”. Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente. L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli. La reputazione è un valore aggiunto. Se cade, è un macigno che rischia di far traballare un Paese intero. Dirty secrets of the car industry, titola l’ultimo The Economist. E per i tedeschi e gli americani la menzogna è un’aggravante particolarmente condannabile.

Adesso che il vaso di Pandora è scoperchiato e che le connivenze mediatiche – la pubblicità delle quattroruote è fondamentale per giornali e tv – sono state smascherate (da anni c’era chi inutilmente denunciava le sopercherie ma veniva ignorato: penso al rapporto“Mind the Gup! Why official car fuel economy figures don’t match up to reality” del 2013 di Transport&Environment, l’organizzazione europea che si occupa di sostenibilità ambientale dei trasporti), abbiamo l’effetto Domino. Vi siete dimenticati del caso Germanwings (gruppo Lufthansa)? Il 24 marzo scorso un suo Airbus A320 precipitò in Francia, causando la morte di 150 persone. Per un raptus di follia suicida del copilota Andreas Lubitz. Allora furono messi sotto accusa i test della compagnia. Vogliamo parlare del Berlin Brandenburg Flughafen? Dovevano aprirlo nel 2012. I tecnici scoprirono che i sistemi antincendio erano insufficienti. Dopo, fu la volta dei banchi del check-in ad essere insufficienti. Indi toccò al tetto della sala principale: non in grado di sopportare il peso e le sollecitazioni dei condizionatori. Comunque, avevano promesso di inaugurarlo a metà del 2016. Promessa rimangiata. Sarà aperto nel 2017: forse. Intanto i costi sono lievitati, passando da 3 a 6 miliardi di Euro. Tra sospetti di corruzione e pessima progettazione: “un aeroporto con 150mila difetti”, hanno scritto i giornali tedeschi. Se lo dicono loro…

Già, corruzione. Se i Greci erano corrotti, come sbraitavano in Germania, c’era chi doveva corromperli. I tedeschi. Siemens, Daimler, Rheinmetall – fu Business Insider Uk a fare una rassegna circostanziata dei maggiori casi di corruzione – sono oggetto di inchieste giudiziarie. Secondo i giudici greci, la Siemens ha dispensato mazzette per 70 milioni di euro. Il fascicolo che la riguarda conta 2.300 pagine, l’indagine è durata nove anni. La statunitense CorpWatch – gli americani sono spettatori assai interessati alle vicende tedesche – definì il caso Siemens “il più grande scandalo aziendale della storia greca dal dopoguerra”. In questo, i tedeschi confermano la loro tendenza al gigantismo. Vw ha un gito d’affari annuo di oltre 200 miliardi di euro, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo (ci vuole genio per realizzare il software fregone). Eurointelligence aggiunge che la Vw ha un rapporto consolidato con la politica tedesca. Facile paragonare la sua vicenda con la crisi dei subprime del 2007-2008 e il crack Lehman Brothers. Allora la Casa Bianca decise che la banca andava salvata perché “troppo grande per fallire” (too big to fail). Analogo destino attenderà la Vw. È la sindrome del cigno nero. Con qualche postilla, tanto per capire i veleni del contesto. Intanto, chi acquistava le presunte virtuose vetture diesel taroccate godeva dei bonus statali e europei. Essendo frutto di truffa, dovrebbero essere rimborsati. Andateglielo a dire agli acquirenti … Dulcis in fundo, non è che gli americani si sono vendicati dopo che erano stati beccati loro con le mani nella marmellata, per le intercettazioni telefoniche abusive della NSA (National Security Agency) fatte ai danni di Angela Merkel e di altri 55 politici tedeschi, come rivelò il sito di Julian Assange? In una telefonata la Merkel criticava il piano del Segretario del Tesoro Usa che aveva posto l’eventualità di sollevare le banche dalla responsabilità per i titoli tossici. In un’altra sosteneva che la Cina avrebbe dovuto avere maggiore influenza nel Fondo Monetario Internazionale. È guerra. Senza esclusione di colpi. Muoia Sansonen con tutti i Filistei. Speriamo che noi della Grande Bellezza Mediterranea ce la caviamo.

Leggi anche

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AYOTZINAPA

segnalato da crvenazvezda76

Ayotzinapa. Cronaca di un delitto di Stato

Partendo dalla sparizione dei 43 normalisti nello stato del Guerrero, il cineasta Xavier Robles presenta Ayotzinapa. Cronaca di un delitto di Stato, documentario che contestualizza i fatti accaduti lo scorso settembre nell’ambito dell’“economia criminale” che si sviluppa in Messico. Presentato come una “dichiarazione di principi” a favore di Ayotzinapa, il film asserisce che la sparizione è stato un “delitto di Stato”, e la collega al clima di impunità che prevale in tutto il paese.

Quella del Messico è una “politica criminale e di genocidio, che porta a molte migliaia di desaparecidos e di morti”, non soltanto durante il governo di Enrique Peña Nieto, bensì anche dei suoi predecessori, afferma il direttore. Il documentario prende le mosse dai fatti avvenuti lo scorso 26 settembre nella località di Iguala, dove 43 alunni della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa sono stati fatti sparire, teoricamente ad opera di criminali con la complicità delle autorità locali.

L’équipe del film si è recata durante i primi giorni di novembre dell’anno scorso a Ayotzinapa ed è stata a contatto con i sopravvissuti dei fatti violenti avvenuti quel giorno e con i parenti degli studenti. Le loro testimonianze si aggiungono a quelle di personaggi come Luis Hernández Navarro (direttore della sezione degli articoli di fondo del quotidiano “La Jornada”), José Reveles (giornalista e analista politico) e Jorge Gálvez (direttore del Museo Casa della Memoria Indomita), tra altri. Robles, autore di copioni cinematografici di film come Rojo Amanecer e Bajo la metralla, asserisce che il documentario dimostra “ciò che significa” Ayotzinapa in maniera “integrale”, e lo mette in rapporto con la realtà messicana.

“C’è un patto di impunità tra tutti i partiti politici messicani, che coinvolge grandi settori di riciclaggio di denaro sporco del narcotraffico e dell’economia criminale”, afferma il regista. Anche se il film riflette soltanto gli sviluppi del caso fino a gennaio 2015, si incarica di lanciare alcune previsioni su come si svilupperanno i fatti. Le istituzioni “hanno dimostrato un indurimento a fianco di Peña Nieto” e “non possiamo aspettarci altro” se non una progressione in questo senso, mentre l’Esecutivo manterrà “la pretesa che il caso venga dimenticato”, dichiara Robles.

Quando è uscito il documentario, erano già passati otto mesi dai fatti, ma il “movimento continua”, così come “la lotta popolare” affinché appaiano; perciò “niente è più opportuno” che far vedere il documentario adesso, sia a livello nazionale che internazionale, sostiene il cineasta. Promosso dalla cooperativa El Principio, il documentario non si presenta con il fine di essere lanciato nelle grandi sale, bensì in luoghi come sale pubbliche, Ong, scuole medie inferiori e superiori, ecc. Malgrado la distribuzione sarà gratuita a livello nazionale – anche sulle reti sociali -, i responsabili del film aprono le loro porte alle apportazioni volontarie, la cui metà sarà destinata alla Normale Rurale di Ayotzinapa.

In molti paesi del mondo, come in Francia, Svizzera, Costa Rica, Argentina, ecc., ci sono istituzioni che hanno espresso il proprio interesse per la pellicola, che sarà presentata anche in festival internazionali di cinema, anticipa il direttore.

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Ayotzinapa, il luogo della speranza

di Gustavo Esteva – comune-info.net, 26 febbraio 2015

Ogni due ore, ogni centoventi minuti. Non bastano certo i numeri a raccontare il dolore che accompagna l’incredibile frequenza con la quale in Messico le persone vengono fatte scomparire. I soli numeri però lasciano senza parole. Anche perché oltre ai desaparecidos c’è l’infinità di vittime accertate degli omicidi e ci sono milioni di migranti ed esuli: un terzo dei Messicani è costretto ad andar via per molte e diverse ragioni tra le quali spesso c’è la minaccia di essere uccisi. Il massacro degli studenti di Ayotzinapa è parte di questa enorme tragedia. Solo che in questo caso la grande determinazione, la tenacia e la fantasia dei familiari e di chi ha scelto di sostenere la loro ricerca della verità e della giustizia ha svegliato milioni di persone dentro e fuori il Messico. Molti non sanno cosa fare, altri affidano ancora alle istituzioni, che sono parte del problema, le speranze di cambiare ma si estende la lotta per cambiare davvero e in profondità non solo i governi ma l’insopportabile stato di cose. La lotta per affermare la dignità delle persone è un fiume che ha varcato con impeto gli argini. Non sarà facile riportarla alle ragioni di sempre, quelle di chi finge di voler cambiare tutto per non cambiare niente. Si nutre così, ogni giorno, la speranza di dare piena realtà alla nostra emancipazione.

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La sparizione di una persona amata è uno dei mali peggiori che si possano soffrire. Non solo per l’incertezza che provoca, ma perché ci si ritrova ogni giorno a chiedersi se non le stia succedendo quello che è accaduto a molti di quelli che sono ricomparsi, i cui cadaveri mostrano i segni di una tortura selvaggia e atroce, inflitta prima che venissero assassinati. Come evitare la disperazione? Come affrontare serenamente il mistero del male, questo male opprimente che ci toglie il fiato?

Negli ultimi due anni, in Messico, scompare una persona ogni due ore. Ogni due ore. Oggi ci sono decine di migliaia di famiglie che vivono questo dramma. Ci sono poi molti altri le cui persone amate sono state barbaramente uccise, e ci sono milioni di esuli. Un terzo della popolazione si è vista costretta a vivere fuori dal paese.

I familiari degli studenti di Ayotzinapa ci hanno permesso di vivere insieme a loro questo dramma che turba profondamente, sperimentando al loro fianco una forma di risposta che non sprofondi nella disperazione. Hanno svegliato milioni di persone, dentro e fuori il paese. Con sorprendente energia, con tanto coraggio e altrettanta fantasia, non lasciano in pace nessuno. Non vogliono che gli addormentati riprendano sonno, non vogliono che torni l’indifferenza, che si propaghi l’oblio, che quelli che stanno in alto se ne lavino le mani.

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Persino l’ONU, con le mani e la lingua legate dalla struttura e dalle regole che definiscono tale organismo, ha dovuto reagire. Il Comitato delle Nazioni Unite contro le sparizioni forzate non solo comincia a riconoscere formalmente questo stato di cose, ma ha anche criticato il governo messicano per l’impunità prevalente di fronte a questi delitti quotidiani e per il fatto di non dare la necessaria priorità alla ricerca degli scomparsi. Gli ha imposto di indagare tutti gli agenti e gli organi statali che potrebbero essere stati coinvolti, così come di utilizzare tutte le linee investigative. Il Comitato ha formulato una raccomandazione cruciale ricordando la responsabilità dei gradi superiori di coloro che commettono delitti.

Persiste la combinazione di cecità e cinismo in coloro che si occupano dell’affare di governare e dei loro amici e complici. Persiste anche l’indifferenza, l’apatia o il terrore di molta gente. Persiste ugualmente l’entusiastica adesione a qualche leader carismatico e alle sue schiere da parte di coloro che credono ancora che potrebbe innanzitutto fermare l’orrore, e poi seguire il cammino progressista di altri dirigenti dell’America Latina. Sebbene lo scontento sia sempre più generale, anche fra i patrocinatori e i beneficiari dell’attuale governo, molti non sanno che fare, altri non considerano realistiche le vie che non passano per l’esercizio elettorale e altri ancora sono disposti a cambiare tutto… perché non cambi niente: che si sostituiscano tutti i responsabili del nostro dramma, che si diano bruschi colpi di timone e che ci sia un gran chiasso, ma il tutto all’interno del quadro vigente, nello Stato-nazione, la democrazia rappresentativa, la società economica, lo sviluppo, il capitalismo… Ritengono che sia illusorio o pericoloso tentare altre vie.

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Nello stesso tempo, si estende e acquista vigore e organicità la mobilitazione cittadina. Il 5 febbraio sono state avviate due iniziative parallele che cammin facendo potrebbero intrecciarsi per portare avanti varie cose. È impressionante la coincidenza delle loro diagnosi sulla crisi politica attuale, anche se appaiono notevoli differenze nella portata e nello stile delle loro proposte. Entrambe illustrano, ciascuna a suo modo, il desiderio e la capacità di dare forma organica al malcontento generalizzato, alla resistenza, alla ribellione e all’impeto trasformatore. Invece di paralisi e disperazione, il dramma nazionale sta generando reazioni lucide, vigorose e organizzate.

Un’altra di queste iniziative prenderà forma oggi (16/2, ndt) con l’installazione a Cuernavaca di una Commissione poliedrica composta da universitari, attivisti e membri del Congresso Nazionale Indigeno. Si propone di contribuire al dialogo e all’armonia fra le diverse culture a cui apparteniamo. Noi componenti di questa Commissione siamo convinti che non ci sarà giustizia, pace e sicurezza nel paese finché l’ordine sociale non sarà costruito sulla diversità. Si tratta di dare un senso concreto ed efficace all’idea formulata dagli zapatisti vent’anni or sono: abbiamo bisogno di costruire un mondo in cui trovino spazio molti mondi.

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L’attuale effervescenza ha già permeato tutte le fasce sociali e raggiunge gli angoli più isolati del paese. I nostri demoni si sono scatenati da tempo e hanno creato questo insopportabile stato di cose in cui siamo immersi. Ora si sono messe in moto le forze che potranno fermarli, avanzando serenamente nella ricostruzione nazionale. Il genio è uscito dalla bottiglia e non sarà possibile rimetterlo dentro. Si nutre così, ogni giorno, la speranza di dare piena realtà alla nostra emancipazione.

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Fonte: la Jornada

traduzione per Comune-info: Camminar domandando

Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.

L’adesione di Gustavo Esteva alla campagna Ribellarsi facendo di Comune-info

Tutti gli altri articoli di Gustavo Esteva usciti su Comune-info sono qui

Un piccolo nucleo di amici italiani di Esteva, autodenominatosi “camminar domandando”, nei mesi scorsi ha stampato il testo della conversazione tenuta da Esteva a Bologna nell’aprile 2012 (i temi in parte sono gli stessi degli incontri tenutisi nell’occasione a Lucca, in Val di Susa, Torino, Milano, Venezia, Padova, Firenze e Roma):  “Crisi sociale e alternative dal basso. Difesa del territorio, beni comuni, convivialità”. (chi vuole, può scaricarlo su www.camminardomandando.wordpress.com).

Banchi multietnici

Segnalato da transiberiana9

Scuola, viaggio tra i banchi multietnici d’Italia. Dove lo straniero conta (e non pesa)

I politici soffiano sul fuoco per raccattare voti. Lo Stato non riesce a sgonfiare i numeri, alimentando il problema delle scuole con una densità di stranieri superiore al 30%. Ce ne sono 510 dove uno studente su due non è italiano, 27 dove l’80% è fatto di stranieri. Ma nel mucchio ci sono tre istituti, tre modelli di integrazione pienamente riuscita. Siamo andati a scoprirli. Ecco come funzionano

Di Chiara Daina – ilfattoquotidiano.it, 24/09/2015

Sono le otto di un martedì di metà settembre. Alla scuola primaria “Carlo Pisacane” di Roma è suonata la campanella. Arriva di corsa un signore in giacca, cravatta e ventiquattrore che tiene per mano il figlio. Sono italiani. Salgono le scale e dietro infilano il portone una donna con il capo coperto da un velo verde smeraldo e una bimba in tuta da ginnastica rosa. Due minuti e si presentano madre e figlia, con gli occhi a mandorla e poi un’altra italiana col suo bambino. Sul pavimento dell’atrio la scritta blu “mare madre”, incorniciata dalle onde. Ecco, chi entra lì è un cittadino del mondo. Le classi ghetto, le fughe bianche, lo straniero “nemico” abitano lontano, tra le paure sventolate dai politici a turno per spostare i voti. La realtà quotidiana parla d’altro: di integrazione vera, reale, quotidiana e vissuta. E noi siamo andati a vederla. Siamo entrati nelle scuole ai margini delle grandi città per capire come si fa “integrazione multiculturale”. Qualche dato, prima, per avere un’idea del fenomeno. In Italia ci sono 57mila scuole. Di queste, 2851 con una densità straniera che va dal 30% in su. In particolare, sono 510 quelle che superano il 50% e 27 quelle con oltre l’80% di stranieri.

Partiamo da Roma. È una giornata di sole. L’istituto Pisacane sorge in via dell’Acqua Bullicante 30, nel quartiere multietnico di Torpignattara, periferia sud-est della Capitale. In cortile 16 alunni con la pelle di tutti i colori sono seduti in cerchio. Gli altri fanno lezione nelle aule con le cartine dei cinque continenti fissate sui muri scrostati. Duecento iscritti totali. “Gli italiani sono ritornati da noi – dice Vania Borsetti, maestra qui da sette anni – sono figli di professionisti, registi, artisti, insegnanti.  Hanno capito che la diversità culturale tra i banchi è un valore e non un ostacolo. Oggi nelle classi prime gli stranieri sono il 50%, nel 2010 erano il 90%. Questa sì che è convivenza”. Nel 2009 la scuola è finita nell’occhio del ciclone a causa dell’alta presenza straniera, che superava il tetto del 30% per classe imposto dal ministro Gelmini. Alcune mamme italiane avevano trasferito i loro figli in altri istituti.  “Una mattina un’associazione di estrema destra occupò le scale d’ingresso, il quartiere era in rivolta, c’erano le telecamere della tv davanti alla scuola e i bambini spaventati”. Aprire le porte al territorio è stata la soluzione per non chiudere: “Dovevamo farci conoscere per non farci temere”. Le maestre hanno appeso al portone locandine in arabo, bengalese, cinese e italiano per invitare i residenti al coro, alle recite, i laboratori di arte, le feste dei popoli. Il 18 dicembre di ogni anno, per la giornata mondiale dei rifugiati, musicisti di fama internazionale fanno un concerto con gli studenti. “Palco, videoproiettore e server ce li prestano i commercianti. Ogni etnia prepara piatti tipici. L’ultima volta eravamo in 500”. I genitori nel 2013 hanno fondato l’associazione “Pisacane 011” che organizza corsi in palestra e in cortile aperti a tutti: quello di chitarra, sassofono e batteria, di teatro, sport, e l’aiuto compiti. Oggi quella scuola, all’incrocio tra un bar italiano e un negozio di cianfrusaglie cinese, è diventata il polo culturale del quartiere. “Offriamo un’educazione internazionale. Un bambino italiano e uno bengalese sono amici per la pelle, e la famiglia del secondo ha iniziato a visitare i monumenti di Roma. Un’alunna calabrese ha insegnato alla classe il suo dialetto per dimostrare che anche lei parla due lingue. Qui la doppia identità è forza. Perché il Miur non ci aiuta? Le nostre aule cadono a pezzi, molte non hanno le porte, una finestra è rimasta rotta per due mesi. E le ore di potenziamento della lingua italiana (L2, ndr) per chi è appena arrivato sono ridicole, solo 30 all’anno”.

Qui Esquilino, dove la segretaria è fatta da 4 mamme: due marocchine, una somala e una filippina

Ha stretto un patto con il territorio anche la scuola “Di Donato“, nel rione Esquilino, vicino alla stazione Termini. Ore 17.30. Lezioni terminate un’ora fa. Nel piano seminterrato con volta a botte ci sono almeno150 bambini impegnati in mille attività. Sono italiani, cinesi, bengalesi, mediorientali, nordafricani e rumeni. Fanno calcio, basket, pattinaggio, danza, pittura, teatro, musica, lettura, doposcuola. C’è anche una stanza per i giochi. La sede della web radio di Save the children. E dalle 20 alle 22 i balli popolari per i nonni e il fitness per insegnanti e genitori. A gestire lo spazio ci pensano le famiglie, a turno. In segreteria ci sono quattro mamme, due marocchine, una somala e una filippina. Il custode, filippino anche lui, è un papà che fa l’elettricista. La scuola è aperta anche nei weekend. Al sabato mattina ci sono i corsi di informatica per i piccoli. Alla domenica le feste (ogni volta dedicate a una cultura diversa), i laboratori di costruzioni, cucina tradizionale, tornei sportivi, sfilate di veli e abiti orientali, visione di documentari con dibattito. “L’ultimo era sull’immigrazione italiana in Belgio – spiega Francesca Valenza, genitore referente del progetto intermundia, finanziato dal Comune, che promuove l’integrazione nelle scuole romane, e ha sede lì – stiamo portando avanti un progetto sui rom, per capire chi sono e da dove vengono”.

Alla “Manin” gli iscritti italiani sono cresciuti del 30%

Per scelta tante famiglie italiane di altri quartieri hanno iniziato a mandare i figli alla Manin. Miriam Iacomini, maestra: “Gli iscritti italiani sono cresciuti del 30%. Sono figli di dirigenti e professionisti. Manca il ceto medio basso, più diffidente verso gli immigrati. Gli alunni in tutto sono 750, di cui il 51% immigrati”. Di nuovi arrivi dall’estero ce ne sono di continuo, almeno 30 all’anno. “In organico abbiamo 37 docenti, ogni volta chiediamo in ginocchio al Miur di darcene tre in più. Alle medie avremmo bisogno di un’altra classe. Altrimenti come facciamo ad accoglierli? Le ore di L2 non bastano, ma l’università ci mette a disposizione tirocinanti di lingue straniere per aiutare chi fa fatica a esprimersi”. La scuola va fuori. In Piazza Vittorio Emanuele con i gruppi di lettura e gli scacchi. Al Maxi e al Macro con le mostre di manufatti. Iacomini: “Abbiamo creato un’osmosi tra noi e gli abitanti. Così ci siamo salvati”.

Milano, al “Luigi Cadorna” una linea di confine tra Maghreb e movida

La scuola “Luigi Cadorna” di via Dolci 5, a Milano, ha fatto la stessa cosa per evitare le fughe bianche. Il posto non è dei più facili. È a due passi dallo stadio di San Siro, sul confine invisibile tra le case popolari delle famiglie magrebine e i palazzi dei milanesi abbienti. Dal 2006 è partita la collaborazione con associazioni locali, fondazioni e Consiglio di zona. Il dirigente scolastico Massimo Nunzio Barrella è fiero: “Grazie a loro oggi la scuola è aperta anche il sabato per scambi culturali e gare sportive. Il cortile ospita il mercato della Coldiretti, il martedì e il giovedì ci sono i corsi di italiano da tre ore per le straniere (una novantina) gestisti da nonne e mamme italiane con servizio di babysitting 0-3 anni”. Anche i genitori si sono dati da fare. Prima hanno creato un Comitato con una decina di commissioni all’interno. Poi nel 2007 alcuni di loro si sono uniti nell’associazione “Cadorna” per promuovere attività sportive, dal cacio all’hip hop, capoeira, basket, chitarra, lingue straniere. “Tutte le iniziative sono state raccolte in un diario distribuito agli allievi”. Il preside accende il computer e mostra una foto in cui è vestito con la dishdasha, la tunica bianca per gli uomini arabi, accanto a donne siriane e nordafricane in occasione di un party scolastico. “Erano felicissime di vedermi nei loro panni e io curioso dei loro costumi”. Gli alunni italiani dieci anni fa erano solo il 20%. Ora il 40%. Non per caso. La mentalità è cambiata: “I genitori decidono di mandarli qui perché sanno che una formazione multiculturale è più ricca di una monoetnica. Certo, le difficoltà non mancano. Poche ore di L2: 25. E qualche tensione. L’aiuto degli abitanti è stato decisivo e solo con loro possiamo migliorare”.

Quelle descritte sopra non sono soltanto tre scuole. Sono tre modelli di integrazione di successo, tre laboratori sociali da cui imparare. I dirigenti si sono dati appuntamento alla Biennale Spazio pubblico (organizzata dall’istituto nazionale di urbanistica) a maggio a Roma per un confronto a quattrocchi. Il workshop, coordinato da Vinicio Ongini, responsabile dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni del Miur, erano presenti altri cinque istituti esemplari.

Firenze, al “Sassetti Peruzzi” pochi fondi e docenti impreparati alla complessità etnica

Il “Sassetti-Peruzzi” di Firenze, una secondaria di secondo grado, ha una sede a Scandicci, in maggioranza italiana, e un’altra a Rifredi, periferia nord-ovest, in direzione Prato, con 331 alunni stranieri su 541, di cui 198 cinesi. Ha tre indirizzi: commerciale, socio-sanitario e turistico. E quattro problemi: difficoltà nella comunicazione con studenti (alcuni analfabeti) e famiglie cinesi, docenti impreparati alla complessità etnica, fondi scarsi per l’alfabetizzazione e per l’acquisto di testi semplificati, dispersione scolastica. “Tantissimi cinesi alternano la scuola a periodi di lavoro o viaggi in Cina” spiega Barbara Degli Innocenti, dirigente scolastica, che per contrastare il fenomeno da settembre 2014 ha attivato una sezione sperimentale apposta per loro. “Abbiamo tolto due ore di matematica e due di italiano per insegnare lingua e letteratura cinese. Lo studio di economia e diritto è bilingue. Il diploma sarà valido anche in Cina. È nata una partnership con due scuole della regione dello Zhejiang. A novembre il primo gemellaggio”.

Torino, al “Regio Parco” fino al 90% di stranieri

Semiperiferia est di Torino. Istituto comprensivo “Regio Parco”. Dal 30 al 90% la percentuale di bambini di altre nazionalità. Il cortile fino alle 18.30 è un luogo di ritrovo per genitori e alunni. Dipingono, giocano con la palla, lavorano la pasta di sale e l’argilla. La preside, Concetta Mascali, ha puntato sul coro: “Il nostro solista l’anno scorso era cinese. Cantare in italiano serve a impare la lingua”. E su un’orchestra di archi: “Ho lanciato una raccolta fondi per comprare violini e violoncelli. Due strumenti difficili che richiedono ascolto, collaborazione e disciplina”. Una richiesta: “L’università deve formare insegnanti con competenze multiculturali, che sappiamo la storia e la geografia dei popoli migranti, per essere  meno eurocentrici”.

Napoli, al “Bovio-Colletta” tra disagio sociale e progetti occasionali

Napoli, zona stazione. Qui si respira un forte disagio sociale. Per colpa del lavoro che non c’è e del basso livello di istruzione. Non solo perché ci vivono gli stranieri, che sono tantissimi. All’istituto comprensivoBovio-Colletta per favorire l’inserimento degli immigrati si leggono fiabe esotiche, si inventano racconti contro la discriminazione, si commentano film, si fanno lezioni anti bullismo. C’è anche un laboratorio di artigianato, danza e teatro per le mamme . “Quest’anno è durato solo un mese, nel 2014 è saltato, ci sono poche risorse – si lamenta la preside Annarita Quagliarella – siamo condannati a progetti occasionali”.

Tornando a Roma. Quartiere dormitorio tra Primavalle e Monte Mario. Accanto a un campo rom si trova l’Istituto alberghiero “Domizia Lucilla”. Da due anni c’è un progetto pilota che usa il cinema per insegnare la lingua italiana. “Gli studenti leggono la sceneggiatura, fanno il riassunto, modificano la trama, guardano le immagini con i sottotitoli in lingua originale” racconta Sergio Kraisky, insegnante.

Palermo, all’”Antonio Ugo” “le famiglie non si sentono diverse dai migranti”

Sicilia, primo approdo dei profughi. All’istituto comprensivo “Antonio Ugo” di Palermo, quartiere Noce, controllato dalla mafia, ci sono tre classe di minori non accompagnati provenienti da Senegal, Nigeria, Egitto. “Il Comune ha fatto resistenza ma poi ha ceduto – spiega Riccardo Ganazzoli, il dirigente – le famiglie non hanno battuto ciglio. Non si sentono diversi dai migranti, hanno lavori precari, sono monoreddito. Lo straniero è uno stimolo. Perché chi viene dalla miseria attribuisce alla scuola una funzione civile che noi abbiamo dimenticato”.

Obiezione Vostro Onore

segnalato da Barbara G.

Abortire a Roma? Dimenticatevelo! Una docu-inchiesta sulla legge 194

di Giulia Quercini – left.it, 23 settembre 2015

«La legge 194 è una legge che ha quasi 40 anni ed è figlia di lotte e rivendicazioni, ci sembrava giusto raccontare cosa stesse accadendo». Dicono Claudia Torrisi, Filippo Poltronieri, Federica Delogu e Sebastian Viskanic, ex studenti della Fondazione Lelio Basso e autori dell’inchiesta-documentario, che Giovedì 24 settembre verrà trasmessa alle 21.20 su Rainews 24. La loro inchiesta Obiezione Vostro Onore, finalista della quarta edizione del Premio Roberto Morrione, si concentra sul tema del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza nella città di Roma, verificando quanto la legge 194 trova applicazione negli ospedali della capitale.

A Roma, secondo i dati raccolti dagli autori del documentario, 9 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza. Nonostante, quindi, la legge 194 sia applicata in Italia dal 1978, ancora non è facile per le donne che decidono di intraprendere un aborto portarlo a termine nelle strutture pubbliche ospedaliere, tenute per legge a offrire il servizio. Questo perché al diritto della donna di decidere del proprio corpo si sovrappone un altro diritto: quello del medico a esercitare l’obiezione di coscienza, non effettuando interruzioni di gravidanza. La facilità con cui l’obiezione di coscienza può essere posta, compilando un semplice modulo e revocata, senza dover addurre motivazioni, determina un dilagarsi del suo utilizzo.

Percentuale obiettori di coscienza a Roma

Dall’inchiesta emerge che solo nella città di Roma ci sono almeno tre ospedali che non garantiscono il diritto ad abortire: il Centro per la donna Sant’Anna, l’Ospedale Sant’Andrea e il Policlinico Tor Vergata, due dei quali sono policlinici universitari, dove vengono formati i nuovi ginecologi. Anche negli ospedali in cui si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza i problemi a cui vanno incontro le donne sono molti: «Si ha la sensazione di un percorso a ostacoli, ci si sente invisibili e abbandonate in una scelta che richiederebbe agevolazioni e supporto» racconta Valentina, che alle 5 di mattina è insieme ad almeno altre dieci donne, in attesa del suo turno in un sottoscala dell’ospedale San Camillo, davanti ad una porta di vetro sbarrata.
C’è però un altro tipo di interruzione di gravidanza, di cui si parla pochissimo, ed è effettuata dopo il primo trimestre: l’aborto terapeutico. Questo è effettuato per legge dopo il primo trimestre, nei casi di pericolo per la vita della donna o se gli esami a cui si è sottoposta hanno evidenziato gravi malformazioni del feto. Se la donna sceglie di interrompere una gravidanza dopo il terzo mese si rende necessario ricoverarla per qualche giorno e indurre il parto. Per questo i medici non obiettori devono organizzare i loro turni per seguire la paziente, ma spesso negli ospedali i non obiettori sono così pochi che le donne devono attendere per ore, in locali non idonei. Roma è solo l’esempio di come questa legge, in tutta Italia, e in particolare al sud, fatica ancora a trovare una vera applicazione.
Obiezione vostro onore è un’inchiesta che denuncia e porta davanti agli occhi di tutti una cruda verità: la garanzia del diritto all’aborto non è ancora una realtà consolidata in Italia e per le donne non è facile usufruire di un diritto che dovrebbe essere già ampiamente affermato.