Femminismo islamico

La sfida delle donne nell’Islam

Al di là dei più triti e fuorvianti luoghi comuni del passato, da tempo si muovono molte cose interessanti nel mondo dell’Islam per quel che riguarda le lotte condotte dalle donne. Come le grandi affermazioni ottenute in Tunisia e Giordania sul piano delle leggi istituzionali. Molta strada è naturalmente ancora da fare: la legge tunisina, per fare un solo esempio, resta discriminatoria in ambito familiare, mentre la Giordania, che ha finalmente abrogato il matrimonio “riparatore” in seguito a uno stupro, è ancora ben lontana dal raggiungere risultati significativi sul piano culturale e su quello dell’impunità delle violenze. Della “jihad delle donne” – una parola che i terroristi hanno trasformato in un qualcosa di terribile, ma “jihad” significa in realtà “sfida personale”, tentativo di superarsi -, a Roma abbiamo parlato a lungo con “Aisha”, una donna somala sunnita che da più di 25 anni vive in Italia e lavora con i migranti.

di Patrizia Larese – comune-info.net, 12 agosto 2017

In Tunisia ed in Giordania, l’estate del 2017 rimarrà un anniversario importante nella storia della difesa dei diritti civili e costituirà una pietra miliare lungo il difficile cammino di impegno e di lotta contro la violenza sulle donne.
Il 27 luglio 2017, dopo un iter parlamentare accidentato e ostacolato da ripetuti rinvii che avevano fatto temere un fallimento, il Parlamento tunisino ha approvato all’unanimità con 146 voti a favore la legge contro la violenza e i maltrattamenti sulle donne e per la parità di genere.
Sono stati emanati 43 articoli divisi in 5 capitoli per fornire misure efficaci per contrastare e punire ogni forma di violenza o sopruso basato sul genere. Il testo ha l’obiettivo di garantire alle donne tunisine rispetto e dignità a partire dall’uguaglianza tra i sessi, prevista dalla Costituzione, anche in ambiente lavorativo. L’attuazione della legge include la prevenzione, la punizione dei colpevoli e la protezione delle vittime. Viene offerta assistenza alle donne che hanno subìto violenza domestica e le stesse possono richiedere un’ordinanza restrittiva contro chi ha abusato di loro senza che sia aperta una procedura penale e senza che le vittime debbano chiedere il divorzio, nel caso in cui si tratti del marito.
La legge persegue le molestie nei confronti delle donne anche negli spazi pubblici, un vero tormento per le vittime, non più tollerabile. La nuova normativa prevede, per la prima volta, un’ammenda pecuniaria per i molestatori. Le pene si sono inasprite anche nei casi di violenza in famiglia e l’età del consenso è salita dai 13 ai 16 anni. È criminalizzato l’impiego di minori come lavoratori domestici e i datori di lavoro che non rispettano la parità salariale tra i sessi saranno soggetti a sanzioni.
Il punto cruciale della legge è l’abrogazione dell’articolo 227 bis del codice penale che concedeva una sorta di “perdono” agli stupratori di una minorenne in caso di matrimonio con la vittima. La nuova norma giuridica contempla invece pene molto severe per gli stupratori a cui non è più data alcuna possibilità di sfuggire alla legge. Questa attenuante, presente anche in codici penali di altri paesi, nel 2012 provocò scandalo e forte dibattito in Marocco, dove un’adolescente di 16 anni, Amina, si suicidò con il veleno per topi dopo che fu data in sposa al suo stupratore, evitandogli il carcere. Due anni dopo, il suo caso obbligò il Parlamento marocchino a cancellare con un nuovo emendamento quell’articolo indegno trasformando Amina in un simbolo per i diritti delle donne marocchine.
Il cambiamento di leggi e pratiche ingiuste sulle donne, purtroppo, vede la luce dopo molte vittime e un grande lavoro della società civile che, nel caso della Tunisia, ha avuto un ruolo primario per la stesura della legge.Tuttavia, non si può affermare che sia stato completato il disegno per una uguaglianza reale di genere, l’uguaglianza in ambito lavorativo di rispetto e dignità esiste ma la questione dell’eredità è ancora ferma. La legge tunisina rimane discriminatoria in ambito familiare dato che solo gli uomini possono essere considerati capofamiglia e nel ricevere un’eredità i membri femminili non hanno diritto a una quota pari a quella dei loro fratelli. Il dibattito è in atto e continua sia in Tunisia sia in Marocco, ma il cambiamento è ancora lontano.
A pochi giorni dalla vittoria delle donne in Tunisia, il 1 agosto 2017, anche la Giordania ha abrogato il matrimonio riparatore a seguito di una violenza di stupro.
“Questo è un giorno da celebrare”, ha detto Salma Nims, segretario generale della Commissione nazionale giordana per le donne. “È un momento storico non solo per la Giordania ma per l’intera regione, il risultato degli sforzi della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani del Paese”.
L’articolo 308 violava apertamente i diritti umani secondo gli attivisti giordani. Questa legge permetteva agli stupratori di non essere perseguiti se avessero sposato le proprie vittime e non avessero divorziato per almeno tre anni.
Nell’ottobre 2016, il re Abdullah II aveva ordinato l’istituzione di una commissione reale di riforma del sistema giudiziario e del codice penale, in vigore nel paese dal 1960. A febbraio 2017, il comitato aveva raccomandato l’abrogazione dell’articolo 308.
“Dopo 57 anni, finalmente abbiamo compiuto un passo importante per la riforma della società e per l’eguaglianza tra i sessi”, ha detto Khaled Ramadan, parlamentare giordano e promotore della nuova legge.
Oggi mandiamo un messaggio a tutti gli stupratori, che i loro crimini non resteranno impuniti”. Quando la nuova normativa entrerà in vigore, la Giordania si unirà a paesi come il Marocco, in cui è stato abolito nel 2014.
Secondo l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, altri paesi in cui sono ancora in vigore tali norme sono: Algeria, Iraq, Kuwait, Libia e Siria, così come è ancora presente nei Territori Occupati Palestinesi. L’Egitto ha già cancellato la norma nel 1999, mentre per il Libano e il Barhein la questione è in corso di dibattimento.

Incontro con “Aisha”, al quartiere Esquilino di Roma

In una torrida mattinata romana, seduta in un bar del quartiere Esquilino, converso amabilmente delle importanti conquiste delle donne tunisine e giordane con Aisha (il nome è di fantasia perché la persona per sua tranquillità preferisce rimanere anonima), una donna somala sunnita sulla cinquantina che da circa 26 anni vive in Italia.
Risponde alle mie domande in un ottimo italiano senza accenti e senza inflessioni dialettali, esprime tutta la sua solidarietà per la vittoria delle sue “sorelle”, pensa che siano due traguardi importanti per la difesa dei diritti delle donne in quei Paesi.
Mi racconta che è arrivata da sola in Italia, non porta il velo ma, dice, non lo indossava neppure quando aveva 20 anni e viveva nella sua Terra, perché la Somalia negli anni ’70 e ’80 era un Paese libero dove le donne, nei loro vestiti tipici con colorati foulard sul capo o grandi scialli, sempre abbinati alla tonalità dell’abito, si muovevano senza costrizioni, pur nella loro dignità di donne musulmane. Mi spiega che lei si sente una moderata e rispettosa dei precetti dell’Islam. È sposata con un italiano che si è convertito alla religione islamica già prima di conoscerla. Suo marito, da giovane, dopo aver viaggiato nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, e, dopo aver conosciuto e studiato le culture di quei Paesi, ha deciso di abbracciare la religione di Mohammad (Maometto).
Aisha lavora nei centri di accoglienza per immigrati, sempre a contatto con persone indigenti e bisognose, ascolta ogni giorno decine di storie di donne musulmane immigrate, offre loro supporto per una più facile integrazione nel nostro Paese. Secondo la sua esperienza, molti stereotipi del mondo islamico, pur rimanendo presenti nei media e nell’opinione comune, sono ormai superati in Italia: la poligamia, per esempio e l’infibulazione. Ha visto che la maggioranza degli uomini musulmani sono convinti della propria monogamia.
La poligamia – mi conferma – storicamente si è rafforzata dopo vari conflitti bellici delle epoche iniziali dell’Islam (anche se c’era già, ovviamente, in tutto il mondo antico) ed era mirata soprattutto per consentire la sopravvivenza delle vedove e dei numerosi orfani che rimanevano privi di sostentamento e che erano destinati ad una sicura esistenza di stenti e di indigenza.
“L’infibulazione – mi spiega Aisha – non ha nulla a che fare con la religione islamica, è una pratica pre-islamica e si presume che provenga dagli Egizi, per questo motivo nel mio Paese veniva chiamata “infibulazione faraonica”. Fortunatamente non si pratica più da circa 25 anni, almeno nei centri più popolati. Era un’usanza che veniva messa in atto più per un equivoco sociale, una sorta di “ulteriore protezione e garanzia” dell’integrità intima delle ragazze, in qualche modo legata ad una prassi derivante dai precetti del Corano. Diverso è il caso della circoncisione dei maschi che è invece molto consigliata.”

foto: Natalia Andújar – WordPress.com

In Somalia nel 1991 è scoppiata una guerra civile (che non si può dire sia cessata del tutto malgrado l’attuale presidente sia stato votato da una grandissima maggioranza di somali) che ha provocato migliaia di morti ed una diaspora enorme. Chi, come Aisha, ha potuto, è fuggito, ora esistono comunità somale in tutto il mondo. “La gente del mio Paese – prosegue – è più praticante rispetto al passato e, in particolare, le donne oggi si coprono di più forse anche a causa della ferocia e delle violenze che sono state costrette a vedere e a subire durante il terribile conflitto e poi perché hanno riscoperto i benefici della fede, della fratellanza, del rispetto della vita, del creato e del suo Creatore.
Dopo l’11 settembre l’Occidente si è arroccato sui propri nazionalismi e vive i musulmani come nemici, non tutto l’Occidente fortunatamente. Ogni donna con il velo, ogni uomo con la barba, sovente, sono visti con sospetto, circospezione, diffidenza e le moschee, spesse volte, sono considerate potenziali luoghi di ritrovo per presunti terroristi.
Molti musulmani, a loro volta, dopo il crollo delle Torri Gemelle sentendosi più emarginati ed esclusi che in passato, hanno riscoperto le loro origini religiose e rafforzato le ritualità sia in moschea sia in comunità.
Il vivere maggiormente la religione è un riconoscimento di fede e di appartenenza.
Quando le chiedo come mai abbia deciso di non portare il velo lei, molto candidamente, mi risponde: “So che come donna musulmana è un mio limite, però, personalmente quando non porto il velo mi sento meno osservata, diciamo che è come se mi mimetizzassi un po’ anche se sono fiera della mia fede. Ora ci sono molte più donne col velo. Comunque indosso il velo come tutte le donne musulmane durante la preghiera e i riti. Il velo – prosegue Aisha – è un segno di dignità nei confronti di noi stesse e argina il narcisismo dell’anima, è un simbolo di modestia e di umiltà nei confronti della comunità e, naturalmente, un’offerta spirituale verso Allah”.
Non solo in Tunisia ed in Giordania le donne stanno compiendo enormi passi avanti sul percorso dell’indipendenza e dell’emancipazione ma, in Occidente, nel mondo musulmano è in atto un grande movimento femminile, il cosiddetto “femminismo islamico” che sta sfidando con grande determinazione i pregiudizi religiosi e culturali tradizionali.
La definizione di “femminismo islamico” sembra un ossimoro eppure esistono già in Europa e negli Stati Uniti donne che guidano la preghiera, imamah, teologhe, storiche, attiviste che combattono quotidianamente la loro personale jihad.
Questo movimento è esaminato con cura nel libro “La jihad delle donne” della giornalista Luciana Capretti (Salerno Editrice) in cui sono riportate numerose interviste di donne musulmane, la maggior parte figlie di seconda generazione, ormai inserite nel Paese che le ha accolte. Queste paladine del nuovo millennio lottano non solo per se stesse ma si impegnano per offrire aiuto ad altre donne musulmane perché possano conquistare una maggiore consapevolezza e determinazione per liberarsi, in molti casi, dal giogo della violenza domestica e da altri soprusi che sono costrette a subire nella vita di tutti i giorni.
“La chiamano la jihad delle donne, perché jihad, che i terroristi hanno trasformato in una parola terribile, simbolo di violenza ed orrore, significa in realtà “sfida personale”, tentativo di superare se stessi”1
Interessante la storia di Amina Wadud una donna di colore afroamericana con i capelli grigi, teologa che oggi insegna alla Starr King School e alla University of California di Berkeley che è diventata la prima imamah riconosciuta dei nostri tempi.

Una manifestazione delle donne giordane per l’abrogazione dell’articolo 308

Era il 18 marzo 2005 quando per la prima volta una donna ha sfidato l’ultimo avamposto di resistenza della supremazia maschile nell’Islam. Ha condotto la salh al-jum’ah, la preghiera del venerdì davanti a una ummah mista di fedeli, una comunità di uomini e donne alla Synod House della Cattedrale St. John the Divine di New York.” Amina, celebre per il suo libro “Qur’an and Women” (Il Corano e le Donne), prima analisi complessiva del Corano sulla base dell’uguaglianza dell’umanità è diventata il simbolo di una nuova corrente di femminismo.
Sherin Khankan, la prima donna Imam della Scandinavia. Di madre finlandese e padre siriano, un anno fa ha inaugurato la “Maryam Mosque”: una moschea femminile a Copenhagen dove, insieme con altre cinque Imam donne, guida la preghiera del venerdì, celebra nozze interreligiose e insegna ai giovani musulmani la via spirituale alla religione di Maometto. Si dichiara una femminista islamica. Ha imparato ad esserlo da suo padre, rifugiato siriano arrivato in Danimarca nei primi anni Settanta. Lui diceva che l’uomo perfetto è una donna. Ė una citazione del poeta sufi Ibn Arabi. Significa che un perfetto musulmano deve, in realtà, cercare di avvicinarsi all’ideale femminile. In una intervista a “Io Donna” del 3 aprile 2017 Sherin ha dichiarato che una delle esigenze emergenti per le giovani musulmane è quella di poter sposare un uomo di un’altra fede religiosa, pur continuando a essere musulmane a tutti gli effetti. L’interpretazione più diffusa della shar’ia permette a un uomo musulmano di sposare qualsiasi donna che abbia una fede monoteista, mentre ciò non è concesso a una donna musulmana, il cui marito può solo essere dello stesso credo religioso. Per una ragazza che cresce, studia e lavora in Europa le probabilità di innamorarsi e voler sposare un cristiano sono elevatissime. Così noi veniamo incontro a questa domanda celebrando nozze tra donne musulmane e uomini di altre fedi religiose, basandoci sul fatto che nel Corano non vi è esplicito divieto di matrimoni interreligiosi per le donne. Molte altre donne stanno seguendo gli insegnamenti di queste “Capitane Coraggiose”, costrette anch’esse ogni giorno a lottare per difendere se stesse ed i loro ideali e principi innovativi da una società e da una mentalità maschilista, ancora ben radicate con i loro usi e costumi.
Le femministe islamiche studiano ed analizzano il Corano con l’intenzione di riportare l’Islam alla sua essenza originaria, fatta di giustizia ed uguaglianza fra uomo e donna.

Note

1 “La jihad delle donne” di Luciana Capretti (Ediz. Salerno 2017) pag. 13.
2 http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-reportage/2017/04/03/sherin-khankan-la-donna-imam-della-scandinavia-sono-una-femminista-islamico/?refresh_ce-cp

Fonti:
1. http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/tunisia/2017/07/27/tunisia-passa-la-legge-contro-la-violenza-sulle-donne_f1df185a-af91-4ddb-9d3f-bd7657b314f2.html
2. http://www.repubblica.it/esteri/2017/07/26/news/tunisia_legge_contro_violenza_donne-171724631/
3. http://www.lastampa.it/2017/07/28/societa/e-sempre-l-8-marzo/in-tunisia-passa-legge-contro-la-violenza-sulle-donne-4fzEQUGlXKQZYVxKsolWlI/pagina.html?lgut=1
4. https://www.hrw.org/news/2017/07/27/tunisia-landmark-step-shield-women-violence
5. https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/27/tunisia-passa-la-legge-contro-la-violenza-ce-vento-di-diritti-per-le-donne/3759085/
6. https://ilmanifesto.it/la-mobilitazione-delle-donne-tunisine-paga-la-legge-e-cambiata/
7. https://www.tpi.it/mondo/africa-e-medio-oriente/giordania/legge-stupro-matrimonio/
8. http://www.ilpost.it/2017/04/24/giordania-articolo-308/
9. https://www.amnesty.it/giordania-finisce-limpunita-gli-stupratori/
10. http://www.treccani.it/enciclopedia/islam-e-condizione-femminile_%28XXI-Secolo%29/
11. http://www.huffingtonpost.it/2016/07/13/velo-islamico-lavoro_n_10958322.html?utm_hp_ref=it-donne-islam
12. http://archivio.panorama.it/mondo/il-mio-iran/L-Islam-e-la-violenza-contro-le-donne-L-ANALISI
13. http://www.giovannidesio.it/articoli/donna%20e%20islam.htm
14. http://www.ingenere.it/finestre/donne-e-islam-una-passeggiata-libreria
15. http://www.lastampa.it/2016/11/23/cultura/opinioni/editoriali/per-i-saggi-del-cairo-il-velo-non-islamico-tjBhDmhFDLbOttB5XFGAAM/pagina.html
16. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/11/velo-nellislam-una-scelta-libera-e-consapevole/526479/
17. http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-reportage/2017/04/03/sherin-khankan-la-donna-imam-della-scandinavia-sono-una-femminista-islamico/?refresh_ce-cp
18. http://27esimaora.corriere.it/articolo/sapete-che-ce-un-femminismo-islamico-rilegge-il-corano-dalla-parte-delle-donne/?refresh_ce-cp
19. https://europa.eu/eyd2015/it/eu-european-parliament/posts/every-girl-and-woman-has-right-education
20. “La jihad delle donne” di Luciana Capretti (Ediz. Salerno 2017);
21. “Le donne nell’Islam” di Sherif Abdel Azim https://islamhouse.com/it/books/191529/

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