Month: gennaio 2015

Fantapolitica (continua…)

di crvenazvezda76

Allora, eravamo rimasti all’equilibrismo di Renzi sulle maggioranze variabili, a seconda della contingenza e della convenienza politica.

Ipotesi che (alla faccia della fantapolitica), a sentire i tanti commentatori più quotati di me (e ai quali chiederò i diritti), è sempre più presa in considerazione.

A testimonianza della brillante alzata d’ingegno di Renzi, culminata nella mossa Mattarella, c’è la bagarre che si è scatenata in tutte le forze politiche, da Forza Italia ai Grillini, passando per il povero Angelino, che ingoia rospi di continuo (ndr: non Angelino sempre in piedi, questo qua, ma Angelino sempre curvo).

Ma torniamo a noi. Dicevamo di una possibile maggioranza per la seconda parte del “Renzi Show”.

Quali sono gli ostacoli più grossi a che questo scenario si possa realizzare? Riforme e legge elettorale. Brunetta è stato chiaro: ‘d’ora in poi pagare moneta per toccare cammello’.

Eppure una via d’uscita per Renzi c’è, e Silvio non ne fa parte (consigliare a Crozza di rivedere lo sketch che vede i due contraenti del Nazareno al cinema).

L’approvazione delle riforme ha superato lo scoglio del voto al Senato, quello più a rischio a causa della risicata maggioranza. Superato, come sappiamo, col soccorso azzurro.

Ora però si va alla Camera, dove la maggioranza è più solida e dove il pacchetto, legge elettorale compresa, così come lo conosciamo, potrebbe subire modifiche.

Bene, queste modifiche potrebbero essere ottima merce di scambio.

Pensateci. A ben guardare, i cambiamenti che chiedono i dissidenti Pd non sono poi così sostanziali! E anche alcuni Cinquestelle potrebbero vedersi approvati alcuni piccoli emendamenti e saltare sul carro renziano. Vista l’aria che tira nel Movimento…

Già, alcune modifiche, quanto basta per garantirsi i voti che mettono in cassaforte il tutto (credo Renzi capace anche di cedere sulle preferenze, o rivedere almeno le percentuali,  in cambio della vittoria finale).

Poi il passaggio referendario sarebbe una formalità: la comunicazione è il piatto forte di casa Renzi, e l’italiano non aspetta altro che sentirsi importante per farsi infinocchiare per bene!

E poi c’è Tsipras e la sinistra nostrana (minuscolo voluto). Il primo, come già detto ieri, utile in Europa per via delle simpatie che riscuote (vedi Hollande e lo scenario spagnolo), la seconda per rifarsi il look in Italia. O crediamo davvero che Renzi non tenga conto del vento che tira, anche se fosse solo una moda del momento?

Tanto, data la memoria corta dell’italiano medio, basta una qualche concessione ogni tanto per far dimenticare anche il Jobs Act. Che so, una bella legge sulla rappresentanza sindacale e si garantirebbe anche le folle osannanti in qualche piazza romana!

Carissimi Transiberiani, fantapolitica o meno, oggi come oggi Renzi può permettersi un po’ di tutto, ma quel che conta è che permette a noi di correre con la fantasia, ognuno secondo le proprie inclinazioni.

In un Paese di nani, il più alto è un gigante!

“Mattarella.- Mattarella Sergio – S. Mattarella – Mattarella S. – Robi Facchinetti – Mattarella prof. Sergio – Sergio, Mattarella!…”

Fantapolitica

di crvenazvezda76

Sino alla direzione Pd, nella quale Renzi ha presentato il candidato al Colle, tutti impegnatissimi a elucubrare sul mitico Patto del Nazareno.

E invece ecco la mossa Mattarella, blindata (mica alla carlona come la mossa Prodi di Bersani!) e spiazzante. In un colpo solo Renzi si libera di Berlusconi, indebolisce Alfano, mette a tacere la minoranza Pd, riavvicina Sel, isola Grillo. La Lega è un discorso a parte. Con Salvini i conti sono rimandati.

Il tutto all’indomani delle elezioni greche, delle parole ammiccanti di Tsipras (che la settimana prossima sarà in Italia e certamente incontrerà il Presidente del Consiglio).

Provo a formulare uno scenario, mettendo insieme tutti i pezzi che ho esposto prima.

Il futuro PdR è un politico moderato e amico, stimato in Italia, ma pressoché un signor nessuno all’estero. Questo renderebbe le cose più semplici sul fronte interno e lascerebbe a Renzi la ribalta internazionale, soprattutto quella europea.

Ma allora il Patto del Nazareno non è mai esistito? Sì, il Patto c’era. E Renzi lo ha usato per quanto gli è servito: le riforme, la legge elettorale, un’opposizione non troppo dura su tutto il resto.

E l’alleanza col centrodestra di Alfano? È servita per portare a casa il “resto” di cui sopra, dal Jobs Act in giù agli ottanta euro, passando per le banche.

Sembra che una buona fetta di programma Renzi lo abbia messo in saccoccia, o almeno sia a uno stadio di avanzamento di tutto rispetto, soprattutto se confrontato coi risultati dei suoi predecessori.

Ora resta l’altra parte. Quella legata ai temi della crescita e dei rapporti con Bruxelles, Strasburgo e Francoforte.

Renzi non ha mai fatto mistero di soffrire i vincoli finanziari imposti dagli organismi sovranazionali, è arrivato a dichiarare che avrebbe rispettato il pareggio di bilancio più per dimostrare che l’Italia non è quel Paese inaffidabile che vedono all’estero, che per effettiva necessità o pericolo di default.

Ed ecco perché Tsipras. Perché, se decidesse ora di far seguire i fatti alle dichiarazioni anti-austerity, visto l’alto debito pubblico italiano, la scarsa crescita e i molti altri indicatori economici non troppo confortanti, c’è bisogno di alleanze che escano dai confini nazionali, ma che godano di consenso, quando si deve giocare in casa.

Per fare questo non si può pensare certo all’appoggio di Berlusconi, ma neppure a quello di Alfano. E quindi?

Beh, se prima c’era una maggioranza utile agli obiettivi di allora, perché non puntare ora a una maggioranza per gli obiettivi di domani?

La minoranza Pd dovrebbe rientrare nei ranghi. Sel ci starebbe, così come i transfughi grillini. Il M5S è un buon serbatoio di parlamentari sempre disponibili (almeno una coppia a settimana…).

Io la butto lì. Come da premessa, è fantapolitica.

Grecia tra grande vittoria e incertezze

segnalato da crvenazvezda76

da ilmanifesto.info (29/01/2015) – di Etienne Balibar

Sbilanciamo l’Europa. La vittoria di Tsipras è un segnale forte di rifiuto dell’arroganza di chi oggi governa l’Europa, incurante di ogni segnale che viene dai cittadini europei. E in una situazione di emergenza umanitaria, le minacce di queste istituzioni non hanno prodotto sottomissione, ma ribellione.

La vit­to­ria di Syriza alle recenti ele­zioni par­la­men­tari in Gre­cia ha senza dub­bio una por­tata sto­rica. È la prima volta da quando le poli­ti­che di auste­rità sono diven­tate la regola in Europa che una forza popo­lare, radi­cata a sini­stra, soste­nuta da una mobi­li­ta­zione col­let­tiva ed orga­niz­zata in una forma demo­cra­tica, con­qui­sta la mag­gio­ranza nel pro­prio paese e si trova nella con­di­zione di rimet­tere in que­stione la gover­nance che domina l’Europa da quando ha imboc­cato la svolta «neo-liberale» (all’inizio degli anni 1990).

Que­sta rot­tura accade in un «pic­colo paese», ma da una parte la Gre­cia, a causa delle sof­fe­renze ecce­zio­nali che le hanno impo­sto Fmi, Bce e la Com­mis­sione euro­pea per ripor­tala «all’interno delle regole», è diven­tata un sim­bolo, la cui espe­rienza e le cui resi­stenze sono fonte d’ispirazione in altri paesi (com­prese, poten­zial­mente, la Fran­cia e l’Italia, ndr).

E d’altra parte l’Europa è un sistema politico-economico all’interno del quale tutti gli ele­menti sono soli­dali, nel senso mec­ca­nico ma anche morale del ter­mine, e di con­se­guenza ogni cam­bia­mento nei rap­porti di forze sul «fronte greco» influen­zerà l’insieme del sistema.

Appena il governo Tsi­pras sarà in grado di affron­tare le que­stioni di fondo per le quali è stato eletto, in par­ti­co­lare quella del debito, è tutto il pano­rama poli­tico euro­peo che cam­bierà, ed i con­flitti di fondo in que­sto modo emergeranno in modo chiaro. Da qui deri­ve­ranno gli osta­coli impor­tanti con i quali il governo Tsi­pras si dovrà scontrare.

Que­sti ultimi sono di natura sia interna che esterna. Dall’esterno, ci pos­siamo aspet­tare un niet sonoro da parte delle forze che oggi domi­nano la costru­zione euro­pea, soste­nute dal governo tede­sco e dalla Com­mis­sione di Bru­xel­les, ispi­rate non solo dall’ideologia ma anche dagli inte­ressi, ben inter­pre­tati, di tutti coloro i quali (a par­tire dal sistema ban­ca­rio) hanno bene­fi­ciato e con­ti­nuano a trarre bene­fi­cio dall’inflazione del debito greco. La que­stione è semplicemente quella di sapere chi, in ultima ana­lisi, por­terà il far­dello dei debiti non rim­bor­sa­bili, quelli che l’economista fran­cese Pierre-Noël Giraud chiama i “misti­gri” (ovvero gli attivi finan­ziari che non man­ten­gono la promessa di ren­dite future, ndr). E que­sto quando tutta una parte della comu­nità degli eco­no­mi­sti, da Sti­glitz a Passa­ri­des (si veda la loro dichia­ra­zione nel Finan­cial Times alla vigi­lia delle ele­zioni) fino ai teo­rici dell’FMI, denun­ciano gli effetti disa­strosi delle poli­ti­che monetariste.

Da qui nasce la que­stione cru­ciale: fino a dove gli altri governi ed attori eco­no­mici sono dispo­sti a spin­gersi nel ricono­scere gli errori pas­sati ed impri­mere un nuovo corso alla poli­tica euro­pea? A tutto que­sto si aggiun­gono senza dub­bio gli osta­coli interni: una parte con­si­de­re­vole della società greca ha con­ti­nuato a godere di pri­vi­legi e ad organiz­zare la cor­ru­zione; que­sta parte ha perso le ele­zioni ma non si riterrà tut­ta­via bat­tuta, e se ce ne sarà neces­sità farà ricorso alle pro­vo­ca­zioni della destra estrema.

Tra gli osta­coli interni ed esterni ci sono mol­te­plici legami, sui quali sarà impor­tante fare chia­rezza. Prendo un solo esem­pio: quello dell’evasione fiscale (stret­ta­mente legato alla que­stione del debito nazio­nale). Sap­piamo e si dice che i vari governi greci non sono mai “riu­sciti” a com­bat­terla, il che in realtà signi­fica: non ne ave­vano alcuna inten­zione. Ma il pro­blema si pone in tutt’Europa, come l’ha reso chiaro l’affaire del Lus­sem­burgo, lo scan­dolo Lux Leaks, che mina la legit­ti­mità del pre­si­dente della Com­mis­sione euro­pea (Junc­ker) e della Com­mis­sione stessa. Quindi, c’è una rete di osta­coli, ma que­sti vanno affron­tati sepa­ra­ta­mente.
È dun­que legit­timo affer­mare che la vit­to­ria di Syriza offre delle pro­spet­tive impor­tanti per i popoli d’Europa espo­sti al neo­li­be­ri­smo ed ai pro­cessi de de-democratizzazione che lo accom­pa­gnano (ciò che qual­che tempo fa, nel momento della “nomina” dei governi Monti e Papa­de­mos, avevo chia­mato una “rivo­lu­zione dall’alto” e che Jür­gen Haber­mas, da parte sua, ha chia­mato la costru­zione di un “ese­cu­tivo fede­rale post-democratico”). Sotto molti aspetti, que­sto risul­tato rove­scia — o neu­tra­lizza — gli effetti cata­stro­fici delle ultime ele­zioni euro­pee. Ma penso che si debba evi­tare di cedere ad una reto­rica trion­fa­li­sta, per­ché siamo all’inizio di un periodo dif­fi­cile. Dif­fi­cile per il popolo greco e la sua nuova lea­der­ship, in primo luogo, ma anche per tutti noi insieme a loro.

Resta il fatto che il pro­blema dell’austerità è comune a tutta l’Europa (e non riguarda solo l’Europa del Sud), e che l’esempio greco non può che fun­zio­nare come segno di spe­ranza di un rin­no­va­mento demo­cra­tico gene­rale. Avrà una riso­nanza soprat­tutto in paesi come la Fran­cia, dove delle forze di sini­stra erano state elette per inver­tire il corso neo-liberista impo­sto alla costru­zione euro­pea (ed in par­ti­co­lare inver­tire il dogma del pareg­gio di bilan­cio, al di fuori di ogni con­si­de­ra­zione eco­no­mica e sociale), e que­ste stesse forze si sono poi affret­tate a cam­biare casacca, sia per­ché ave­vano sot­to­va­lu­tato la durezza degli osta­coli da affron­tare ed “il corag­gio della verità” che sarebbe stato neces­sa­rio per farlo, sia per­ché al loro interno l’ideologia libe­rale e gli inte­ressi pri­vati erano in realtà pre­va­lenti anche se in modo non mani­fe­sto. Ma la situa­zione della Fran­cia ha delle forti ana­lo­gie con gli altri paesi: ha pro­dotto il “con­do­mi­nio” socialista-conservatore che oggi domina l’UE e che sarà scom­pa­gi­nato dalla situa­zione greca.

A que­sto si aggiunge un ele­mento fon­da­men­tale, che vediamo chia­ra­mente in Fran­cia ma che è valido anche altrove: la messa in discus­sione dei dogmi e dei rap­porti di forza non pro­viene, come era stato annun­ciato, dalla destra estrema, ma dalla sini­stra “radi­cale”. Pro­ba­bil­mente è qui che risiede la più grande spe­ranza per i popoli euro­pei, sia come popoli, sia in quanto popoli che sono — nella loro diver­sità — euro­pei, legati da una sto­ria e da un inte­resse comuni. È fon­da­men­tale che Syriza abbia fatto una cam­pa­gna non con­tro ma per l’Europa (ovvero con tutta evi­denza per un’altra Europa), ovvero con­tro il popu­li­smo ed il nazio­na­li­smo. È invece inquie­tante che, dal primo giorno, per com­pen­sare la man­canza di una mag­gio­ranza asso­luta (e forse anche per fare pres­sione sui suoi inter­lo­cu­tori di Bruxel­les, di Fran­co­forte e di Ber­lino, e anche di Parigi e Roma), Ale­xis Tsi­pras abbia scelto di allearsi con un par­tito di estrema destra “sovra­ni­sta”, anche se non incline a posi­zioni fasciste.

L’esito degli eventi dipen­derà in misura essen­ziale, in que­ste con­di­zioni, dalla maniera in cui emer­ge­ranno, in Europa, dei movi­menti di soli­da­rietà e delle mani­fe­sta­zioni di soste­gno il più ampie pos­si­bile. Biso­gna far cono­scere le richie­ste della Gre­cia per quello che sono — evi­tando inu­tili esa­ge­ra­zioni. La sfida del momento non è quella di dare impulso ad una rivo­lu­zione anti­ca­pi­ta­li­sta o (o come ha appena detto la por­ta­voce della Linke in Ger­ma­nia) di dare il via ad una “pri­ma­versa rossa” in Europa. Non si tratta di “fare esplo­dere l’euro” (fatto di cui i Greci sareb­bero le prime vit­time). Si tratta invece di sta­bi­lire dei rap­porti di forza a par­tire da linee chiare.

Ci sono due Europe in con­cor­renza, che non hanno né gli stessi inte­ressi né la stessa con­ce­zione della demo­cra­zia. Biso­gna rin­for­zare l’Europa dei popoli a disca­pito dell’Europa delle ban­che, il che signi­fica anche che tutti i popoli devono essere mobi­li­tati: si sente par­lare soprat­tutto di quelli dell’Europa del Sud, e ne capi­sco il motivo, ma io vorrei insi­stere sui popoli dell’Europa del Nord, in par­ti­co­lare i tede­schi, ai quali si deve poter spie­gare che l’argomento del “con­tri­buente” con la respon­sa­bi­lità del debito greco non fun­ziona (per­ché con­fonde una ristrutturazione con un default) — senza par­lare dell’argomento “morale” (il debito tede­sco è stato can­cel­lato del 70% nel 1953!). Delle voci che non sono senza auto­re­vo­lezza si alzano per for­tuna in que­sto senso (per esem­pio quella dell’ ex redat­tore capo Theo Som­mer sull’ultimo numero di Die Zeit, fino ad ora molto più nazio­na­li­sta). Ancora più che in pas­sato, si tratta ora di costruire una poli­tica demo­cra­tica euro­pea che attra­versi le frontiere.

Contadini USA lasciano gli Ogm

segnalato da n.c.60

da slowfood.it (14/01/2015) – a cura di Elisa Virgillito (e.virgillito@slowfood.it)

Fonte: organicconnectmag.com

Mentre in Europa ancora non abbiamo le idee chiare sugli Ogm – e le ultime svolte legislative ancora lasciano troppo spazio ai capricci timthumb.phpdelle multinazionali – cresce il numero di contadini negli Stati Uniti che sta valutando di piantare mais e soia non geneticamente modificati e di coltivare in regime biologico. Una combinazione di fattori, tra cui il più alto costo delle coltivazioni gm e il fallimento delle promesse transgeniche, il prezzo basso a cui si vendono le granaglie in genere e il mercato sempre più orientato verso prodotti Ogm free se non bio, stanno spingendo molti coltivatori a intraprendere questa strada.

La conferma, secondo quanto riportato da organicconnectmag.com, arriva dai rivenditori di semi in Illinois e Minnesota: già a partire dallo scorso novembre gli ordini di sementi non modificate geneticamente erano molto più alti rispetto al 2013, e per la soia si parla di un aumento del 50%, una tendenza inversa rispetto a quella degli ultimi 5 anni.

Dunque, perché i contadini stanno cambiando strada? Il primo motivo è sicuramente una faccenda di soldi: il calo dei prezzi dei cereali, al momento molto bassi, invita a produzioni più remunerative che rispondono alle nuove esigenze di mercato. Insomma, in tanti hanno capito che la qualità paga e l’idea di guadagnare qualche dollaro in più con una produzione specifica gradita dal mercato sembra a tutti una buona opportunità. A ciò si aggiunge la delusione circa le promesse non mantenute dalle colture transgeniche (le infestanti imperano e aumenta anche la resistenza degli insetti) e il fatto che in tanti si siano stufati di pagare per i brevetti.

Ma c’è altro: secondo un recente articolo del Des Moines Register i bassi prezzi di vendita dei cereali hi-tech stanno spingendo molti contadini verso il biologico: al di là degli aspetti economici che sono tutt’altro che trascurabili, questo tipo di produzione assicura benefici alle famiglie contadine e alle comunità rurali (ne abbiamo parlato in dettaglio qui). Lo conferma anche il fatto la forte ascesa del comparto bio a stelle e strisce: le previsioni indicano una crescita di oltre il 15% sui 32 miliardi di dollari del 2014. Tutti i giganti dell’american food, da Wal-Mart a Target fino a General Mills si stanno ingegnando per avere una propria offerta di cibo bio e addirittura McDonald’s ha recentemente preso in considerazione questa opzione…

Belle parole

di Chicco

È da tempo che leggo il blog senza interagire. È lo sconforto di ricevere la solita risposta inutile che mi trattiene dallo scrivere più che la carenza di tempo.

Perché lo sconforto? Perché son stanco come molti di questa Italietta: una barzelletta fatta a nazione. Abbiamo sostituito un premier dedito agli affari propri con uno dedito agli affari dell’ex premier. Una persona che dice tutto e il suo contrario, appoggia tutto l’appoggiabile (destra, sinistra e centro), ma che davanti alla telecamera fa l’incantatore. Un popolo in catalessi che pende dalle sue labbra. Ma non è solo questo. Il rammarico nasce nel vedere persone come voi qui sul blog alle solite storie: un nuovo maquillage della sinistra (radicale?) con nuovi interpreti è bastato a tanti di voi per avere una nuova speranza.

Se penso alla storia recente, ogni volta che si è creato un nuovo partito a sinistra ci si è dovuti appoggiare a strutture già corrotte. Penso a Rivoluzione Civile, ma anche a Tsipras. Tutti partiti che hanno usato la vecchia sinistra (Sel, Rifondazione e quant’altro) per fondare qualcosa di veramente nuovo nelle intenzioni (come sempre), ma che, all’atto pratico, hanno dovuto (come sempre) imbarcare qualche vecchio cimelio, e hanno (come sempre) dovuto appoggiarsi alla struttura sul territorio: sedi, mezzi di comunicazione, etc. etc.

Basta rifarsi il trucco, prendere due figure nuove e rispettabili, metterle di fronte al carro e via, il gioco è fatto. Un Civati scontento del PD (ma che ripaga il partito a suon di decine di migliaia di euro, e chissenefrega come vengono spesi, che fa numero in aula, e manca solo laddove il risultato è acquisito), un Landini capo ultrà (che, pacioso, incontra sorridente Renzi dopo aver guidato un corteo a prender manganellate), una Spinelli figlia d’arte (che prima dice di esser foglia di fico, e poi diventa politica tout court, incollandosi alla poltrona che aveva promesso di lasciar libera). E il partito ha solo bisogno di un nuovo nome e un nuovo colore (sì, perché il rosso nostalgico tira meno di un neurone di Gasparri). E chissenefrega dei fatti.

Che mi frega se nessuno di questi partiti ha mai realizzato nulla, chissenefrega se queste persone hanno accettato compromessi scomodi, candidature dubbie, scorciatoie normative, soldi pubblici a spron battuto, ed è gente che vive di politica da sempre. Loro parlano benissimo: vogliono ridistribuzione, parlano di socialismo e aiuti ai più svantaggiati, vogliono Scuola e Lavoro. I risultati non sono importanti. Sono importanti le parole, le dichiarazioni, gli articoli di giornale. Perché, scusatemi tutti, ma questo è quello che vedo.

Sono d’accordo che le persone sono importanti, ma i fatti lo sono di più.

Quindi sapere che in un partito si mette un limite di due mandati agli eletti, si fa in modo di obbligare gli eletti a ridursi lo stipendio (tutti i politici si riempiono la bocca di risparmi, tagli, meno rimborsi e più rinunce, intanto gli unici a mettere in attivo qualche soldo sono quelli di un movimento criticatissimo), a rendicontare le spese (tutte), a mettere online i cv di chi si sceglie per una carica o l’altra, e a introdurre trasparenza dove non ve n’era, è già una bella boccata d’aria. E questi son fatti incontrovertibili, altro che le balle sull’articolo 18 e tutte le pur belle discussioni sulle riforme (sempre disattese e fatte alla cazz’e cane).

Eh, ma ci son le espulsioni… E poi decide tutto Grillo… E poi dovrebbe disattendere alcune regole cardine…

Anche se credo sinceramente che queste siano semplici scuse per non voler guardare in faccia la realtà, e cioè che tutte le decisioni prese finora sono semplicemente la dimostrazione di un grandissimo inciucio (orgia animale senza alcun pudore e confessione) da (ogni) destra a (ogni) sinistra, posso capire di non volersi convincere a patteggiare per questi altri, nuovi guidatori di un’auto senza navigatore o, a scelta vostra, con un navigatore pazzo con l’accento genovese. Ma, certo, affidarsi al nuovo maquillage è in fondo molto meglio.

Parole conosciute, metodi tradizionali, gente in giacca e cravatta che “politica” di professione: si trucca prima delle telecamere, ha polso nei discorsi, ha la frase ad effetto confezionata per il titolo del giornale amico, l’appoggio del giornalista amico che fa la domanda concordata…

Tutti vorremmo una rivoluzione di questo sistema, che sinceramente è molto, molto vicino al collasso (e il peggio sta per arrivare, aspetto solo i primi licenziamenti degli statali, e poi ridiamo tutti insieme). Ma tutti la vorremmo a modo nostro, possibilmente allungando la minestra sempre con il solito brodo rancido.

E mentre aspettiamo la rivoluzione giusta, continuiamo ad applaudire la nostra sgangherata orchestra politica, in cui il solito pifferaio guida il gruppo, mentre il giovane con l’asta e lo scudetto al suo fianco si convince di contar qualcosa di più delle singole persone che quella fanfara l’hanno finanziata.

Perché di questo si tratta. Mi basta vedere come ogni giornalista, anche quello che guardavo con piacere, attacca il 5stellino di turno (Fico da Fazio ne è l’emblema) senza pietà alcuna, cercando di trovar lo scandalo dove scandalo non c’è.

Ormai c’è solo un partito onesto, che vi piaccia o no, e non lo dico io, e nemmeno lo dice Grillo dal palco. Lo dicono i magistrati che in ogni scandalo trovano questo o quell’altro. Lo dice Vendola al telefono, lo dice Buzzi ai suoi compari, lo dice Alemanno con Poletti a cena co’ ‘r cecato, lo dice Galan a braccetto con Orsoni o il compagno G (l’era ‘n comunista chel lì) con Frigerio per l’appalto. Lo dicono semplici regole di buon senso: se vuoi giocare in politica, almeno sul codice penale non devi aver macchie… cosa che nessun altro partito ancora deve mettere nelle proprie agende…

Ma, si sa, questi parlan così bene…

PS. Questo partito ha messo nei primi punti del suo programma strumenti di democrazia partecipata, a oggi introdotti laddove è stato possibile: ne sono un esempio Parma e in Alto Adige. Il cosiddetto Partito Democratico non riesce a rispettare il principio nemmeno nelle primarie, in cui i candidati sono solo i suoi, e volete che rispetti questo principio nelle altre votazioni? Se questo non è illudersi…

Anima greca

di Lame

Accecati da una vittoria che ricostruisce speranza per tutta l’Europa, ci sono alcune cose che non vediamo, di quel che sta succedendo in Grecia.
Sono aspetti che niente hanno a che fare (apparentemente) col debito e i problemi economici. Ma sono altrettanto importanti di questi. O forse perfino di più.
Partiamo dalle genealogie.
In Grecia, mi hanno spiegato, la politica è da sempre un “affare di famiglia”. Nel senso che i posti di potere sono appannaggio di alcune grandi famiglie. Le ultime, in ordine storico, sono state i Papandreou e i Karamanlis. Padri e figli che diventano primi ministri, oppure generi e nipoti che entrano a rotazione nel governo. Alternanze politiche che non sono veramente tali, gruppi familiari molto coesi che gestiscono tutto “inter nos”. A prescindere dalle posizioni politiche, destra e sinistra, su questo piano, sembrano un mero accidente.
Qui Tsipras e i suoi costituiscono la prima linea di frattura con abitudini consolidate. Un vero cambiamento, perché sono una vera nuova classe dirigente del paese. Non vengono dalle famiglie potenti. Quindi rompono il cerchio degli interessi, anche incrociati, di chi ha sempre gestito la cosa pubblica.
Devo spiegarvi cosa questo significa in termini di aria nuova, idee nuove e libertà di scelta? Penso di no.
Poi, oggi scopro che il giovane Alexis ha deciso di non rendere omaggio al patriarca. Per quanto noi possiamo patire la presenza di una chiesa cattolica che da sempre incombe sulla nostra politica, i greci non sono da meno. Anzi.
È una presenza che noi non vediamo (i nostri media non ci raccontano mai le storie profonde dei paesi del mondo) ma è imponente e limitante quanto e forse di più che la chiesa cattolica, soprattutto sul piano della cultura collettiva. Tanto importante che, da sempre, i deputati greci (e se non erro anche il presidente) giurano nelle mani del patriarca ortodosso.
Devo spiegarvi cosa questo significhi sul piano simbolico profondo? Sullo schema profondo del potere, che viene formalmente “concesso” da un religioso all’autorità civile?
Non baciare la mano del patriarca, come ha deciso il giovane Alexis, manda un messaggio enorme di cambiamento. È un’onda profonda e lenta, non si vedono i suoi effetti immediati, ma è una dichiarazione di laicità che mai prima, in Grecia.
Infine il giovane Alexis ha deciso di “far fuori” anche l’altra “chiesa” che incombe sulla Grecia: niente omaggio ai partigiani, altro gesto simbolico tradizionale dei potenti greci. Gius magari storcerà il naso, ma per me anche questo è un segnale di rottura profonda con gli schemi del potere tradizionale.
Come si legano questi aspetti non economici con la questione debito e, soprattutto, le riforme?
Personalmente credo che siano questioni importantissime quando si parla di un cambiamento vero della società greca. Altro che Jobs Act.
Sono rotture dello schema del potere, dello schema mentale con cui le persone si rapportano al potere in Grecia. Quindi consentono, ad esempio, vere riforme per quanto riguarda la corruzione e l’efficienza della macchina pubblica, da sempre influenzata dal criterio che la “famiglia” viene prima di tutto. Anche delle leggi, ovviamente. Anche della sostenibilità economica di queste scelte che, finora non era considerata quando si decideva l’assunzione di migliaia di funzionari pubblici per ragioni clientelari.
Anche e forse soprattutto di questo, secondo me, dovrebbe tener conto l’Europa di Bruxelles e Berlino, quando chiede “riforme”. Ma ho qualche dubbio che siano in grado di capirlo. All’Eurotower e al Palais de Berlaymont (sede della Commissione europea) non riescono a capire come si fa a “mettere a bilancio” l’anima dei popoli.

Quello che la parola non sa dire (Primo Levi)

Tolkacev Sinowi, n. Russia, 1903 Protezione, 1945 Campo di concentramento di Auschwitz, Polonia

Konieczny Karol, n. Polonia, 1919 Il primo bagno, 1945 Campo di concentramento di Buchenwald, Germania

Spalmach Gino, n. Italia Oltre i reticolati, 1944 Campo di concentramento di Wietzendorf, Germania Szajna Jósef, n. Polonia, 1922 Appello, 1944 Campo di concentramento di Buchenwald, Germania

La copertina del volume Brandhuber Jerzy Adam, n. Polonia, 1897 Esecuzione, 1946 Campo di concentramento di Oświecim (Auschwitz) Polonia

 

 

 

 

 

 

Brandhuber Jerzy Adam, n. Polonia, 1897 Contro il filo, 1946 Campo di concentramento di Auschwitz, Polonia