Ulivo

Legge elettorale e Ulivo 2.0

Le possibili leggi elettorali in vista del voto: dal «tedesco» al Consultellum

Il Parlamento ha sei mesi per approvare un nuovo sistema di voto. Il più in voga è il modello tedesco. Senza un accordo l’unica soluzione è armonizzare i sistemi esistenti.

di Renato Benedetto – corriere.it, 30 luglio 2017
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Rimandata a settembre la legge elettorale, le forze politiche hanno cominciato, senza fretta, a prepararsi, dopo che Sergio Mattarella la scorsa settimana ha ricordato per l’ennesima volta la necessità di trovare un’intesa sul sistema di voto: «È ancora possibile intervenire». La legislatura scade a marzo 2018: il Parlamento ha sei mesi per trovare l’accordo sfuggito a giugno, quando è saltato il patto tra Pd, 5 Stelle, FI e Lega sul modello tedesco.

Proprio da quel modello, pur con correzioni, vuole ripartire Silvio Berlusconi: quella riforma aveva i numeri per passare alla Camera e al Senato e, anche se non ha retto alla prova del voto segreto in Aula, è per l’ex premier l’unica strada. Che però, oggi, appare in salita, dopo che si sono tirati fuori Pd e 5 Stelle. I vertici M5S temono che mostrarsi seduti al tavolo con dem e FI, che della campagna devono essere i bersagli, possa essere nocivo in vista del voto.

Il Pd è diviso. Renzi, pur convinto della necessità di «un accordo con tutte le forze politiche», continua a rimandare la discussione nel merito e ad aspettare proposte: «Pronti a discuterle». La minoranza, più l’area Franceschini, chiede invece il premio di coalizione.

Intanto cresce il partito degli scettici, di chi pensa, come l’azzurro Giovanni Toti, che «alle elezioni prossime andremo con la legge in vigore oggi». Senza accordo non resta che una strada: tradurre in legge le modifiche della Consulta e armonizzare i sistemi per Camera e Senato. Forse anche con un decreto, se in Parlamento fallissero tutte le intese.

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I cattolici dem in fibrillazione: a settembre lancio dell’Ulivo 2.0.

Dario Franceschini, 58 anni, titolare dei Beni culturali

di Andrea Carugati – lastampa.it, 3 agosto 2017

«I Renzi passano, i cattolici democratici restano». Roberto Di Giovan Paolo, ex senatore Pd, è vicino a Dario Franceschini dai tempi della giovanile Dc, quando erano i ragazzi di “Zac,” Benigno Zaccagnini. A differenza dello storico portavoce Piero Martino, passato nei giorni scorsi in Mdp, Di Giovan Paolo, insieme a David Sassoli, fa parte della categoria da lui definita «irriducibili». Di quelli che intendono dare battaglia a Renzi dentro il partito. I cattolici di sinistra contro un segretario che «ha fatto suo il doroteismo di Gava», sorride l’ex senatore. Tappa fondamentale di questa battaglia sarà a fine settembre a Camaldoli, tradizionale location delle settimane della Fuci. «Tra noi cattolici il malessere è forte. E non è solo una questione di posti in lista. Il Pd non può diventare un partito personale, sarebbe fuori dalla sua cultura fondativa». A Camaldoli verrà lanciato un messaggio a Pisapia, ma anche a Renzi: «Serve un Ulivo 2.0 con il Pd come architrave», spiega Di Giovan Paolo.

Beppe Fioroni ieri in Transatlantico ha chiacchierato a lungo con Franceschini: «Ti saluto prima che ti infliggano cent’anni di reclusione…». Il riferimento è al libro che martedì sera «Dario» aveva consigliato a Renzi, “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez. «Se qualcuno pensa a un Pd senza cattolici democratici non va lontano», avverte Fioroni. L’ex ministro si richiama alle parole del neopresidente della Cei Gualtiero Bassetti (e non è il solo): «Non serve un nuovo partito cattolico, ma una più attiva presenza sui temi della persona». Anche Fioroni ha in programma un appuntamento alla ripresa, il 30 settembre a Orvieto, sui cattolici e «le speranze degli ultimi». Un altro deputato vicino al ministro della Cultura parla di «forte fibrillazione». «A ottobre il Pd compie dieci anni: sarà il momento per fare un tagliando, confrontare il progetto e il manifesto dei valori a cui abbiamo lavorato con Pietro Scoppola con i risultati che abbiamo sotto gli occhi».

Gli ex diccì non ci stanno a passare per quelli che si ribellano per paura di perdere le poltrone. «Chi viene dalla Dc non può aver paura del confronto di linee», assicura Gianclaudio Bressa, sottosegretario agli Affari regionali. «Il Pd non può restare fermo sulle alleanze», insiste Sassoli. Dopo l’addio di Martino, la chat su Whatsapp dei franceschiniani è un fiume in piena. Il messaggio più frequente è «da soli non si fa nulla. dobbiamo muoverci in gruppo». Lo sguardo è rivolto a sinistra, «ma solo se nascerà con Pisapia e Prodi un nuovo Ulivo». «In una ridotta di sinistra che ci staremmo a fare?».

Per ora la linea è tentare di piegare Renzi al premio di coalizione, in asse con la corrente di Andrea Orlando, e contando sui numeri dei gruppi parlamentari. L’incubo di un Paese ingovernabile dopo le elezioni è stato al centro di una discussione una decina di giorni fa alla fondazione “I popolari”, guidata da Francesco Saverio Garofani e Pierluigi Castagnetti, che si è detto «molto pessimista» sugli esiti di un voto col proporzionale. Ieri il ministro della Giustizia ha lanciato l’associazione “Dems”, con l’obiettivo di «tornare al Pd delle origini e guardare a sinistra». Il 5 ottobre Orlando terrà un seminario sulla legge elettorale con Pisapia. Invitato anche Franceschini.

Democrack

Italicum e Ulivo, gli opposti Pd

Democrack. Polemica fra Renzi e minoranza: «C’è un disegno per screditare i gazebo. Mi accusano di non aver rispetto per il centrosinistra? Sono quelli che lo hanno rovinato». Bersani: «Non merita commento». Dal luogo di culto prodiano la ’sinistra’ chiede la modifica della legge elettorale. Per dire sì al quesito costituzionale.

Matteo Renzi con Roberto Giachetti, il candidato sindaco del Pd di Roma

di Daniela Preziosi – ilmanifesto.info, 13 marzo 2016

Lo scontro va avanti per tutto il pomeriggio a colpi di dichiarazioni e twitter. Renzi attacca da Roma, dalla terza giornata di Classe dem, la scuola di formazione Pd, dopo essere andato a trovare l’anziano leader radicale Marco Pannella («Un omaggio doveroso a un grande della storia italiana, l’ho trovato bello tonico»); la minoranza bersaniana risponde dalla kermesse di Perugia. Renzi prima promette che non userà l’occasione per «litigare», ma poi si fa prendere la mano: i giovani dem dispensano applausi ad ogni passaggio, il segretario-premier non resiste e si lancia nel dibattito postumo sull’Ulivo e sul centrosinistra. La minoranza dem, insieme a D’Alema e anche alla sinistra fuori del Pd lo accusa di essere il killer del centrosinistra per via dell’Italicum e del progetto di ’partito della nazione’: «Quelli che oggi mi vogliono dare lezioni e chiedono più rispetto per la storia dell’Ulivo sono quelli che hanno distrutto l’Ulivo consegnando per vent’anni anni l’Italia a Berlusconi». Da Perugia, e precisamente dal luogo in cui nel 2006 Prodi riunì i suoi ministri per affiatare il governo – senza ottenere i risultati sperati, notoriamente – risponde Pier Luigi Bersani, già ministro dei governi dell’Ulivo e dell’Unione: «Affermazioni del genere non meritano un commento. Renzi ricordi che noi l’abbiam fatto l’Ulivo».

Poi c’è la questione delle primarie. A Roma D’Alema annuncia che non voterà il candidato dem Giachetti; a Napoli Bassolino chiede di annullare il risultato della consultazione. Renzi, senza nominare nessuno dei né l’ex premier né l’ex governatore, non fa sconti: «Esiste un disegno per screditare le primarie», «Il principio del ’chi perde se ne va’ non mette in discussione le primarie ma mette in discussione il partito. Chi perde resta nel partito e fa battaglia dentro il partito, come ha detto Cuperlo che ringrazio, non prende il pallone e se ne va per conto suo e scappa». Infine: la minoranza Pd medita la scissione e punta a far perdere Renzi alle amministrative, come da lettura dei media? «Chi cerca di utilizzare strumentalmente il risultato delle amministrative in chiave interna sbaglia campo di gioco. Il campo di gioco c’è: chi vuole mandarmi a casa, la battaglia la farà al congresso del 2017». Ma da Perugia le accuse sono rispedite al mittente: «Noi non restiamo nel Pd, noi siamo il Pd. Il che è una cosa più profonda», si sgola Roberto Speranza. E su Renzi: «Sono abituato a un’idea di partito in cui il segretario lavora a unire il Pd, non a insultare la minoranza». I bersaniani restano nel partito «con tutti e due i piedi», ripetono Speranza e Bersani.

Ma è vero che non è ancora chiaro come condurranno la campagna del referendum costituzionale. Da Perugia viene rilanciata la richiesta di cambiare l’Italicum. Spiega il senatore Miguel Gotor: «Il problema è il rapporto tra la riforma del bicameralismo e la legge elettorale», «A me interessa capire quale sarà il rapporto con l’Italicum. Se il rapporto resterà questo, ci sarà un tipo di voto. Se sarà modificato, come auspico, ci sarà il sostegno al referendum». E il deputato Andrea De Giorgis: «La legge elettorale così com’è indebolisce la solidità del governo, in quanto riduce e mortifica la rappresentanza». Sull’Italicum, comunque votato dalla gran parte della minoranza Pd, Bersani è drastico: «Ne penso tutto il peggio possibile. Non è una novità e penso che sarebbe interesse di Renzi cambiarlo» perché M5S e destre «avrebbero l’occasione di mettere insieme un listone al ballottaggio e tentare di prendere tutto. Ma non sono sicuro che Renzi abbia ben presente il rischio».
Ma la modifica dell’Italicum e quella della legge elettorale dei futuri senatori sono condizioni per dire no al referendum, libertà che peraltro Renzi ha già annunciato di non voler concedere? Per ora la minoranza Pd non risponde: «Il referendum è lontano», ragiona Gotor, «ora siamo impegnati nelle amministrative che vengono prima e condizioneranno anche il tipo di campagna referendaria del Pd, sia della maggioranza sia della minoranza».

Chi invece ha di fatto già fatto capire che al referendum voterà no è Massimo D’Alema. Che nel pomeriggio arriva a Perugia per discutere di medioriente con il direttore della Stampa Maurizio Molinari. E decide di non rinfocolare le polemiche, e magari anche di rimediare ai giudizi poco generosi che nei due giorni precedenti ha espresso nei confronti della minoranza Pd: «Vorrei esprimere mio apprezzamento per il lavoro di elaborazione, mai come in questo momento c’è bisogno di idee nuove per rilanciare il ruolo della sinistra senza ripercorrere ricette già sperimentate da altri o anche da noi in altre epoche storiche». Vuole essere una frase gentile, ma nel luogo del rimpianto prodiano non suona poi così bene.

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Bassolino preme sul Pd

Napoli. L’ex governatore spera ancora di essere lui il candidato del partito.

Antonio Bassolino

di Adriana Pollice – ilmanifesto.info, 13 marzo 2016

Al teatro Augusteo ieri mattina Antonio Bassolino ha detto cosa si aspetta dal Pd: «Cancellare il voto nei seggi dove si è violata la democrazia e violentata la Costituzione». Eliminare cioè i cinque gazebo, oggetto dei video di Fanpage e contestati nel primo ricorso (bocciato mercoledì scorso), dal calcolo complessivo: sottraendo quei voti, otterrebbe il ruolo di candidato sindaco della coalizione di centrosinistra a guida dem. «Bisogna cancellare una vergogna, un’offesa alla dignità di 30mila votanti delle primarie – ha proseguito -. C’è ancora la possibilità di ribaltare un autogol, di evitare un nuovo possibile suicidio del Pd».
Il teatro era pieno, circa 1.500 persone radunate per sostenere il secondo tempo di una battaglia che si annuncia lunga, così Bassolino ci scherza su: «Ci sono quasi tutti gli iscritti al partito». Il tesseramento del 2014 ne contava 2.800. In sala il suo stato maggiore a cominciare dal consigliere regionale Antonio Marciano, in prima fila, e l’eurodeputato Massimo Paolucci (fedelissimo di Massimo D’Alema) a coordinare l’organizzazione dietro le quinte. E poi tanti ex assessori, pezzi di apparato dell’epoca bassoliniana, arancioni delusi come Pina Tommasielli e Bernardino Tuccillo. Uno striscione sopra la platea segnalava la presenza dei supporter di San Giovanni a Teduccio, una volta quartiere operaio, da sempre feudo dell’ex governatore. Alle primarie il consigliere comunale della zona, Antonio Borriello, fedelissimo di Bassolino, ha però scelto all’ultimo minuto Valeria Valente: immortalato nel video finito in rete, rischia il deferimento agli organi di garanzia del partito.
Nessun accenno alla lista civica, ma la possibilità resta sul tavolo: «Aspettiamo l’esito del ricorso e poi vediamo» spiega dal palco. Il vicesegretario nazionale, Lorenzo Guerini, venerdì è arrivato in città per parlare con Bassolino, svelenire il clima, soprattutto prendere tempo ed evitare strappi. «Non sono in campo per far perdere il Pd o per perdere io – ha proseguito l’ex governatore -. Combatto per vincere. Domenica sera siamo arrivati a un’incollatura, vincendo politicamente e moralmente. E anche numericamente, se si dicesse la verità su quei seggi».
Stamattina si dovrebbe riunire il comitato delle primarie che dovrà valutare il secondo ricorso, l’esito tuttavia potrebbe slittare a domani. Nel caso di rigetto, ci sarà un nuovo appello agli organi nazionali. Intanto Bassolino prova a tenere alta la pressione sul partito: «Non può esserci un colpo di spugna burocratico, la questione è democratica. Abbiamo bisogno di verità per Napoli, la politica e l’opinione pubblica italiana. Finora ci hanno risposto con cavilli, sentenze preconfezionate tra Roma e Napoli. I ragazzi di Fanpage sono da ringraziare». Un discorso molto duro che, però, nasconde una contraddizione: durante le primarie del 2011, annullate per sospetti brogli, ne chiese comunque la convalida.
Nessuno strappo ma con la dirigenza dem resta un forte gelo: «L’Italia delle primarie non può essere quella dei codicilli. Non lo è stata quando ha vinto Renzi, che io ho votato. I vertici del partito e di Palazzo Chigi riflettano e intervengano. Attendo con fiducia l’esito del nuovo ricorso. Domenica sera mi sarei aspettato, un po’ ingenuamente, che squillasse il telefono da Napoli e Roma per dire ’grazie Antonio, hai contribuito a far vivere la politica’. Invece niente».
L’unica contestazione arriva dal Comitato cassintegrati e licenziati Fiat: vestiti da pulcinella, si sono presentati in quattro all’Augusteo per promuovere la loro lista operaia alle prossime comunali. I toni forti contro l’ex governatore non sono piaciuti, i supporter di Bassolino li hanno spintonati via.
La battaglia per adesso è in stallo: Valeria Valente, uscita vincitrice dalle urne con 542 voti, attende in silenzio l’esito del nuovo ricorso ma chiede di visionare i video completi sospettando che si sia scelto di danneggiare una parte sola. Bassolino è deciso a non fermarsi.