Non resta che Grillo

Trump, Cacciari: “Per i tecnocrati la partecipazione è un optional. Così trionfa il voto anti establishment”

Il filosofo ed ex sindaco di Venezia analizza le ragioni politiche e sociali dell’elezione del repubblicano alla Casa Bianca: “È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di centrosinistra. Dall’immigrazione al lavoro, “la politica diventa populista solo in campagna elettorale. E senza più la sinistra, contro la ‘destra cattiva’ in Italia non resta che Grillo”.

di Fabrizio d’Esposito – ilfattoquotidiano.it, 10 novembre 2016

Il Sistema, con la maiuscola, ormai esplode ovunque, non solo in Europa. Il professore Massimo Cacciari, filosofo nonché ex sindaco di Venezia, per lustri ha tentato invano di dare contenuti a un riformismo vero per il centrosinistra italiano.

La sconfitta di Hillary Clinton rade al suolo un’epoca. Un quarto di secolo a discettare di Terza Via, ulivismo mondiale, sinistra liberal e altre amenità.
È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di sinistra o centrosinistra. Lo stesso Trump ha vinto nonostante il Partito Repubblicano. Una riflessione analoga si può fare per la Brexit. Io uso questo termine: secessio plebis.

Secessione della plebe. Il popolo. La sinistra, appunto, com’era una volta.
Ovviamente l’effetto del tracollo è più eclatante per le forze democratiche e socialdemocratiche perché sono state soprattutto loro a non comprendere i fenomeni che ci hanno condotto a tutto questo.

L’elenco è lunghissimo.
La moltiplicazione delle ingiustizie e delle diseguaglianze; il crollo del ceto medio; lo smottamento della tradizionale base operaia; l’incapacità di superare lo schema di welfare basato sulla pressione fiscale. Oggi l’unico sindacato che conta è quello dei pensionati e a mano a mano che si pensionavano i genitori sono emersi i figli precari, i figli pagati con il voucher, i figli ancora a carico della famiglia.

La classe dirigente, a destra come a sinistra, ha pensato solo a diventare establishment.
Non è solo questo perché non era semplice prevedere cambiamenti colossali e un Churchill o un Roosevelt non nascono in ogni epoca. Anzi.

Quasi trent’anni fa ormai, in Italia furono pochissimi, tra cui lei, a capire movimenti come la Lega.
Avevi voglia a dire che a Vicenza gli operai votavano Lega oppure che la sinistra a Milano la sceglievano solo contesse e contessine di via Montenapoleone.

Adesso Bersani, per quel che vale, dice: “Basta con la retorica blairiana”.
La sinistra è stata a rimorchio delle liberalizzazioni e dei poteri forti. Ma l’immagine di una donna liberal di sinistra a Wall Street è una contraddizione in termini.

L’ex comunista Napolitano, oggi presidente emerito della Repubblica, se la prende pure con il suffragio universale.
Ecco, appunto. È la conferma che le élite liberal si sono adeguate al trend burocratico e centralistico.

La tecnocrazia al posto delle elezioni.
La partecipazione è diventata un optional.

Di qui la secessio plebis. O il populismo, se vuole.
A me non interessa come definire il fenomeno, a me preme capirlo. Tutti sono populisti in campagna elettorale. Francamente il punto non è questo. Io voglio comprendere questi fenomeni sociali, poi chi li rappresenta può avere un tono o l’altro.

Ora tocca all’Europa.
Dove gli effetti dell’immigrazione sono devastanti. Ma è necessario fare una premessa: l’Europa non sono gli Stati Uniti.

Cioè?
Dove c’è un impero la politica la fa l’impero.

Non Trump, quindi.
Esatto. In fondo basta sentire le sue prime dichiarazioni concilianti.

In Europa, invece?
La storia è matematica, non sbaglia mai. E in assenza di politiche efficienti e credibili, non banali promesse, ci sono tre tappe nel nostro continente. La prima è quella del malcontento o della secessio plebis di cui ho già parlato.

Poi?
Sparare contro i Palazzi, infine l’affermazione di una destra cattiva anti-immigrazione. Penso a Le Pen, Farage, Orban, Salvini e Meloni.

Grillo no?
No, Grillo non fa parte di questa destra cattiva. Ho scritto un articolo su chi saranno i Trump d’Europa e concludo proprio così: in Italia non resteranno che i Cinquestelle.

Un argine contro la peggiore destra.
Renzi si è fatto establishment. Per questo i suoi tentativi populistici puzzano parecchio.

Quale sarà l’effetto Trump sul referendum del 4 dicembre, se ci sarà?
Vedo due tendenze. Da un lato può galvanizzare le forze che vogliono mandare Renzi a casa.

Dall’altro?
In questo clima, gli italiani potrebbero scegliere l’opzione ritenuta più tranquilla e meno traumatica, cioè il Sì.

193 comments

  1. adesso… ore 15.45… clinton ha 400.000 voti in più di trump in termini assoluti….
    (ma quando cazzo finiscono di contare? per quanto il risultato sia ininfluente… è significativo)

  2. @realDonaldTrump

    12 hours ago
    Just had a very open and successful presidential election. Now professional protesters, incited by the media, are protesting. Very unfair!

    3 hours ago
    Love the fact that the small groups of protesters last night have passion for our great country. We will all come together and be proud!

    Ok. E’ matto da legare.

  3. Twitter, account verificati.

    @BarackObama
    @BernieSanders
    @HillaryClinton
    @realDonaldTrump

    Qualcuno sa spiegarmi il motivo di ‘real’?

  4. Vi tocca ahahah

    intervista a Emiliano Brancaccio di Giacomo Russo Spena

    Come interpretare la storica vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane? Per l’economista Emiliano Brancaccio siamo di fronte alla prima, vera incarnazione di quella nuova onda egemonica che egli ha più volte definito “liberismo xenofobo”, e sulla quale da tempo lancia l’allarme. Con Brancaccio discutiamo dell’esito delle elezioni statunitensi, della carta Sanders che i democratici non hanno voluto giocare, delle ricette economiche di Trump e dei loro possibili effetti sui rapporti tra gli Stati Uniti e il resto del mondo.

    Professor Brancaccio, Hillary Clinton esce duramente sconfitta dalle presidenziali americane. Il risultato viene interpretato come una disfatta per il partito democratico statunitense, ma anche le forze democratiche e socialiste europee sembrano accusare il colpo. Possiamo parlare della fine di quel “liberismo di sinistra” che era stato inaugurato da Bill Clinton nel 1992 e al quale molti in Europa hanno cercato di ispirarsi?

    Di certo siamo di fronte a una crisi di quel regime di riproduzione del consenso che ha retto in Occidente per circa un quarto di secolo e che, per dirla in modo un po’ brutale, è consistito nel mettere le macchine elettorali dei partiti democratici e socialisti al servizio di programmi che si conformavano agli interessi dei gruppi capitalistici più grandi e con le maggiori ramificazioni internazionali. In questo modo si sono create le condizioni per sostenere politiche tese a comprimere la quota di reddito nazionale destinata ai lavoratori in cambio di qualche residua prebenda sociale e di poche concessioni sul versante delle libertà civili. Con la grande recessione del 2008 questa macchina del consenso è entrata in una crisi difficilmente reversibile. Gli interessi legati alla sua ripartenza sono ancora egemoni: proveranno a rimetterla in funzione ma lo scenario è profondamente cambiato, sarà un’impresa complicata.

    Sotto la presidenza di Obama la disoccupazione è stata in gran parte assorbita e la crescita è tornata a livelli normali. Come si spiega lo scarto tra i risultati economici dell’amministrazione democratica e l’esito delle elezioni?

    Il modo in cui l’amministrazione Obama ha gestito la grande recessione ha implicato mutamenti significativi nei rapporti tra apparati pubblici e capitale privato: la vecchia retorica liberista è stata scalzata da un massiccio interventismo statale, nel settore bancario e nell’industria. Ma la centralità economica e politica di Wall Street non è mai stata messa in discussione e le riforme sociali sono state limitate. La conseguenza è che per i lavoratori e per i soggetti sociali più deboli le cose non sono andate benissimo. Stando ai dati della FED e dell’OCSE, sotto l’amministrazione democratica la quota salari sul Pil è rimasta ben al di sotto dei livelli pre-crisi e non abbiamo assistito a una riduzione degli indici di povertà e disuguaglianza. i
    intervista a Emiliano Brancaccio di Giacomo Russo Spena

    Come interpretare la storica vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane? Per l’economista Emiliano Brancaccio siamo di fronte alla prima, vera incarnazione di quella nuova onda egemonica che egli ha più volte definito “liberismo xenofobo”, e sulla quale da tempo lancia l’allarme. Con Brancaccio discutiamo dell’esito delle elezioni statunitensi, della carta Sanders che i democratici non hanno voluto giocare, delle ricette economiche di Trump e dei loro possibili effetti sui rapporti tra gli Stati Uniti e il resto del mondo.

    Professor Brancaccio, Hillary Clinton esce duramente sconfitta dalle presidenziali americane. Il risultato viene interpretato come una disfatta per il partito democratico statunitense, ma anche le forze democratiche e socialiste europee sembrano accusare il colpo. Possiamo parlare della fine di quel “liberismo di sinistra” che era stato inaugurato da Bill Clinton nel 1992 e al quale molti in Europa hanno cercato di ispirarsi?

    Di certo siamo di fronte a una crisi di quel regime di riproduzione del consenso che ha retto in Occidente per circa un quarto di secolo e che, per dirla in modo un po’ brutale, è consistito nel mettere le macchine elettorali dei partiti democratici e socialisti al servizio di programmi che si conformavano agli interessi dei gruppi capitalistici più grandi e con le maggiori ramificazioni internazionali. In questo modo si sono create le condizioni per sostenere politiche tese a comprimere la quota di reddito nazionale destinata ai lavoratori in cambio di qualche residua prebenda sociale e di poche concessioni sul versante delle libertà civili. Con la grande recessione del 2008 questa macchina del consenso è entrata in una crisi difficilmente reversibile. Gli interessi legati alla sua ripartenza sono ancora egemoni: proveranno a rimetterla in funzione ma lo scenario è profondamente cambiato, sarà un’impresa complicata.

    Sotto la presidenza di Obama la disoccupazione è stata in gran parte assorbita e la crescita è tornata a livelli normali. Come si spiega lo scarto tra i risultati economici dell’amministrazione democratica e l’esito delle elezioni?

    Il modo in cui l’amministrazione Obama ha gestito la grande recessione ha implicato mutamenti significativi nei rapporti tra apparati pubblici e capitale privato: la vecchia retorica liberista è stata scalzata da un massiccio interventismo statale, nel settore bancario e nell’industria. Ma la centralità economica e politica di Wall Street non è mai stata messa in discussione e le riforme sociali sono state limitate. La conseguenza è che per i lavoratori e per i soggetti sociali più deboli le cose non sono andate benissimo. Stando ai dati della FED e dell’OCSE, sotto l’amministrazione democratica la quota salari sul Pil è rimasta ben al di sotto dei livelli pre-crisi e non abbiamo assistito a una riduzione degli indici di povertà e disuguaglianza.

        1. Grazie mille!!! Marco

          Ho notato due diverse linee di pensiero principali su Trump in questi giornni.

          Alcuni lo avvicinano al “tanto rumore per nulla ” Clinton o Trump alla fine la minestra non cambia. Trump ha usato un linguaggio violento solo per vincere.

          Altri sono veramente preoccupati come Brancaccio e non solo….

          https://mainlymacro.blogspot.it/2016/11/trump-misleading-people.html

          Trump’s election is a disaster for humanity. That may be true in ways we can only speculate about, but we know that he does not believe in climate change, thinks it is a Chinese hoax, will not follow the Paris agreement and will do all he can to support coal. With a Republican congress no one will stop him. When you think about that, remember also that Fox news (like sections of the UK press) encourages climate change denial, and the issue was not mentioned by the non-partisan nightly news election coverage (which obsessed about emails) or raised in any of the presidential debates. If you continue to mislead people in this way, they will continue to make terrible mistakes when they vote.

          1. comunque, marco, abbiamo un problema….

            ciarlie consigliò di seguire jacoboni, e lo seguo sempre
            andrea consigliò di seguire seminerio, e dopo le mie prime obiezioni, che era un liberista ecc., la lettura del suo blog è diventata una visita fissa
            se aggiungo mario che mi parlò del suo referente ‘civatiano’ (ai tempi delle mozioni), nei cui twit e interventi mi riconosco come un fratello….

            mi chiedo… ma oltre brancaccio non hai nessun altro? 🙂
            (si scherza… nel frattempo sono diventato assiduo di varouf, è già qualcosa)

            1. ti stai redimendo
              fra un po’ sulla panchina salirai in piedi, con giacca velluto con toppe ai gomiti e sciarpa di lana rossa
              ti voglio vedere arringare la folla contro il capitalismo, il liberismo, la globalizzazione e JPMorgan
              e far campagna x il NO

              1. giacca di velluto con toppe ok (anche se ormai smessa da un po’, comunque in armadio c’è)
                sciarpa rossa no, sono di colori chiari, non mi sta bene. nera.
                arringare contro il capitalismo… beh, questo resterebbe il bel fine
                non certo contro la globalizzazione (come se marx avesse rifiutato il capitalismo per tornare alla società feudale…)

                far campagna per il no? in altre condizioni. ora no.
                siamo in tre. io, barca e saviano.

                vabbè, ognuno ha le sue compagnie, in questo referendum del membro maschile…..

          1. e vedrei di nuovo i numeri

            clinton vince nei voti assoluti.

            trump vince comunque nei voti di chi ha più soldi

            clinton prende invece i redditi più bassi

            trump non prende nemmeno i voti di un candidato debole come mccain (sebbene con la trumpina in gonnella a fianco)

            clinton però (un però grande come una casa) prende 9 milioni di voti in meno rispetto a obama

            secondo me la questione può essere pure ridimensionata. e (almeno in italia) già vista. e smetterei anche di pensare che il voto a clinton fosse un voto mediatico mentre quello di trump è un voto popolare (ah, le tv in ogni cazzo di pizzeria italiana sintonizzate su canale 5 o rete 4…)

            (ad libitum)

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